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Sorano (סוראנו)
Provincia di Grosseto. Sorge su di una grotta tufacea sovrastante la valle dell’Ente, affluente del Fiora. Di origine etrusca, fu già possesso degli Aldobrandeschi e, quindi, degli Orsini, seguendo le stesse vicende di Pitigliano. Nel 1604 gli Orsini cedettero ai Medici la contea di Pitigliano ( di cui S. faceva parte): divenuta definitiva la cessione nel 1608, S. passò a far parte del Granducato di Toscana.
In un memoriale del 1634 gli ebrei di Pitigliano e S. affermavano di aver abitato in dette terre da 200 anni in qua[1]: tuttavia, non vi sono riferimenti documentari certi rispetto all’inizio dell’insediamento ebraico a S.[2].
Dagli atti del processo contro Niccolò IV Orsini, nel 1562, si apprende del suo concubinaggio con tale Brunetta, figlia di Ricca, ebrea di S.[3]: quest’ultima, nel 1566, risultava possedere beni in contrada Pianello, dove abitava anche tale Mosè di Salomone nel 1572[4].
Nel 1605 risiedeva a S., in prossimità della contrada Pianello, anche il gestore del banco Aron di Samuel[5]. Dopo le bolle del 1555 e del 1569 e dopo la cacciata dallo stato pontificio del 1593, svariati ebrei avevano poi trovato rifugio a S., come attestano l’indicazione “romano” in aggiunta al nome e i cognomi Arpino, Spoleti, Ciprano (che sta per Ceprano): anche tale Mosenzio Spagnoletti (morto a S. nel 1639) sembrerebbe essere stato originario di Roma[6].
Nel 1612 alla Comunità di S. (insieme a quella di Pitigliano) fu imposta una contribuzione forzosa per le spese di costruzione di una fonte pubblica, sotto pena di cacciata dal granducato e di confisca di tutti i beni: in seguito alle proteste ebraiche, le spese per la fonte si risolsero nell’esborso di una cifra una tantum, cui venne aggiunta una somma annuale per la retribuzione del bargello o capo di polizia locale 9 e i suoi sbirri[7].
Tra il 1608 e il 1615 venne fondato qui il Monte di Pietà[8]: presumibilmente in seguito il banchiere di S. (Aron di Samuel) lasciò la località[9].
Nel 1619 venne istituito il ghetto, ma gli ebrei continuarono ad avere immobili, come in precedenza, possedendo buona parte delle case del ghetto[10]. Nei capitoli soranesi relativi al ghetto, emessi nel 1619 e rielaborati nel 1626, compare il divieto di oltraggiare gli ebrei, mancante negli analoghi capitoli pitiglianesi e forse indizio di una maggiore intolleranza della popolazione locale riguardo alla presenza ebraica[11].
La segregazione influì pesantemente sulle condizioni economiche ebraiche, come si evince dagli sforzi fatti, nel 1627, dalla Comunità per sottrarsi al pagamento del bargello, appellandosi al granduca. Constatando il peggioramento della situazione il sindaco ed i funzionari locali e lo stesso governatore, Adirano Malaspina, sostenevano: …oggi tutti l’Hebrei sono assai divenuti miserabili e restati senza alcuna facultà, avendo patito molte spese per mettersi in serraglio[12].
La richiesta di aiuto per far fronte al bargello fu ripetuta nel 1634, con l’aggiunta che gli ebrei erano talmente impoveriti che, se la situazione fosse rimasta immutata, sarebbero stati costretti a lasciare la località: il Granduca concesse pertanto la facilitazione richiesta a suo tempo di ottenere gli interessi della somma depositata nel 1612 per la costruzione della fonte pubblica[13]. Nonostante la descrizione a fosche tinte della situazione ebraica, suffragata dalle autorità locali, dagli Inventari pupillari risultava che alcune famiglie avevano conservato una relativa agiatezza, mantenendo beni mobili e immobili e l’esercizio di alcune botteghe ben avviate, anche fuori dal ghetto[14].
Dalla fine degli anni Trenta del XVII secolo, il vescovo di Sovana (nella cui diocesi rientravano Pitigliano e S.) era solito ispezionare la sinagoga, facendo mettere fuori tutti li risvolti della Bibbia e quanto vi era… e ricevendo in cambio una piastra[15].
Nonostante il divieto di ogni rapporto che potesse portare a una certa “familiarità” tra la popolazione cristiana e gli ebrei (compreso quello di farsi curare da un medico ebreo, pena l’esclusione dai sacramenti), emesso dal vescovo nel 1625, l’arciprete (tale Mandolini), verso la metà del secolo, sembrò essere in rapporti molto cordiali con gli israeliti, come si apprende da una nota informativa in cui si diceva che è talmente abituato al gioco con gl’hebrei che li fa passare in Chiesa davanti al Santissimo per andarlo a trovare…[16].
Tuttavia, nel 1639, tre bambini ebrei, i fratelli Isac, Mosè e Abramo (di cui il maggiore aveva sette anni), figli del fiorentino Angelo Tedesco e di Buonaventura di Mosè Alattone, di origine romana, rimasti orfani di padre, vennero affidati a certi parenti di S., ai quali furono sottratti con la forza per essere condotti a Piancastagnaio, una delle residenze del vescovo di Sovana, ed esservi battezzati. Il vescovo, Enea Spennazzi, sostenne di essere stato informato della conversione della madre al cristianesimo, ma le energiche proteste della famiglia ebbero esito positivo ed i bambini furono restituiti ai parenti, complice un conflitto di competenze tra il vescovo e le autorità civili, da cui si apprese, tra l’altro, che la notizia della conversione materna non era vera[17].
Dalla fine degli anni Trenta del XVII secolo (e sino al periodo della Reggenza lorenese) si trovano domande per l’esenzione dal segno, una berretta rossa per gli uomini e una manica rossa per le donne[18].
In data imprecisata, prima del 1642, gli ebrei cominciarono ad essere obbligati a recapitare, senza compenso, lettere da parte di funzionari, spesso in luoghi lontani e poco sicuri ed anche durante le festività ebraiche: lamentatisi con il Granduca, essi ricevettero nello stesso anno un esplicito rescritto, con il quale furono esentati da tali prestazioni forzate[19].
Nel 1655 un altro rescritto granducale permise agli ebrei di poter stare senza segno, nei suoi territori, per quattro giorni, in cambio del pagamento di una tassa di 30 scudi l’anno, che doveva essere pagata da quelli di S. e di Pitigliano. Poco più di vent’anni più tardi (1678), gli ebrei di S., ormai ridotti di numero rispetto a quelli di Pitigliano, chiesero che tale somma non fosse più suddivisa in parti uguali tra le due Comunità, ma fosse ripartita “a testa”. Dopo una lunga disputa ed un fitto scambio di memoriali e lettere al granduca (in cui gli esponenti di ambo le “Università” facevano sfoggio di cultura giuridica e citazioni latine), fu decisa la ripartizione pro capite[20].
La soppressione del Presidio militare della Fortezza, nel 1739, fece venire a mancare una fonte di guadagno, sia pure relativo, e la situazione economica della Comunità continuò a languire.
Pochi anni prima del resto, gli ebrei soranesi non risultavano già più in grado di pagare le tasse comunitarie, l’imposta per il Medico e Cierusico e quella per i “birri” del bargello e chiedevano di addossare parte dell’onere alla Comunità di Pitigliano, dichiarandosi miserabili e spiantati affatto[21].
Nonostante il soccorso della Comunità pitiglianese, la situazione peggiorò e, in seguito, gli ebrei di S. chiesero un nuovo alleggerimento fiscale, lamentandola morte di più persone e la mancanza di molti capi di famiglia, che hanno lasciato la casa loro in desolazione e senza uomini capaci di dirigerla… Alla comunità pitiglianese venne così addossata una parte della somma che avrebbero dovuto pagare i soranesi[22].
Una rissa scoppiata tra Sabato Asdà (Hasdà) e Angelo Servi si risolse con una multa, condonata a quest’ultimo, nel 1729, essendo miserabile.
Tre anni prima, Angelo di Sperandio, multato dal podestà per aver ferito con una coltellata un cristiano che lo aveva bastonato e minacciato, era stato graziato.
Anche Ventura di Mosè, condannato alla forca per simulata rapina ai danni di un correligionario senese, venne graziato, data la giovane età[23].
Nel 1770 il vescovo cercò invano, durante la consueta ispezione alla sinagoga, di vedere i rotoli della Torah : il solo ebreo che era stato reperito per la bisogna, sosteneva di non avere la chiave per aprire il luogo dove erano riposti, presumibile segno del languire del luogo di culto.
Sette anni dopo, solo due famiglie (quella di Giuseppe Sadun e quella di Daniele Servi) si trovavano a S. e al momento dell’ingresso delle truppe francesi, nessun ebreo risultava più presente nella località[24].
Vita comunitaria
Dai capitoli per il ghetto del 1619, risultava esservi un Consolo degli ebrei, mentre da documenti del 1678, relativi alla ripartizione della tassa per l’esenzione dal segno, sappiamo che vi erano un “cancelliere”, un “priore” e un “camerlengo”, in possesso di una buona cultura generale, compresa la conoscenza del latino[25]. L’esistenza di una scola è documentata almeno dal 1605[26].
Attività economiche
Da documenti relativi alla prima metà del XVII secolo, risulta che gli ebrei, oltre all’attività feneratizia (continuata anche dopo la fondazione del Monte e l’emigrazione del banchiere locale), esercitassero anche il commercio di stoffe (pannine e drappi guarniti di seta, oro e argento) e di altri generi come le spezie, i metalli sia “vecchi” che “lavorati” , il legname e, forse, il vino.
Vi erano, inoltre, artigiani ebrei, in particolare calzolai, con botteghe rifornite di un vasto assortimento, e conciatori di pelli.
La soccida tra la popolazione ebraica e quella cristiana è ben documentata e riguarda non solo l’allevamento di bestiame di grossa taglia, ma anche gli alveari per la produzione di cera e miele. Vi sono anche esempi di commercio in articoli come le penne e la carta per scrivere, le palle e le carte da gioco. Il commercio in prodotti agricoli era, in parte, la conseguenza del pagamento “in natura” degli agricoltori[27].
Tra tutti i mercanti ebrei della prima metà del XVII secolo, fu di particolare rilievo per la sua intraprendenza commerciale Daniello Arpino (Arpini), proveniente da Santa Fiora, che risulta titolare di svariati contratti di soccida, ristrutturatore di caseggiati, commerciante di grano e, presumibilmente, anche feneratore.
Nel 1639 un ebreo livornese, Salvador di Simone, chiese il permesso di cavare nella miniera di mercurio a S.: dalla documentazione ulteriore si evince che ottenne quanto desiderava, rimettendo in funzione la miniera, sfruttata in passato e, poi, abbandonata[28].
Nel 1661, inoltre, fu titolare della condotta medica, sia pure per breve tempo, Aron Vita di Daniello Sadun[29].
Nel 1729 quando l’economia era ormai languente, la maggior parte delle poche famiglie ebraiche di S. risultava vivere dell’industria del cucire[30].
Demografia
Da un documento del 1608 risultavano vivere a S. 61 ebrei, suddivisi in 15 famiglie[31].
Nel 1678 essi erano 45, suddivisi ancora in 15 famiglie, che dieci anni dopo, tuttavia, aumentarono a 20, in particolare grazie al trasferimento di alcuni ebrei di Pitigliano. Nel 1729, però, le famiglie ebraiche erano solo 12, scese a 4 nel 1760 e a 2 nel 1777[32].
Ghetto
Prima dell’istituzione del ghetto, gli ebrei abitavano presumibilmente in via del Pianello e in una serie di contrade molto vicine tra loro (tra cui, Le Scalette, l’Arco, la Piazza)[33].
Il ghetto fu istituito nel 1619 e fu scelto un quartiere ad est dell’abitato, nascosto alla vista delle chiese e fuori degli itinerari delle processioni, sito tra il fossato esterno e la via che conduceva alla “porta di Sotto”, sulla quale si apriva l’unica porta di accesso al ghetto stesso[34].
Nelle istruzioni inviate, nel 1644, dal cardinale Giovan Carlo Medici (investito pochi anni prima della contea di Pitigliano) al governatore, si legge: userete però ogni studio e particulare diligentia con osservare di continuo il modo i vivere delli hebrei nei suddetti luoghi ed in specie in quelli, che non abitano serrati, ma sparsi indifferentemente con cristiani[35].Ne risultaconfermata la possibilità di non vivere nel ghetto, attestata anche precedentemente[36].
Sinagoga
Una sinagoga esisteva a S. con tutta probabilità dagli ultimi anni del secolo XVI[37].
Bibliografia
Biondi, A., Una Comunità ignorata: gli ebrei di Sorano (secc. XV-XVIII), in RMI 45 (1979), pp. 417-440.
Biondi, A., La comunità di Sorano: Norme e capitoli, in RMI 46 (1980), pp. 204-211.
Salvadori, R.G., La comunità ebraica di Pitigliano dal XVI al XX secolo, Firenze 1991.
Toaff, A. Il commercio di denaro e le comunità ebraiche ‘di confine’ (Pitigliano, Sorano, Monte San Savino, Lippiano) tra Cinquecento e Seicento, in Italia Judaica II, Roma 1986, pp. 99-117.
[1] Archivio del Comune di Pitigliano ( in seguito ACP), Consigli dal 1559 al 1637, c. 154v, citato in Salvadori, R.G., La comunità ebraica di Pitigliano, p. 21, n. 25; cfr. Biondi, A., Una comunità ignorata : gli ebrei di Sorano (secc. XV-XVIII), p. 418, n. 3.
[2] Biondi, A., Una comunità ignorata, p. 418.
[3] Archivio di Stato di Firenze (ASFi), Mediceo, filza 2776, citato in Biondi, A., Una comunità ignorata, p. 419, nota 8. Nella stessa filza di documenti, è attestato l’uso di giurare toccando la penna con cui si scriveva, anziché le Sacre Scritture. Cfr. ivi, p. 439, n. 66; cfr. la voce “Pitigliano” della presente opera.
[4] Archivio del Comune di Sorano ( in seguito ACS), Inventari pupillari 1550 – 1579, citato in Biondi, A., Una comunità ignorata, p. 420, n. 9.
[5] Ibidem.
[6] Ibidem.
[7] Cfr. ivi, pp. 421-422; Salvadori, R.G., op. cit., p. 42.
[8] Biondi, A., Una comunità ignorata, p. 422; Salvadori, R.G., op. cit., p. 35.
[9] Biondi, A., Una comunità ignorata, p. 422.
[10] Biondi, A., La comunità di Sorano: Norme e Capitoli, p. 204; p. 210. Nei Capitoli del 1619 veniva detto chiaramente: Poiché gl’hebrei che sono oggi a Sorano contro il consueto loro vi posseggono beni stabili alla qual cosa non si potrebbe rimediare senza grande minorazione.(ivi, p. 205).
[11] Cfr. ivi, pp. 205-209, per il testo dei capitoli soranesi del 1619 e del 1626; sul divieto di oltraggiare gli Ebrei, vedi ivi, p. 206; p. 209. Cfr. Salvadori, R.G., op. cit., p. 39.
[12] Biondi, A., Una comunità ignorata, p. 422.
[13] Cfr. ivi, p. 423. Cfr. Salvadori, R.G., op. cit., p. 43.
[14] Biondi, A., Una comunità ignorata, p. 423.
[15] Archivio Vescovile di Pitigliano, Atti delle visite vescovili, I, IV, V-VI, VIII, ecc., citato ivi, p. 423, nota 20; cfr. Salvadori, R.G., op. cit., p. 44.
[16] ASFi, Mediceo, f. 2778, c. 154, citato in Biondi, A., La comunità di Sorano, p. 211, n. 20. Cfr. Salvadori, R.G., op. cit., p. 44.
[17] Per questo e per ulteriori dettagli sulla vicenda, vedi Salvadori, R.G., op. cit., p. 45. Verso la fine del XVI secolo, tale “Abramo di David ebreo di Sorano” risultava volersi convertire, ricevendo l’assicurazione di una remunerazione di 6 scudi al momento del battesimo e di altrettanti da poi fatto frate. Quando era arciprete il Mandolini, un ebreo fatto cristiano, povero mendico, giunto a S. chiese al religioso la licenza di accattonare, accordatagli dietro pagamento di una cifra. Non riuscendo a mettere insieme tale cifra, a S. prese piede il dire:l’hebreo accatta per il Vicario. Biondi, A., La comunità di Sorano, p. 211, n. 20.
[18] Salvadori, R.G., op. cit., pp. 39-40; cfr., tuttavia, per l’indicazione del colore giallo ( e non rosso) per il segno, ivi, p. 37. Nel 1645, i massari e i “governanti” di S. chiesero l’esenzione dal segno. Ivi, p. 41.
[19] ACP, Miscellanea 1622-1759, citato in Biondi, A., Una comunità ignorata, p. 424, n. 21.
[20] Ivi, p. 424.
[21] Ivi, p. 426.
[22] Ivi, pp. 426-427.
[23] Ivi, p. 427. Sull’episodio, in cui era implicato anche Jacob Formello di Pitigliano, cfr. la voce “Pitigliano” della presente opera.
[24] Ivi, p. 428.
[25] Ivi, p. 424; Idem, La Comunità di Sorano, p. 205; p. 210, n. 14.
[26] Biondi, A., Una comunità ignorata, p. 439. Sul grado di istruzione degli ebrei soranesi e sui libri da essi posseduti, vedi ivi, pp. 439-440.
[27] Ivi, pp. 433-437. Cfr. Toaff, A. Il commercio di denaro e le comunità ebraiche ‘di confine’ (Pitigliano, Sorano, Monte San Savino, Lippiano) tra Cinquecento e Seicento, p. 106 e pp. 109-111.
[28] Salvadori, R.G., op. cit., pp. 56-59.
[29] Ivi, p. 57.
[30] Biondi, A., Una comunità ignorata, p. 426.
[31] Salvadori, R.G., op. cit., p. 37.
[32] Biondi, A., Una comunità ignorata, p. 424; p. 425; p. 426; p. 427; p. 428.
[33] Ivi, p. 420, n. 4; Idem, La comunità ebraica di Sorano, p. 206, n. 8.
[34] Biondi, A., Una comunità ignorata, p. 422; per la pianta del ghetto, cfr. ivi, la mappa (tra p. 428 e p. 429); per ulteriori particolari sugli edifici del ghetto, vedi Idem, La comunità ebraica di Sorano, pp. 206-208.
[35] ASFi, Mediceo, f. 2778, c.55 ss., citato in Biondi, A., La comunità di Sorano, p. 211, n. 19.
[36] Josef Natronai che, nel 1638, non abita nel ghetto, ma ha casa in contrada il Macello. Biondi, A., Una comunità ignorata, p. 423, n. 19.
[37] Salvadori, R.G., op. cit., p. 32.