Sermide

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Sermide

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Sermide ([1]סרמידה; סירמיני)

Provincia di Mantova. Il centro, esistente almeno dall’epoca altomedievale, fu controllato per un breve periodo a partire dal 1238 dalla famiglia dei Callarosi. Dal 1328 al 1707 fu sotto la signoria dei Gonzaga e, nel 1707, passò sotto il dominio dell’Impero austriaco, sino all’ingresso delle armate napoleoniche.

Nel 1414 Gianfrancesco Gonzaga dette il permesso di aprire un banco feneratizio a S. a Leuccio di Angelo (Eliyahu di Mordekhai) e Angelo di Dattolino da Ravenna[2]: la concessione, decennale, fu rinnovata nel 1425 e nel 1438 al secondo[3] e, nel 1446, il rinnovo fu dato ad  Angelo e a Vitale del fu Daniele da Argenta (provincia di Ferrara), cui  si aggiunsero, nello stesso anno, Angelo del fu Bonaventura da Padova ed il figlio Manuele[4].  

Da un documento del 1479, comprendente i nomi di quasi tutti gli ebrei del territorio mantovano, figuravano risiedere a S.: Simone (Shemuel) da Pola, Isac del Piemonte e Salomone fu Isac, con le rispettive famiglie[5].

Dall’annotazione in un codice copiato per Simone (Shemuel) da Pola, risulta che, nel 1491, abitavano a S., oltre a Simone (Shemuel), anche Yequtiel bar Gershom Ashkenazi, David da S. e Yitzhaq da Ceva Tzarfaty, cioè, l’Isac del Piemonte (Ceva, infatti, è in provincia di Cuneo), menzionato nel documento del 1479[6].

Shemuel (Simone) da Pola e David  ebbero la concessione del  banco feneratizio a S. sino al 1492, quando, trovandosi in ristrettezze finanziarie, vi dovettero rinunciare: subentrò loro, nello stesso anno, Moise di Angelo da Rimini (residente sino ad allora a Bologna), che figurava come titolare del banco nel 1495 e nel decreto di amnistia del 1497 per gli ebrei dello stato mantovano[7]

Verso la fine del XV secolo, Lazzaro di Guglielmo Portaleone[8] divenne medico del Comune di  S.[9], mentre, agli inizi del successivo, Abramo Finzi da Bologna ottenne la concessione del banco, ricevendo, nel 1511, il permesso di cederlo, insieme alla casa di abitazione, ad Angelo fu Dattilo da Cologna, che, all’inizio degli anni Trenta, fu sostituito da Vitale di Abramo Finzi, cui subentravano, nel 1544, Moisè di Manuele Revere e Leone di Salomone Zarchi[10].

L’anno seguente (1545), un secondo banco fu aperto da Bonaventura da S. e da un socio (probabilmente, Salomone di Vigevano)[11], ma, in seguito, tornò ad esservi un solo banco, di cui fu titolare, per  un trentennio, Raffaele da Vigevano, che, nel 1587, ottenne di poterlo cedere ad altri[12]. Ancora nel 1587 la tassa pagata per il privilegio ebraico ammontava a S. a 518 scudi[13].

Abramo di Lazzaro Portaleone, dopo essersi laureato in medicina e aver ottenuto, nel 1519, la dispensa da Leone X, esercitò la professione medica a S., come pure il figlio Leone (Yehudah), chirurgo, mentre il figlio Lucido (Meir), anch’egli medico, lasciò S., tornandovi solo in età matura[14].

Nel 1576 Guglielmo Gonzaga, duca di Mantova, in ottemperanza alle direttive della Chiesa, vietò ai medici ebrei dei suoi territori di curare pazienti cristiani senza espressa licenza, pena una multa per ogni malato curato: pertanto, Leone Portaleone lasciò S., mentre l’anno successivo, il padre, nonostante la tarda età, fu costretto a supplicare il duca di dispensarlo dal divieto per potersi procacciare da vivere. Alla supplica di Abramo fece eco quella del console di Carbonara Po, di alcuni ecclesiastici e di svariati cittadini, per perorarne la causa: nel 1577 il duca Guglielmo concesse la dispensa per esercitare la medicina ad Abramo e al figlio Leone, che rimpatriò, riprendendo la professione[15].

Da una concessione apostolica, ottenuta nel 1593, anche Lucido Portaleone risultava essere tornato ad esercitare la medicina a S.[16] e, nello stesso anno, Moisè  Vita, appartenente a una famiglia stanziatasi poco prima a Mantova, ottenne dal duca Vincenzo Gonzaga l’autorizzazione ad esercitare qui l’attività feneratizia e il commercio al minuto di panni di lana[17].  

La somma da pagare per il  rinnovo dei privilegi  ebraici negli anni Novanta del XVI secolo ammontò, a S., a oltre 1.000 lire mantovane[18]

Nel 1595 il vescovo di Mantova ordinò che gli ebrei di una serie di località, tra cui S., sottoponessero a censura i propri ebraici[19].

La condotta feneratizia fu confermata a Moisè Vita nel 1605 ( per dieci anni, a partire dal 1607, data di scadenza dei precedenti patti feneratizi) e, nel successivo decreto generale per i feneratori dello Stato (1626), i concessionari del banco di S. risultarono essere Isac, Simone e Neftali, nipoti di Moisè Vita[20], ma, poco dopo, Simone si ritirò, mentre rimasero Isac e Neftali[21]

Speciali misure di sicurezza per proteggere gli ebrei dagli attacchi della popolazione cristiana erano, intanto, state prese a S., nel 1609, in occasione della nascita della figlia di Francesco II[22].

La guerra per la successione di Mantova e dei suoi territori (1630), con le relative calamità e le sofferenze causate agli ebrei dall’invasione delle truppe dell’imperatore Ferdinando II  , colpirono anche S.[23]: Simone (Shemuel) Vita riuscì a mettere in salvo i pegni, durante la guerra, salvandosi dalle perdite economiche subite dalla maggior parte dei  feneratori del territorio mantovano[24]

Nella seconda metà degli anni Quaranta del secolo, gli israeliti di S. ricevettero il permesso di lavorare nelle proprie case e botteghe, purché con le porte aperte[25] e, nel 1647, la concessione  del banco passò a Graziadio (Hananiel) e fratelli Massarani[26].

Nel 1671 la Comunità di Mantova concesse a Mosè di Azriel Alatino di prendere dimora a S. per aprirvi un banco[27].

Nel 1676 la moglie del rabbino di S. fu violentata da un cristiano, consegnato alla giustizia e imprigionato, grazie anche all’aiuto della Comunità mantovana, sollecitata ad intervenire da quella locale[28].

Due anni più tardi, gli ebrei di S. chiesero aiuto ai correligionari mantovani per soccorrere i poveri[29] e, nel 1682,  si ha l’ultimo accenno all’attività feneratizia ebraica, quando Isacco Vita e soci, nuovamente titolari del banco, dichiararono, insieme ai prestatori di altre località del territorio mantovano, di essere in condizioni economiche estremamente  difficili in seguito ad infausti eventi (sui quali non abbiamo informazioni), chiedendo, pertanto,  conferma dei privilegi  per cinque anni con esenzione da ogni genere di tassa[30]

Nel 1722 fu introdotto a S. il divieto per gli ebrei di uscire di casa durante la Settimana Santa (salvo che per recarsi all’ufficio religioso nella sinagoga), che risultava ancora in vigore nel  1786[31].

Diciotto anni più tardi (1740), il Vicario di S. emise un’ordinanza con il divieto per gli ebrei di ricorrere al servizio di cristiani d’ambo i sessi, salvo il sabato, previa sua licenza: la servitù cristiana non avrebbe potuto pernottare nelle case ebraiche o prendervi i pasti e le donne di età inferiore ai 40 anni[32] non avrebbero potuto prestar servizio dagli ebrei e allattarne i neonati. Durante le processioni era imposto, inoltre, l’obbligo di chiudere le finestre e ritirarsi in casa[33]

Nel 1752 e nel 1754 ebbero luogo dei tumulti antiebraici a S. e David Grego, a nome della Comunità locale, chiese a quella di Mantova di  intervenire presso il governo[34].

Nonostante il divieto ad avere proprietà immobiliari, alcuni ebrei di S., durante il primo trentennio del XVIII secolo, ottennero dall’Imperatore il permesso di acquistare stabili[35] e, nella prima metà del secolo, vennero esentati più volte dall’obbligo di alloggiare le truppe di stanza nella località[36].

Nel 1774, durante la parata militare annuale, venne bastonato dai soldati austriaci David Grego, trovatosi a passare per la piazza e lo stesso episodio si ripeté, due anni dopo, con il rabbino Samuel Ravenna[37].

Nel 1781 e nel 1790 si convertirono al cristianesimo due ragazze ebree[38] e S. fu tra le località del territorio mantovano in cui si recarono gli emissari dalla Terra Santa per raccogliere fondi[39].

Attività economiche

Nel XV e XVI secolo gli ebrei di S. erano, in genere, dediti all’attività feneratizia, cui si aggiunse, dalla fine del Quattrocento, l’esercizio della professione medica e, in seguito, anche altre occupazioni[40]. Nella seconda metà del ‘600, essi erano anche esattori delle imposte sul tabacco[41].

Nel XVIII secolo, smesso il prestito, gli israeliti si dedicarono qui ad altre attività: ad esempio, Simon Moisè Loria ricevette, nel 1787, il permesso di stabilirvi una filanda, acquistando, allo scopo, un immobile[42].

Nel 1762 Leone Norsa (secondo quanto andavano facendo, nel XVIII secolo, gli ebrei più abbienti di Mantova) conduceva in affitto da un locale la Corte Camerale di S. per 15 anni, nonché una tenuta di proprietà dei duchi Visconti di Milano ed una del principe Sigismondo Gonzaga, mentre Abram Norsa teneva in affitto la tenuta Orologia del marchese Carlo Capilupi. Raffael Padova e fratelli, ebrei di S., conducevano, invece, terre proprie a Moglia[43]

Demografia

Da un documento del 1491 risulta che erano allora presenti a S. almeno quattro famiglie ebraiche[44].

Gli ebrei di S. erano presumibilmente una cinquantina all’inizio del XVII secolo, ma, dopo la guerra che imperversò nel territorio mantovano nel 1630, accompagnata da azioni crudeli delle soldatesche, restarono di nuovo solo quattro famiglie ebraiche.

In seguito il numero degli ebrei aumentò[45]: nel 1711, infatti, le famiglie erano sei[46] e, nel 1764, gli ebrei a S. erano in numero di 44[47].

Quartiere ebraico

La piccola comunità ebraica di S. viveva, per scelta spontanea, in un’unica strada del quartiere Castello, chiamata,  nel XVI secolo, la “Contrada degli Ebrei”[48].

Da un documento del 1642 si apprende che, dopo la guerra del 1630, le quattro famiglie ebraiche superstiti erano andate ad abitare in mezzo alla popolazione cristiana, lasciando il quartiere del Castello, con disappunto della popolazione stessa, che desiderava vi facessero ritorno[49].

Sinagoga

Il primo accenno ad una sinagoga (e non ad un semplice oratorio privato) a S. risale al 1507, quando Abramo di Giacobbe Finzi da Bologna ricevette il permesso di erigerla[50].

Inoltre, nel 1598, Moisè Vita ottenne dalla Santa Sede licenza di collocare una sinagoga nella propria abitazione, a patto di non apporre nessun ornamento alla facciata dell’edificio (che non doveva trovarsi in prossimità di una chiesa)[51].

La sinagoga di S. risulta essere stata ubicata in Via Pii Luoghi (nel XX secolo Via dell’Ospedale), al n. 11[52].

Cimitero

Da un decreto del 1540, con cui Federico Gonzaga consentiva la costruzione di una casetta per il custode, si apprende l’esistenza del cimitero ebraico, presumibilmente in funzione già dall’inizio dell’insediamento ebraico[53].

Resti di pietre tombali ebraiche sono stati rinvenuti a S.[54].

Dotti

Abraham di Mordekhay Farissol, nativo di Avignone e stabilitosi a Ferrara, fu autore di svariate opere di diverso contenuto, guadagnandosi chiara fama come geografo e polemista. Di tanto in tanto dedito alla copiatura di codici, il Farissol soggiornò a S. , presumibilmente senza interruzioni, dal 1482 al 1486, copiandovi, nel 1482, un formulario di preghiere di rito romano (Siddur),[55] e terminando, nel 1486, per incarico di Shemuel da Pola, il Pentateuco e le cinque Meghillot, i Salmi, Giobbe e le Haftarot[56].Nel 1482 il Farissol aveva ultimato di copiare per Shemuel da Pola anche il Commentario ai dodici profeti minori di David Qimhi[57].

 

Bibliografia

Calò, G., La Cronaca mantovana di Abramo Massarani, in  RMI  XII (1938), pp. 363-377.

Colorni, V., Gli ebrei a Sermide. Cinque secoli di storia (1414-1936), in Judaica Minora, Milano 1983, pp. 409-442.

Rossi, G.B., Mss. Codices hebraici Bibliothecae I.B. De-Rossi, Parma 1803.

Margaliouth, G., Catalogue of the Hebrew and Samaritan Manuscripts of the British Museum, London 1905.

Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, 8 voll., Toronto 1988-1991.

Simonsohn, S., The History of the Jews in the Duchy of Mantua, Jerusalem 1977.


[1] Sermide veniva traslitterata in ebraico secondo la forma volgare “Sermene”, in uso nel XV e XVI secolo. Colorni, V., Gli ebrei a Sermide. Cinque secoli di storia (1414-1936), p. 411, nota 15. L’articolo del Colorni, testé citato, è stato pubblicato negli Scritti in  memoria dii Sally Mayer, Jerusalem 1956, pp. 35-72 e ripubblicato in Judaica Minora; nella presente voce è stato citato il testo ripubblicato in Judaica Minora.

[2] Archivio Gonzaga di Mantova (d’ora innanzi AGM), Libro dei decreti, II, p. 333, citato in  Colorni, V., Ebrei a Sermide, p. 410,  nota 4. La provenienza ravennate si desume da un decreto del 16 ottobre 1425 (AGM, Libro dei decreti, V, p. 266, citato ivi,  p.  410, nota 6). 

[3]  Decreto 16 ottobre 1425, AGM, Libro dei decreti, V, p. 266; Decreto 10 febbraio 1438, AGM, Libro dei decreti, IX, p. 29, citati ivi,  p. 410, note 6 e 7.  Poco prima del rinnovo della concessione nel 1425, Angelo ebbe il condono di una forte ammenda, in cui era incorso per violazione del dazio sul grano. Nel 1429, Angelo risultava proprietario di un immobile in S.; nel 1435, il figlio di Angelo, Jacob, accusato di aver avuto rapporti sessuali con una donna cristiana, fuggì da S. e dal territorio mantovano, rientrandovi dopo essere stato prosciolto da ogni sospetto nel 1436. Ivi, p. 410, nota 6.  

[4] Decreto 14 novembre 1446, AGM, Libro dei decreti, XI, p. 313, citato ivi, p. 410,  nota 9.

[5] AGM, Libro dei decreti, XX e ½, p. 18v., citato ivi, p. 411, nota 10. Su Salomone del fu Isac, vedi ivi, p. 411, nota 11. Per Simone (Shemuel) da Pola fu copiato a Mantova, nel 1482, dall’amanuense Jesajà ben Jacob da Massaran (Massarano, presso Vercelli) ben Jesajà da Gerona, il Commentario di David Qimhi ad Ezechiele, conservato in seguito nella collezione Derossiana di Parma. Sempre  per Shemuel da Pola  venivano copiate altre opere a S. da Abraham di Mordekhai Farissol. Cfr. ivi, p. 411.  Per il soggiorno del Farissol a S. , vedi  il paragrafo Dotti della presente voce.;

[6] Margaliouth, G., Catalogue of the Hebrew and Samaritan Manuscripts of the British Museum, I, cod. 95, p. 73; Colorni, V., Ebrei a Sermide, p. 414.

[7] 26 agosto 1492, AGM, Libro dei decreti, XXV,  p. 252v; AGM, Libro dei decreti, XXIV, p. 251; AGM, Libro dei decreti, XXVII, p. 3, citati in Colorni, V., Ebrei a Sermide, note 28-30.Per i rinnovi della concessione di banco a S., nel XV secolo, cfr. Simonsohn, S., History of the Jews in the Duchy of Mantua, p. 210.

[8] Il padre di Lazzaro, Guglielmo, era medico di corte a Napoli, Milano e Mantova; il fratello di Lazzaro, Magister Abramo, era stato per svariato tempo medico ala corte di Mantova. Su Guglielmo e su Magister Abramo, cfr. Colorni, V., Ebrei a Sermide, note 42 e 43.

[9] Su di lui, vedi ivi, nota 44.

[10] Colorni, V., Ebrei a Sermide, pp. 414-415.

[11] Colorni, V., Ebrei a Sermide, p. 415.

[12] Ivi, pp. 414-416 ; Simonsohn, S., Mantua, p. 223, nota 87.

[13] Simonsohn, S., Mantua, p. 165.

[14] Colorni, V., Ebrei a Sermide, p. 417.

[15] Colorni, V., Ebrei a Sermide, pp. 418-419. Simonsohn, S., Mantua, p. 645.

[16] Colorni, V., Ebrei a Sermide, p. 419.

[17] Colorni, V., Ebrei a Sermide, pp. 419-420.

[18] Simonsohn, S., Mantua, p. 166.

[19] Ivi, p. 690.

[20] AGM, Libri dei decreti, LIII, p. 26; AGM, Libri dei decreti, LIV, p. 276, citati in Colorni, V., Ebrei a Sermide,  pp. 421, note 71 e 72.

[21] AGM, S.III.I, Busta 3390, 6 maggio 1631: Simon Vita già banchiere per la quarta parte del banco di S., citato in Colorni, V., Ebrei a Sermide, p. 421, nota 73.

[22] Simonsohn, S., Mantua,  p. 127, nota 76.

[23] Per una descrizione delle tragiche vicende di tale guerra e delle sofferenze provocate agli ebrei, vedi Abramo di Isacco Massarani, Ha-galut veha-pdut (L”esilio e il riscatto), Venezia 1634. Per la traduzione italiana dell’opera del Massarani, vedi Calò, G., La Cronaca mantovana di Abramo Massarani, in  RMI  XII (1938), pp. 363-377.

[24] Simonsohn, S., Mantua,  p. 66.

[25] Simonsohn, S., Mantua, p. 140.

[26] AGM, Libri dei decreti, LVII, p. 330, 3 settembre 1647, citato in Colorni, V., Ebrei a Sermide, p. 421, nota 74. Cfr. Simonsohn,  S., Mantua, p. 240.

[27] Archivio della Comunità israelitica di Mantova (d’ora innanzi Arch. Isr.), Libro Am, f. 93, cap. II, citato in Colorni, V., Ebrei a Sermide,  p. 422, nota 76; cfr. Simonsohn, S., Mantua, p. 134.

[28] Arch. Isr., Filza 41, doc. 5, 16  febbraio 1676, citato in  Simonsohn, S., Mantua,  p. 72, nota 226.

[29] Arch. Isr., Filza 42, doc. 25(5-6), 1678, lettere di S. e Luzzara a Mantova per l’aiuto ai poveri, citato ibidem.

[30] AGM, S.III.I., Busta 3390, citato ivi, p. 423, nota 77.

[31] Colorni, V., Ebrei a Sermide, p. 424.

[32] In seguito alle lamentele degli ebrei di S., l’Inquisitore, nel 1743, rese noto che l’età minima stabilita per le donne cristiane a servizio dagli ebrei era 28 anni (Arc. Isr., Filza 112, n.4, 27 dicembre 1743, citato ivi, p. 425, nota 86). Sui provvedimenti  restrittivi, le reazioni ebraiche l’ammorbidirsi della linea tenuta dall’Inquisitore cfr. Simonsohn, S., Mantua, p. 161.

[33] Arch. Isr.,  Filza 105, n. 31, 28 novembre 1740, citato in Colorni, V., Ebrei a Sermide,  p. 424, nota 84. Poco dopo, l’Inquisitore stabilì che fosse di sua spettanza (e non del Vicario) la concessione di servirsi di cristiani durante il sabato. Ivi, p. 425, nota 85.  

[34] Arch.Isr. , Filza 129, n. 17,  28 dicembre 1752; Arch. Isr., Filza 132, n. 28, 17 marzo 1754, citati ivi, p. 425, nota 87. Cfr. Simonsohn, S., Mantua , p. 90, nota 284.

[35]  Colorni, V., Ebrei a Sermide, p. 425.

[36] Ibidem.

[37] Ibidem.

[38] Arch.Isr., Filza 187, nota 34 arch. Isr., Filza 225, nota 43, citato ivi, p. 426, nota 92; Simonsohn,  S., Mantua, p. 158.

[39] Simonsohn, S., Mantua, p.497.

[40] Da un documento del 1532 si apprende che il Duca aveva concesso agli ebrei di S. l’acquisto illimitato di sale, in cambio del pagamento di 30 ducati. Da un documento del 1587, si apprende del permesso di vendere panni a S. concesso a Raffael Vigevano; nel 1593, Mosè Vita ricevette analogo permesso  (Simonsohn, S., Mantua, p. 260; p. 267; p. 270).

[41] Simonsohn, S., Mantua, p. 294.

[42] Arch. Isr.,  Filza 214, n. 9, citato in  Colorni, V., Ebrei a Sermide, p. 423, nota 80.

[43] Ivi, pp. 423-424.

[44] Il documento in questione è l’annotazione  scritta in un codice del 1486, copiato per Shemuel da Pola, in cui un ignoto prometteva di fronte a quattro testimoni ebrei di non giocare più d’azzardo per dieci anni, fatta eccezione per il gioco “delle tavole”. I quattro capifamiglia (come già riferito altrove nella presente voce) erano, oltre a Shemule da Pola, Yequtiel bar Ghershom Ashkenazi, David da S. e Yitzhaq da Ceva. Margaliouth, G., Catalogue, I, cod. 95, p. 73.

[45] Colorni, V., Ebrei a Sermide p. 427; Simonsohn, S., Mantua, p. 192.

[46] Arch. Isr., Filza 67, doc. 19, 2 giugno 1711, citato in Simonsohn, S., Mantua, p. 193,  nota 14.

[47] Arch. Isr., Filza 151, doc. 14, 1764, citato in Simonsohn, S., Mantua, p. 194.

[48] Colorni, V., Ebrei a Sermide, p. 421.

[49] Ivi, p. 427, nota 103.

[50] Simonsohn, S., Mantua, p. 570, nota 213.

[51] Colorni, V., Ebrei a Sermide, p. 420.

[52] Ivi, p. 420; p. 429, nota 108.  Il Colorni ha ritenuto che la prima attestazione dell’esistenza di una sinagoga a S. fosse il documento del 1598, ma il Simonsohn ha messo in luce che la documentazione relativa alla sinagoga risale all’inizio del XVI secolo (vedi nota 50) . Nel 1541 Vitale Finzi ottenne licenza dalla Camera Apostolica di fare delle alterazioni nella sinagoga posta in casa sua e di celebrare delle preghiere ivi come nel passato. Simonsohn, S., Apostolic See, doc. 2051.

[53] Colorni, V., Ebrei a Sermide, p. 421.

[54] Simonsohn, S., Mantua, p. 574.

[55] Tale Siddur,  appartenuto alla collezione del bibliofilo Giuseppe Almansi, è conservato al British Museum  di Londra. Margaliouth, G., Catalogue, II, cod. n. 622, pp. 214-216.

[56] Margliouth, G., Catalogue., I, cod. n. 95, pp. 72-73.

[57] Rossi, G.B., Mss. Codices hebraici bibliothecae I.B. De-Rossi, cod. 79, p. 41; il De Rossi , fraintendendo l’espressione ebraica “Mi-Pola”,  ha tradotto erroneamente in gratiam Samuelis Maffola”, come rileva il Colorni, V., Ebrei a Sermide, p. 411, nota 15. Per uno sguardo sintetico sull’attività e la vita di Abraham Farissol cfr.  Horodezky, S.A., E.J., alla voce“Farissol, Abraham ben Mordechai” ; Simonsohn, S., Mantua, p. 707.

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