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Cefalù, posta in Val Demone, sulla costa settentrionale dell’isola fra Palermo e Messina, apparteneva al demanio reale. Il sito, abitato fin dall'età pre-greca, ospitò una città con continuità a partire dall’epoca greca.
Le prime attestazioni di una presenza ebraica a C. risalgono al 1348-49, quando troviamo i fratelli Leone e Fariono Sigigi intenti a comprare delle stoffe da un mercante genovese. Fariono, in particolare, fu speciario e nel 1372 comprò anche alcuni immobili ed una bottega a Ciminna da un ebreo palermitano. Nel 1411, poi, un Maestro Liuni da Cefalù fu dichiarato ribelle dalla regina Bianca e fu sottoposto al sequestro dei beni[1]. Cefalù era, inoltre, uno dei centri dell'industria del tonno, ed anche alcuni ebrei lavorarono nelle tonnare locali.
La comunità ebraica di C. era comunque di piccole dimensioni, figura solo di rado tra quelle che pagavano delle imposte e corrisponde cifre minuscole, non risultando neppure nell'ultima tassa versata in occasione dell'uscita dalla Sicilia. In quel frangente ad alcuni ebrei vennero sequestrati i propri averi (restituiti, poi, dietro pagamento di 5 once e dopo aver soddisfatto i creditori), mentre altri furono messi agli arresti dopo essere stati denunciati per aver tentato l'esportazione illegale di beni.
Il quartiere ebraico di C. era situato nell’area nord-est della cittadina, tra la costa e le colline, in prossimità delle mura antiche: anche in seguito la zona mantenne, per un periodo, il nome di “via Giudecca”[2].
[1] Simonsohn, Jews in Sicily, Doc. 594, 972, 1815. Sui rapporti degli ebrei con l'autorità, con le istituzioni comunitarie ed altri aspetti si veda la voce relativa alla città di Palermo.
[2] Ivi, Doc. 5723, 5845, p. 5918. Gli ebrei coinvolti nella tentata esportazione si trovavano su una nave. Non è escluso però che provenissero da altrove. Peri, Restaurazione e pacifico stato, p. 113.