Monte San Savino

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Monte San Savino

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Monte San Savino (מונטה סן סאבינו)

Provincia di Arezzo. Posto nella Val di Chiana, dalla metà  del XVI secolo e sino alla fine dello stesso M. fu retto da vari feudatari: dal 1550 al 1559 fu sotto la signoria dei Del Monte (della famiglia di papa Giulio III, in onore del quale era avvenuto l’infeudamento), dal 1604 al 1640 fu sotto gli Orsini, quindi, sino al 1666, fu sotto il dominio del principe Mattias, fratello di Ferdinando II de’ Medici e, dal 1668 al 1695, fu feudo della moglie di Ferdinando, Vittoria d’Urbino, della famiglia Della Rovere.

Nel 1421 è attestata una presenza ebraica a M.: Bonaventura da Terracina ( o da Prato), figlio di Salomone di Sabato da Terracina, stipulava allora i primi capitoli per un banco feneratizio, rinnovati nel 1427 e nel 1432.

Nella prima condotta Bonaventura era essere associato con il figlio Salomone e con Isacco di Manuele da Pisa, nella seconda, figurava titolare unico del banco e nella terza era associato di nuovo con il figlio Salomone e con Brunetta, figlia di Daniele di Vitale di Matassia da Pisa e moglie di Salomone da Fano[1].

Intorno alla metà del XVI secolo, sono testimoniati Laudadio da Rieti, che gestì il banco presumibilmente a partire dal 1547, ed il figlio Simone, che ricevette dal padre, nel 1556, questo banco e quello di Colle Val d’Elsa[2].

Nel 1564 il prestito era qui  in mano a Laudadio de Blanis e soci, di provenienza fiorentina, cui venne ingiunto di rilasciare le ricevute dei pegni in “buona lingua toscana”, corredate delle caratteristiche del pegno, della data dell’operazione e dell’entità della cifra prestata[3].

Gli ebrei, a partire dagli anni Sessanta del secolo, furono, inoltre, tenuti a pagare una tassa con cui veniva sovvenzionato il palio annuale[4] e, nel 1570, ricevettero ordine di lasciare la località per andare ad abitare nel ghetto di Firenze. 

Da questa data sino alla ricomparsa dei feneratori, alla fine degli anni Venti del XVII secolo, non sono più registrati ebrei nella località, eccezion fatta (nel 1613) per tale Angelo ebreo fatto cristiano[5].

 L’istituzione di un Monte di Pietà, nel 1578, non risolse i problemi economici della popolazione e, pertanto, nel 1627, vennero chiamati a gestire un banco feneratizio Ferrante Passigli e il socio Samuele di Dattero di Borgo San Sepolcro, ebrei del ghetto di Firenze, che furono esentati dal segno distintivo, poterono avere una sinagoga e un cimitero e furono esentati da dazi e tasse, ricevendo, inoltre, l’autorizzazione a portare armi non proibite e il diritto all’assistenza medica gratuita. Ferrante Passigli, come titolare del banco feneratizio, poteva far venire a M. altre quattro famiglie ebree, decidendo a suo piacimento che mestiere potessero esercitare e se a queste famiglie potessero aggiungersene altre. Il Passigli, inoltre, aveva il permesso di aprire bottega, vendendo mercanzie di ogni genere.

L’interesse percepibile era del 15% annuo per i locali e del 18% per i forestieri ed il Passigli non era tenuto a prestare somme di denaro al Consiglio comunale e poteva contrattare l’acquisto di bestiame, di beni immobili ed altro: per il bestiame di sua proprietà non vi era pagamento di dazi e gabelle[6].

Con questi provvedimenti, M. si avviava a diventare  la località del territorio di Arezzo con maggior popolazione ebraica, nel XVII e XVIII secolo, mentre gli altri ebrei toscani erano concentrati nei ghetti di Firenze e di Siena o erano insediati a Livorno, in condizione privilegiata. 

Dieci anni dopo l’istituzione del banco, uno dei titolari, Samuele di Dattero, presentò una richiesta per vendere merci diverse , in occasione delle fiere[7].   

Nel 1644 il principe Mattias confermò la condotta stipulata da Ferrante Passigli con il suo predecessore  il marchese Orsini), dopo  che il  Passigli ebbe annullato il credito di 100 scudi che aveva con il Comune, per poter avere l’assenso dei notabili al rinnovo dei patti e continuare la sua attività. Nello stesso anno, il Passigli ottenne per sé, e per gli altri correligionari che sarebbero venuti a M., la conferma dell’esenzione dal segno.

I rapporti tra il Comune e il banco ebraico, tuttavia, peggiorarono: all’inizio degli  anni Settanta del XVII secolo, il primo cercò di ridurre il tasso di interesse al 10% , ponendo la famiglia Passigli di fronte all’alternativa di mantenere il banco e cessare l’attività commerciale oppure mantenere quest’ultima, rinunciando alla feneratizia. Presumibilmente, in cambio della diminuzione dell’interesse sui pegni, i Passigli mantennero la possibilità di esercitare entrambe le attività.

Verso il finire del secolo, in occasione del rinnovo dei patti  per il banco (1699), si levarono alte lamentele contro l’usura ebraica: la proposta dei Passigli di abbassare il tasso al 7% non venne accettata e, presumibilmente, il banco cessò la sua attività[8].      

Dato il fatto che i Passigli figurarono tra i più abbienti della Comunità anche in seguito, è da presumere che continuassero con successo le attività commerciali già iniziate. Tra le famiglie stanziatesi insieme ad essi a M., vi furono i Montebarocci: Raffaele Montebarocci, già nel 1655, si richiamò ai privilegi concessi a Pisa e a Livorno (la cosidetta “livornina”), chiedendo di acquistare la casa dove abitava da qualche anno. Anche alcuni membri della famiglia Usigli fecero richieste per l’acquisto di immobili e, tra i proprietari di stabili, spicca Emanuele Montebarocci, che ottenne di acquistare una casa fuori del ghetto, per esercitarvi la vendita di stoffe e altre merci. Nel XVII secolo, gli Usigli e i Montebarocci erano i soli a pagare una tassa sulle parrucche (il cui uso, evidentemente, era segno di distinzione e di assimilazione alla moda non ebraica). Nonostante i successi economici, le due famiglie in questione conobbero anche rovesci finanziari, probabilmente sull’onda delle restrizioni imposte agli ebrei da Cosimo III[9].     

Frequenti litigi originati da motivi economici turbarono, poi, più in generale la vita della Comunità e, dopo l’avvento di Pietro Leopoldo I (1765-1790), cominciò un’emigrazione dei membri più abbienti (i Passigli, gli Usigli, i Fiorentino) verso altre località e, soprattutto, verso Arezzo, mentre tendevano a rimanere a M. quelli di condizione economica modesta[10].

Nel 1798 il poeta e letterato Salomone Fiorentino, che era massaro della Comunità ebraica, scrisse (probabilmente senza esito) a quella di Firenze, perché intercedesse presso il granduca a favore dei sansavinesi che, dopo l’aggressione di gruppi di contadini a Graziadio Passigli e Abramo Orvieto,  si sentivano minacciati[11].

Nel maggio dell’anno successivo, i contadini della Val di Chiana, al grido di “Viva Maria” si sollevavano contro i Francesi e, animati  dalla propaganda clericale antiebraica, commisero gravi  violenze contro gli israeliti sansavinesi:

Una folla immensa gli assalì ferocemente per tutto ove si trovavano, spezzando quelle porte esterne, e interne delle case, che avevano chiuse, coll’intenzione di sacrificarli a un entusiasmo micidiale: alcuni compassionevoli s’opposero alla sanguinosa esecuzione, ma si unirono a trasportarli nelle carceri, ove tra vecchi, adulti, e giovanetti , furono tradotti in mezzo ad insulti, invettive, e minacce, massacrati da colpi e lividi di percosse; dopo sei giorni furono liberati, e resi alle loro desolate famiglie[12].   

In conseguenza del tumulto, alcuni si rifugiarono a Firenze e  a Siena, mentre a quelli rimasti a M. fu ingiunto di abbandonare il centro e di recarsi a Siena, entro otto giorni: veniva  così posta fine alla presenza ebraica nella località[13].

Demografia

Dai documenti conservati nell’archivio del Comune, risulta che nel 1628 erano registrati 15 ebrei  di sesso maschile, nel 1713-14 ne risultavano presenti 87.

Nel 1740 vi erano  62 individui a M. e nel 1745, anno del primo censimento lorenese, vi erano 103 ebrei.

Nel 1770 vi erano solo 47 presenze, mentre nel 1780 il numero saliva a circa 90 e, nel 1790, a 108. Infine, nel 1798-99, erano registrate 112 presenze[14].

Attività economiche

Oltre al prestito, gli ebrei erano attivi nel commercio, soprattutto di “pannine”o stoffe[15], mentre una gran parte di essi praticava il mestiere di merciaio ambulante[16].

Da documenti dell’inizio del XVIII secolo, risulta che gli ebrei avevano iniziato l’attività di appaltatori e subappaltatori di tabacco, acquavite e carta, settori in cui erano impegnati principalmente i Borghi, i Castelli, i Montebarocci e i loro soci[17].

In un memoriale inviato a  Ferdinando III d’Austria gli ebrei cacciati da M. nel 1799 venivano definiti  quasi tutti  miserabili[18].

Ghetto

Il ghetto, denominato in documenti del primo ventennio del XVIII secolo “Borgo della Sinagoga”, consisteva in una strada parallela alla strada principale, non chiusa da cancelli o porte. Un bando del 1707 vietò agli ebrei di abitare fuori di esso anche se due famiglie particolarmente in vista (Montebarocci e
Usigli) furono esonerate, purché non facessero uso delle porte delle loro abitazioni che davano sulla via maestra. 

Proprietari degli immobili del “Borgo della Sinagoga” erano svariati sansavinesi cristiani e due ebrei (Montebarocci e Usigli). Dopo la morte di Cosimo III, previa richiesta alle autorità, alcuni  ebrei ottennero di abitare fuori dal ghetto[19].

Sinagoga

La sinagoga si trovava nella strada del ghetto: dopo il primo ventennio del XVIII secolo, essa venne rinnovata, con notevoli spese[20].

Personaggi famosi

Nacque a M., nel 1743, e vi rimase sino ai moti sanfedisti de1 1799, Salomone Fiorentino, che si dedicò con fervore agli studi sia umanistici che ebraici, pur guadagnandosi la vita come commerciante di tessuti.

Esaltato dai poeti italiani arcadi dell’ epoca per le sue opere in versi, venne eletto membro di più accademie.    

Bibliografia

Salvadori, R.-Sacchetti, G.,  Presenze ebraiche nell’Aretino dal XIV al XX secolo, Firenze 1990.

Toaff. A., Il commercio del denaro e le comunità ebraiche ‘di confine’(Pitigliano, Sorano, Monte San Savino, Lippiano tra Cinquecento e Seicento), in Italia Judaica II, Roma 1986.


[1] Salvadori, R. - Sacchetti, G., Presenze ebraiche nell’Aretino dal XIV al XX secolo, pp. 77-78. La presenza dei da Terracina e dei da Pisa, appartenenti alle più importanti famiglie di prestatori della Toscana, sembrerebbe corroborare l’affermazione di un cronista cinquecentesco, Agostino Fortunio, che sosteneva che, alla fine del XV secolo, i feneratori ebrei avevano raggiunto una posizione ragguardevole. Cfr. ivi, p. 77.     

[2] Ivi, p. 78.

[3] Archivio storico del comune di Monte San Savino (d’ora innanzi:ASCMSS), Deliberazioni, n. 1501, cc. 182v. e 183r.,  citato ivi, p. 78, n. 6.

[4] ASCMSS, Deliberazioni, n. 1500 ( delibera datata 22.7.1560), citato ivi, n. 8.

[5] ASCMSS,  Riscontri e note delle bocche, n. 2279, c.n.n., citato ivi, p. 80, n. 15.

[6] Per il testo dei capitoli in questione, cfr. Dini, V.-Pirani, P., Propedeutica a un’ipotesi di lavoro su una cultura ‘a distanza’, in Scriptoria II e III (1968-69), Arezzo, pp. 188-197, citato ivi, p. 80, n. 14; cfr. Toaff. A., Il commercio del denaro e le comunità ebraiche ‘di confine’(Pitigliano, Sorano, Monte San Savino, Lippiano tra Cinquecento e Seicento), in Italia Judaica II, p. 106; p. 111.

[7] ASCMSS,  Suppliche, n. 1211, c. 988r., citato in  Salvadori, R. – Sacchetti, G., op. cit., p. 83, n. 19.

[8] Ivi, pp. 83-85.

[9] Ivi, pp. 85-87. Per le restrizioni circa i rapporti coi cristiani, imposte dal granduca, di particolare rilievo il problema con le levatrici e con medici e cerusici, i quali ultimi non curavano gli ebrei gratuitamente, come erano tenuti a fare. Ivi, pp. 87-88; cfr. p. 80.

[10] Ivi, pp. 90-91.

[11] Ivi, p. 92.

[12] Archivio della Comunità Israelitica di Firenze, D. 5.1.III ( Memoriale per S.A.R.[Fredinando III]), citato ivi, p. 92, n. 55.

[13] Ivi, p. 93.

[14]  Ivi, pp. 81-82.

[15] Da documenti dell’inizio del XVIII secolo risulta che 8 famiglie venivano ritenute più o meno relativamente abbienti, mentre 4 famiglie risultavano indigenti e gli altri appartenevano a una fascia economica che variava da discreta a modesta. ASCMSS: filze nn. 2119-2215; 2274-2281, cit. in ivi, p. 81, n. 17; pp. 85-86.

[16]  Dai documenti settecenteschi risulta che tra le famiglie “stabili”, cioè tra le famiglie di coloro che non risiedevano solo per un periodo nella località (come pare fosse il caso dei merciai ambulanti), vi erano  le cosiddette famiglie “benestanti” (Passigli, Montebarocci, Usigli, Fiorentino, Toaff, Castelli) e anche le tre o quattro famiglie degli indigenti (o  “miserabili”). Ivi, p. 82.

[17] Ivi, pp. 88-89.

[18] Ivi, p. 90.

[19] Ivi, pp. 85-89.

[20] Ivi, p. 89.

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