Arena

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Arena

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Arena (Po) (ארינה)

Provincia di Pavia. Attestata almeno dal X secolo, dipendeva inizialmente da Piacenza, ma passò nel 1164 sotto Pavia, divenendo sede di podesteria. Controllata dalla famiglia Beccaria dalla fine del XIII secolo al XV, dagli anni ’40 del Quattrocento fu feudo dei Sanseverino e degli Speciani.

Il primo accenno alla presenza ebraica a A. risale al 1463, quando il Consiglio cittadino di Pavia ridusse ad Abramo di A. una multa comminatagli per aver trasgredito alle leggi relative al cibo, probabilmente in virtù del fatto che Abramo godeva della protezione di Aberlino, padre di Manno di Pavia[1].

Nel 1467 abitava ad A. tale Belhomo, figlio di Mazo (Mazio)[2], cui, negli anni dal 1469 al 1471, i nobili locali concessero il privilegio di vivere e tenere un banco feneratizio in loco, alle stesse condizioni stipulate con Manno di Pavia. Il Consiglio dei dodici sapienti di A., tuttavia, revocò poi la concessione del banco, perché in contrasto con le disposizioni ecclesiastiche in materia[3]. Nel 1478 il Duca fu informato dell'arresto di Belhomo e dell'invio di funzionari pavesi ad A. per investigare i fatti e confiscare la proprietà dell'ebreo[4]. Nel 1479 Belhomo fu anche implicato, come principale accusato, nel più clamoroso episodio di omicidio rituale del Ducato, avvenuto in questa località. Furono interrogati Davide, membro dell'entourage domestico di Belhomo e la moglie, Ventura, ma, in particolare, non vennero credute le affermazioni fatte da quest'ultima sulla reperibilità del fanciullo, di nome Turluru, ritenuto, invece, ucciso a scopo rituale dal marito[5]. Da un documento ulteriore risultò che il vicario vescovile aveva arrestato un ebreo del distretto di Stradella,  famiglo (sic) di Belhomo, accusato di aver rapito un fanciullo per consegnarglielo per fare le cerimonie deli hebrey[6].

Pochi giorni più tardi, Donato e Belhomo, accusati di aver crocifisso il ragazzo, vennero tradotti a Milano per essere interrogati, mentre il commissario di Pavia ricevette ordine di prevenire ogni atto ostile contro le abitazioni degli ebrei. Tuttavia, Turluru, ritenuto morto, fu presentato, vivo e vegeto, al Senato e, pertanto, gli imputati vennero rilasciati e i loro beni dissequestrati. La vicenda ebbe come strascico una polemica con Pavia, che aveva ritenuto lesa dall'intervento ducale l'autorità della città in fatto di amministrazione della giustizia. Il Duca e la Duchessa, dal canto loro, commentarono l'intero episodio, osservando: [....]siamo maravigliati non senza molestia de questia scandalosa inventione dalla quale sonno stati per uscire periculosi inconvenienti tra populari et gente imperita e, in risposta alle lamentele di Pavia, ribadirono la giustezza del loro intervento : habiamo facto retrovare la verità di si scandalosa imputatione[7]. Poiché, però, non erano stati restituiti a Belhomo tutti i beni sequestrati, nonostante le disposizioni ducali, il Duca e la Duchessa furono nuovamente interpellati sul da farsi, in particolare, riguardo al compenso dei funzionari che avevano preparato gli elenchi delle proprietà ebraiche, al tempo della confisca, compenso che il podestà di Pavia riteneva spettasse agli ebrei stessi elargire, sostenendo che [...] maxime che essi ebrey per simile poca spexa son certo non serano tropo retrogradi[8].Nonostante le disposizioni ducali, Belhomo non tornò in possesso della proprietà confiscategli, provocando un ulteriore intervento dei Duchi[9].

Nel 1480 Belhomo stipulò un accordo quadriennale per l'allevamento e il pascolo di alcune mucche[10] e, due anni dopo, insieme a Mazo e Josef dette garanzia al podestà di A. di non lasciare la zona[11].

Tra gli Ebrei giudicati colpevoli e puniti, in seguito al processo del 1488, c'era anche Giuseppe del fu Mazo di A.[12].

Ulteriori cenni della presenza ebraica a A. non ci sono pervenuti[13].

Bibliografia

Invernizzi, C., Gli ebrei a Pavia, in Bollettino della Società Pavese di Storia Patria  V (1905), pp. 191-240.

Manzini, V., La superstizione omicida e i sacrifici umani, Padova 1930.

Motta, E., Ebrei in Como ed in altre città del ducato milanese, in Periodico della Società Storica per la provincia e antica diocesi di Como V (1885), pp. 9-44.

Simonsohn, S., The Jews in the Duchy of Milan, 4 voll., Jerusalem 1982–1986.


[1] Simonsohn, S., The Jews in The Duchy of Milan, I, doc. 787.

[2] Ivi, I, doc. 1007.

[3] Ivi, I, doc. 1101.

[4] Ivi, II, doc. 1794.

[5] Ivi, II, doc. 1868.

[6] Manzini, V., La superstizione omicida e i sacrifici umani, pp. 115-118; Simonsohn, S., The Jews in The Duchy of Milan, II, doc. 1877.

[7] Ivi, II, doc. 1888.

[8] Ivi, II, doc. 1891 e 1892.

[9] Ivi, II, doc. 1895.

[10] Ivi, II, doc. 1963.

[11] Ivi, II, doc. 2084.

[12] Ivi, II, doc. 2165.

[13] Su di essa si veda anche Invernizzi, C., Gli ebrei a Pavia, pp. 213-214  e Motta, E., Ebrei in Como ed in altre città del ducato milanese, p. 35.

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