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Capoluogo di provincia. L’antica Vercellae, situata nella Pianura Padana presso la sponda destra del fiume Sesia, nel XII secolo si schierò con la Lega Lombarda e fu poi teatro di lotte tra gli Avogadro, guelfi, e i Tizzone, ghibellini, che nel 1310 Enrico VII cercò di riconciliare.
Nel 1335 V. perse la propria indipendenza con Azzone Visconti, sotto la signoria del quale rimase fino al 1427, per essere successivamente ceduta ad Amedeo VIII Duca di Savoia da Filippo Maria Visconti. Nel XVI secolo V. fu una delle poche città del dominio sabaudo non occupate dai francesi, che tentarono nel 1553 e nel 1556 di impossessarsene. Nel XVII secolo, durante la guerra civile scoppiata tra Madama Reale, vedova del Duca Vittorio Amedeo, ed i cognati, la città fu occupata dagli spagnoli nelle cui mani rimase fino al 1659. Nel 1704, durante la guerra di successione spagnola, V. cadde per breve tempo in mano francese. Nel 1815, con la Restaurazione, la città ritornò a fare parte del ducato Sabaudo[1].
Tra l'801 e l'802, durante l'inverno, si fermò a V. un ebreo di nome Isaac, reduce da una missione presso il re di Persia, con un elefante da consegnare all'imperatore Carlo Magno. Ma il primo documento che attesta la presenza ebraica a V. è la Convenzione del 16 febbraio 1446 tra il Consiglio di Provvisione della città, Abramo della Vegnaria e suo figlio Angelo, ai quali si concesse di aprire un banco feneratizio, dietro un prestito senza interesse al comune di 100 fiorini. Le espulsioni spagnole della fine del XV secolo contribuirono a creare una più solida Comunità ebraica locale[2].
I banchi di prestito
Nel 1534 Giuseppe Diena, figlio di Leone, ottenne dalle autorità di V. il permesso di stabilirsi in città insieme ad un altro gruppo di ebrei, per esercitarvi l'attività feneratizia. Dieci anni più tardi, il Comune ricevette dal Diena e dagli altri residenti in prestito 100 scudi per pagare la riottosa soldataglia spagnola e tedesca, che era stanziata in città.
Nel 1546 il Duca dette al Diena e ad Isacco Sacerdoti, medico, la condotta relativa alla loro permanenza in città, che consentiva ai due e alle loro famiglie di continuare a vivere a V. e di svolgere, oltre lì e nel Ducato, attività di prestito e di commercio. Il Duca concesse, poi, loro di portare il cappello nero e di rimanere in città anche per i due mesi successivi alla scadenza della condotta.
Giuseppe Diena estese intanto la propria attività di prestito, con dei soci, a Ivrea, a Santhià e a San Germano e, nel 1555, il Duca rinnovò la condotta di residenza per altri dieci anni agli ebrei vercellesi, nelle figure dei loro deputati (ovvero il Diena ed il Sacerdoti): gli ebrei pagarono 500 scudi al tesoriere ducale.
Nel 1563 Lazzaro Vitta Sacerdoti successe al padre Isacco nella conduzione del banco di prestito cittadino e nella tolleranza papale del 1584 fu concesso alla famiglia Sacerdoti, ad Anselmo Carmi ed a Gabriele Norsa di esercitare l'attività feneratizia a V.
Nel 1596 erano rimasti attivi a V. i banchi di Anselmo Carmi e Gabriele Norsa, mentre i fratelli Giuseppe e Lazzaro Vitta Sacerdoti, insieme ai nipoti Isacco e Salomone, figli di Giosuè, si erano da tempo trasferiti a Casale Monferrato, lasciando come agente del banco vercellese Simone Carpi, figlio di Leone e rappresentante nel Ducato di tutti i loro affari per tre anni.
Sempre nello stesso anno il Duca permise a Moisè Pugliese, proveniente da Lodi, di stabilirsi a V. per dieci anni e di aprirvi un banco feneratizio. Nel 1597 lo stesso concesse inoltre ad Aron Sacerdoti, ai suoi fratelli e nipoti, tutti formalmente residenti a V., ma abitanti temporaneamente a Casale Monferrato, attraverso il loro procuratore Leone di Simone Segre, il privilegio di ristabilirsi a V. e di riattivarvi il loro banco di prestito. Essi dovettero pagare per questa nuova condotta 1.000 fiorini di introito e 15 ducatoni di censo annuale.
Ancora nel 1597 il Duca garantì poi a Leone Olivano il permesso di stabilirsi nei suoi domini e di condurre uno dei banchi di prestito di Gabriele Norsa. Per ottenere il privilegio l'Olivano pagò, una tantum, 60 ducatoni e 10 ducatoni di censo annuale. Poiché il banco era sgregato, egli non doveva pagare le tasse all'Università degli ebrei. Contemporaneamente, inoltre l'Infanta concesse, a nome del Duca, a Vitale Treves, abitante a Biella, di risiedere a V., e ivi condurre un altro banco sgregato.
Nel 1599, su ordine del Duca, fu garantito a Giuseppe Levi di Pavia di condurre un banco sgregato a V., dietro pagamento di 45 ducatoni di introito e 8 ducatoni di tassa annuale.
Nel 1601 i fratelli Moisè e Vitale Carmini, abitanti a Brescello, e Gabriele Norsa vendettero i loro banchi di prestito di V. a Sansone Bachi, residente a Biella, e a Jacob Levi, al prezzo di 300 scudi. I Carmini avevano comperato il banco dall'Università degli ebrei, ma si rifiutavano di pagare i loro contributi fiscali alla Comunità: i capi di quest’ultima li avevano quindi costretti a vendere il loro banco in città.
Nel 1602 il Duca concesse a Leone Olivano di aprire un altro banco di prestito, alle stesse condizioni di quello precedentemente avviato nel 1597.
Anche il Camerlengo papale, il cardinale Enrico Caetani, dette nel 1598 delle tolleranze per fenerare a V. ad Aronne e Giuseppe Sacerdote, ai figli ed eredi dei fu fratelli Rafaele a Michele da Rimini, a Gabriele Norsa ed a Moisè Pugliesio.
Nel 1603 il Duca autorizzò Gabriele Norsa a vendere il banco sgregato di V. ai fratelli Donato, Moisè e Marco Levi, abitanti a Fiorenzuola, ai quali fu concesso di risiedere nel Ducato sabaudo e di usufruire dei privilegi concessi agli altri banchieri ebrei.
Nel 1621 il Duca dette ai fratelli Anselmo e Florindo Olivano, figli di Leone, il privilegio di condurre i loro banchi separatamente, dal momento che avevano diviso in due le proprietà ereditate con la morte del padre: per ottenere la licenza i due pagarono al tesoriere ducale 60 scudi.
Nella condotta del 1624 risultavano attivi a V. otto banchi di prestito, condotti da Salamon Sacerdote, Aron Levi, Giacob Bachi e i suoi fratelli, Giuseppe Treves, Marco Levi, insieme ai fratelli, gli eredi di Michele Pugliese, Anselmo Olivano, Florindo Olivano. Aron Levi, che era giunto nella cittadina piemontese verso il 1600, aveva acquistato il privilegio di un banco feneratizio da Gabriel Norsa e dai fratelli Sacerdote[3].
Vita Comunitaria
Una delle prime famiglie originarie dalla Spagna che si stabilì a V. era quella dei Segre o Segrè, cognome che trae origine dall'omonimo fiume francese, affluente dell'Ebro in Spagna.
Nel 1556 gli ebrei furono espulsi da V., ma immediatamente riammessi dopo aver pagato 200 fiorini. Il Duca Emanuele Filiberto nel 1576 confermò i privilegi precedentemente concessi da Carlo III il Buono, consentendo agli ebrei di esercitare il commercio, di frequentare i corsi di medicina e di chirurgia e di essere giudicati da un loro tribunale.
Successivamente, alla fine del XVI secolo, dopo il bando di espulsione contro gli ebrei emesso dal governatore spagnolo in Lombardia nel 1580, altre famiglie ebraiche, tra cui i Levi, approdarono a V. Negli stessi anni vi giunsero i Foa, originari di Trino Vercellese, ai quali le autorità locali concessero l'ingresso in città dietro il pagamento di una cospicua somma a titolo di introito.
Con i successivi editti di Carlo Emanuele I gli ebrei ottennero nuove concessioni, ma furono in cambio costretti a pagare censi sempre più onerosi, trasformandosi in annuali restauratori delle esauste casse statali.
Nel 1630 i capi dell'Università ebraica Aron Levi e Daniel Sacerdote ricevettero in uso dal monastero di Sant'Agata una casa ed un torrione, situati nelle vicinanze della parrocchia di San Salvatore, che sarebbero serviti ad accogliere la sinagoga della comunità. L'affitto annuale era di 22 scudi e 2 fiorini per vent'anni. Il rito italiano, seguito fino a quel momento, fu sostituito da quello tedesco, che venne poi sempre conservato. In questi anni, gli ebrei di V. contribuirono ancora di più all'autorità tutoria perché oltre ai versamenti riservati al Duca, dovettero pagare anche speciali recognizioni alla città.
Nel 1681 la Comunità ebraica di V., rappresentata da Vita Segre e Jacob Pugliese si impegnò a pagare ogni anno alla festa di San Teonesto 18 lire alla città come contributo alla residenza e alle spese militari. Il termine "Università Israelitica", che compare in questo rogito stipulato dal notaio Beniamino sancì la legittimità di una Comunità ufficialmente riconosciuta dalla città con una propria normativa interna, che ne regolava le funzioni e ne determinava i compiti e le attribuzioni. Le Congreghe si riunivano con una certa regolarità, e in esse venivano esaminati i problemi che via via si ponevano alla Comunità: la nomina dei Sindaci e dei registranti, il riparto delle spese di gestione, la nomina dei revisori dei conti.
Nel 1708, con una disposizione approvata dal Real Senato, fu imposto a tutti i capifamiglia delle Comunità ebraiche del Regno, inclusa V., di redigere un dettagliato inventario dei loro beni mobili e immobili e di pagare, sotto la pena della scomunica, una tassa proporzionale al reddito.
Nel 1740 fu inaugurata nel ghetto una nuova sinagoga con una scuola annessa. Essa fu istituita in una casa che i frati di S. Francesco avevano affittato alla Comunità, i posti di preghiera vi erano ripartiti in base a una precisa regola basata sulla ricchezza e potevano essere acquisiti o per diritto ereditario o per permuta o per acquisto mediante il pagamento di una certa somma a favore dell'Università.
Nel 1775 fu firmata da Jacob Segre una prammatica che imponeva in 17 capitoli delle norme suntuarie per gli ebrei di V., che servivano a regolare la vita morale della comunità, a estirpare il vizio del gioco, a limitare le spese soverchie e a controllare i profondi contrasti che dividevano gli abitanti del ghetto, a causa delle differenze sociali tra loro esistenti. Non era solo obbligatorio per gli abitanti del ghetto osservare le disposizioni contenute nella Prammatica, ma anche per coloro che, come i forestieri o i giovani di bottega, risiedevano nel ghetto da più di sei mesi. La pena per trasgressori era una multa di 30 lire da pagare metà al Fisco Regio e metà alla Comunità[4].
Il ghetto
Nel 1729 Vittorio Amedeo II, riconfermando le Regie Costituzioni del 1723, stabilì che si costituisse a V., come nelle altre città del Regno, un "ghetto degli ebrei", isolato dal resto della città. Esso fu posto nel cuore della cittadina, dal momento che la maggior parte degli ebrei vi svolgeva la propria attività commerciale e bancaria.
Il ghetto era delimitato dal Corso Libertà, da due contrade laterali che terminavano in Corso Leone d'Oro (l'attuale via Fratelli Ponti) e dalla strada della Visitazione (l'attuale via Fratelli Garrone). Gli ebrei vi venivano chiusi dal tramonto fino all'alba, pena un'ammenda severissima per i trasgressori. In questo primo ghetto vivevano 24 famiglie di cui 18 benestanti, 4 di modeste condizioni e 4 di poveri mendicanti. Nel 1740 esso fu trasferito in un luogo più appartato, a causa di problemi con la cittadinanza vercellese che mal sopportava la sua presenza proprio al centro della città. Il nuovo fu situato in via degli Orefici, corrispondente all'attuale via Elia Emanuele Foa, adiacente alla piazza del Fieno. Esso si estendeva oltre la parrocchia di S. Giuliano e Santa Maria Maggiore. Quattro porte ne delimitavano il perimetro, ma, prima di esservi rinchiusi, gli ebrei chiesero ed ottennero che i contratti di affitto con i proprietari di case fossero stipulati da un notaio e da un prefetto e che avessero il carattere di affitto perpetuo[5].
Cimitero
Nel 1648 il Consiglio della città ratificò, con decreto notarile, la vendita di appezzamento di terreno a Salomone Levi, per seppellirvi la sua famiglia, al prezzo di 25 ducatoni. Un cimitero ebraico abbastanza grande esisteva a V., poiché nel 1701 sorse una vertenza tra le suore della Visitazione e gli ebrei della città sul muro che separava il convento da esso. Grazie alla mediazione dell'arciprete, Jacob Pugliese e Samuel Levi, rappresentanti della Confraternita della Misericordia, antica istituzione ebraica che si occupava dell'assistenza ai malati e alla sepoltura dei morti, decisero di comprare i due piccoli terreni che confinavano con il convento e con la casa del fattore, al prezzo di 140 fiorini.
Nel 1739 Sansone Segre chiese il permesso di comprare un nuovo terreno, perché non c'era più posto nel vecchio cimitero ebraico. Nel 1742 il Collegio delle Orfanelle vendette a Giuseppe Treves, a Sanson Segre e ad Abramo Levi un appezzamento di terra situato nella parrocchia di Santa Maria Maggiore, che confinava con le mura dei bastioni della città, nel quale doveva essere costruito il nuovo cimitero ebraico[6].
Demografia
Nel 1675 risiedevano a V. 16 famiglie ebraiche, per un totale di 80 persone. Due abitavano nella zona vicino a San Giuliano, sette in quella adiacente a S. Lorenzo, quattro nella parrocchia di S. Tommaso e tre in quella di S. Salvatore.
Nel 1740 vi risiedevano 29 famiglie, 158 anime in tutto.
Nel 1761, nel censimento ordinato dal Duca Carlo Emanuele III, risultavano residenti nella cittadina 229 ebrei, distribuiti su 37 famiglie.
Nel 1774 il loro numero era salito a 252 e nel 1798 a 323, 54 famiglie in tutto[7].
Personaggi illustri
Segrè Hayyim (XVII secolo) nacque a Padiva e nel 1653 si trasferì da Casale Monferrato a V. in qualità di capo spirituale della piccola Comunità ebraica. Considerato un sostenitore di Shabbetai Zevi, fu uno dei tre delegati mandati nel 1666 in Oriente a studiare il movimento sabbatiano. Scrisse l'opera Binyan Av, delle regole sul come suonare lo shofar, che non fu mai pubblicata[8].
Segre Salvatore (Joshua Ben Zion 1729–1809), rabbino italiano, che nacque a V. dove servì nel rabbinato e nel consiglio cittadino dopo l'occupazione francese del Piemonte. Di tendenza riformata, fece parte della delegazione dell'Italia del Nord che fu invitata al Sinedrio, che si tenne, su volontà di Napoleone, a Parigi nel 1806.
Dopo un suo discorso di elogio all'imperatore, fu scelto come av bet din del Sinedrio di Parigi. Alla fine dei lavori, fece ritorno nella sua città natale, per continuare a svolgervi le sue funzioni di rabbino. Morì in viaggio nel 1809[9].
Bibliografia
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Artom, M.E., Segre Salvatore, in E.J..
Colombo, A., La Prammatica vercellese del 1775, in RMI XXXIV (1968) 9, pp. 527-530. Colombo, D., Alcuni appunti sul ghetto di Vercelli, in RMI XLII (1976) 7-8, pp. 374-377.
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Foa, S., Banchi e banchieri ebrei nel Piemonte dei secoli scorsi, in RMI XXI (1955), pp. 38-50, 85-97, 126-136, 190-201, 284-297, 325-336, 471-486, 520-535.
Loevinson, E., La concession des banques de prêts aux juifs par les papes des seizième et dix-septième siècles, in REJ 92 (1932), pp. 1-30; 93 (1932), pp. 27-52, 157-178; 94 (1933), pp. 57-72, 167-183; 95 (1934), pp. 23-43.
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Sarasso, T., Un ignorato massacro di ebrei a Vercelli nel 1446, in RMI XL (1974) 10, pp. 438-443.
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Servi, F., Cenni storici sulla Comunità Israelitica di Vercelli, in L'Educatore Israelita XIV (1866), pp 311-315.
Servi, F., Uno sguardo alle Comunioni Israelitiche d'Italia, Vercelli XV, in Il Corriere Israelitico V (1866–1867), pp. 171-176.
[1] AA.VV., Vercelli.
[2] Einhardi Fuldensis, Annales, ad annum 801, p. 190; Einhardi Fuldensis, Annales, ad annum 802, p. 35; Segre, R., The Jews in Piedmont, I, doc. 427, 430, 630; Servi, F., Cenni storici sulla Comunità Israelitica di Vercelli, pp. 311-312.
[3] Loevinson, E., Banques de prêts, p. 238 e segg.; Sarasso, T., Storia degli ebrei a Vercelli, pp. 30-31; Segre, R., op. cit., I, doc. 802, 815, 817, 823, 827, 842, 901, 975, II, doc. 1361, 1639, 1651, 1652, 1657, 1667, 1669, 1673, 1676, 1697, 1721, 1735, 1737, 1753, 1885, 1920, 1990, 2009, 2040, 2046, 2119.
[4] Colombo, A., La Prammatica vercellese del 1775, pp. 527-528; Sarasso, T., op. cit., pp. 25-28, 30-31, 33-36, 39-48, 51-52; Servi, F. op. cit., pp. 312-313; Segre, R., op. cit., II. doc. 1721, 1726, 1732, 2116.
[5] Sarasso, T., op. cit., pp. 39-48, 51-52; Segre, R., op. cit., III, doc. 2922, 2924.
[6] Segre, R., op. cit., II, doc. 2225, 2495, III, doc. 2908, 2967, 3329.
[7] Sarasso, T., op. cit., pp. 58-59; Segre, R., op. cit., II, doc. 2354, III, doc. 3146, 3260, 3465.
[8] Servi, F., op. cit., pp. 314-315; Artom, E. S., Segré (family), p. 1112.
[9] Artom, M. E., Segre Salvatore, p. 1114.