Pitigliano

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Pitigliano

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Pitigliano (פיטיליאנו)

Provincia di Grosseto. Posta su di uno sperone lambito dal fiume Ente (bacino del Fiora), al confine tra  Toscana, Umbria e Lazio, il centro d’origine etrusca fu città romana e divenne, poi, contea e parte del feudo degli Aldobrandeschi di Sovana. Alla fine  del XIII secolo passò sotto uno dei rami principali degli Orsini, ma fu ceduta, nel 1608, al granducato di Toscana. La  Contea di P., sotto il dominio degli Orsini, godeva del privilegio del “diritto di asilo” da dare a quanti fossero stati banditi da altri Stati per aver commesso qualche reato (esclusi i reati di furto o incendio e i debiti non saldati con sudditi del granducato); inoltre, i feudatari potevano ignorare sia certe leggi granducali antiebraiche sia le richieste del Comune pitiglianese contro gli ebrei. Nel 1766 venne costituita la Provincia inferiore senese, di cui P. entrò a far parte, mentre Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena decretò il superamento delle strutture feudali.

Nel marzo del 1799 il Direttorio dichiarò guerra al granducato di Toscana e le truppe francesi occuparono Firenze: un governo locale filo-francese fu costituito a P. nell’aprile dello stesso anno[1].

La prima presenza ebraica documentata a P. risale al 1430: è quella di Abramo figlio di Aleuccio, che venne imprigionato per un debito di 47 fiorini d'oro verso Ventura di Dattilo da Perugia e che, abitante ancora a P. nel 1439, fu coinvolto in una controversia con lo stesso Ventura[2].

Il medico spoletino David de Pomis, in seguito alle misure antiebraiche prese nel 1555 da Paolo IV, fu costretto a rinunziare alla propria condotta medica a Magliano Sabina (nello Stato Pontificio) per trasferirsi nella contea di P., ottenendo, l’anno successivo, dal conte Niccolò IV Orsini il permesso di esercitare, per 5 anni, l’arte medica qui ed in altre due città del feudo (Sovana e Sorano)[3].  

L’Orsini - cacciato nel 1561 a seguito di una sommossa popolare, fomentata da Cosimo I de Medici – fu processato nel 1562 a Firenze per sacrilegio ed atti sessuali illeciti che avrebbe praticato con le donne della famiglia di tale Cherubino[4], feneratore residente e operante  a P., ma, a quanto sembra,  non titolare di un banco di prestito.  Nonostante tali  accuse, probabilmente di natura politica, Niccolò Orsini, sia pure ridotto da Cosimo al rango di vassallo, tornò a governare P. nel 1576, in modo, pare, meno dispotico[5].

Dopo l’espulsione dallo Stato Pontificio, a seguito della bolla di papa Pio V Hebreorum gens, e dal granducato di Toscana (1570-71), gli ebrei presero ad affluire a P. I fratelli Laudadio e Magister Isacco di Abramo di Lazzaro da Viterbo, ad esempio, dovendo abbandonare il banco che avevano nel senese, anziché recarsi nel ghetto di Firenze o di Siena, preferirono andare a P., dove ottennero una condotta decennale a partire dal dicembre 1571[6]

Dopo la definitiva espulsione dallo Stato della Chiesa del 1593, la popolazione ebraica di P. aumentò ancora: anche gli ebrei d’origine sefardita giocarono poi un ruolo di rilievo nell’incremento dello stanziamento pitiglianese, tra la fine del XVI e la prima metà del XVII secolo[7].

Da un documento del 1593 sappiamo che tale Cinzia ed i suoi figli si erano convertiti al cristianesimo, ricevendo dal Comune di P. una somma notevole di denaro, investita in operazioni commerciali, per garantire il  loro futuro[8].

Nel 1608, a ridosso del passaggio del potere nelle mani dei Medici, fu creato il Monte di Pietà, che, dopo essere stato chiuso nel 1634 e riaperto cinque anni dopo, fu chiuso definitivamente verso il 1783[9]. L’anno stesso dell’istituzione del Monte, che teoricamente doveva sostituire il prestito ebraico, venne concesso al banchiere di Onano Ventura de Pomis di aprire, per alcuni mesi, una filiale a P. (a condizione che l’interesse rimanesse del 18%), tenendola aperta, in seguito, solo per la restituzione dei pegni: tuttavia, il prestito ebraico continuò nella cittadina, probabilmente senza mai estinguersi completamente[10]

Intorno al primo ventennio del XVII secolo, fu deciso di ordinare agli israeliti che prima di quest’epoca sparsi abitavano in Pitigliano di concentrarsi in un ghetto.

Dalla datazione delle suppliche rivolte dagli ebrei alle autorità per ottenere l’esenzione del segno – che nella Contea consisteva in un cappello rosso per gli uomini e una manica rossa per le donne – si può ipotizzare che l’obbligo non fosse rispettato prima del 1635 e che non si protraesse oltre la metà del secolo XVIII, durante la Reggenza lorenese[11].

Poco dopo l’inizio del dominio granducale, agli ebrei veniva ordinato, pena la cacciata, di coprire le spese per la costruzione di una fontana d’acqua “salubre”, da portarsi a P. da un luogo distante qualche miglia: in seguito alle proteste ebraiche, l’esborso forzato fu ridotto ad una contribuzione parziale. Nel 1612 gli ebrei vennero anche obbligati a versare una cifra annua per il bargello di P.: d’altro canto, una sorta di tassa essi erano tenuti anche a pagare al vescovo di Sovana (nella cui diocesi P. rientrava), quando si recava in visita alla sinagoga, dove gli Anziani della Comunità gli davano l’assicurazione di non tenere il Talmud o altri libri proibiti[12]

Nel 1625 il vescovo proibiva alla popolazione cristiana di servirsi di medici ebrei, di mandare i figli di ambo i sessi alla loro scuola, di andare in sinagoga, di allattare o dare ad allattare i figli agli ebrei e di avere con loro qualsiasi tipo di familiarità[13].

Nel 1629 una discussione  scoppiò (probabilmente sull’uso degli arredi sacri) nella sinagoga di P., portando ad una violenta rissa tra due membri, di cui uno si appellò presso il podestà e l’altro presso la curia, dando adito al vescovo di farsi giudice nella causa: ambedue i contendenti furono condannati al pagamento di una libbra di cera (non si sa, però, se da destinare alla chiesa o alla sinagoga)[14].

Tra la fine degli anni Quaranta e la fine degli anni Ottanta del XVII secolo, il vescovo proibì poi agli ebrei di uscire di casa negli ultimi tre giorni della Settimana Santa e vietò, in aggiunta ad ogni altra forma di promiscuità, di accendere agli ebrei il fuoco di sabato. Anche le visite sacerdotali nelle case ebraiche  pro edocendis eorum filiis vennero proibite[15].   

Nel clima di sospetto, che caratterizzò il XVII secolo, si inscrive l’episodio dell’accusa di stregoneria contro un’ebrea (rimasta anonima), in merito alla quale il podestà di P. scriveva, verso la metà degli anni Settanta al governatore, affermando che la donna ebrea che fu supposto aver con fatture, e malie ucciso un bambino […] è in concetto di strega, e per questa causa è stata processata dal S. Offizio[16]

Cinque anni dopo (1679), il clero, durante una processione pasquale, aizzò la folla alla santa sassaiola contro gli ebrei e, in seguito, il portone del ghetto fu bruciato: alcuni ebrei vennero bastonati, altri incarcerati nella rocca e liberati solo per l’intervento del governatore.

Nel 1705 giunse nella Contea il convertito Paolo Medici per tenere prediche coatte a scopo conversionistico: un ebreo pitiglianese, Vitale Formelli, rimasto in osteria per tutto il tempo della predica, fu incarcerato per tre giorni ed altri correligionari di P. incaricarono un membro della Comunità, Jacob di Ventura, di recarsi a Firenze per esporre le loro preoccupazioni contro gli argomenti antiebraici usati dalla Chiesa (e presumibilmente anche dal Medici), compreso quello dell’omicidio rituale, ma le autorità civili della Contea, rifacendosi alla testimonianza del clero locale, non ritennero da sanzionare la predicazione del Medici[17].  

All’incirca nella stessa epoca il gioco d’azzardo (severamente proibito) appassionava alcuni ebrei di P., che furono denunciati: verso la metà del secolo i massari, preoccupati degli “scandali” che il gioco continuamente procurava, chiesero l’autorizzazione a proibirlo nel ghetto[18].

Nel 1730 Jacob Formello di P. fu condannato all’ergastolo per aver simulato, insieme ad un correligionario di Sorano, una rapina ai danni di Salvador Tedesco di Siena e di Servo di Salomone di P.: dopo un anno di carcere a Siena, il Formello si vide commutata la pena in sette anni di esilio[19].

Intorno alla metà del XVII secolo e nel secondo trentennio del XVIII svariati ebrei provenienti dallo Stato Pontificio chiesero di essere accolti a P. e assicurati per i debiti insoluti che avevano nei confronti di sudditi altri Stati[20].

Qualche anno dopo essere salito al trono granducale, Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena visitò, nel 1773, P. e la sua sinagoga: riferendo della propria visita, il granduca osservò che le famiglie più ricche, salvo quella dei Servi, avevano lasciato la località, che gli israeliti, oltre al commercio, possedevano la terra e vivevano dei suoi proventi e che l’obbligo della predica quaresimale, caduto in disuso, stava per essere ripristinato, ma egli aveva ritenuto meglio eliminarla, per evitare le “animosità”[21].

L’atteggiamento relativamente benevolo di Pietro Leopoldo fece affluire nuovamente gli ebrei  a P.: nel 1786 Angelo Febo entrò a far parte del consiglio comunitario di P. ed il granduca, tornato in visita nella località nel 1787, rilevò il generale miglioramento delle condizioni economiche e delle strutture della Comunità pitiglianesi, osservando che l’atteggiamento antiebraico, un tempo molto diffuso, era andato scomparendo[22]

Nel giugno del 1799 la sommossa anti-francese del “Viva Maria” guadagnò, però, alla propria causa anche P.: prima dell’arrivo delle bande sanfediste aretine, i notabili pitiglianesi avevano fatto arrestare alcuni ebrei e, in seguito, gli arrestati come sospetti filo-giacobini raggiunsero il numero di 18. Il “comitato” formatosi a P. sul modello del governo provvisorio aretino ordinò agli ebrei di consegnare 18 libbre d’argento (consistenti in oggetti di culto e arredi sinagogali).

Un ebreo, Abramo Camerino, colpito con un’ascia alla testa mentre veniva trascinato in carcere dalla folla insieme ad altri, morì, mentre la casa di Abramo Servi venne saccheggiata ed egli messo in prigione ed un saccheggio al ghetto veniva sventato, dall’intervento di una parte dei Pitiglianesi.

L’arrivo di una banda di dragoni orvietani dette l’avvio ad altre violenze e abusi contro gli ebrei, cui, alla fine, si oppose la stessa popolazione cristiana di P.

In occasione dello scampato pericolo furono composti inni e canti di ringraziamento da parte di Giuseppe di Israel Urbino e di Lazzaro Levi[23].

Vita comunitaria

Dai Capitoli del 1622 risulta che la comunità era retta da due offitiali, cui venivano attribuiti compiti sia pratici che amministrativi: tra gli obblighi degli offitiali vi erano quelli di chiudere a chiave ogni sera usci e portoni del Ghetto, di non far aprire, durante la Settimana Santa li portoni della Sinagoga, ma solo gli sportelli e di conferire deroghe alla segregazione notturna in caso di grave necessità. Si presume che la carica degli  offitiali fosse elettiva[24].

Nel 1746 si aprì un contenzioso sul sistema di ripartizione dei contributi da versare alla Comunità: i membri di condizione più modesta (di cui si hanno tredici nominativi) si appellarono a Firenze per non suddividere più (come, invece, in precedenza) l’importo da pagare per il numero dei componenti della Comunità, ma in proporzione dei beni posseduti. Dalla documentazione si evince che erano esentati dalla tassazione i miserabili, i minori di anni diciotto e gli ultrasettantenni e sappiamo che l’auditore di Firenze stabilì che: Per le gravezze ordinarie s’imponga la terza parte a testa, e per quelle straordinarie s’imponga sopra gli averi e le facoltà di ciascheduno secondo la loro coscienza sotto pena di scomunica secondo il rito della Nazione[25].

Pochi mesi dopo, gli ebrei di condizione economica modesta chiesero di essere accolti negli organi dirigenti, mentre gli abbienti replicarono che dalle carte custodite nella sinagoga risultava che i massari non potessero essere più di dieci o dodici e che la pretesa dei “poveri” – definiti plebaglia incapace – era da considerarsi destituita di ogni fondamento. Tuttavia, altri due massari vennero aggiunti a quelli già in carica, con una risoluzione approvata dall’auditore di Firenze[26].

Nel 1778 date delle divergenze di opinioni tra i membri dell’Università ebraica, venne prescritto con ordine sovrano che il buon ordine del culto, dell’erario e del Politico di Essa, venissero creati ogni tre anni dal Consiglio di tutti i singoli di Essa Università dopo promesso il giuramento di scegliere i migliori tre amministratori col Totolo di Massari ed un Camerlingo ogni due Anni[27].

Attività economiche

Dagli anni Settanta del XVI secolo, oltre che nella gestione del banco feneratizio (che praticava l’interesse del 21%)[28], gli ebrei erano presenti anche nel prestito di investimento. Dato l’ambiente rurale, il grano era spesso oggetto di pegno e, conseguentemente, di speculazione commerciale da parte del feneratore[29]. Vi sono esempi di israeliti che davano bestiami  a soccida e avevano pascoli e terreni, ottenuti, almeno in parte, da mutui ipotecari non restituiti dai debitori. Dai Capitoli del 1622, risulta che esercitassero con molto successo il commercio (in particolare, di  stoffe, ma anche di grano e d’altri generi), avendo ricevuto il permesso di tenere botteghe e magazzini anche fuori dal ghetto. Da tali Capitoli si apprende, inoltre, che gli ebrei avevano la possibilità di macellare la carne in ghetto, rivendendo le parti non utilizzate alla popolazione cristiana. Dal divieto di lavorare, durante le feste cristiane, per strada, sia pure nel ghetto (mentre era permesso lavorare in casa), si è dedotto poi che vi fossero artigiani, che, nel corso del XVII secolo, erano soprattutto sarti e ciabattini, mentre le donne erano impegnate nel rammendo e nella rimessa a nuovo degli abiti[30].

Nel 1575 ad un medico ebreo romano venne offerta la condotta medica di P.[31], mentre tra il 1636 e il 1647 spicca la figura di Angelo di Crescenzio Spagnoletto, originario di Proceno (un paesino dello Stato Pontificio) che, insieme ad altri correligionari della Contea, trafficava in grano, progettava l’apertura di una calzoleria e la produzione e vendita di miele e veniva denunziato alla magistratura per aver praticato l’usura ai poveri. Lo Spagnoletto risultava, all’epoca, godere del maggior reddito imponibile, seguito da Josef Conforto e Santoro di Daniel[32].

L’ordine, emesso nel 1683 da Cosimo III, con cui venne vietato agli ebrei l’acquisto e la vendita di lane, all’ingrosso come al dettaglio, provocò la supplica di quelli pitiglianesi alle autorità granducali per concedere una dilazione di tempo per la vendita delle “pannine” (pezze di stoffa giacenti in magazzino), occupazione di vitale importanza per la loro sopravvivenza economica[33].       

Demografia

Nel 1576 gli ebrei di P. risultavano essere 33, divisi in sei famiglie ( capifamiglia erano Sabato tessitore, Abramo, Ferrante, Jacobe, Benedetto e Ruberto)[34] ma, dopo il 1593, erano un centinaio e più[35].

All’inizio del XVII secolo, gli ebrei erano 58, suddivisi in 15 famiglie, mentre nel 1644 risultavano esservi 25 famiglie ebraiche e nel 1672 vi erano 112 Ebrei.

Nel 1771 vi erano 172 ebrei a P. e nel 1784 ve ne erano 222[36].

Ghetto

Dai Capitoli del 1622 si apprende che il ghetto (che forse esisteva già prima di questa data) doveva avere due portoni, di cui il principale dava sul Vicolo collegato alla Piazza (cioè l’attuale vicolo Manin collegato all’attuale piazza S.Gregorio VII). L’odierna via Zuccarelli tagliava perpendicolarmente il vicolo in due tronconi discendenti, a gradini, il che ha fatto supporre che le porte fossero, in realtà, tre[37].    

Sinagoga

Nel 1598 veniva ultimata la sinagoga, in via Zuccarelli, costruita per iniziativa di Yehudah ben Shabbetay ( Leone di Sabato tessitore)[38].

Nel 1757 il tetto della sinagoga crollò, senza fare, tuttavia, vittime, dando luogo, a partire da quella data, ad un rito di ringraziamento della Comunità[39]

Cimitero

David de Pomis ottenne da Niccolò IV Orsini la concessione di utilizzare per la sepoltura della moglie un terreno tufaceo, scosceso e inadatto alla coltivazione, posto sotto il cimitero cristiano, che sarebbe rimasto il luogo di sepoltura della comunità pitiglianese[40].

Incunabolo e manoscritti ebraici rinvenuti a Pitigliano.

Attestano la vita culturale di P. una raccolta di circa 900 volumi, tra cui svariate edizioni cinquecentine, provenienti dalla fusione di tre biblioteche pitiglianesi, la cui attività era cessata nel XIX secolo. Tra le opere della raccolta, vi sono: l’incunabolo dell’Arba’ah Turim: Orah Hayim, Yoreh De’ah di Ya’aqov ben Asher (Piove di Sacco, 3 luglio 1475), il manoscritto del Kad ha-Qemah di Bahya ben Asher, copiato da David, figlio del rabbino Menahem da Arles, nel 1509, il manoscritto del  Sefer Tola’at Ya’aqov di Meir Ibn Gabbai, copiato tra il 1560 e il 1622, il manoscritto del Seder Tashlikh (Piyyutim da recitare in svariate occasioni, Haqqafot per Simhat Torah, secondoil rito di Siena), del XIX secolo, ed il manoscritto del Seder Avodat Miqdash di Ayyal ben Mordekhay Yitzhaq ha Levy del 1768[41].       

Bibliografia

Baldini, E., Pitigliano nella storia e nell’arte, Grosseto 1937.

Biondi , A., Una Comunità ignorata: gli ebrei di Sorano (secc. XV-XVIII), in RMI 45 (1979), pp. 417-442.

Celata, G., Gli ebrei in una società rurale e feudale: Pitigliano nella seconda metà del Cinquecento, in Archivio Storico Italiano 138 (1980), pp. 197-255.

Milano, A., Storia degli ebrei in Italia, Milano 1963.

Milano, A.,  Immagini del passato ebraico: IV. Pitigliano, in RMI XXXIII (1967).

Piattelli, A., I quattro manoscritti e l’incunabolo della biblioteca di Pitigliano, oggi presso il centro bibliografico dell’UCEI, in RMI 57 (1991), pp. 509-531.

Roth, C., Catalogue of Manuscripts in the Roth Collection, in Alexander Marx Jubilee Volume, New York 1950, pp. 503-535.

Salvadori, R.G., La comunità ebraica di Pitigliano dal XVI al XX secolo, Firenze 1991.

Salvadori, R.G., La notte della rivoluzione e la notte degli Orvietani. Gli ebrei di Pitigliano e imoti del “Viva Maria” (1799),Firenze 1999.

Toaff, A., Il commercio del denaro e le comunità ebraiche ‘di confine’ (Pitigliano, Sorano, Monte San Savino, Lippiano) tra Cinquecento e Seicento, in Italia Judaica II, Roma 1986, pp.99-117.  

Toaff, A., The Jews in Umbria, Leiden-New York-Köln 1993-94.


[1] Celata, G., Gli ebrei in una società rurale e feudale: Pitigliano nella seconda metà del Cinquecento,  pp. 198-199; Salvadori,  R.G., La comunità ebraica di Pitigliano dal XVI al XX secolo, p. 18;  p. 33;  p. 73; p. 77.

[2] Toaff, A., Umbria, doc. 818, 947.

[3] Tali  notizie sono fornite dal de Pomis stesso, nel suo lessico Zemach David (pubblicato a Venezia nel 1587), in cui, tra l’altro, racconta le proprie vicende, definendo le tre località della contea di P. “città di rifugio”. Cfr. Toaff, A., Il commercio del denaro e le comunità ebraiche ‘di confine’ (Pitigliano, Sorano, Monte San Savino, Lippiano) tra Cinquecento e Seicento, p. 99.  

[4] Dalla testimonianza del figlio di Cherubino, si apprende che gli ebrei di P. giuravano toccando la penna con cui si scriveva, e non toccando la Bibbia, come era l’uso altrove. Infatti, dagli atti del processo del 1562, risulta che: “Jacob di Cherubino, hebreo di Pitigliano, altro testimone…secondo il costume delli Hebrei, giurato toccando corporalmente la penna con che si scrive…”. Archivio di Stato di Firenze (ASFi), Mediceo, Filza 2776, citato in Biondi , A., Una Comunità ignorata: gli ebrei di Sorano (secc. XV-XVIII), p. 439, n. 66. L’uso di giurare toccando la Bibbia in alcuni casi è regolamentato ufficialmente, come negli Statuti di Velletri, Libro V, cap. 112, p. 195, citato in Pavoncello, N., Ricordi di ebrei in Velletri, in RMI 39 (1973), pp. 359-368, p. 367. 

[5] Salvadori, R.G., op. cit., p. 24; cfr. Celata, G., op. cit., pp. 199-200.

 

[6] Toaff, A., op. cit., pp. 100-102.

[7] Toaff, A., op. cit., p. 116. Tra gli ebrei d’origine sefardita, i Passigli o Passiglio, originari della penisola iberica, che, dopo essersi recati nel napoletano, si erano recati a Empoli e, dopo le misure antiebraiche di Cosimo de’ Medici, erano passati a P.  Per quanto riguarda la provenienza degli altri ebrei che vennero a stanziarsi a P. , tra quelli dei centri umbri e laziali, espulsi da Pio V e Clemente VIII, troviamo i da Viterbo e i de Pomis; inoltre, a P. erano presenti alcuni membri del clan senese dei da Rieti. Ibidem. 

[8] Celata, G., op. cit., pp. 213-214. L’eccezionalità del trattamento riservato a Cinzia e figli suggerisce l’ipotesi di un provvedimento ad hoc che, forse, può suggerire un collegamento con quella Cinzia, tredicenne, che sarebbe stata tra le concubine di Niccolò IV, secondo il processo del 1562. Per l’elenco delle vere o presunte concubine pitiglianesi di Niccolò, cfr. Salvadori, R.G., op. cit., pp. 23. 

[9] Salvadori, R.G., op. cit.,  pp. 33-34.

[10] Ivi, pp. 35-36.

[11] Ivi, pp. 39-40. Tuttavia, da un documento del 1608 sembrerebbe che solo alcuni avessero ricevuto dai conti l’esenzione dal segno, che, inoltre, non sarebbe consistito per i maschi in una berretta rossa, ma gialla . Cfr. ivi, p. 37. 

[12] Ivi, pp. 42-44.

[13] Ivi, p. 44.

[14] Ivi, p. 49.

[15] Ivi, pp. 44-45. Le date dei due provvedimenti vescovili in questione sono 1648 e 1687.

[16] ASFi, Mediceo del Principato, 2809, citato ivi, p. 46, n. 133.

[17] Ivi, pp. 47-48.

[18] Ivi, p. 50.

[19] Salvadori, R.G., op. cit., p. 66.

[20] Ivi, p. 67.

[21] Ivi, p. 74.

[22] Ivi, p. 75.

[23] Ivi, pp. 77-81; cfr. anche Salvadori, R.G., La notte della rivoluzione e la notte degli Orvietani. Gli ebrei di Pitigliano e imoti del “Viva Maria” (1799),Firenze 1999.

[24] Celata, G., op. cit., p. 205. Nell’articolo XI dei Capitoli del 1622 viene menzionata la squola degli ebrei, facendo supporre al Celata che dovesse trattarsi  presumibilmente di una scuola ebraica (e non della sinagoga), cui il documento avrebbe accennato solo indirettamente per non fomentare l’opposizione a tale istituzione, dato il clima generale teso a limitare l’espansione ebraica . Cfr. Celata, G., op. cit., pp. 206-208; cfr. Salvadori, R.G., La comunità ebraica di Pitigliano., p. 117.

[25] Salvadori, R.G., La comunità ebraica di Pitigliano,  p. 67.

[26] Ivi, p. 68.

[27] Ivi, p. 121.

[28] Ivi, p. 215. Oltre al tasso preteso che era relativamente alto (essendo di solito tra il 18 e il 24%), il banco pitiglianese, secondo un documento dell’inizio del XVII secolo, risultava calcolare gli interessi per tredici mesi in un anno. Cfr. ivi, p. 216. 

[29] Ivi, pp. 219-221; Toaff, A., op. cit., pp. 109-110. Data l’importanza centrale per l’economia locale (sino alla fine del XVIII secolo e oltre) della coltivazione e del commercio del grano, esso teneva luogo di moneta. Le compravendite, le valutazioni dei beni e il pagamento di molte imposte, a cominciare dalla decima, si facevano in “some”(= ca. 120 kg.) di grano. Cfr. Salvadori, R.G., La comunità ebraica di Pitigliano, p. 16.     

[30] Celata, G., op. cit., p. 202;  pp. 211-212;  pp. 220-221; p. 234; Toaff, A., op. cit., pp. 106-107; p. 111. Cfr. Salvadori,  R.G., La comunità ebraica di Pitigliano, p. 56.

[31] Celata, G., op. cit., p. 248 e segg.

[32] Per ulteriori dettagli sulle molteplici attività dello Spagnoletto e i vari guai in cui incorse con la giustizia, cfr. ivi, pp. 60-63.

[33] Ivi, p. 65.

[34] Celata, G., op. cit., p. 203.

[35] Toaff, A., op. cit., p. 102; secondo il Milano, dopo il 1593, gli ebrei avrebbero raggiunto le cinquecento unità, cifra che, tuttavia, sembra troppo alta. Cfr. Salvadori, R.G., op. cit., p. 25; cfr. Milano, A., Storia degli ebrei in Italia, Milano 1963, p. 328; Idem, Immagini del passato ebraico: IV. Pitigliano, in RMI XXXIII (1967), p. 42, n. 1.   

[36] Salvadori, R.G., op. cit., pp. 108-111; cfr. pp. 74-75.

[37] Celata, G., op. cit., pp. 202-203;  pp. 205-206; cfr. Baldini, E., Pitigliano nella storia e nell’arte, p. 62, n. 104; Salvadori, R.G., op. cit., p. 38. Per il testo dei Capitoli per gli ebrei di P., cfr. ivi, pp. 116-118.

[38]   Ivi, p. 205; cfr. Toaff, A., op. cit., p. 102.

[39] Roth, C., Catalogue of Manuscripts in the Roth Collection, p. 519, n. 248; il componimento che commemora lo scampato pericolo vi viene menzionato come Poem (40 stanzas) by Menahem Azariah celebrating escape of the community of Pitigliano when the roof of the communal school collapsed, 1757. Secondo il Baldini, la sinagoga sarebbe stata restaurata vent’anni più tardi. Cfr. Baldini, E., op. cit., p. 9.

[40] Baldini, E., op. cit. , p. 118.

[41] Piattelli, A., I quattro manoscritti e l’incunabolo della biblioteca di Pitigliano, oggi presso il centro bibliografico dell’UCEI, in RMI 57 (1991), pp. 509-531.

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