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Catania, la seconda città della Sicilia per grandezza dopo Palermo, si trova sulla costa orientale dell'isola, in Val di Noto, e faceva parte del demanio reale. Fondata nelle prime fasi della colonizzazione greca verso il 729 a.C., C. subì svariate conquiste, dai Romani sino agli Aragonesi. A partire già dall'antichità, e per tutto il medioevo, fu un centro ebraico, per alcuni anni addirittura il maggiore dell’isola, che ospitò una comunità fino all'espulsione del 1492 senza soluzione di continuità e che, assieme a Siracusa e ad alcuni altri luoghi della costa orientale, accolse i profughi arrivati in Sicilia dalla Giudea[1].
Il primo documento che testimonia la presenza degli ebrei a C. é l'epitaffio di Aurelius Samuele e di sua moglie Lasie Erine, datato 383, anno in cui la donna moriva, all'età di 23 anni. L’iscrizione, che si apre in ebraico e prosegue in latino, riporta un’invocazione diretta alla protezione di Dio, dell'autorità e del patriarca palestinese. Aurelius Samuele fu, infatti, uno dei protagonisti della diaspora che furono legati al patriarca fino all'abolizione della carica, all’inizio del V secolo. Egli fu, inoltre, l'unico ebreo di C. dell’epoca a noi noto che facesse parte del gruppo di lingua ebraica e latina anziché di sola lingua greca. A quest'ultimo appartenevano, invece, quei suoi correligionari per i quali sono stati ritrovati altri cinque epitaffi[2].
In seguito le notizie relative agli ebrei di C. si interrompono per molti secoli, fino all’età dei Normanni. Da quel momento in poi, infatti, il flusso di informazioni aumenta, per raggiungere il suo massimo all’epoca degli Aragonesi.
Relazioni particolari esistevano, poi, qui tra il gruppo ebraico ed il monastero di S. Maria Novaluce. Nella seconda metà del '300, re Federico III aveva concesso al monastero un privilegio comprendente le entrate relative a svariate tasse corrisposte dagli ebrei locali. Tali tributi, che riguardavano in particolare il vino, gli immobili, il commercio, una sorta di testatico e così via, nella prima metà del '400 giunsero ad un totale annuo di circa 100 once. Ma gli ebrei di C. erano soggetti anche ad altre tassazioni: fu così che, in concomitanza con le ricorrenti epidemie di peste (1437, 1463, 1483), che portarono ad un abbandono della città da parte di molti israeliti, C. visse una crisi economica in buona parte dovuta alla crescita del peso finanziario sugli abitanti rimasti. La comunità ebraica locale, una tra le più grandi e ricche dell'isola, si ridusse allora a 200 famiglie circa e continuò a decrescere. La città fu, dunque, costretta ad intervenire presso il viceré affinché gli ebrei ottenessero condizioni favorevoli: alla vigilia dell'espulsione (1492) il gruppo catanese figurava, però, ormai nel novero delle medie, o addirittura piccole, comunità della Sicilia[3].
Per il periodo sin qui preso in esame gli ebrei di C. furono impegnati in tutte quelle attività economiche che erano consuete per gli altri correligionari dell’isola: artigianato e commercio, attività di terra e di mare. Essi furono, inoltre, proprietari di case e di terreni, di botteghe e di officine e coltivarono l'arte della seta e della tintoria. Stringendo, poi, società tra di loro e con i cristiani, esercitarono diversi mestieri, tra cui spiccava quello della medicina. Gli ebrei furono, altresì, specialisti in molti campi, compresa la produzione di armi da fuoco, di munizioni e di fuochi d'artificio e C. ospitò anche uno dei pochi banchi siciliani, quello di Masi Caxuni (Cassuni) attestato nel 1483: anche il prestito ad interesse, infatti, sembra essere stato più diffuso in questa città che altrove[4].
Dal punto di vista insediativo il quartiere ebraico era diviso in due: una parte superiore, più vecchia, ed una parte inferiore. La prima ospitava le istituzioni comunitarie, come la sinagoga e l'ospedale, era posta dentro le mura cittadine (in zona ovest) e la sua uscita principale, la “Porta della Giudecca”, immetteva nel cimitero della comunità. La seconda corrispondeva, invece, alla zona commerciale e si sviluppava in direzione del centro cittadino: la piazza principale di C. si chiamava, infatti, contrada della Loggia, seu Iudayce inferiore, seu Malfitania. Il settore inferiore del quartiere aveva comunque una propria sinagoga, la meskita picciula.
Entrambe le aree sono rintracciabili sulle vecchie piante di C., mentre degli edifici non è rimasta traccia a causa dell'eruzione vulcanica del 1669 e del devastante terremoto del 1693[5].
Gli ebrei di C., infine, furono i primi a prevedere che si sarebbe verificata l'espulsione: già nel maggio del 1492, infatti, alcuni di loro cercarono di allontanarsi dalla città, ed i giurati dovettero adottare delle apposite misure volte ad impedirne la fuga. Così anche qui, come nel resto della Sicilia, essi furono costretti a vendere le loro proprietà ed a emigrare e al momento della cacciata si stabilì per loro una tassa di 389 once[6].
[1] Fontana, Catania, passim;Gaudioso, Catania, passim; Mulé, La comunità ebraica di Catania, passim; Nicolosi, Ebrei a Catania, passim; Simonsohn, Jews in Sicily I, Introduction. Sui rapporti degli ebrei con l'autorità, con le istituzioni comunitarie ed altri aspetti si veda la voce relativa alla città di Palermo.
[2] Frey, Corpus Inscriptionum I, p. 466 e segg.; Libertini, Epigrafie, p. 186; Lifshitz, Prolegomenon, p. 51 e segg; Noy, Inscriptions, p. 187 e segg.; Simonsohn, Jews in Sicily, Doc. 1 e segg.
[3] Simonsohn, Jews in Sicily, Doc. 1349, 1695, 2441, 2466, 5766.
[4] Ivi, vol. 18, passim. Sul banco di Masi si veda Doc. 4728; Gaudioso, Catania, p. 146.
[5] Simonsohn, Jews in Sicily., vol. 18, cap. 5, alla voce Catania; Gaudioso, Catania, p. 21 e segg.
[6] Simonsohn, Jews in Sicily, Doc. 5447 e vol. 18, cap. 14.