Arezzo

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Arezzo (ארצו )

Capoluogo di provincia. Sita sul tratto della via Cassia tra Cortona e Firenze, dopo un periodo comunale caratterizzato dalla lotta tra varie fazioni, A. fu venduta a Firenze nel XIV secolo, perdendo la propria autonomia. Nonostante vari tentativi insurrezionali nel XV e XVI secolo, rimase sotto il dominio fiorentino. La sollevazione contro le truppe francesi, scacciate dalla città e dal contado al grido di “Viva Maria”, portò gli aretini a commettere molti eccessi contro i giacobini, ma nel 1800 i francesi fecero finire nel sangue la rivolta popolare.

Il primo documento attestante con certezza una presenza ebraica ad A. risale al 1388 e riguarda l’istituzione di un banco di pegni da parte di Deodato di Ariele di Assisi, Salomone di Matasia, Leone di Consiglio di Camerino e Sabatuccio di Vitale, con  i quali venivano stipulati patti di validità decennale[1].

Accanto ai feneratori ebrei avevano il permesso di operare anche quelli aretini, tuttavia, il fatto che, nel 1399, venissero stipulati nuovi patti con i primi per un numero di anni doppio lascia supporre che il prestito fosse passato ormai in mano ebraica. Intestatario della condotta fu, ora, Gaio di Magister Angelo da Siena, con nove soci, provenienti da svariate località dell’Italia centrale, ma inizialmente originari di Roma[2]. Il tasso di interesse consentito era del 30% annuo ed i prestatori avevano diritto all’acquisto di beni mobili e immobili, alla libertà di culto e all’equiparazione ai cittadini di A.

Nel 1406 il banco ebraico di A. fu soppresso e riaperto poco dopo, previo pagamento di una tassa annua a Firenze.

All’inizio degli anni Sessanta del  XV secolo, Bonaventura di Abramo da Siena, insieme ai suoi soci, i figli emancipati di Manuello da Volterra, stipulò patti quinquennali con A., includenti il prestito dietro cambiale e l’eventuale concessione di denaro al Comune senza interessi[3].

Nel 1481 compaiono Vitale di Isacco da Pisa, con i figli Isacco e Simone, e l’anno successivo, egli risulta associato con Bonaventura di Abramo da Siena ed il figlio Jacob, con Dattero da Cortona e con Moisè di Abramo[4].

All’inizio degli anni Settanta del secolo, era stato fondato il Monte di Pietà, sull’onda della predicazione del francescano dell’Osservanza Fortunato Coppoli di Perugia, ma l’attività feneratizia ebraica non ne fu intralciata[5].

Bonaventura di Abramo e il figlio Jacob, nel 1486, furono condannati per tentato omicidio e per rapporti sessuali con donne cristiane, mentre la cognata di Bonaventura, Bella di Magister Salomone da Bologna, anche lei accusata di reati sessuali, era scampata nel  1481 al rogo, grazie al pagamento di una cifra ingente[6].

Dopo la morte di Vitale da Pisa, nel 1490, licenze di prestito furono rilasciate, l’anno successivo, per una serie di località, tra cui A., e, all’inizio del XVI secolo, era attivo qui il prestatore Salomone di Abramo da Montalcino[7]

Dopo un periodo di divieto del prestito, nel 1547 Benvenida Abravanel ed il figlio Yaaqov ottennero il permesso da Cosimo de’ Medici di aprire banchi feneratizi in svariati luoghi, tra cui A.[8]. Già dall’anno precedente, però, era attestata la residenza nel pieno centro cittadino  di Sabbato di Amadio Sabbato da Correggio e di sette membri della sua famiglia[9]: più tardi, furono attestati per qualche tempo ad A. anche il genero di Sabbato, Moisè Rabeno, ed altri, che tuttavia non si stabilirono permanentemente nella città. Sabbato divenne l’amministratore del banco degli Abravanel e anche Moisè risulta avervi avuto delle mansioni[10]

Nel 1557 gli israeliti fuggiti dallo Stato Pontificio in seguito alle misure repressive di Paolo IV, cercarono rifugio ad A.: la popolazione  locale si rivolse, allora, al duca, chiedendone l’allontanamento, ma Cosimo, data la presenza di un banco ebraico legalmente autorizzato (di cui era titolare Yaaqov Abravanel), concesse il permesso di restare ai nuovi venuti a patto che non praticassero l’usura[11].

Dimorava ad A., alla fine degli anni Cinquanta del secolo, il rabbino Shlomoh di Shemuel  da Monte dell’Olmo[12].      

Nel 1563, allo scadere della condotta, gli Abravanel decisero di chiudere il banco, visto che l’interesse era stato portato al 20% e stava per essere ulteriormente abbassato: al momento del censimento degli ebrei ordinato da Cosimo I nel 1570, nella città non risultavano più risiederne[13].

Solo nel 1685 erano nuovamente presenti ad A. alcuni ebrei, membri di due famiglie registrate come facoltose, domiciliate nel centro della città, in Piazza Grande[14].

Successivamente, e con frequenza crescente a partire dall’inizio del XVIII secolo, si rileva una continuità del gruppo israelitico, soprattutto di origine sansavinese, attivo nel commercio dei tessuti (“pannine”)[15]: dal fatto che alcuni di essi (soprattutto i Passigli, gli Usigli e i Toaff) prendevano in prestito dal Monte di Pietà, per periodi brevi, somme di denaro dietro oggetti di valore, è  nata l’ipotesi che, oltre al commercio, avessero intrapreso anche il prestito, in forma non ufficiale[16].

Verso la fine del secolo, alcune famiglie ebraiche risultavano in possesso di case e poderi, acquistati, tra l’altro, dalla Confraternita dei Laici di A.[17].

Alla metà degli anni Settanta, i sansavinesi trapiantati ad A. cercarono di fondare una Comunità autonoma, con una propria sinagoga, tentando di sottrarsi al contributo da dare al nucleo d’origine[18].

Nel 1799 il moto popolare anti-francese del “Viva Maria” , iniziato nel contado, coinvolse anche la città: dopo la fuga della guarnigione francese, furono arrestati tra i simpatizzanti giacobini anche una quindicina di ebrei, tra cui il mercante Sabatino Castelli, proveniente da Montepulciano[19].

Bibliografia

Cassuto, U., Ancora sulla famiglia da Pisa, in  Rivista Israelitica X (1913), pp. 83-84.

Luzzati, M., La casa dell’Ebreo, Pisa 1985.

Margulies, S.H., La famiglia Abravanel in Italia, in  Rivista Israelitica III (1906), pp. 147-154.

Salvadori, R.G. - Sacchetti, G., Presenze ebraiche  nell’Aretino dal XIV al XX secolo, Firenze 1990.


[1] Archivio di Stato di Arezzo (in seguito ASA), Deliberazioni del Magistrato dei Priori e del Consiglio Generale, n. 2, cc. 12v, 14r. e v, 14r., citato in Salvadori , R.G.– Sacchetti,  G., Presenze ebraiche nell’Aretino dal XIV al XX secolo,  p. 19, n. 2; per il testo di questi  capitoli, cfr. ivi, Appendice n. 1,  pp. 133-136.  

[2] Cfr. ivi, pp. 20-21.

[3] Ivi, p. 22; p. 27; p. 31.

[4] Cfr. ivi, p. 34. Per i capitoli firmati da Vitale da Pisa per il banco di Arezzo, cfr. Cassuto, U., Ancora sulla famiglia da Pisa, pp. 83-84.

[5] Salvadori , R.G.– Sacchetti,  G.,  op. cit., pp. 40-41.

[6] Salvadori , R.G.– Sacchetti,  G., op. cit., pp. 41-42; sulla non del tutto chiara vicenda, del processo contro un gruppo di ebrei, tra cui Bonaventura e il figlio, in cui era implicata anche la famiglia di Vitale da Pisa, cfr. Luzzati, M., La casa dell’Ebreo, p. 69 e segg.

[7] Salvadori, R.G. -Sacchetti,  G., op. cit., p. 51, n. 43.

[8] Margulies, S.H., La famiglia Abravanel in Italia, p. 150.

[9] ASA, Descrizione di bocche dell’anno 1546, 1, c. 28v., citato in Salvadori, R.G. -Sacchetti, G., op. cit., p. 58, n.14.

[10]  Salvadori, R.G., -Sacchetti, G., op. cit., p. 58.

[11]  Cassuto, U., Gli ebrei a Firenze p. 95; pp. 386-388.

[12] Ivi, p. 359. Per ragguagli su di lui, vedi la voce “Firenze”.

[13] Salvadori, R.G.-Sacchetti, G., op. cit., pp. 57-59.

[14] ASA, Descrizione delle bocche, 4, c. 169v., citato in ivi, p. 65, n. 6.

[15] Ricorrono i nomi dei Borghi, Toaff, Usigli, Passigli e Corcos; sono ricordati anche i nomi Castro e Barroccio (Montebarocci), che denoterebbero l’origine sansavinese. Le abitazioni risultavano nelle attuali Piazza Grande, via Mazzini, via S. Niccolò. Cfr. ivi, pp. 65-66. 

[16] Ivi, p. 66.

[17] Ivi, p. 67; cfr. p. 91.

[18] Ivi, p. 91.

[19] Ivi, pp. 69-70.

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