Piemonte

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L'unificazione strutturale dello stato savoiardo si rifletté negli affari interni ebraici: i capi delle Comunità risiedevano soprattutto a Chambery ed erano in diretto contatto con le autorità centrali, occupandosi delle contrattazioni per le imposte straordinarie e dei privilegi per l’intero gruppo di correligionari o per i singoli. Inoltre, i criteri per l’imposizione delle tasse al di qua ed al di là delle Alpi venivano decisi in Savoia, mentre le Comunità ebraiche piemontesi non pare avessero voce in capitolo.

Nel 1421 Amedeo Foa stipulò gli accordi relativi alla macellazione a Savigliano, estesi a tutti gli ebrei del Piemonte. Egli si vide riconfermare dal capitano della Savoia i vecchi permessi già garantiti dall’Acaia, senza considerare se fossero conformi alle leggi savoiarde. Intanto, la Comunità della regione si stava disintegrando, a causa del processo inquisitoriale del 1426 e vi fu un esodo di ebrei che si mossero in direzione del Delfinato, della Provenza e della contea di Avignone, ma che in maggioranza si diressero verso il Piemonte. In tale atmosfera gli statuti del 1430 furono promulgati. Questo fondamentale testo legislativo, in cui la dinastia dei Savoia definì il programma di governo, che conteneva, tra l'altro, una serie di disposizioni concernenti gli ebrei[1]. Il Duca offrì loro protezione come individui e come gruppo, garantendoli contro le molestie e la violenza. Fece tali promesse in virtù del buon comportamento e dell’astensione dall'usura, ma proibì agli ebrei essere agenti per capitali cristiani.

La condanna teologica dell'usura si accompagnava difficilmente con la necessità economica e con la principale funzione riconosciuta agli ebrei: i Duchi di Savoia erano consapevoli di ciò e con la preoccupazione costante di sottili distinzioni (alcune volte attraverso l'uso di diversi termini come proficuum, interesse, lucrum), tentarono di ripulire le proprie coscienze. Fissarono un tasso di interesse così basso, che avrebbero potuto accusare gli ebrei in qualsiasi momento.

Fu stabilito, come principio fondamentale, che la giurisdizione sugli ebrei fosse tolta ai Consigli cittadini, imponendo un primo limite reale alle autonomie di questi ultimi in tal senso. I rappresentanti del Comune non avrebbero potuto chiedere giustizia al di fuori della capitale, per quanto riguardava gli ebrei: le leggi regolanti l’attività e l’esistenza degli israeliti erano di natura universale e generale e andavano oltre gli statuti locali[2].

Il profilarsi degli ebrei nelle realtà urbane piemontesi fu ampiamente promosso dalla temperie politica e divenne uno strumento del potere ducale quando Amedeo VIII lottava per prevale sui particolarismi delle autonomie italiane. Di conseguenza gli israeliti furono spesso in pericolo di divenire dei capri espiatori.

Dopo che il padre francescano, inquisitore, Ponce de Feugeron terminò la sua investigazione (15 marzo 1426), la Carta fu, così, rinnovata ad estesa anche agli ebrei del Piemonte (30 aprile 1426). L'arrivo del principe regnante Amedeo, meno di un anno dopo, confermò che i privilegi garantiti agli ebrei da suo padre sarebbero stati validi anche in Piemonte.

Gli statuti del 1430 si occuparono estensivamente di altre aree in cui gli ebrei avrebbero potuto dimostrare le loro abilità imprenditoriali, allontanandoli dalle attività riferite al credito, ma non pregiudicando la fede cattolica. Gli statuti offrirono facilitazioni per le iniziative economiche, consentendo agli ebrei di collaborare con cristiani. I domestici cristiani erano proibiti, ma l'impiego da parte di ebrei di manodopera cristiana era permesso: i rischi che risultavano dal mangiare con gli ebrei o dallo stare in loro compagnia erano del tutto ignorati.

Inoltre la struttura legale delineata negli Statuti garantiva agli ebrei di essere soggetti alla giustizia secolare, amministrata dai loro giudici, secondo il diritto comune. Essi erano soggetti alla protezione del Signore che, attraverso la struttura statale, garantiva le loro vite e le loro attività.

Il duca si riferiva agli ebrei anche come garderii nostri (aggiungendo a volte diletti) e li accettava sub salvaguardia, in cambio delle loro tasse. Gli Statuti del 1430, permeati come erano di ortodossia cattolica, posero la diversità degli ebrei in piena luce, prevedendo la loro segregazione in quartieri separati, che divenne realtà quasi trecento anni più tardi.

Ma tali discriminazioni e limitazioni non annullarono il principio legale, che in questo modo era divenuto legge inviolabile. Il bando dallo stato era perciò considerata una sanzione applicabile soltanto a singoli ebrei responsabili di specifici crimini, come la blasfemia e il giudaizzare: in questo modo la permanenza del gruppo era garantita.

L'imperatore Sigismondo nominò Amedeo VI vicario imperiale in Italia e Ludovico d'Acaia vicario imperiale in Piemonte. In questo modo la posizione giuridica degli ebrei fu chiara e, così, anche i doveri dei vicari nei loro confronti.

Il Duca tentò di centralizzare il governo e la giustizia, lottando contro le difficoltà create dai conflitti sulle competenze giuridiche tra i tribunali nazionali e esteri, come le corti ecclesiastiche di giustizia. Il Breve papale che Amedeo VIII ottenne da Martino V[3] ebbe i suoi effetti: fu ridotto considerevolmente il margine di competenza delle corti di giustizia non ducali e decretato che, in nessun caso, i tribunali ebraici esterni avrebbero potuto avvalersi di licenze papali per imporre la propria autorità sulle corti del Duca.

Gli ebrei furono accettati dai singoli Consigli cittadini piemontesi attraverso una formale "condotta", garantita da una lettera di presentazione del Principe. I documenti ritrovati non ci forniscono una mappa completa e precisa degli insediamenti nei primi due decenni del XV secolo. Ci sembra che la debolezza del potere centrale ed il lento inizio dei centri urbani, ai quali mancava ancora una classe imprenditoriale, non poterono garantire agli ebrei una sufficiente sicurezza. Amedeo VIII applicò nel 1418, dopo l'annessione del Piemonte alla Savoia, il corpo di leggi inserite nel suo Statuto, già applicato in Savoia nel 1403, una cui sezione riguardava interamente gli ebrei (restrizioni sull'uso di servi cristiani e infermiere, istituzione di macellerie separate e segno distintivo) ed il 27 agosto 1419 l'ordinanza ducale ne sanzionò la validità su entrambi i lati delle Alpi. Venne riaffermata la responsabilità collettiva degli ebrei a pagare le imposte alla tesoreria ducale ovunque essi abitassero, mentre 13 articoli delineavano una serie di "privilegi, carte, immunità, franchigie" importanti.

Due sinagoghe erano allora in funzione a Chambéry, il luogo più importante della Comunità e una sinagoga si trovava in ogni città del Ducato. Il tasso di interesse consentito era quasi del 30%, mentre la distribuzione delle imposte pro capite cominciò il giorno in cui il Piemonte fu annesso alla Savoia[4]. L’introito derivante al Duca dai suoi garderii nel 1425 toccò improvvisamente i 70 fiorini, e nel 1428 li superò (72.10 fiorini)[5]: questo fu forse il risultato delle ripercussioni cui si andava incontro non pagando in tempo[6].

Non possediamo alcun esempio di condotta per tutto il XV secolo. Perciò è impossibile sapere in modo dettagliato quali fossero i privilegi e le esenzioni degli ebrei, o gli obblighi, le proibizioni, il peso fiscale ai quali per gioco forza erano soggetti. Sappiamo però che le condotte degli anni '30 e '40 del Quattrocento ebbero una lunga durata (dieci anni nel 1434) o furono addirittura illimitate (1451–1452), e possiamo rilevare alcuni dettagli, che erano, comunque, sempre soggetti a modificazioni nelle ordinanze ducali. Questo includeva censiva (la tassa annuale pagata dall'Università del Piemonte), la tassa di interesse sui prestiti, le tasse sull’eredità, le dilazioni per i debitori, i problemi legati al commercio, le questioni giudiziarie e le competenze inquisitorie.

Le questioni più frequentemente sollevate durante i quarant'anni di presenza ebraica in Piemonte furono primariamente finanziarie, economiche e di natura giurisdizionale. Il census o censiva cominciò a funzionare come tassa annuale dal 1437 e la sua rata rimase praticamente immutata fino al 1460. Non ci sono dati per i successivi 15 anni, sebbene nel 1465 la somma dovuta fosse riconfermata per altri tre anni. Dopo un periodo di tre anni (1454–1456) per cui pagamenti non vennero riportati, il Duca tentò di imporre una tassa pro capite (1457), fissandola ad 1 oncia per persona. Diciotto mesi dopo abbandonò l'idea[7], affermando che la tassa doveva rimanere invariata, indipendentemente dalle entrate individuali o dal numero di ebrei nel Regno.

Nel 1458, nello stesso momento in cui la tassa annuale generale fu riconfermata, il Duca pensò di affidare a Pellegrino Foa, Raffaele Matassia e al neofita Ludovico di Chambery tutti i problemi giuridici concernenti gli ebrei[8]. Gli ebrei erano accusati di falsa testimonianza, di crimini contro la religione cattolica e di assassinio dei neofiti. Il principio stabilito nel 1438, e frequentemente rinnovato, che affermava che il Consiglio ducale residente a Torino era l'unico corpo competente per giudicare gli ebrei, fu sospeso per tre anni nel 1453. Nello stesso tempo Ludovico nominò due membri della sua famiglia, Carlo di Armagnac e Ludovico di Savoia, alla carica di giudici e conservatores degli ebrei, trasformando il Consiglio in una corte d'appello. Per tre anni essi emisero sentenze, che il segretario del Consiglio di Torino semplicemente ratificò[9]. Tali magistrature, comunque, non acquistarono mai un carattere fisso e soltanto durante il XVI secolo la posizione del conservatore divenne permanente, continuando ad esistere poi per altri duecento anni.

L'ordinanza ducale, datata 8 luglio 1465, specificò che la competenza del Consiglio di Torino fosse esclusiva e che si estendesse dalla sfera legale a quella politica. Esso era responsabile della salvaguardia, anche con la forza (manu militari), dei privilegi ebraici ed era autorizzato ad aprire inchieste, che portavano all'arresto di ebrei e all'esproprio dei loro beni[10].

Le accuse più frequenti verso gli ebrei riguardavano i crediti e le infrazioni, spesso, avvenivano con la connivenza di notai, ma le accuse di offese contro la religione cristiana erano potenzialmente più pericolose, poiché minacciavano l'intera comunità (basti pensarea  a cosa accadde a Vigone dove fu violato, nel 1444,  un crocifisso, o alle attività conversionistiche e alla violenza contro i neofiti del 1458 o, ancora alle due accuse di omicidio rituale di Chambéry dello stesso anno, conclusesi con il proscioglimento per mancanza di prove[11].

L'espansione di insediamenti ebraici in Piemonte corrispose allo sviluppo dell'attività economica in generale e seguì il suo corso. La politica di Ludovico di consentire agli ebrei di acquistare case favorì indubbiamente questo processo di insediamento, ma la continuità dell’esistenza di nuclei quali quelli di Savigliano, Torino, Ciri‚ e Chivasso è documentata anche dopo la morte di Ludovico.

Bibliografia

Segre , R., The Jews in Piedmont, 3 voll., Jerusalem 1986-1990.


[1] Segre, R., The Jews in Piedmont, doc. 165.

[2] Ivi, doc. 63 e 94.;

[3] Ivi, doc. 159.

[4] Ivi, doc. 56, 60-61, 69, 84, 93, 106, 113, 128, 142, 146, 200-203, 211, 227, 229, 233, 235, 256.

[5] Ivi, doc. 268, 313, 328, 360, 386, 405, 434, 448, 475, 508, 526, 536, 551, 621.

[6] Ivi, doc. 140.

[7] Ivi, doc. 613-621-676.

[8] Ivi, doc. 622-624.

[9] Ivi, doc. 286, 379, 483, 514, 564, 574, 578, 606.

[10] Ivi, doc. 483.

[11] Ivi, doc. 326-327, 379, 623.

Oggetti nella collezione Piemonte

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Castelnuovo Belbo (già Castelnuovo d’Incisa) Provincia di Asti. Sorto intorno all’anno Mille, C. si chiamò “d’Incisa” sino al ‘600. Quello di C. fu un insediamento di banchieri: Rabbi Israel ottenne nel 1570 una concessione ducale per…

Castelnuovo don Bosco (già Castelnuovo d'Asti) Provincia di Asti. Sito 20 chilometri ad est di Torino,  il castello di C. da cui deriva il nome della località fu costruito attorno al 1000. Aggiunto al marchesato del Monferrato, in seguito passò…

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