Massa

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Massa (מאסה)

Capoluogo di provincia. Posta ai piedi delle Alpi Apuane sulle rive del Frigido, dove il fiume sbocca  nel piano presso la costa del Tirreno, dopo essere stata dominata da molti differenti signori, passò ai Malaspina di Fosdinovo e, in seguito, ai Cybo Malaspina, del cui piccolo Stato fu la capitale.

Costruita, all’inizio del governo di Alberico I Cybo Malaspina (1554-1623), accanto al vecchio abitato ormai cadente di Bagnara, nel 1566 fu elevata a principato e, nel 1620, a città. Rimase sotto gli eredi dei Cybo Malaspina sino all’invasione delle truppe francesi nel 1796.

La prima notizia relativa ad una presenza ebraica a M. risale al 1464, quando vi abitava Beniamino, alias Guillelmo, di Salomone da Pesaro (o da Padova), medico. I predicatori cercarono di impedire che egli curasse anche i cristiani, ma Pio II proibì loro di ostacolarlo e dette libera licenza al medico di esercitare la professione e di curare gli ammalati cristiani[1].

Alla fine del 1561 il marchese Alberico I Cybo Malaspina concesse la Condotta o Privilegi concessi agli Ebrei ai fratelli Finzi (Guglielmo, Leone e Giuseppe) di Israel, originari di Reggio Emilia[2], per aprire banchi feneratizi e negozi nella località, incrementandovi il commercio[3], ma poco dopo istituì anche il Monte di Pietà[4].

I Capitoli del 1561 sono andati perduti, ma dalla documentazione rimasta si può risalire ai principi che li ispiravano[5]. Essi erano validi solo fino allo scadere della concessione di banco e, nel 1581, con delle Lettere Patenti, il principe li rinnovò per ulteriori 12 anni a Guglielmo (Benyamin) Finzi ed ai suoi figli ed eredi, concedendo loro, in caso di mancata proroga, almeno un anno di tempo per chiudere le botteghe e riscuotere i crediti. Qualora Guglielmo Finzi e gli eredi avessero voluto cessare l’attività feneratizia, avrebbero potuto continuare ad abitare nello Stato, come gli altri sudditi, esercitando il commercio con tutti i privilegi e le esenzioni stabilite a suo tempo[6]. I Capitoli del 1581 vietavano ai negozi ebraici di essere aperti nelle festività cristiane, pena una multa ed il tasso di interesse veniva leggermente abbassato, mentre la tassa feneratizia era stata raddoppiata (da 50 a 100 scudi) e gli ebrei erano tenuti a pagare una tassa al Comune (6 scudi)[7].

Già dal 1578 almeno, era presente nei commerci di M. un altro fratello di Guglielmo, Vita Finzi, con i figli: a questo secondo nucleo erano state estese le Lettere Patenti con i privilegi concessi nei Capitoli a Guglielmo, salvo il permesso di fenerare[8].

Negli anni Settanta e Ottanta, Guglielmo Finzi è altresì attestato all’atto di prestare due somme di denaro al Comune per sopperire a necessità impellenti[9].

Nel 1577 il vescovo di Sarzana faceva intanto pressioni sul principe Alberico per obbligare gli ebrei a portare il segno distintivo, consistente in un nastro giallo intorno al cappello e, nel 1584, si lamentava perché il nastro era troppo sottile[10].

Dal 1584 al 1619 fu ribadito dalle autorità religiose il divieto di rapporti di familiarità con gli ebrei, mentre le donne cristiane a servizio nelle case ebraiche come balie sarebbero state scomunicate se non avessero chiesto la debita licenza al vescovo[11].

Da documenti del 1584, si apprende che il principe Alberico I riteneva comunque di non contravvenire agli ordini ecclesiastici permettendo agli israeliti di acquistare case, purché nei quartieri loro assegnati e lontano da chiese e monasteri[12].

Nel 1593 il rinnovo della licenza per il banco concesso a Guglielmo Finzi comportava il raddoppio dei tributi[13] e, intorno al 1594, troviamo nella piazza di M. altri due Finzi, che non appartenevano, almeno in linea diretta, alla famiglia discendente da Israel da Reggio: il primo è Ventura Finzi di Isach di Venezia, mentre l’altro è Zaccaria di Raffaele Finzi da Forlì[14].

Sempre all’inizio degli anni Novanta del XVI secolo, comparve a M. la famiglia di  Angelo Vita di Jacob Joab da Ascoli, già abitante a Castelnuovo di Sotto (in provincia di Reggio Emilia) e figli, attiva soprattutto nel commercio dei tessuti[15].

Nel 1600, Guglielmo Finzi assegnò il banco di M. al figlio Dante e a sua moglie Isabella,  figlia di Giuseppe ed intestataria della licenza ereditata da quest’ultimo, fratello e socio di Guglielmo nella gestione del banco stesso[16].

I Capitoli furono poi rinnovati da Alberico I sino al 1615: morto il principe, Dante Finzi, ottenne dal suo successore Carlo, che la tassa feneratizia di 100 scudi non fosse più ritenuta un tributo di concessione, ma il tributo pagato per le esenzioni ricevute, tutelandosi, in tal modo, contro eventuali imposte comunali[17].

Nel 1613 tra i Massesi che dovettero contribuire per le spese della costruzione delle mura, vi erano gli ebrei Dante Finzi, Salomone Finzi, suo cugino (figlio di Vita, zio di Dante) e Angelo di Sora (figlio del medico Raffaele, ebreo di Carpi), cui era stata concessa negli anni Ottanta la licenza di “trafficare” e commerciare, ma non di aprire banco[18].

Dante Finzi, presumibilmente per tutelarsi da un eventuale fallimento, cedette, nel 1627, il 50% del banco locale al dottor Isacco Mocato di Livorno, che formò una società con la moglie di Dante, Isabella, sia per fenerare che commerciare in generi vari.

Tre anni dopo, il Mocato liquidò la propria quota nella società, tornando a Livorno[19], e gli subentrò Raffaele di Sora, che aveva investito il proprio capitale nei banchi di Sarzana e di Pisa.

Regolata la posizione con il Mocato, Raffaele di Sora costituì una società per l’esercizio del prestito con Isabella Finzi, dalla quale si ritirò, però, per motivi di salute e nella quale gli successero dei parenti livornesi, Leone ed Efraim da Ancona[20].

Questi ultimi entrarono ufficialmente nell’attività feneratizia a M. nel 1634, quando ricevettero un Breve pontificio, che li autorizzava a prestare per dieci anni, nonché la debita licenza del principe Carlo[21]

Dopo la morte di Isabella Finzi (1636), il 50% del banco di sua proprietà passò ai nipoti, mentre il vedovo Dante ed il figlio Guglielmo, a nome degli eredi, da una parte, e Leone ed Efraim da Ancona, dall’altra, si impegnarono a continuare la società feneratizia per altri due anni[22].

Nel 1638 Leone ed Efraim da Ancona uscirono, però, dalla società e, dopo il rimborso della quota capitale, ai Finzi  rimase solo la metà dello ius del cazacà, conformemente ai privilegi concessi dal principe, mentre l’altra metà rimaneva agli Ancona.

All’inizio degli anni Quaranta si costituirono così due banchi, uno di Leone ed Efraim da Ancona e l’altro dei fratelli Gabriele ed Abramo di Sora e, in seguito alla concorrenza tra di essi, l’interesse feneratizio scese[23]. Alla fine degli anni Quaranta, la famiglia Finzi vendette il proprio 50% della cazacà del banco, che passò così completamente ai da Ancona[24].

Nel 1642 il vescovo Prospero Spinola accentuò i divieti relativi ai rapporti tra la popolazione cristiana e gli ebrei, compreso quello di accendere il fuoco di sabato nelle case ebraiche e di servirsi di medici ebrei. Inoltre, insistette perché gli uomini portassero il nastro giallo sul cappello e le donne un velo giallo[25].

Durante il principato di Carlo I (1623-1662), gli israeliti dovevano pagare 60 scudi per la concessione del banco di M. e al Comune di M. venivano versati 6 scudi, corrisposti dalla famiglia di Dante Finzi, mentre gli altri ebrei pagavano ogni trimestre la tassa ordinaria del testatico. 

Vale in particolare per quest’epoca il principio generale per cui gli ebrei massesi spostavano spesso il loro domicilio e le loro attività da M. a Carrara: talvolta, tenevano a M. il centro delle attività e a Carrara una  rappresentanza[26].

Durante la prima metà del secolo XVII, molti emigrarono a Livorno, pur continuando a mantenere interessi commerciali nello Stato massese: presumibilmente, questa situazione provocò l’emanazione del bando del 1630 che proibiva agli ebrei di uscire dalle porte della città senza permesso.[27]

Nel 1663 Alberico II emanò nuovi Capitoli, cui premetteva un breve preambolo dove manifestava la volontà di mantenere “mercantile” il suo stato, confermando, pertanto, i privilegi di cui avevano goduto gli ebrei in passato. Il principe, che  li poneva sotto la propria diretta tutela, subordinando al proprio assenso ogni eventuale azione contro di loro, concedeva ampia libertà religiosa agli ebrei e proclamava il principio di responsabilità personale anziché collettiva[28]. Inoltre, venne ufficializzata in questo frangente la carica di uditore generale e giudice degli ebrei, subordinato anch’egli, tuttavia, all’autorizzazione del principe[29].

 

A M. sono attestate svariate conversioni lungo il XVII secolo: nel 1639 fu battezzato, ad esempio, Abramo Morena, figlio di Leone, che assunse il nome di Pietro Francesco Maria Cybeo e l’anno successivo toccò a suo figlio Ginesio. Tre anni più tardi, fu battezzato Raffaele Selicche di Leone, originario della Fiandra, che prese il nome di Giobatta Cybeo.  Sei anni dopo si convertitì Giuseppe Gaone di Ascoli, figlio di Jacob Inon , seguito, più tardi, dal fratello Raffaele, assumendo, rispettivamente i nomi di Giovan Francesco Cybeo  e Carlo Maria Cybeo. Qualche anno dopo fu il turno anche dell’ultimo figlio di Jacob Inon, Jechi o Zechiele, con il nome di Giovan Carlo Bonaventura Cybeo. Carlo Maria Cybeo nel 1677 fu ucciso da un cristiano con il quale era in lite e l’omicida ottenne il diritto di asilo in chiesa, scampando, così, alla giustizia secolare. Negli anni Sessanta, un altro convertito fu il figlio di Giuda Levi, che prese il nome di Giovan Francesco Cybeo. Negli anni Ottanta fu battezzato, poi, Francesco Maria Martino, figlio del Livornese Giacomo Gomes[30].

Nel XVIII secolo scomparvero quasi del tutto i bandi contro gli ebrei, salvo, all’inizio del secolo, quelli che ricordavano l’obbligo del segno distintivo e il divieto di intrattenere rapporti di familiarità con essi[31].

Anche nel Settecento vi furono alcune conversioni; nel 1755 si convertì Mosè Vita di Angelo Ascoli, prendendo il nome di Francesco Maria Giuseppe Alderani e tre anni dopo (1758), si convertì Stella, figlia di Leone Finzi, Massaro dell’Università di M., che prese il nome di Maria Teresa Franceschi e si fece monaca. In seguito (1764), fu la volta di Sara di Vita Finzi con il nome di Maria Luisa Alderani e, poco dopo (1768), fu battezzato Isacco Veneziano, di Livorno, con il nome di Filippo Maria Giuseppe Feltrini, seguito da Angelo Giuseppe Ascoli (1770). Ester Stella Fano, nella seconda metà del secolo, manifestò, poi, l’intenzione di convertirsi e Angelo di Lelio Ascoli lo fece nel 1777. 

Nel 1784 una sorta di dubbio battesimo fu impartito da un ubriaco a un poppante, figlio del rabbino Angelo David Colorni, che cercò in tutti i modi di annullare l’atto sconsiderato. L’Università ebraica, schieratasi in difesa del rabbino, ricordò a Maria Teresa, sovrana dello stato di M., gli antichi privilegi concessi dal duca Alberico, ottenendo l’emissione di un  bando, nello stesso 1784, contro i battesimi dei minori senza il consenso dei genitori. Il Colorni dovette, tuttavia, rassegnarsi alla ratifica del battesimo tre anni dopo[32].

Alla fine degli anni Novanta del XVIII secolo, la Comunità ebraica dello Stato massese, concentrata ormai solo a M., risultava assottigliata e impoverita[33].

Nel 1796, entrarono le truppe francesi a M.   

Vita comunitaria

L’amministrazione della vita comunitaria era compito dei Massari, che restavano in carica due anni[34].

Le tasse che gli ebrei dovevano pagare all’erario camerale erano versate direttamente dalla Comunità ebraica o Università[35].

Attività economiche

Nel 1561 il tasso feneratizio era del 25% per il prestito su pegno, ma nel 1581 venne abbassato al 24% (in ottemperanza alla bolla di Pio IV), mentre era del 30%  per il prestito senza pegno o ai forestieri.

Nel 1615 il tasso fu ridotto al 20% per il prestito su pegno e al 25% per quello senza pegno, mentre nel 1630 rimase invariato[36].

Nel 1644 i prestiti a breve termine erano all’8 % e, se il capitale e gli interessi non fossero stati  pagati a tempo, la tariffa sarebbe stata del 20% per il prestito su pegno e del 25% per quello su polizza[37].

Gli ebrei esercitavano anche il commercio: nel 1581, dopo un vano tentativo di limitare quello delle derrate alimentari di prima necessità, venne loro concesso di continuare a vendere a credito e immagazzinare beni di prima necessità per rivenderli a prezzo maggiorato, eccezion fatta per il vino e i grani nostrani[38]. Dagli anni Ottanta del XVI secolo, gli ebrei commerciavano anche in tessuti di vario genere[39] e, nei Capitoli del 1663, essi furono autorizzati a trattare anche in  vini, cera, oli, seta, panni drappi e ogni altra merce, come gli altri sudditi, mentre l’acquisto di generi di prima necessità tornava ad essere limitato al fabbisogno familiare, venendo pagato non in contanti, ma in cambio di un credito[40].

A partire dagli anni Quaranta del XVII secolo, gli ebrei cominciarono a distinguersi negli appalti. Nel 1642 i da Ancona, i da Sora e i da Ascoli ottennero quello dell’arte delle tele di filo e bombace, introdotta poco prima a M. Nel 1645 Leone ed Efraim da Ancona, insieme a Giuda di Zemah Levi (chiamato per la sua abilità nel settore “Il Tabaccaio di M.”) presero l’appalto del tabacco per tutto lo stato massese e nel 1661 Angelo di Leone da Ancona ebbe, per sei anni prorogabili, l’appalto del sapone[41]

Ebrei avevano il monopolio del tabacco, dell’acquavite e del sapone anche nel XVIII secolo[42].

Dagli anni Trenta del secolo i da Ancona di M. si distinsero per le loro svariate attività economiche, che, tra l’altro, comprendevano anche la concia delle pelli e il commercio dei marmi, che, tuttavia, si rivelò meno lucrativo del previsto[43]

Demografia

Dalla documentazione relativa ai tributi pagati dagli ebrei di M. nel 1639, risulta che vi erano 9 famiglie che pagavano il testatico. Secondo un calcolo approssimativo, si può dedurre che abitassero a M., all’epoca, una cinquantina di ebrei. Nel XVII secolo, essi, approssimando per difetto in mancanza di dati specifici, dovevano costituire all’incirca il 2,68% della popolazione[44]. Dagli anni Ottanta del XVI secolo, sino alla seconda metà circa del successivo, sono attestate a M. svariate famiglie ebraiche, che risiedettero nella città stabilmente o per un certo periodo. Oltre ai Finzi, vi erano i da Sora, gli Uziel, i da Ancona, i Leucci (originari di Pisa), gli Ascoli, i da Fano e, nel XVII secolo, alcune famiglie  generalmente di provenienza livornese[45].

Dall’elenco dei contribuenti relativo agli anni 1736-1763, risulta che i nuclei ebraici fossero sei, anche se il numero sembrerebbe approssimato per difetto[46].

Nel 1795 l’Università ottenne di dimezzare il testatico, data la diminuzione e l’impoverimento delle famiglie[47].

Quartiere ebraico e ghetto

Gli ebrei, al tempo del loro insediamento a M., abitavano prevalentemente nel triangolo formato da Via Romana (oggi Via Beatrice), Via di Mezzo (oggi Via Traversa) e Via Alberica[48]. Il ghetto fu istituito, presumibilmente nel 1651, intorno alla Via di Mezzo e alla Via Romana[49]

Sinagoga

Attorno al 1600, la sinagoga era in casa di Guglielmo Finzi, in via Alberica[50].

Dopo l’istituzione del ghetto, essa fu portata a metà della Via Romana e con l’ingresso in Via di Mezzo, rimanendovi sino a dopo l’invasione francese[51].

Cimitero        

A M. il cimitero ebraico era ubicato a Castellaccio o Castellaro, in località detta Bosco degli ebrei, tra il Borgo di S. Lucia e Capaccola. Non sono rimasti documenti attestanti l’acquisto del terreno, ma vi sono cenni ad esso già in un testamento del 1591[52].

Rabbini

Si conoscono i nominativi di alcuni rabbini di M., a partire dalla metà circa del XVIII secolo: Aron Vita Volterra, d’origine veneziana, Alessandro Ventura di Finale di Modena e Angelo David Colorni di Modena, presumibilmente l’ultimo rabbino di M.[53].

Bibliografia

Jacopetti, I. N., Ebrei a Massa e Carrara. Banche Commerci Industrie dal XVI al XIX secolo, Firenze 1996.

Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, 8 voll., Toronto 1988-1991.

Simonsohn, S., The History of the Jews in the Duchy of Milan, Jerusalem 1982-1986.


[1] Simonsohn, S., Apostolic See, doc. 911.

[2] In un documento si precisa che il padre era di “Meldola di Romagna”. Jacopetti, I.N., Ebrei a Massa e Carrara. Banche Commerci Industrie dal XVI al XIX secolo, p. 31; Simonsohn, S., Milan, doc. 3265.

[3] Jacopetti, I.N., op. cit., p. 5.

[4] Ivi, p. 2. Gli ebrei erano obbligati a lasciare nel testamento una somma al Monte di Pietà  ( dai documenti, essa risultava essere di 20 bolognini o di 20 lire). Ivi, p. 183. 

[5] Tali principi erano: libertà di movimento dentro e fuori lo Stato, libertà di commercio e di compravendita di immobili, libertà di religione (con relativa apertura di una sinagoga e della scelta di un luogo per la sepoltura), libertà di rifornirsi al macello di M. o di Carrara, possibilità di chiamare in giudizio cristiani nelle liti civili e penali e possibilità di recuperare i crediti davanti all’autorità giudiziaria. Ivi, p. 5.

[6] Ivi, pp. 5-6.

[7] Ivi, p. 6.

[8] Ivi, p. 7; sulla presenza di Vita a M., a partire  dal 1578, se non da prima, cfr. ivi, pp. 39-40. Per i particolari relativi a Vita e figli, cfr. ivi, pp. 39-47. Per Salomone di Vita Finzi e figli, cfr. ivi, pp. 47-52.

[9]  I prestiti risalgono al 1572 e  al 1583 (ivi, p. 15). I grandi finanziatori dello stato di M. e Carrara furono i genovesi, tuttavia, le autorità ricorsero  anche al prestito ebraico in casi di bisogno impellente (ibidem).

[10] Ivi, pp. 27-28.

[11] Ivi, p. 29.

[12] Ivi, p. 40.

[13] Ivi, p. 7. Per i particolari relativi alla vita di Guglielmo, Giuseppe e Leone Finzi, originari di Reggio, cfr. ivi, pp. 31-38.

[14] Ivi, p. 39.

[15] Ivi, p. 152; sulla famiglia si vedano le pp. 149 e 156.

[16] Ivi, p. 12.

[17] Ivi, pp. 7-8.

[18] Ivi, p. 26. Per i particolari sull’ascendenza e discendenza di Salomone Finzi, cfr. ivi, pp. 47-52; per gli analoghi particolari relativi ad Angelo de Sora, cfr. ivi, pp. 64-67. 

[19] Ivi, pp. 98-100.

[20] Ivi, pp. 101-107.

[21] Ivi, p. 141.

[22] Ivi, p. 123; p. 107.

[23] Ivi, pp. 110-112.

[24] Ivi, pp. 113-114.

[25] Ivi, pp. 88-89.

[26] Ivi, p. 150.

[27] Ivi, p. 74; p. 89. Dalla prima metà del XVII secolo in poi, furono emessi anche svariati bandi che proibivano di molestare gli ebrei, in particolare durante la Settimana Santa. Ivi, pp. 89-91.

[28] Per ulteriori particolari su questi e su altri articoli dei Capitoli del 1663, cfr. ivi, pp. 8-9; pp. 199-200.

[29] Ivi, p. 10; per i particolari relativi all’ uditore generale e giudice degli ebrei, cfr. ivi, pp. 185-189.

[30] Ivi, pp. 92-96.

[31] Ivi, p. 248.

[32] Ivi, p. 307; pp. 326-327; pp. 350-354.

[33] Ivi, p. 331;  p. 349.

[34] Ivi, p. 179.

[35] Ivi, p. 275.

[36] Ivi, p. 6; pp. 16-17. Sull’obbligo di tenere i libri contabili in volgare, cfr. ivi, p. 10.

[37] Ivi, p. 112.

[38] Ivi, pp. 17-18.

[39] Per l’elenco particolareggiato delle merci vendute in 3 botteghe ebraiche dal 1585 al 1619, cfr. ivi, pp. 23-25.

[40] Ivi, pp. 17-18.

[41] Ivi, pp. 142-146; p. 163.

[42] Ivi, pp. 277-279.

[43] Ivi, pp. 297-302.

[44] Ivi, pp. 73-74.

[45] Ivi, pp. 31-69; pp. 149-177.

[46] I dati relativi alle attività economiche degli ebrei in questo periodo fanno supporre una presenza molto più cospicua rispetto alle sei famiglie menzionate. Ivi, p. 275.

[47] Ivi, p. 349.

[48] Ivi, p. 180.

[49] Ivi, pp. 180-182.

[50] Ivi, p. 179.

[51] Ivi, p. 182.

[52] Ivi, p. 195.

[53] Ivi, p. 317; p. 349; p. 361.

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