Castelnuovo Garfagnana

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Castelnuovo Garfagnana

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Castelnuovo Garfagnana (קאסטלנואובו גרפאניאנה )

Provincia di Lucca, già capoluogo del circondario omonimo e centro della regione da cui prende il nome.

Sorge sulla destra del Serchio alla confluenza della Turrita Secca, dove Castruccio Castracani  fece  erigere un ponte, dando origine all’abitato. Nata nel secolo VIII, C. fu prima soggetta ai vescovi di Luni, poi a quelli di Lucca e , infine, passò agli Estensi, che avevano iniziato l’invasione della Garfagnana nel 1429. Sotto il ducato di Ferrara, C. divenne residenza del governatore estense.

   

Da documenti risalenti all’arco di tempo compreso tra il 1478 e il 1488 si può ricostruire, almeno in parte, la storia della presenza ebraica nella località[1].

Dagli atti notarili del 1478 si apprende l’esistenza di un banco feneratizio a C., di cui si occupava l’ebrea  Regina, vedova di Magister Vitale di Magister Jacob da Bologna[2], madre e tutrice dei figli di Magister Vitale[3]. I patti  feneratizi per il banco di C. e l’esclusiva del prestito ebraico in Garfagnana erano stati concessi da Ercole d’Este a Vitale e Jacob, in un periodo di poco precedente al 1478, quando in realtà entrambi risultavano già morti[4].  Il fattore ( o amministratore) del banco era, nel 1478, Vitale del fu Dattilo da Correggio, cui Regina affittò per cinque anni il banco stesso, preoccupandosi di fargli pienamente godere i privilegi in materia feneratizia ottenuti dal marito e dal suocero[5].

Sia Regina che Vitale risultavano abitare in questa località in case prese in affitto dai locali[6] e le loro condizioni economiche familiare non risultarono floride, dopo la morte di Magister Vitale. Gli introiti del banco erano modesti e la zona della Garfagnana in cui essi operavano era a rischio, come prova la clausola inclusa nella stipula del contratto di affitto, in cui Vitale si premuniva contro ogni eventuale incidente fortuito che fosse occorso al banco[7]. Nel 1482 un “incidente” di tal genere accadde: il banco fu saccheggiato da alcuni abitanti del luogo, di ambo i sessi, che, presumibilmente, credendo alla falsa voce della morte di Ercole d’Este, al tempo coinvolto nella guerra di Ferrara contro Venezia, avevano ritenuto di approfittare della situazione[8].

Secondo il commissario estense, il banco ebraico già nel 1484 sarebbe stato risarcito delle perdite subite: tuttavia, ancora tre anni più tardi il contenzioso per il recupero dei danni del saccheggio ( o “saccomanno”) era ancora aperto[9]. Nel frattempo, Regina era morta, mentre i suoi figli (salvo Mosè, scomparso dalla documentazione a partire dal 1478) e Vitale di Dattilo da Correggio, che era divenuto curatore dei loro interessi, risultavano essere a Pisa, da dove continuavano la lite con il Comune di C.[10].

Nel 1485 Vitale di Dattilo da Correggio era attestato come fattore e cassiere nell’azienda feneratizia di Vitale di Isacco di Pisa e rimase a Pisa anche in seguito, probabilmente insieme a qualcuno dei figli di Regina e di Vitale di Magister Jacob da Bologna[11].

Bibliografia

Luzzati, M., Il banco ebraico di Castelnuovo Garfagnana e il ‘saccomanno’ del 1482, in Fregni, E.- Perani, M. (a cura di), Vita e cultura ebraica nello stato estense (Atti del I convegno internazionale di studi Nonatola 15-16-17 maggio 1992), Bologna 1993, pp. 215-233.

Simonsohn, S., Alcune note sugli ebrei  a Parma nel ‘400, in Toaff, E. (a cura di) Studi sull’ebraismo italiano in memoria di Cecil Roth, Roma 1974.

Simonsohn, S., The History of the Jews in the Duchy of Milan, Jerusalem 1982-1986.


[1] Luzzati, M., Il banco ebraico di Castelnuovo Garfagnana e il ‘saccomanno’ del 1482.

[2] Il padre di Jacob da Bologna, anch’egli di nome Vitale e probabilmente medico, dato che veniva definito Magister, era originario dalla Francia, ma veniva indicato come “da Bologna”, dato che  vi aveva soggiornato a lungo ( o forse vi era nato). Vitale era morto prima del 1438; suoi figli erano i medici Salomone e Jacob. Quest’ultimo risulta attestato a Cremona nel 1439, a Parma nel 1449 ed in seguito in svariate altre località dell’Italia settentrionale (fra cui Venezia, Carpi, Castell’Arquato, Bologna, Cremona, Mantova), raggiungendo una certa notorietà nell’attività creditizia e, particolarmente, nell’esercizio della medicina ( tra i suoi pazienti vi furono gli Sforza, Ferrante d’Aragona e Filiberto di Savoia).  Titolare di un banco a Cremona, in seguito alle accuse di falso, fu costretto ad abbandonare il Ducato di Milano, insieme al figlio Vitale, circa nel 1475. Su  Jacob di Vitale da Bologna, su Salomone di Vitale da Bologna e su Vitale di Jacob da Bologna, cfr. Simonsohn, S., The Jews in the Duchy of Milan, Index of Persons: “Jacob son of Vitale of Bologna (physician)”; “Solomon , son of (Magister) Vitale of Bologna in Castellarquato”; “Vitale , son of Jacob of Bologna”; Id.,Alcune note sugli ebrei  a Parma nel ‘400, in Toaff, E. (a cura di) Studi sull’ebraismo italiano in memoria di Cecil Roth, pp. 2227-260; cfr. Luzzati, M., op. cit., p. 221.  

[3] I documenti dai quali si attingono le notizie sugli ebrei di C. riguardano, tra l’altro, una lite in corso tra Regina e i figli Elia, Emanuele e Jacob ed un altro figlio Mosè, che voleva ricevere la propria parte di eredità, recuperare la dote e i corredi della moglie ed andare a vivere per proprio conto. Mosè aveva sposato Anna, figlia del rinomato medico Guglielmo de Portaleone di Milano (cfr., Luzzati, M., op. cit., p. 216; p. 219; p. 222).  

[4] Luzzati, M., op. cit., p. 222; cfr. Archivio di Stato di Lucca ( d’ora innanzi ASL), Notari, n. 1389, cc. 148v-149r, citato ivi, p.217, n. 4.

[5] Sui particolari relativi al contratto  tra Regina e Vitale del fu Dattilo, cfr. ivi, p. 218.

[6] Ibidem.

[7] Cfr. ivi, p. 223.

[8] Il saccheggio fu oggetto di corrispondenza diplomatica ufficiale tra il governo di Firenze e quello di Lucca. Il governo di Firenze ventilò l’idea che esso avesse valenza politica: la gravità dell’episodio, pertanto, non risiedeva, agli occhi delle autorità, solo nella violenza contro gli ebrei, quanto, piuttosto, nell’offesa arrecata al Duca d’Este (cfr. ivi, pp. 223-227). Il Luzzati formula l’ipotesi che il saccheggio del banco rientrasse nei “saccheggi rituali”, in cui il popolo avrebbe inteso riappropriarsi di quanto ritenuto direttamente o indirettamente sottrattogli dal principe, creduto ormai defunto ( in questo caso, il Duca d’Este, signore dello Stato e protettore degli Ebrei). Non sembra che  l’iniziativa del saccheggio sia da ascriversi ad un influsso della predicazione dei Francescani Osservanti, pur impegnati all’epoca nella campagna contro l’attività feneratizia ebraica (cfr. ivi, p. 227, n. 24).    

[9] Ivi, pp. 228-229. Tra i danneggiati non vi erano, ovviamente, solo gli ebrei, ma anche i padroni dei pegni depositati presso di loro: dalle proposte del commissario estense di indennizzarli, grazie al recupero del maltolto dalle mani di quegli autori del saccheggio che si fossero rifugiati nello Stato lucchese, il Luzzati evince l’affiorare del proposito di tutelare gli operatori economici ebrei contro l’eventualità che  gli autori di violenze a loro danno trovassero scampo rifugiandosi in un altro Stato (cfr.. ivi, p. 226, n. 22).  

[10] Cfr. ivi , p. 229-232.

[11] Ivi, p. 232, n. 38.

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