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Capoluogo di provincia. B. è situata tra l'Oglio e il Chiese, allo sbocco in pianura della Val Trompia (Mella), dove questa s'incontra con l'importante strada pedemontana che segue le ultime pendici delle Prealpi e unisce Verona con Bergamo. La città, chiusa da bastoni interrotti da cinque porte, si stende ai piedi del colle Cidneo e dell'ultima propaggine delle Prealpi Bresciane, denominata i Ronchi. Un fiumicello, il Garza, la attraversa, mentre il Mella scorre poco vicino. Il suo nome classico era Brixia: Brexia comparve, infatti, all'epoca dei Longobardi.
Dopo essere stata il più importante punto d'appoggio romano nella Gallia Transpadana, divenne, poi, probabilmente, colonia con Cremona. Sede di un ducato sotto i Longobardi, raggiunse la libertà municipale all'inizio del secolo XII, pur essendo anche soggetta al potere vescovile. Travagliata da guerre civili e lotte papali, passò dalla signoria degli Scaligeri a quella dei Visconti, di Pandolfo Malatesta e di nuovo dei Visconti (Filippo Maria), finché, ribellatasi anche a costui, passò sotto Venezia sino al 1797.
Nel secolo XV subì le ripetute guerre con il Ducato di Milano ed il saccheggio di Gastone di Foix (nel 1512), dopo che era stata tolta a quest'ultimo per essere data in signoria a Luigi XII. Ebbe in compenso della sua fedeltà a Venezia ampi privilegi, godendo di larga autonomia amministrativa: rappresentavano Venezia i due rettori, scelti tra i patrizi veneziani, ma la città si governava con i propri Consigli, il Generale, quello degli Anziani e quello della Banca.
La prima traccia della presenza ebraica a B. è una iscrizione latina del V secolo in cui viene indicata una Coelia Paterna come Mater Synagogae Brixianorum[1], mentre un frammento di iscrizione greca parla di Archisynagogos in città[2].
All'inizio del secolo XV, Bernardino da Siena tenne prediche a B. contro gli usurai ebrei, provocandone, a quanto si presume, l'espulsione. Nel 1426 ci fu il passaggio a Venezia e, nel 1444 e 1458, le autorità cittadine chiesero, invano, al Papa il consenso all'attività feneratizia ebraica. Tuttavia, dal provvedimento contro la macellazione rituale in pubblico, preso dalle autorità di B. nel 1438, nonché da documenti inerenti la conversione di israeliti locali, si desume l'esistenza di un nucleo ebraico nella città. Risale al 1445, il provvedimento, mandato ai Rettori di B. con lettera ducale, concernente il divieto di fenerare, oltre un determinato tasso di interesse .
Nel 1463 le autorità cittadine, con il consenso del Cardinale Legato, confermarono i capitoli riguardo ai banchi, proclamando che cum bomna conscientia possumus tenere Judeos, qui prestant ad usuram in omnibus terris et locis nostris[3].
Per quanto concerne i rapporti con la Chiesa e la loro ripercussione nella politica comunale, nel 1434 e nel 1438 si registrarono (com'è stato accennato sopra) delle conversioni al cristianesimo, seguite da un aiuto finanziario ai neofiti da parte del Comune, allo scopo di incoraggiare gli altri ebrei a seguirne l'esempio. Stessa cosa avvenne nel 1491 e nel 1503.
Nel 1475 sull'onda delle iniziative anti-ebraiche, seguite all'accusa di omicidio rituale mossa a Trento, vi furono cruente esplosioni di violenza contro il nucleo ebraico bresciano. L'anno seguente, tuttavia, vennero impartire disposizioni dogali ai Rettori contro le prediche forzate e, nel 1477, al monaco Michele fu impedito di continuare la predicazione contro gli ebrei in città.
Anche a B. vi furono ebrei che giunsero a godere di una certa considerazione sociale, come i feneratori Rizzardo e Jacob, dal 1465 familiari del Capitano generale.
Nel 1476, in seguito alla morte di Bartolomeo Colleoni, armigeri delle bande armate, ormai sciolte, impegnarono le armi a B. e provincia: il governo, volendo ricomporre l'esercito, provvide a farle riscattare, facendo fare trattenute sulla paga dei soldati, perché potessero regolare la loro posizione con i feneratori e questi ultimi, a loro volta, potessero pagare le tasse statali.
Due anni dopo, su richiesta della popolazione, le autorità decretarono che gli ebrei sprovvisti di privilegio della Signoria, avrebbero dovuto essere espulsi e, infatti, due famiglie dovettero abbandonare B.
Nel 1481 il governo, pressato dai Bresciani, poco favorevoli alla presenza ebraica, dichiarò di non poter costringere la città a ricevere gli ebrei, mentre l'attività feneratizia dovette essere rigorosamente esercitata entro i limiti accordati dalle condotte.
Nel 1490 e nel 1493 fu dato ordine di fare un censimento della popolazione ebraica di B., annotando da quando ogni famiglia si trovava in città e quali erano le occupazioni dei suoi membri, i cui risultati non sono, tuttavia, menzionati nei documenti. Sempre nel tentativo, d'ispirazione cristiana, di allontanare gli israeliti, i bresciani si appellarono a Venezia, riuscendo ad ottenere un provvedimento che vietava la residenza in città o nel suburbio a coloro che tenevano banco in provincia.
Nel 1494 Bernardino da Feltre predicò contro gli ebrei (provocando l'espulsione di uno di essi). Il Consiglio degli Anziani, dal canto suo, ricordando l'istituzione del Monte di Pietà, che si contrapponeva ai feneratori, ribadì l'incidenza della presenza ebraica nella vita cittadina, sostenendo che ubique sinagogae congregantur et xenophegia celebrantur[4] e proponendo che gli ebrei, come le meretrici, abitassero in luoghi separati dal resto della cittadinanza.
La sospirata espulsione, tuttavia, non venne accordata: anzi, tale Lazzaro, appellatosi all'autorità, venne reintegrato nei privilegi, di cui godevano precedentemente i correligionari, mentre fu ribadito il principio dell'auto-gestione ebraica della giustizia: Item che el Podestà dei luogi et sua Corte siano suoi Zudei si in civil come in criminal in tutte cause, et non alcuna altra persona[5].
Continuavano, tuttavia, le deliberazioni sfavorevoli agli Ebrei: nel 1497, ad esempio, si parlò di bandir de questa terra i giudei marrani, e così dei luoghi della Signoria cum tempo de due mesi [...], con l'aggiunta dell'osservazione: I comenzava, con l'esempio de spagnoli, a levarse in superbia[6]. Poco più tardi, si deliberò di proibire ai bresciani di dare le proprie case in affitto agli ebrei e, in seguito, si misero in atto provvedimenti per eliminare la presenza ebraica da determinate quadre della città.
Gli israeliti, ciononostante, continuarono a vivere a B. e, quando la città fu occupata dai francesi, nel 1509, le loro case furono saccheggiate: i francesi, inoltre, proibirono l'usura e cacciarono la maggior parte degli ebrei. Quando B. tornò nuovamente sotto Venezia, nel 1519, gli espulsi poterono rientrare, ma, sulla spinta del fervore religioso teso alla lotta contro gli "infedeli", dopo le vittorie cristiane contro i Turchi, gli ebrei furono cacciati dalla Repubblica Veneta e, quindi, presumibilmente anche da B., nel 1572. Essi tornarono, non molto dopo, in territorio veneziano e ne viene attestata la presenza a B. in un documento del 1587.
Una traccia della presenza ebraica a B., nel XVII secolo, ci viene fornita dall'elenco dei convertiti con permesso di elemosinare nello Stato di Milano, in cui viene menzionato, nel 1619, tale Giulio Cesare Misurati, a suo tempo residente come ebreo a B.[7].
Sebbene dalla fine del XVII secolo non ci siano attestazioni del nucleo israelitico, tuttavia, dato che gli Inquisitori sopra l'Università degli Ebrei dello Stato veneziano, nel 1723, avevano permesso a qualunque ebreo, ivi compresi i forestieri, di andare a trasferirsi a Venezia con la famiglia per dieci anni, è stata avanzata l'ipotesi che anche per B. valesse tale provvedimento. Documenti più tardi, relativi a condotte a B., sembrano avallare questa ipotesi, almeno sino al 1788[8], momento in cui si interrompe l’attestazione della presenza ebraica a B.[9].
Per quanto riguarda l'attività culturale, tra il 1491 e il 1494, Gershom di Mosè Soncino stampò a B. l'opera Makhberot Imanuel di Immanuel di Salomone da Roma, il Mashal ha- Kadmoni di Ytzhak Ibn Sahula (il primo testo ebraico illustrato), la terza edizione completa della Bibbia ebraica e libri di preghiera.
Il noto cronista Eliyahu Ben Elqana Capsali, nella sua opera dedicata a Venezia che prendeva ampiamente in considerazione anche la storia degli ebrei sotto il suo dominio, riferisce che a B. si trovava, all'inizio del secolo XVI, una yeshivah, frequentata da una élite di rabbini italiani, cui si aggiungevano una quarantina di studenti (bahurim) e numerosi commercianti.
Membro di spicco della comunità ebraica bresciana fu il rabbino Yosef Castelfranco[10] che, essendo molto facoltoso, oltre che pio, dette ampio sostegno finanziario alla yeshivah e si fece promotore di iniziative, quali la copiatura del Talmud con il commento di Rashi e le Tossafot, per mano del valente copista Rav Peretz, opera che sopravvisse, in parte, al sacco della città[11].
A B. fu redatto, inoltre, nel 1494, il manoscritto ebraico 154 della collezione de Rossi e, nel 1510, il manoscritto pol. I, mentre l'anno prima vi era stato venduto il manoscritto Torino 45[12].
Attività economiche
Gli ebrei di B. erano dediti all'attività feneratizia: nel 1445 l'autorità veneziana prese posizione contro chi mutuasse a usura oltre il limite fissato.
Per quanto concerne il banco, nel 1467, fu stabilito che i pegni da portarsi a B. fossero esenti da dazio. Da un documento del 1472, risulta che gli ebrei che prestavano in provincia, ricevendo i pegni in città, non potevano imporre l'interesse, se non dopo che i pegni stessi fossero stati presentati ai banchi dei rispettivi paesi e descritti negli appositi bollettini.
Nel 1481, nell'ambito dei provvedimenti ispirati al desiderio dei bresciani di contrastare la presenza ebraica, venne stabilito che il tasso d'interesse consentito per il prestito non dovesse essere superiore al 15%.
Nel 1494, dato che gli ebrei erano soliti acquistare all'asta i pegni depositati al Monte di Pietà, il Consiglio degli Anziani di B. stabilì che nessuno di loro, né direttamente né per interposta persona, potesse partecipare all'asta dei beni del Monte o del Massarolo dei pegni, dietro pena di una multa.
Da un documento del 1497, infine, risulta che "giudei marrani" detenevano il monopolio del mercato del frumento, in un'epoca di carestia, complice l'intesa che avevano col Viceré di Sicilia[13].
Bibliografia
Capsali, E., Seder Eliyahu Zuta, History of the Ottomans and of Venice and that of the Jews in Turkey, Spain and Venice, (a cura di Shmuelevitz, A., Simonsohn, S., Benayahu, M.), 3 voll., Jerusalem 1977.
Cassuto. U., E.J., alla voce "Brescia".
Glissenti, F., Gli ebrei nel Bresciano al tempo della dominazione veneta, Brescia 1891.
Mortara, M. Indice alfabetico dei rabbini e scrittori israeliti, Padova 1886.
Porges, N., Elie Capsali et sa chronique de Venise, in REJ LXXVII (1923), pp. 20-40.
Ruggini, L., Ebrei e Orientali nell'Italia Settentrionale fra il IV e il V secolo d.C., in Studia et documenta Historiae et Iuris, XXV (1959), pp. 186-308.
Simonsohn, S., The Jews in the Duchy of Milan, 4 voll., Jerusalem 1982–1986.
Simonsohn, S., Toldot ha-Yehudim be-dukassut Mantova, Gerusalemme, 1962–1964.
[1] Traslitterazione adottata da Capsali, E., Seder Eliyahu Zuta, p. 258.
[2] Ruggini, L., Ebrei e Orientali nell'Italia Settentrionale fra il IV e il V secolo d.C., p. 217.
[3] Glissenti, F., Gli ebrei nel Bresciano, p. 9.
[4] Glissenti, F., op. cit., p. 27.
[5] ; Ivi., p. 30.
[6] Ibidem.
[7] Simonsohn, S., The Jews in the Duchy of Milan, III, doc. 4018, p. 1805.
[8] Cassuto, U., E.J., alla voce "Brescia"; Glissenti, F., op. cit., p. 42, nota 73.
[9] Cassuto, U., E.J., alla voce "Brescia"; Glissenti, F., op. cit., pp. 5-44.
[10] Il rabbino Castelfranco va probabilmente identificato con Yosef ben Shemuel Castelfranco che fu rabbino a Mantova, durante la prima metà del secolo XVI, autore di opere manoscritte (cfr. Mortara, M., Indice alfabetico dei rabbini e scrittori israeliti, p. 11). Simonsohn, S., Toledot ha-Yehudim be Dukassut Mantova, II, p. 543.
[11] Capsali, E., op. cit., II, p. 258; Porgès, N., Elie Capsali et sa chronique de Venise, p. 39.
[12] Cassuto, U., E.J., alla voce "Brescia".
[13] Glissenti, F., op. cit., passim.