Mantova

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Mantova

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Mantova (מנטובה)

Capoluogo di provincia. Situata a 20 metri sul livello del mare, nella bassa Pianura Padana, è circondata da tre lati dal Mincio, che forma in questo punto un vasto lago, diviso in tre sezioni da ponti-dighe, denominate Lago Superiore, Lago di Mezzo e Lago Inferiore. Chiamata anticamente Mantua e di probabile fondazione etrusca, fu poi colonia romana (III secolo a.C.). Dopo essere stata data in contea ai Canossa nel 977, M. fu libero Comune e sottomessa in seguito alla signoria dei Bonacolsi nell’ultimo quarto del XIII secolo, passò, durante il primo trentennio del successivo (1328), ai Gonzaga. Questi ultimi, all’inizio del loro dominio, governarono come “capitani” della città, ricevendo dagli imperatori il rango di vicarii, mentre, dal 1433, governarono con il titolo marchionale e, dal 1530, con quello ducale sul piccolo stato che aveva a M. la capitale. 

Dal 1632 M. fu sotto il dominio del ramo collaterale dei Gonzaga di Nevers che la tennero fino al 1708, quando fu annessa all’Austria.  

Durante la prima campagna napoleonica, M. fu assediata nel 1796, capitolando nel febbraio del 1797.

La prima attestazione documentata della presenza ebraica a M.[1] risale al 1145, quando Avraham ibn Ezra vi sostò per un periodo, componendovi l’opera  Sefer Tzahut, attinente alla grammatica ebraica[2],

Nella seconda metà del XII secolo o all’inizio del successivo, è ricordato uno Shemuel da M.[3] e, successivamente, in un responsum di Yitzhaq da Vienna si accenna alla questione, sorta nel 1239 a proposito della validità di un matrimonio, per la quale vennero chiamati testimoni a M., Verona, Ferrara e Cividale del Friuli[4], evidentemente sedi, all’epoca, delle principali comunità ebraiche dell’Italia settentrionale. 

Agli inizi del XIII secolo si riferisce, poi, la testimonianza offerta da un responsum di Meir da Rottenburg, in cui si parla di studenti ebrei di M., che frequentavano le scuole dei glossatori del Talmud in Germania[5].

L’ultima attestazione della presenza ebraica nel XIII secolo è del 1279 e si riferisce ad alcuni ebrei della diocesi di M., che, al pari di altri delle diocesi di Aquileia, Castello (cioè, Venezia) e Ferrara, dopo essersi convertiti al cristianesimo, erano tornati alla religione dei padri[6]

Non ci sono giunte notizie relativamente al periodo che va dalla seconda metà del XIII secolo sino all’ultimo ventennio del XIV: si presume, pertanto, che i pochi mercanti ebrei presenti in città ne fossero stati espulsi o l’avessero abbandonata in seguito all’aggravarsi degli atteggiamenti antiebraici ricorrenti, all’epoca, nell’Italia settentrionale[7].

Ritroviamo documenti relativi alla presenza ebraica a M. durante gli anni Ottanta del ‘300, quando cominciarono ad essere attivi nella città i primi feneratori d’origine italiana, seguiti, all’inizio del secolo successivo, da quelli d’origine tedesca e francese[8].

Nel 1384 o 1389 fu fondata così a M. la prima società feneratizia, capeggiata da Abramo di Bonaventura (Meshullam) da Forlì[9], il quale, nel 1390, ne fondò una seconda, il cui centro d’attività avrebbe dovuto essere Verona[10]. Nello stesso anno, Abramo entrò poi in una terza e più grande società con quattro banchi, operanti in prossimità dell’area mantovana, di cui uno di proprietà di Emanuele (Menahem) di Genatano (Yonatan) o Natan da Norcia (Norsa), uno dei capostiti della estesa famiglia Norsa, diramatasi dall’Umbria nell’Italia centrale e settentrionale[11]

Abramo di Bonaventura da Forlì fu anche il rappresentante della società della città, dove si era insediato con la famiglia e con tutto l’entourage che lo coadiuvava nell’attività di banco[12]: il nucleo familiare di Abramo costituì il fulcro dell’insediamento ebraico mantovano, che si era ricostituito alla fine del XIV secolo[13].          

Nel 1398 venivano, inoltre, menzionati come feneratori a M. svariati ebrei provenienti dall’Italia centrale[14], mentre risale a qualche anno dopo (1401) la prima dispensa papale per autorizzare il prestito in città, richiesta a Bonifacio IX da Francesco Gonzaga, mosso dal grande  bisogno economico della popolazione.

Nel 1404 Ruprecht, “re dei Romani”, concesse poi al Gonzaga, suo vicario, di far venire ebrei a M., accordandogli pieni poteri su di loro: poco più tardi (1405) erano, dunque, attestati altri banchieri nella località[15].

Cinque anni dopo, furono autorizzati a fenerare per dieci anni alcuni israeliti d’origine tedesca[16], mentre nel 1412 giunse a M. il primo mercante di panni, Benedetto (Barukh) di Yosef da Norimberga, dando l’avvio a quella nutrita presenza di commercianti e artigiani ebrei che caratterizzo poi la Comunità mantovana[17].

In seguito al sinodo rabbinico di Forlì (1418), venne presentata una richiesta al pontefice per tutelare e consolidare i diritti ebraici: una delegazione venne inviata a M. a Martino V, che, nel 1419, pubblicò una bolla in favore degli ebrei[18].

I privilegi concessi ai primi titolari di banco a M. comprendevano la libertà di culto e la parità di trattamento rispetto agli altri cittadini, per la durata della condotta, nonché l’esenzione dalle tasse, esclusa la somma da corrispondere per il diritto di fenerare[19].

Sino all’ascesa del marchese Ludovico al trono dello Stato mantovano (1444) i prestatori attivi a M. erano, principalmente, i membri delle famiglie Norsa e Finzi e gli eredi di Calimano (Kalman) di Consiglio, d’origine tedesca[20]. Ludovico, dopo averne confermato il privilegio[21], stipulò un contratto, simile al privilegio del 1444, con altri feneratori[22].

Nel 1447 il vescovo di Mantova, seguendo le direttive antiebraiche di Nicola V e del francescano Giovanni da Capistrano (acerrimo nemico degli israeliti), scomunicò il marchese Ludovico per aver permesso agli ebrei di stabilirsi a M. e di prestare. Grazie all’intervento della moglie di Ludovico, Barbara del Brandenburgo, presso la Santa Sede, il marchese ottenne una dispensa papale per continuare a permettere il prestito ebraico nel proprio Stato e, pertanto, nel 1453 ricevettero il permesso di fenerare due ebrei mantovani[23].   

L’anno successivo, altri sette contratti feneratizi  –  i più particolareggiati che ci restano a M. per il XV secolo – furono firmati dal marchese Ludovico, che giustificava la concessione del privilegio sulla base del pubblico beneficio e degli introiti che venivano all’erario dalle tasse annuali e dalla tassa speciale pagate dai prestatori[24].

L’attività feneratizia venne proibita, dal 1462 al 1466, in seguito a motivazioni di ordine religioso, superate, poi, sulla base di considerazioni economiche[25]: dopo la revoca del divieto, furono attivi nel prestito membri delle famiglie Norsa e Finzi, cui si aggiunsero, più tardi, i da Revere[26].

Tumulti antiebraici, fomentatidalla Chiesa con l’appoggio dei concorrenti commerciali degli ebrei, si susseguirono nel XV secolo e, in particolare, nell’ultimo ventennio: tuttavia, il primo proclama emesso da un Gonzaga  in difesa degli ebrei di M. risaliva già al 1435[27].

Nel 1478 vi fu anche un’accusa di omicidio rituale, ma il ritrovamento della presunta vittima, sana e salva, evitò che la situazione degenerasse: il marchese Federico, tuttavia, emise un proclama ammonendo la popolazione a non accusare falsamente gli ebrei. Successivamente, il marchese intervenì in favore degli israeliti anche nei disordini antiebraici scoppiati nel periodo pasquale[28].

In seguito all’infiammata predicazione di Bernardino da Feltre contro l’attività feneratizia ebraica a M., venne fondato un Monte di Pietà, nel 1486, senza che ciò,  tuttavia, compromettesse in realtà la continuazione del prestito ebraico[29].

Negli anni Novanta, risultavano aver ricevuto l’autorizzazione a fenerare i Norsa e i Finzi, cui si aggiunsero dei correligionari bolognesi[30].

Nel 1495 il marchese Francesco II firmò un contratto con i banchieri di M. e del territorio, in cui riformulava, con pochi cambiamenti, le clausole del prestito[31].

Nello stesso anno, ebbe luogo un episodio antiebraico di cui fu vittima il ricco feneratore Daniele Norsa. Quest’ultimo (figlio di Leone, uno dei “favoriti” del padre di Francesco Gonzaga), acquistata a M. una casa nella quale si trovava un’immagine della Madonna, ottenne, previo pagamento, la licenza vescovile di rimuoverla, ma, la popolazione, ritenutasi offesa nei propri sentimenti religiosi dal gesto del Norsa, reagì con veemenza. Il marchese Francesco, per festeggiare la vittoria aggiudicatasi contro i Francesi a Fornovo, decise che con il denaro ebraico sarebbero state pagate le spese per il dipinto di una nuova Madonna, ma, complici alcuni religiosi oltranzisti, la situazione degenerò e a Daniele venne confiscata la casa. Al suo posto, venne eretta la chiesa della “Madonna della Vittoria”, con un dipinto del Mantegna, raffigurante la Vergine, pagato dal Norsa. Inoltre, dietro pressioni del clero, venne ordinato per la chiesa anche un altro dipinto in cui figurava, a commemorare il fatto, la famiglia Norsa, sotto un’iscrizione che attestava l’avvenuta punizione dell’”insolenza ebraica”[32].

L’obbligo del segno distintivo, decretato a M. nel XV secolo, divenne un dato di  fatto nel 1496, complice l’atteggiamento antigiudaico che era venuto inasprendosi, soprattutto in seguito alla predicazione a M. del francescano Domenico da Ponzone[33].

Verso la fine del XV secolo, intanto, i mercanti e gli artigiani ebrei stanziatisi a M., formarono un gruppo organizzato, cui il marchese Federico I concesse, nel 1482, il privilegio di praticare i commerci per cinquant’anni: la loro importanza condusse ad un cambiamento nell’atteggiamento del governo che non trattò più con gli ebrei stipulando patti a livello individuale, come era stata la norma con i feneratori, ma cominciò a considerare il gruppo ebraico come un corpo unito da interessi comuni e con una struttura, formalizzata nell’”Università degli Ebrei” all’inizio del Cinquecento[34].  

In questo periodo, inoltre, fu istituito il ruolo di “Commissario degli Ebrei” o “auditore”, che avrebbe giudicato in campo penale e civile[35].

Dopo aver ricevuto sostegno economico dagli ebrei nella guerra contro la Francia (1522), Federico Gonzaga mitigò alcune normative sul prestito e sull’obbligo del segno e nel  privilegio concesso ai feneratori dichiarò, tra l’altro, di non voler permettere a qualsivolglia esponente del clero di procedere a danno dei prestatori e delle loro famiglie, anche nel caso fossero stati sospettati di delitti contro la religione cristiana[36].

Dopo la morte di Federico, nel 1540, gli successe al governo il figlio Francesco I, con la reggenza della madre Margherita e dello zio, il cardinale Ercole Gonzaga: i privilegi ebraici vennero riconfermati, ma con la clausola che fossero puniti quanti trasgredivano l’obbligo del segno. 

Nel 1546 fu rinnovato agli ebrei di M. il privilegio papale, dato dal camerlengo Guido Ascanio Sforza e confermato da Paolo III: le trattative furono condotte per parte ebraico-mantovana dall’intestatario di banco Salomone di Isacco Sarfati (Galli).

Tuttavia, spinta dal danno che avrebbe causato allo Stato l’interesse elevato praticato dai feneratori, ma, soprattutto, mossa da motivi religiosi, Margherita decise di proibire il prestito, nel 1547, sebbene l’urgenza economica ne provocasse presto il ripristino, previo consenso dei domenicani di Brescia consultati in proposito[37].

L’inizio della Controriforma, alla metà del XVI secolo, portò ad un irrigidimento della Chiesa nei confronti degli ebrei, di cui una delle conseguenze fu il rogo del Talmud, decretato nel 1553, ed eseguito anche a M. come in molti altri Stati italiani[38].

Sotto il governo del duca Guglielmo, vi furono alcuni tumulti antiebraici, ad esempio, in occasione delle sue nozze con Eleonora d’Austria, nel 1561, e, l’anno successivo, alla nascita del figlio della coppia ducale, Vincenzo. In ambedue le occasioni, la popolazione assaltò le case ebraiche e gli archivi cittadini, distruggendo importanti documenti e contratti creditizi. Il duca Guglielmo fece difendere gli ebrei dalle truppe e giustiziare alcuni rivoltosi, ricompensandosi ampiamente con il denaro ebraico[39].   

Negli anni Sessanta, sullo sfondo della divisione tra italiani e askenaziti, scoppiò la lunga controversia per il divorzio Tamari-Venturozzo, rimasta famosa per la grande partecipazione di rabbini cui diede adito e per il tentativo di coinvolgimento delle autorità civili nella vicenda[40].

In seguito alla visita a M. di un emissario di Gregorio XIII, nel 1576, il duca Guglielmo, ossequiente alla Chiesa, decise di far applicare tutti i provvedimenti della bolla Cum nimis absurdum, salvo quattro, che, non aggiungendo nulla alle norme già vigenti, erano superflui[41]. Inoltre, il duca favorì l’attività dell’Inquisizione a M. e fece arrivare i gesuiti nel suo Stato, finanziandone l’alloggiamento con il denaro ebraico[42]. La moglie di Guglielmo fondò a M. una Casa dei catecumeni e, a quanto pare, all’epoca si verificarono casi di conversioni forzate e battesimi di minori senza l’assenso dei genitori[43]

All’inizio degli anni Settanta, tuttavia, svariati ebrei espulsi dal territorio della Chiesa e da Venezia trovarono rifugio a M., come, alla fine del secolo, fecero anche i correligionari espulsi dal ducato di Milano[44].

La peste, che infuriò a M. nel 1575, fece moltissime vittime anche tra gli ebrei[45].   

Nel 1587 Vincenzo I Gonzaga successe al padre al governo di M[46] e riconfermò i privilegi ebraici, avendo tra i suoi favoriti anche Yosef da Fano[47]. Durante il governo del duca Vincenzo, aumentarono però le prediche anti-ebraiche, la censura si fece più rigorosa, l’immigrazione venne limitata e la situazione degli ebrei in generale peggiorò, sia sul piano sociale che civile[48]

Nel 1600 alla presenza della coppia ducale e di molto popolo, venne bruciata viva l’ebrea  Giuditta Franchetta, di 77 anni, accusata di essere una strega[49].

Due anni più tardi, Bartolomeo Cambi da Solutio, un francescano in fama di “santo” e decisamente avverso agli ebrei, venne a predicare a M., perorando, tra l’altro, la causa dell’istituzione di un ghetto. Secondo i cronisti cristiani, alcuni ebrei avrebbero allora inscenato nella sinagoga una parodia della predica del frate e si sarebbero fatti beffe di Gesù: risaputasi la cosa, molti vennero imprigionati e sette furono impiccati[50], mentre le loro famiglie venivano messe al bando: solo la minaccia di punizioni esemplari  da parte del duca tratteneva la popolazione dal massacrare tutto il nucleo ebraico cittadino[51].

Nella seconda metà del 1602, il duca Vincenzo decise l’istituzione del ghetto a M., in ottemperanza alle ripetute richieste papali: tuttavia, il progetto fu messo in atto solo otto anni più tardi, venendo ultimato in circa due anni[52]

Nella prima decade del XVII secolo, il duca pubblicò poi svariati editti informati alla legislazione pontificia contro gli ebrei, nei quali compariva la proibizione del possesso di terreni e si facevano concessioni solo in pochi casi, come per la possibilità di servirsi di personale cristiano per accendere il fuoco di sabato[53].

Alla morte del duca Vincenzo gli successe il figlio Francesco II, che prese provvedimenti per difendere gli israeliti dagli assalti della popolazione, in particolare, in occasione della nascita dei suoi due figli (1609 e 1611)[54].

Morto Francesco II  (1612) e, poco dopo, morto anche l’erede Ludovico, andò al governo dello Stato mantovano il cardinale Ferdinando (fratello di Francesco), che confermò i privilegi ebraici nel 1613[55] e nel 1615, pretendendo, tuttavia, il pagamento anticipato delle tasse per il rinnovo, nel 1623, dietro minaccia di espulsione[56]

Morto Ferdinando, il potere andò nel 1626 al fratello Vincenzo II, che fu l’ultimo rampollo del ramo principale dei Gonzaga[57].

La morte di Vincenzo II, l’anno successivo, diede origine alla lotta per la successione mantovana[58]: nel 1628 Carlo di Nevers giunse a M. e riconfermò i privilegi ebraici.  

La guerra di successione, iniziata nello stesso anno (1628) colpì economicamente gli ebrei locali, che vennero bloccati nei loro affari nello stato di Milano, costretti a prestare soldi al duca e a contribuire alle spese di fortificazione e di approvvigionamento delle scorte alimentari[59].

Quando la situazione bellica precipitò, portando all’assedio di M., sopraggiunse la peste, che mietè molte vittime anche tra gli israeliti. Cessata l’epidemia, le truppe tedesche presero la città, dando luogo al famigerato “sacco”, che portò, anzitutto, al depredamento del ghetto, con il conseguente furto di ingenti somme di denaro dai banchi[60]. Poco prima della fine di luglio, i conquistatori imposero agli ebrei di lasciare, entro tre giorni, la città e gli averi, salvo tre ducati pro capite. Poco dopo, un ufficiale tedesco saccheggiò il Monte di Pietà e un ebreo, ritenuto complice, venne impiccato dagli stessi tedeschi.

Il 31 luglio gli ebrei abbandonarono M., divisi in due gruppi: uno, di seicento persone, si avviò verso S. Martino dell’Argine, nel territorio del duca di Bozzolo, mentre l’altro, di mille persone, navigò lungo il Po, nell’intento di raggiungere le Comunità vicine. Gli ebrei del secondo gruppo di esuli furono particolarmente provati, subendo gli assalti di briganti e l’esosità dei sudditi del duca di Mirandola, nonché del duca stesso, che li aveva “ospitati” nelle sue terre: in loro soccorso vennero allora i correligionari di Ferrara e di altre Comunità.

Grazie all’intercessione di alcuni (tra cui il cronista degli eventi, Abramo Massarani), l’Imperatore concesse il ritorno degli esuli a M. e, negoziata la pace, il duca Carlo tornò nel mantovano, fissando la residenza a Goito: anche gli ebrei, alla fine del 1630,  tornarono a M., dove constatarono la perdita di tutte le loro proprietà, che erano state saccheggiate, distrutte o vendute ad alcuni mercanti milanesi.

Prima di evacuare la città, nel 1631, i Tedeschi presero ostaggi cristiani ed ebrei, rilasciandoli dopo il pagamento di una cospicua cifra, che i secondi dovettero prendere in prestito[61].

Durante tutto quello stesso anno però gli Eerei si adoperarono per riorganizzare la vita comunitaria e le stremate finanze, mentre le autorità pretendevano il pagamento per il rinnovo dei privilegi e per la “revoca dell’espulsione”[62].

Morto Carlo di Nevers (1637), gli successe il duca Carlo II[63], sotto il cui governo riprese la guerra tra la Francia e l’Impero austriaco. Carlo si schierò con l’Austria, mentre il duca di Modena, alla testa delle truppe francesi in Lombardia, invadeva il ducato di M.: tale situazione ricadde finanziariamente sugli ebrei della città, cui Carlo impose un esborso forzoso per difenderla nel 1658[64].

L’erede di Carlo II, il duca Ferdinando Carlo, salito al potere nel 1669, continuò, a propria volta, a spremere economicamente gli ebrei mantovani, sino alla fine del suo controverso dominio nel 1707[65].

Con il trattato del 1707 tra Francia e Austria, M. passò poi sotto il dominio austriaco ed il periodo seguente al ritorno degli esuli ebrei fu contrassegnato dai tentativi conversionistici della Chiesa e dall’applicazione rigorosa delle disposizioni papali antiebraiche: non mancarono neppure le calunnie e l’attuazione di vari mezzi di convincimento, ma, fonti cristiane attestano il generale rifiuto della conversione[66].

Dopo il loro ingresso a M., gli Austriaci confermarono i privilegi ebraici[67], promettendo sia di non imporre una tassazione straordinaria sia altre facilitazioni[68]: tuttavia, nonostante tali premesse, l’occupazione austriaca mise a dura prova le finanze ebraiche, dal momento che esse finanziarono con tasse e prestiti parte delle spese per l’intervento austriaco nella guerra veneto-turca (1715)[69]. Anche successivamente, inoltre, gli ebrei  furono costretti a sborsare denaro in occasione di svariate minacce belliche. Nonostante ciò, la Comunità dichiarò fedeltà all’Imperatore, rinunciando all’opportunità di godere degli ampi privilegi offerti, nel 1740, da Carlo,re delle Due Sicilie, che desiderava attirare gli israeliti nelle sue terre[70]

Le imprese belliche austriache, dalla Guerra dei Sette Anni (la Terza Guerra di Slesia) a quella austro-russa contro la Turchia (1787-92), furono accompagnate dagli esborsi e dalle preghiere propiziatrici degli ebrei mantovani[71].    

Ma non fu solo il lato economico a turbare la vita degli ebrei, che fu al contrario segnata da due infausti eventi: nel 1768, un incendio, divampato in una casa del ghetto, si propagò intorno, provocando la rovina di diverse abitazioni (tanto che più di cento rimasero senza tetto) e nel 1776, in occasione della celebrazione di tre matrimoni, con uno straordinario afflusso di ospiti (dato che due delle spose non erano di M.), il pavimento della casa in cui si erano radunati gli invitati crollò, provocando la morte di 65 persone e il ferimento di molte altre[72].

Nel  corso del XVIII secolo svariati furono gli episodi di ostilità contro gli ebrei, corroborati dalla pubblicistica antiebraica[73]. Quello più grave si ebbe nel 1754, complice l’introduzione a M. dell’opera che godette di maggior popolarità, intitolata La Gnora Luna, che provocò, nell’arco di una decina di giorni, ripetuti e violenti tumulti, sedati a fatica dalla forza pubblica, coadiuvata dall’intervento delle truppe. In memoria dello scampato pericolo, venne indetto dalla Comunità ebraica un “Giorno di rimembranza”, che fu osservato almeno sino al 1771[74].

Nel 1772 venne ufficialmente abolito il “Commissario sugli Ebrei” e negli anni seguenti vennero aboliti i provvedimenti discriminatori, come l’obbligo del segno[75], la proibizione di acquistare immobili e affittare terre coltivabili e di curare pazienti cristiani. D’altro canto, furono aboliti anche alcuni dei tradizionali diritti ebraici, come l’esenzione dal servizio militare e l’indulgenza in caso di acquisto di refurtiva[76].

Leopoldo II, riconfermati nel 1791 i privilegi ebraici, ripristinò però alcuni diritti, eliminati dal suo predecessore[77].

Durante gli ultimi decenni del XVIII secolo, M. fu teatro del dibattito sulla riforma dello status degli ebrei, che vedeva scontrarsi posizioni pro e anti-ebraiche[78].

All’inizio del 1797, M. venne conquistata dalle truppe francesi e, poco dopo, la Comunità ebraica, tenendo conto di quanto fossero inveterati i pregiudizi a suo carico,  pregò il comandante francese di non di non abbattere le porte del ghetto, che, del resto, fu abolito solo un anno dopo l’ingresso francese in città[79]

Vita comunitaria

Il termine “Università degli Ebrei” per designare la totalità degli israeliti mantovani fu usato, per la prima volta, nel privilegio concesso da Federico II, nel 1511, suggellando il cambiamento socio-demografico iniziato nel secolo precedente. Alla “Università” o Comunità ebraica venne affidata la tassazione del ducato, secondo il computo fatto da una commissione (eletta dagli stessi ebrei), composta da tre membri che rappresentavano i titolari di banco della capitale e dell’area mantovana e coloro che non erano attivi nel prestito. Pertanto, questi ultimi, mentre veniva meno l’egemonia dei feneratori, iniziarono a contribuire al pagamento delle tasse, acquistando, d’altro canto, una considerevole rappresentanza nella leadership comunitaria[80].

L’autorità suprema risiedeva nell’Assemblea generale[81], cui partecipavano i capifamiglia contribuenti[82] e che (all’inizio del XVII secolo) si riuniva ogni tre o cinque anni, principalmente per approvare il regolamento per la tassazione e le disposizioni suntuarie (pragmatica). All’Assemblea generale (Vaad klali) erano subordinate le altre due istituzioni autoritative o Consigli, suddivisi in maggiore e minore (Vaad gadol; Vaad qatan)[83]. I funzionari che avevano il compito esecutivo delle direttive comunitarie erano i tre massari, eletti tra i dirigenti ed in carica per un anno[84].

L’espansione delle attività comunitarie portò alla creazioni di svariati comitati, permanenti e non, che esercitavano varie funzioni relative alle istituzioni (amministrative, assistenziali o altre )[85].

Nel 1706-7 la tassazione interna dei membri della Comunità passò dal precedente sistema dei ripartitori delle imposte (che stabilivano la quota di tasse) a quello della Cassella (in cui il contribuente fissava la propria quota e la versava nel contenitore apposito o “cassella”). Erano preposti a quest’ultimo tipo di tassazione i “deputati alla Cassella”, con il compito di vigilare che ogni singolo contribuente  versasse la propria quota, formata dall’ 1,5% all’anno sul proprio capitale e dal 2,5% sui redditi[86].

Un tribunale rabbinico dell’Accademia rabbinica mantovana (Yeshivah) amministrava  la giustizia e la connessione tra le istituzioni elettive e amministrative e l’istituzione giudiziaria si fece più stretta con il passare del tempo, portando alla ratificazione comunitaria delle nomine alla carica di giudice (dayan), sebbene il sistema legale rimanesse autonomo nel suo agire. Tra i mezzi coercitivi a disposizione della corte rabbinica vi era un equivalente ebraico della scomunica (herem), che rimase in vigore sino al XVIII secolo[87].

L’autonomia giuridica ebraica, di cui godette la Comunità mantovana rispetto alle cause civili, nel XVII secolo, trova l’equivalente solo nella “Livornina” del 1593[88]. Dopo un lungo esperimento di arbitrato obbligatorio, un foro civile ebraico fu posto in essere a M. dalla seconda metà del Seicento. L’ordinamento giuridico atto a tutelare l’autonomia ebraica, noto come Shuda de dayyane’, formulato dal rabbino Mosè Zacut, fu stampato nel 1676 e l’autonomia giuridica ebraica era ancora in vigore dopo l’ingresso delle truppe napoleoniche[89].           

Dalla fine del XVI secolo furono compilate svariate disposizioni suntuarie[90] e, dopo l’istituzione del ghetto, fu pubblicato dalla Comunità un Odinamento del ghetto. Inoltre, vennero emanate, di tanto in tanto, svariate disposizioni ad hoc[91].

La Comunità di M. si adoperò anche per quelle del mantovano, esercitando un controllo crescente a partire dalla fine del XVII secolo[92], e mantenne saldi legami con le altre Comunità italiane ed estere ( ivi compresa, in primis, quella della Terrasanta), rispondendo anche alle richieste di soccorso[93].   

Le confraternite, molto numerose a M., si occupavano dei vari aspetti dell’assistenza sociale e dell’educazione ebraica. La confraternita più antica era la Gemilut hasadim, fondata all’inizio del XVI secolo, che provvedeva alle sepolture[94]. Come questa anche altre erano state inizialmente parte dei comitati assistenziali comunitari:  la Talmud Torah per l’educazione religiosa, la Pidyon Shevuyim per  il riscatto dei prigionieri, la Aniye’ Eretz Israel per i poveri della Palestina, la Parnasat aniyim per il mantenimento dei poveri, la Lehassi betulot per fornire di dote le fanciulle indigenti.

Tra le associazioni a carattere non specificamente assistenziale, la prima fu la Shomrim la-boqer (Custodi del mattino), fondata alla finedel XVI secolo o all’inizio del successivo, i cui membri si dedicavano a preghiere penitenziali prima dell’alba[95].    

Probabilmente la confraternita con maggiori membri fu la Biqur holim per la visita agli ammalati[96].

Attività economiche

Gli ebrei che, tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo, si stabilirono a M. erano attivi nel prestito.

I banchi ebraici a M., nel 1413,  erano cinque, mentre, nel 1428, erano otto, in mano ad  undici famiglie[97].

Il tasso di interesse richiesto era inizialmente del 20-25%, sia per la capitale che per il Mantovano ed anche verso la fine del XV secolo esso restò al 25%[98].

Nel 1511 vi erano sette banchi a M. e dieci nel 1520. Nel 1532 il loro numero fu abbassato a quattro, ma, ben presto, le autorità concessero l’apertura di altri esercizi. Il tasso feneratizio, nel periodo precedente il 1532, era del 30% per i locali e del 40% per i forestieri, mentre nel 1540 fu riportato al 25% [99]. 

Nel 1547 fu proibita l’attività di prestito, che fu permessa nuovamente solo dieci anni più tardi, con l’interesse del 17,5  %[100]

Nel 1577 vi erano otto banchi ebraici a M., che prestavano al 17,5 %[101], mentre nel 1567era stato istituito un banco per i poveri che doveva prestare al 15%, abolito all fine del secolo e ripristinato all’inizio del successivo[102].

Nel 1605 vi erano sei banchi a M. e tali sarebbero rimasti nel 1626[103]

Dopo la guerra di successione, l’attività riprese dietro richiesta ducale e, con il tempo, il prestito tornò ad essere redditizio per i feneratori. I banchi, sotto Carlo I, furono due, mentre sotto Carlo II se ne aggiunse un terzo[104].

Durante gli anni 1639-1656, i banchi erano otto[105].

Sotto il dominio austriaco, l’attività creditizia ebraica fu in continuo declino: nel 1728 sei ebrei vi erano impegnati e, sebbene dagli anni Settanta del secolo le autorità avessero deciso di eliminare il prestito ebraico, esso continuò, sino all’ingresso dei francesi nella città, al tasso del 6% e con quattro banchi[106].

Sin dal XV secolo, però, gli israeliti erano anche attivi nel commercio, soprattutto dei panni usati (strazzaria) e nuovi ( di lana e di seta) e nel  commercio e manifattura dei gioielli. Nel corso degli anni, essi estesero poi le attività commerciali, soprattutto nel settore delle granaglie e delle derrate alimentari[107]

Demografia

Non ci è noto quanti fossero gli ebrei a M. nel XII e XIII secolo, ma si presume che non superassero la ventina. Alla fine del  XIV secolo, il loro numero rimase stabile, aumentando fin verso la fine del secolo successivo, quando, in assenza di rilievi statistici precisi, si può ipotizzare che vi fossero tra i 150 e i 200 individui[108]

Nel 1587 vi erano 960 ebrei, mentre, alla fine del secolo, essi erano considerevolmente aumentati, grazie agli esuli da altri Stati, raggiungendo, presumibilmente, la cifra di più di 2.000 persone[109].

Nel 1612 gli ebrei mantovani erano ben 2.325, suddivisi in 480 famiglie[110] e, alla vigilia della guerra di successione mantovana (1630), costituivano circa il 5% della popolazione cittadina, raggiungendo le 2.500-3.000 persone[111]. Dopo la presa di M. da parte delle truppe tedesche, il numero degli ebrei cacciati dalla città oscillava tra i 1.600 e le 1.800 ed alcune centinaia, se non mille, sarebbero stati i morti durante l’assedio e la peste. Gli ebrei ritornati in seguito in città furono circa 1.000[112].

Da un documento del 1643 risulta che gli israeliti erano allora 1.100 e che 130 erano le famiglie indigenti. In seguito, la popolazione ebraica aumentò, sino a raggiungere, nel 1702, il numero di 1.758 anime. Nel 1711 vi erano 335 nuclei familiari, per un totale di circa 1.800 persone[113], salite nel 1764 a 2.114[114].

Nel 1772-3, vi erano 2.153 ebrei a M., che costituivano più dell’8% della popolazione cittadina e, l’anno seguente, il loro numero salì a 2.183 per 363 famiglie.

Nel 1796-97, infine, a M. vi erano 1.908 ebrei[115].

Ghetto

Nel corso degli anni, la maggior parte degli ebrei di M. aveva scelto di concentrarsi in una zona della città chiamata, nei documenti dell’inizio del XVI secolo, “Via degli Ebrei”[116].

Nel 1610 divenne operativa la decisione del 1602 di istituire un ghetto, le cui spese di realizzazione avrebbero dovuto essere sostenute dagli stessi ebrei.

Dal 1612 al 1630 il ghetto occupò una vasta area del centro cittadino, confinante ad est con la piazza del mercato e vicina al Palazzo della Ragione, dove fu collocato il portone principale, che conduceva dalla piazza più importante del ghetto (Piazza dell’Aglio), al mercato più grande, in piazza Erbe. A nord , il ghetto confinava con il Monte di Pietà, ad ovest con l’attuale via Pomponazzi e a sud con la via Magnani (poi, via Calvi). Si accedeva ad esso tramite quattro portoni  e tre porte[117].

Nel 1634, dopo il rientro degli esuli, l’area del ghetto venne ridotta e, tra l’altro, risultò che la zone in cui sorgeva la Sinagoga Grande era fuori dei nuovi confini, per cui essa venne trasferita altrove[118].

Sinagoghe

Già dalla fine del XIV secolo, Abramo da Forlì adibì parte della propria dimora, in via del Cammello, a oratorio e, in seguito, anche altri feneratori ebbero oratori o sinagoghe private nelle proprie abitazioni[119].

All’inizio del XVI secolo, alcuni titolari di banco, tra cui ad esempio Daniele Norsa nel 1510 ricevettero il permesso di stabilire luoghi di culto nelle proprie abitazioni.

Nel 1513 venne fondata nella casa di Mosè di Nataniel Norsa la “sinagoga Norsa”, di rito italiano, che sussistette sino al XX secolo. Nel 1525 il Marchese Federico confermò al proprio medico curante, Abramo di Beniamino Portaleone, il permesso, concessogli da Clemente VII, di tenere un oratorio in casa.

La  Sinagoga Grande, che divenne il centro della vita religiosa e comunitaria di M., anch’essa di rito italiano, fu fondata nel 1529, nella casa posta in Contrada del Grifone, che la Comunità ebraica acquistò da Isacco da Senigallia, che si era stabilito a La Volta, per gestirvi un banco feneratizio. Nel 1542 la Comunità fece ingrandire la sinagoga, erigendo un ulteriore edificio nel cortile.

In quegli anni, anche una sinagoga di rito tedesco fu istituita, previa dispensa papale (1530) e conferma marchionale (1540) concessa a Isacco Porto, per cui prese il nome di “Sinagoga Porto” con il quale restò in attività fino all’inizio del Novecento.  

Nel corso del XVI secolo furono fondate altre sinagoghe: la “Sinagoga Ostiglia” (1558) e la “Sinagoga Beccaria”(1595) erano di rito tedesco, mentre altre quattro erano di rito italiano[120]

All’inizio del XVII secolo, a M. furono fondati quattro oratori.

Dopo le vicende del 1630, furono restaurate la Sinagoga Grande (trasferita, con permesso papale, nel palazzo della marchesa Felicita Gonzaga, affittato alla Comunità già nel 1610) e le sinagoghe “Cases”, “Norsa”, “Beccaria” e “Ostiglia”. La “Sinagoga Porto”, bruciata nel 1610, fu ricostruita nel 1645[121].

Cimitero

Il primo cimitero ebraico fu istituito nel 1420, quando Abramo da Forlì acquistò allo scopo un terreno, che, rivelatosi di dimensioni troppo esigue, fu sostituito con un nuovo appezzamento di terra, in località Gredario-Gradaro, in prossimità della Piazzetta della Croce. La relativa autorizzazione fu concessa a Dattilo detto Bonvinus di Samuele di Francia[122]. All’inizio del XVI secolo, i titolari di banco Isacco e Mosè Norsa comprarono un terreno in Contrada della Nave, per allargare il cimitero precedente. Nel 1521 gli ebrei di M. ricevettero l’autorizzazione ad estendere il proprio cimitero sino alle mura cittadine ed in seguito, Stella, vedova di Nataniel Norsa, acquistò altro terreno per ingrandirlo ulteriormente.

Dalla seconda meta del XVI secolo agli anni Ottanta del XVII, furono acquistati altri lotti di terreno per uso cimiteriale. Alla fine del XVIII secolo, le autorità austriache ordinarono di seppellire i morti fuori città e, pertanto, venne istituito un nuovo cimitero, fuori della Porta S. Giorgio[123].

Dotti, rabbini, personaggi famosi

Tra i numerosi mantovani che ebbero un ruolo di spicco nella cultura ebraica del Rinascimento, troviamo, nel XV secolo, Yehudah di Yehiel, noto come Messer Leon, rabbino, medico e cultore di filosofia, molto versato nelle discipline ebraiche e generali (tra cui la letteratura latina classica), autore di diverse opere in svariati campi (retorica, filosofia, grammatica ebraica, scienza e medicina, sermoni, Halakhah o Legge ebraica, esegesi biblica, poesia ebraica)[124]. Fu rabbino a M. per un periodo, nella seconda metà del secolo, Yosef Colon, d’origine francese, considerato il più autorevole halakhista dell’Italia del tempo, di cui è noto, tra l’altro il conflitto con Messer Leon (seguito dall’espulsione di entrambi), su cui, tuttavia, non è stata trovata documentazione probante[125].

Tra le altre figure di spicco del secolo XV, troviamo Angelo (Mordekhay) Finzi, noto astronomo e matematico, oltre che attivo nel prestito[126], Avraham Conat, medico, copista e uno tra i primi stampatori ebrei[127], nonché il rabbino Barukh da Peschiera (attivo anche nel commercio), autore di un commento parziale alla Guida dei perplessi di Maimonide[128].  Guglielmo Benyamin Portaleone, medico personale di Ferdinando I di Napoli e di Galeazzo Sforza di Milano, tornò nella natia M. verso la metà del XV secolo, dando inizio ad una stirpe di medici attivi in città ed altrove sino al XVIII secolo[129].  

David Reuveni (ha-Reubeni), il noto avventuriero con aspirazioni messianiche, visitò M. nel 1530, ma non riuscì a ottenere sostanziali appoggi né dai governanti né dai correligionari. Due anni più tardi, fu bruciato a M. Salomone Molkho, il marrano portoghese che era tornato all’ebraismo sotto l’influenza del Reuveni e aveva maturato, a propria volta, ambizioni messianiche[130].   

Tra le figure di rilevo del XVI secolo, brilla Azaryah (Bonaiuto) de’ Rossi, nato e morto (c. 1511-c. 1578) a M., ma vissuto, per la maggior parte del tempo, altrove, che fu autore della nota opera Meor Enayim, per cui venne considerato dalle generazioni seguenti il precursore della critica delle fonti della storia ebraica, mentre, all’epoca della pubblicazione a M. (nei primi anni Settanta del secolo), scatenò un’accesa polemica tra gli studiosi[131].

Il rabbino di maggior spicco del XVI secolo, Mosè di Abramo Provenzali, scrisse una critica al Meor Enayim, difendendone, però, l’autore dagli attacchi più veementi, si prodigò per la pubblicazione di testi cabbalistici, scrisse svariate opere (pubblicate e non) e, per alcuni anni, fu il principale leader della Comunità ebraica mantovana, prendendo anche parte attiva nella disputa originata dal controverso divorzio Tamari-Venturozzo[132]

Il rabbino David Provenzali, fratello di Mosè, considerato dai contemporanei il predicatore più notevole dell’epoca, scrisse varie opere (per la maggior parte andate perdute) di argomento ebraico, formulando il progetto per la fondazione di un’università di studi ebraici a M., cui prese parte anche il figlio Abramo, a sua volta rabbino, che fu anche medico ed attivo negli studi ebraici[133].   

Il rabbino Yehudah Provenzali, anch’egli fratello di Mosè, fu uno stimato dotto e poeta[134].

Fu rabbino dal 1587 a M. (morendovi, tre anni più tardi) il noto predicatore Yehudah Aryeh Moscato (Muscato), originario di Osimo, rifugiatosi qui dopo la cacciata degli ebrei dagli Stati della Chiesa (1569): i suoi sermoni furono pubblicati con il titolo Nefutzot Yehudah a Venezia (1589)[135]

Tra gli svariati esegeti biblici mantovani, il più ragguardevole fu il rabbino Yedidyah Salomone Norsa (Norzi), nato e vissuto a M. tra la seconda metà del XVI e l’inizio del XVII secolo, che scrisse un’opera comprendente tutti i libri biblici, pubblicata con il titolo di  Minhat Shai, molto apprezzata anche nei secoli successivi[136].

Abramo Colorni, ingegnere e studioso di varie discipline scientifiche, si distinse per i suoi  progetti di ingegneria militare a M. e in altre corti d’Italia e d’Europa[137].

Tra i rabbini del periodo compreso tra la fine del  XVI e l’inizio del XVII secolo si distinse per l’attività poetica e per gli studi esegetici Hananyah Eliaqim Rieti, membro della prestigiosa famiglia di prestatori attiva in Toscana e nel mantovano[138].

Nella stessa epoca, troviamo anche il rabbino e medico Luliano Shalom Cases, autore di un’opera sulla tassazione a M., Derekh Yesharah (1625), perito nelle tragiche vicende della guerra di successione mantovana[139].

Tra le famiglie che si distinsero in campo culturale, in quel periodo e in seguito, vi furono i Cases[140], i Finzi[141], i Fano[142] ed i Sullam[143].

Nel campo del teatro rinascimentale la partecipazione ebraica raggiunse a M.  proporzioni ineguagliate altrove: si formò una vera e propria compagnia teatrale ebraica che iniziò la propria attività nel 1525, per poi continuare a recitare stabilmente alla corte dei Gonzaga, sino all’inizio del secolo successivo. Nel campo teatrale cinquecentesco spicca la figura di Yehudah de’ Sommi (Sommo) Portaleone, che è ritenuto il maggior autore e regista ebreo dell’epoca ed importante studioso di problemi di tecnica teatrale. Le sue opere furono scritte in italiano, salvo la Tzahut Bedihuta Deqidushin (Commedia del matrimonio), che ha principalmente il merito di essere la prima commedia notaci che sia stata ideata e scritta in ebraico. L’opera più importante di Sommo fu il testo Dialoghi in materia di rappresentazioni sceniche o Trattato sull’Arte Rappresentativa, che è il primo trattato sistematico di arte drammatica e precorre le considerazioni in materia dei contemporanei cristiani[144]

Anche dopo la fine del Rinascimento, gli ebrei mantovani continuarono, sia pure con interruzioni, ad essere attivi nelle rappresentazioni teatrali per la corte ducale, sino alla metà del secolo XVII. Nel secolo XVIII, il teatro non era considerato di buon occhio dal Consiglio comunitario, tuttavia, vi furono alcune rappresentazioni sporadiche, a Purim (il carnevale ebraico)[145].

Tra gli attori ebrei, che ebbero una parte attiva nell’organizzazione delle recite per la corte, è ricordato per il 1615-16 Simone (Shlumiel) Basilea[146].

Accanto all’attività teatrale si era venuta sviluppando, all’inizio del XVI secolo, anche la partecipazione ebraica alla musica. Negli anni Quaranta del secolo, iniziava ad essere menzionato nei documenti mantovani Abramo ha-Levi dall’Arpa, che, tra l’altro, fu maestro di musica dei figli di Ferdinando I d’Austria ed il cui nipote Abramino fu musico alla corte ducale.[147]

Isacco Massarani, oltre a suonare l’arpa e a cantare, insegnò canto e danza, partecipando a vari spettacoli di corte[148]

Il contributo più cospicuo in campo musicale fu, comunque, quello di Salomone de’ Rossi, che è da considerarsi il più grande musicista ebraico dell’epoca, famoso per le sue composizioni ebraiche e non. Salomone de’ Rossi, nato nella seconda metà del XVI secolo e morto negli anni Venti del successivo, godette di particolari privilegi, tra cui l’esenzione dal segno. Anche la sorella del de’ Rossi si distinse nel canto, calcando la scena con successo con il nome d’arte di “Madama Europa”[149].     

Nel XVII secolo anche altri ebrei mantovani si dedicarono alla composizione musicale[150] e  nacque a M. il pittore Shalom d’Italia, che divenne famoso per le sue incisioni in Olanda, luogo da cui tornò, presumibilmente, a M.[151]. Svariati Ebrei mantovani furono impegnati nelle arti decorative, nell’oreficeria e nel mercato delle opere d’arte, dal XV al XVII secolo[152].   

Abramo Massarani, presumibilmente figlio di quell’Isacco menzionato sopra, fu il cronista ebraico degli eventi del 1629-30, descritti nella sua opera Ha-galut ve-ha-pedut pubblicata a Venezia, nel 1634. Egli, inoltre, compose un Lamento sulla distruzione di Gerusalemme e l’espulsione da Mantova[153].

Tra il XVII e il XVIII secolo, troviamo a M. il rabbino, cabbalista ed erudito Aviad Sar-Shalom Basilea, che si dedicò a studi di filosofia, matematica, astronomia e altre scienze e raggiunse notevole fama tra i suoi contemporanei con l’opera Emunat ha-hakhamim, in cui tentava di esaminare il misticismo al lume della logica[154]. All’epoca, si distinse a M. anche il rabbino Yehudah Briel (Brieli), sotto la cui guida si formarono svariati discepoli (tra cui il rabbino Isacco Lampronti), che si impegnò in diversi aspetti degli studi ebraici[155]. Mosè Zacut (Zacuto), rabbino a M. dal 1673 alla morte, nel 1697, e prolifico autore, in particolare nel campo della poesia e della Halakhah, fu la guida spirituale dei cabbalisti italiani della fine del XVII secolo, annoverando tra i suoi discepoli rabbini del calibro di Abramo Rovigo e Beniamino Cohen-Vitale[156].

Tra la fine del secolo XVII e l’inizio del successivo, rivestì la carica di rabbino e di giudice della Yeshivah (accademia rabbinica) di M. Sansone Cohen-Modon, autore di svariate opere poetiche, pubblicate e non, e di manoscritti, anche di argomento legale[157].   

Yaaqov Frances, nato a M., e il fratello Yimanuel, nato a Livorno, entrambi poeti in ebraico furono in fiera polemica contro la Qabbalah e contro il sabbatianesimo, scontrandosi in materia con i contemporanei[158]. L’attrazione esercitata dal sabbatianesimo si era fatta sentire anche a M., ma sembra che la maggior parte dei rabbini dediti agli studi cabbalistici si fossero schierati contro il presunto Messia, dopo la sua apostasia. Comunque, vi sono resoconti sul soggiorno della terza moglie di Shabbetay Tzvi a  M., dove avrebbe condotto vita dissoluta[159].

Nel XVIII secolo, va segnalato, soprattutto per i suoi scritti apologetici dell’ebraismo,  per i suoi sermoni e per il resoconto della sua missione in  Olanda, il rabbino Yaaqov Saraval[160].

Tra la seconda metà del secolo e l’inizio del successivo, si distinse per la poliedrica attività l’oriundo mantovano Samuele Romanelli, autore, tra l’altro, di opere poetiche e teatrali, di una grammatica ebraica e italiana, di traduzioni in ebraico e in italiano e collaboratore del Meassef, il primo periodico della Haskalah o illuminismo ebraico[161]

 

Stampa ebraica

All’incirca nel 1475 fu fondata a M. dal medico e talmudista Avraham Conat una delle prime stamperie ebraiche italiane e europee, pochi anni dopo l’apertura della prima stamperia cristiana nella città (1471). Il Conat era coadiuvato nell’attività tipografica dalla moglie Estellina, da Yaaqov Levi di Tarascona e da Avraham Yedidyah ha-Ezrahi da Colonia. Nel 1476 uscì dalla stamperia del Conat l’opera  Tur Orah Chayyim (1476) di Yaaqov di Asher; altre sei opere, non recanti la data, furono stampate a M. dal Conat[162].  Dopo un’interruzione, la stampa ebraica riprese con l’attività di Shemuel Latif (1513-15), che pubblicò a M. alcune opere[163].

Negli anni Cinquanta del XVI secolo, Yaaqov Shalit e Yaaqov ha-Kohen di Gazzuolo, che erano stati attivi come stampatori a Sabbioneta, si trasferirono a M. sotto l’egida dello stampatore cristiano Venturin Rufinelli. Anche Meir Sofer da Padova cominciò a stampare a M., seguito, poi, nell’attività dal genero Efraim. Tra le opere di maggior rilievo pubblicate negli anni tra il 1557 e il 1559 vanno menzionati i Tiqqune’ ha-Zohar e lo Zohar[164]. Tra gli svariati stampatori della seconda meta del secolo XVI vi furono anche Samuele di Isacco Norsa e i figli di Samuele Norsa, mentre tra quanti collaboravano alla stampa come correttori vi furono alcuni membri delle famiglie Provenzali, Cases e Sullam[165].      

All’inizio del XVII secolo, erano attivi nella stampa Eliezer d’Italia, Abramo Portaleone e Yehudah Shemuel da Perugia con il figlio Yehoshua: tra le poche opere pubblicate vi fu lo Shilte’ ha-gibborim di Abramo Portaleone nel 1612.

Dopo il ritorno a M. (1630),  la stampa riprese con la famiglia Perugia, coadiuvati da altri stampatori ebrei, mentre fungevano da correttori il rabbino Yehudah Briel e altri: le opere stampate, tuttavia  furono di scarsa rilevanza sia nella quantità che nella qualità.

All’inizio del secolo XVIII  la tipografia passò dai Perugia a Yitzhaq  Jaré e Yaaqov Zaver Tov, cui succedette il medico Refael Chayyim d’Italia, mentre, tra gli altri, anche alcuni membri della famiglia Basilea prestarono la loro opera come correttori. Con Refael Chayyim d’Italia l’arte della stampa riprese impulso, producendo, insieme all’edizione di prammatiche e di regolamenti fiscali, anche opere del calibro dello Shulchan Arukh di Yosef Caro. Il figlio di Refael Chayyim, il medico Eliezer Shlomoh stampò (oltre alle pubblicazioni di immediata utilità come le prammatiche e simili) anche alcune opere di Maimonide e la Mishnah, senza rinnovare, tuttavia, i fasti della stampa del XVI secolo.

L’arte della stampa ebraica a M. per la sua estensione nel tempo fu seconda solo a quella di Venezia[166].  

 

Censura dei libri ebraici

In seguito alle disposizioni ecclesiastiche sulla censura dei libri ebraici, il rabbino mantovano Abramo Provenzali, nel 1555, compilò un elenco delle espressioni suscettibili di offendere la cristianità e un “Indice”, su cui si basarono, in seguito, i censori cristiani. Il primo censore cristiano nominato a M., a spese degli ebrei, fu il convertito Alessandro Scipione nel 1589, cui si aggiunsero, nel 1595, altri due convertiti, Lorenzo Franguello e Domenico Gerosolimitano. Quest’ultimo si rivelò il più zelante nella censura, espurgando, tra il 1595 e il 1605  più di 23.000 testi stampati  e migliaia di manoscritti a M.[167].

Dopo il ritorno degli ebrei in città,  la censura era ormai entrata nell’uso, ma l’Inquisizione sembrava più interessata alla cifra corrispostale annualmente dalla Comunità ebraica che ad un effettivo esame dei testi. Da parte ebraica, comunque, la censura di tutti i testi pubblicati dalle tipografie mantovane continuò sino all’abolizione dell’Inquisizione, alla fine del XVIII secolo[168],

Bibliografia

Amram, D.W., The Makers of Hebrew Books in Italy, Philadelphia 1909.

Colorni, V., Ebrei a Ferrara nei secoli XIII e XIV, in Miscellanea di studi in memoria di Dario Disegni, Torino 1969.

Colorni, V., Una insospettata presenza ebraica nella campagna mantovana in età altomedievale, in Judaica Minora, Milano 1983.

Finkelstein, L., Jewish Self-Governement in the Middle Ages, New York 1924.

Simonsohn, S., The History of the Jews in the Duchy of  Mantua, Jerusalem 1977.


[1] Sembra che una presenza ebraica nella provincia di M. sia precedente allo stanziamento nella città. Infatti, risale presumibilmente al secolo X o XI la costituzione, entro la cerchia del vicariato di Roncoferraro, di due centri ebraici di campagna, chiamati Conium ( o Cunium) Judeorum e

esisteva un Castellacium Judeorum e coltivatori dei terreni erano gli stessi ebrei, che dovevano essere abbastanza numerosi da lasciare memoria della loro presenza in un ampio cimitero acquistato nel 1430 dai correligionari mantovani. Le due corti esistono ancora: l’una ( oggi  detta“Boccasanta” ) era chiamata “Acconi” (da Conium) ancora nel XX secolo, mentre l’altra è tuttora denominata Castellazzo, ma ogni ricordo degli ebrei è scomparso. Probabilmente, essi abbandonarono tali località nel secolo XI o XII. Nel XIII secolo, sono numerosi i documenti che menzionano il Conium Judeorum, ma nessun ebreo vi figura dimorare. Invece, il Castellacium Judeorum è ricordato solo in un atto d’acquisto datato 2 marzo 1430 (Archivio di Stato di Mantova, Notarile, Estensioni, anno 1430, carta 273v). Per ulteriori particolari, cfr. Colorni, V., Una insospettata presenza ebraica nella campagna mantovana in età altomedievale, in Judaica Minora, pp. 129-145.

[2] Abraham Ibn Ezra, Safah berurah, ediz. Lippmann, Fürth 1839, f. 15 b: “Ho scritto […] nella città di Mantova il Sefer Tzahut”. Per la data (Tishri 4906 = settembre-ottobre 1145), vedi Sefer Tzahut, ediz. Venezia 1546, in fine; Simonsohn, S., History of the Jews in the Duchy of Mantua, p. 3, nota 8.

[3] Da un responsum del rabbino Eliezer di Yoel ha-Levi di Bonn (ca. 1160-ca. 1235) si apprende della questione della validità legale del fidanzamento tra la figlia di Shemuel  da M. e il figlio di Rav Yehoshua. Tale responsum è riportato da Viktor Aptowitzer, nella sua introduzione al Sefer Rabiah (“Rabiah” è l’acronimo di Rav Eliezer ben Yoel ha-Levi), Jerusalem 1938, p. 182. Cfr. Simonsohn, S., op. cit., p. 3, nota 9. 

[4] Yitzhaq da Vienna, Or sharua, Jitomir 1862, I, nº 745, f. 105, col. 3. Cfr. Simonsohn, S., op. cit., p. 3, nota 10.

[5] Meir da Rottenburg, Shelot u-teshuvot, Berlin 1891, p. 173. Cfr. Simonsohn, S., op. cit., p. 3, nota 11.

[6] Lettera del 25 agosto 1279 di frate Latino (vescovo di Ostia e Veltri, legato apostolico) all’inquisitore di Ferrara: Ad audientiam nostram  pervenit Iudaeos quosdam infra Aquileiensem, Castellanensem, Ferrariensem et Mantuanensem Civitates et Dioeceses ad fidem conversos catholicam, per alios remanentes in judaica caecitate ad judaismum iterum esse reductos, […] Il testo della lettera fu pubblicato da Camillo Campeggi nelle Additiones a Zanchinus, Tractatus de hereticis, Roma 1568,  p. 258, e ripubblicato da Colorni, V., Ebrei a Ferrara nei secoli XIII e XIV, doc. III,pp. 100-101. Lo stesso scritto del Colorni si trova anche in  Judaica Minora, pp. 183-184.

[7] Simonsohn, S., op. cit., p. 4.

[8] Ivi, pp. 4-5.

[9]  Socio di Abramo da Forlì fu Emanuele (Menahem) da Padova, cui succedettero, dopo la  morte, i figli Beniamino (a Vicenza) e Consiglio (Yequtiel). Ivi, p. 199;  ivi, nota 7.

 [10]  Socio di Abramo in questa società fu Elia di Yehudah da Rimini. Ivi, p. 200; cfr. ivi, nota 8; vedi anche ivi, Appendice, pp. 747-750.

[11] Ivi, p. 200; vedi ivi, note 10 e 11. Per i proprietari degli altri banchi in società con Abramo, cfr. ivi, pp. 200-201. In particolare, vanno ricordati i proprietari del quarto banco, i Finzi, originari di Ancona, in seguito divenuti una delle più note famiglie mantovane. Al sinodo rabbinico convocato a Bologna nel 1416, per tentare di rendere più sicura la situazione degli ebrei italiani, era rappresentante per Bologna Isacco di Mosè Finzi, uno dei soci di Abramo di Bonaventura. Ivi, p. 5; Finkelstein, L., Jewish Self-Governement in the Middle Ages, p. 86; pp. 288-289. 

[12] Per il testo del 1410, che conferma il  privilegio ottenuto da Abramo da Forlì nel 1401, cfr. Simonsohn, S., op. cit.,  Appendice, p. 753. Abramo fu uno dei pochi ebrei dell’epoca che ricevettero lo status di civis di M.  Ivi, p. 107.

[13] Ivi, p. 201.

   [14]  Per i nominativi  dei feneratori  e ulteriori particolari su di loro, vedi ivi, p. 202.

[15]  Per il testo della dispensa di Bonifacio IX, vedi ivi, Appendice, pp. 750-751. Per  il testo della concessione di Rupert p. 751. Per i nominativi dei feneratori p. 202.

[16]  Per i nominativi dei feneratori p. 202.

[17] Ivi, p. 255.

[18] Tra l’altro, Martino V, nella bolla, proibiva di perseguitare gli ebrei, mentre permetteva loro la libertà di culto e di commercio e li tutelava dai battesimi forzati; tuttavia, ribadiva l’obbligo del segno distintivo e il divieto di lavorare nei giorni festivi cristiani. Ivi, p. 6. 

[19] Per questi e ulteriori particolari in merito, cfr. ivi, pp. 103-104.

[20] Per i nominativi dei feneratori, cfr. ivi, p. 204.

[21]  Per i nominativi dei feneratori menzionati nel 1444, vedi ibidem.

[22]  Per i nominativi dei feneratori in questione, cfr. ivi, p. 205.

[23]  I feneratori d’origine mantovana erano Aronne di Abramo Galli e il figlio Giacobbe. Ivi, p. 7; p. 205.

[24] La tassa speciale era per il “bollettino” (cioè, l’attestazione rilasciata al debitore, con i dati relativi al prestito). Per i nominativi dei feneratori con cui furono firmati tali contratti , cfr. ivi, p. 206.  Per le clausole dei contratti in questione, in aggiunta alla consueta concessione della libertà di residenza e di culto, vedi ivi, pp. 206-207. Gli stessi diritti vennero concessi anche ad altri due feneratori. Ivi, p. 207.

[25] Ivi, pp. 8-9; p. 207.

[26] Per i nominativi dei feneratori attivi a M. nel 1480 (membri delle famiglie Finzi, Norsa e da Revere),  cfr. ivi, p. 207.

[27] Ivi, p. 11; per il testo del proclama p. 758.

[28] Ivi, pp. 11-12. Nel 1463, in occasione delle nozze di Federico Gonzaga con la principessa Margherita di Baviera, i feneratori ebrei mantovani  offrirono alla coppia ricchi doni, ma la peste, portata a M. da un ebreo di Ferrara, provocò un inasprirsi del clima antiebraico. Ivi, p. 12.

[29] Ivi, pp. 9-10.

 [30]  Per i nominativi dei feneratori, vedi ivi, p. 208.

[31]  Per i nominativi degli ebrei che tenevano il banco all’epoca (tra cui i Norsa), cfr. ivi, p. 208. Per il testo del privilegio del 1495: Appendice, pp. 761-763.

[32] Nel dipinto (di anonimo) sembrano essere state ritratte dal vivo le sembianze dei membri della famiglia Norsa; pertanto, il quadro è importante come una delle poche raffigurazioni ritrattistiche di ebrei del XV secolo. Per ulteriori particolari sull’episodio, cfr. ivi, pp. 13-16.

[33] Ivi, pp. 12-13. Nel 1496 un proclama emesso dalle autorità stabiliva che le donne ebree che non avessero avuto il segno sarebbero state punite nello stesso modo degli uomini, colpevoli della medesima infrazione. Ivi, p. 13.

[34] Ivi, pp. 17-18;  pp. 104-106; p. 255.  Sull’”Università degli Ebrei”, vedi più sotto il paragrafo “Vita comunitaria”.

 [35]  Per il ruolo del Commissario degli Ebrei, nel XVI secolo e successivamente, vedi  ivi, p. 111.

[36] Per queste e per altre migliorie alla condizione dei feneratori e delle loro famiglie, cfr. ivi, p. 112. Federico Gonzaga non esitò a trasgredire le disposizioni ecclesiastiche vigenti, quando queste ostacolavano il benessere del suo Stato. In questa ottica si iscrive lo status di  familiari, con i relativiprivilegi speciali,concesso ad alcuni ebrei impegnati in missioni politiche o commerciali. Ad esempio, Isacco Norsa (figlio di quel Daniele che fu vittima dell’episodio della “Madonna della Vittoria”), in occasione di una missione compiuta per Federico, ottenne un salvacondotto in cui veniva chiamato civis et familiarus noster dilectus, ottenendo, tra l’altro, il diritto di portare armi. Ivi, p. 113. 

[37] Ivi, pp. 18-23. Margherita ed Ercole Gonzaga governarono come  reggenti di Francesco I e, alla sua morte nel 1550, di Guglielmo, che ne aveva preso il posto come erede del trono mantovano.

[38] Ivi, pp. 24-25; secondo il noto cronista ebreo Yosef ha-Kohen, il cardinale Ercole Gonzaga, reggente insieme a Margherita, avrebbe benvoluto gli ebrei e, pertanto, li avrebbe informati del rogo del Talmud, onde permettere loro di prendere provvedimenti. In effetti, gli ebrei mantovani si prodigarono molto per  contrastare  i decreti contro i libri ebraici e per stampare il Talmud  nella seconda metà del XVI secolo. Ivi, p. 25; vedi anche pp. 415-418.  

[39] Ivi, p. 25; cfr.  ivi nota 92.

[40] Per i particolari della vicenda, cfr. ivi, p. 501-504.

[41] Ivi, p. 26. Per le svariate disposizioni restrittive, applicate dopo la visita dell’emissario papale, vedi ivi, pp. 113-114. I quattro punti su cui le autorità ducali non si conformavano alla Chiesa, avendo già provveduto autonomamente, erano: la proibizione agli ebrei di vendere granaglie, il divieto di anteporre ai nomi degli appellativi onorifici, l’ordine che la legge favorisse i  sudditi cristiani e sfavorisse quelli ebrei e la limitazione del prestito dietro interesse. Dal terzo di tali punti, si evince che gli ebrei mantovani, sebbene già dal XVI secolo equiparati ai cittadini cristiani di fronte alla legge, non lo erano di fatto (cfr. ivi,pp. 110-111). Infine, va notato che il duca Guglielmo applicò più o meno rigorosamente gli ordini papali, a seconda dell’utile economico che gliene derivava. Ivi, p. 114.  

[42] Guglielmo, mettendo a disposizione dei gesuiti la chiesa di S. Salvatore, nel cuore del quartiere ebraico, vicino alla Sinagoga Grande, provocò, presumibilmente, l’intervento degli ebrei, che, onde evitare la convivenza con i Gesuiti, pagarono una lauta cifra per assicurare loro un alloggio altrove. Per questi e per ulteriori particolari sull’alloggio dei gesuiti e l’intervento ebraico, cfr. ivi, p. 27. Due  analoghi episodi di estorsione di denaro agli ebrei a beneficio di istituzioni ecclesiastiche si ebbero alla fine degli anni Venti del secolo successivo  (ivi, pp. 27-28).

[43] Ivi, p. 26.

[44] Ivi, pp. 28-30; per gli ebrei fuggiti dagli Stati della Chiesa e rifugiatisi a Pesaro, da cui furono, poi, cacciati riparando a M., vedi, in particolare,  p. 29, nota103.

[45] Ivi, p. 31.

[46] Verso la fine del dominio di Guglielmo, quando svariati principi europei aspiravano a regnare sulla Polonia, è registrato un curioso episodio: tre ebrei mantovani, tra cui il noto drammaturgo Yehudah Sommo Portaleone, si associarono in affari con lo scopo di porre Guglielmo o suo figlio Vincenzo sul trono polacco, ovviamente senza riuscire nell’intento. Ivi, p. 31.

[47] Su Yosef da Fano, vedi la presente opera alla voce “Villimpenta”, nota 5. Nella cronaca ebraica Emeq ha-bakhah  il duca Vincenzo viene descritto come benevolo nei confronti degli ebrei, tuttavia l’opera si chiude prima dell’istituzione del ghetto a M. per volontà di Vincenzo stesso: tale decisione ed altri episodi inducono, pertanto, ad attenuare di molto l’ottimismo espresso nella famosa cronaca ebraica a proposito del duca e,  anzi, a ritenere che la seconda metà del dominio di Vincenzo possa considerarsi come uno dei periodi più difficili per gli ebrei mantovani . Ivi, p. 31; p. 33.

[48] Ivi, p. 32. Sulla maggiore severità con cui veniva applicato l’obbligo della presenza ebraica alle prediche forzate, verso la fine del XVI secolo, cfr. ivi , n. 116. Sull’applicazione della legislazione ecclesiastica ispirata alla Controriforma, sotto il governo del duca Vincenzo e dei suoi successori, cfr. ivi, pp. 115 e segg. 

[49]Ivi, p. 33.

[50] Essi erano: Giacobbe Sacerdoti (Kohen), Salomone Melli, Salomone Furlani, Lucio (Elia) Soave, Giuseppe de Nati, Mosè di Lazzaro (Eleazar) da Fano e Raffaele Franciosi (Sarfati). Ivi, p. 35.

[51] Ivi, pp. 33-36. La versione ebraica dei fatti - che assolve gli ebrei da ogni beffa nei confronti del frate o del cristianesimo e dipinge il duca come pronto a salvarli dalla furia omicida del religioso e della popolazione da lui aizzata – si trova nell’Emeq ha-bakhah; per i particolari, cfr. ivi, pp. 33-34. Quanto a fra’ Bartolomeo, poco dopo che ebbe lasciato M., venne considerato dal duca Vincenzo uno scomodo sollevatore di popolo e finì i suoi giorni rinchiuso in un monastero (ivi, p. 36). Il  duca trasse dalle disgraziate vicende ebraiche del 1600-1602 un notevole incremento per le proprie finanze, concedendo a caro prezzo “assoluzioni” agli ebrei.  Nel 1604 i familiari dei sette impiccati tornarono, previo  pagamento, nello Stato mantovano. La tragica vicenda degli ebrei giustiziati ebbe una continuazione, una ventina di anni più tardi, con un dipinto mantovano, in cui venivano raffigurati insieme a Simoncino da Trento, nota presunta vittima degli israeliti. Per evitare il peggio, la Comunità pagò per togliere di mezzo il dipinto. Ivi, pp. 36-38.

[52] Ivi, p. 39; p. 41. La Comunità mantovana fu l’ultima delle grandi Comunità ebraiche ad entrare nel ghetto: data l’ostilità della popolazione cristiana, il provvedimento fu salutato con una certa soddisfazione (ivi, pp.  39-40). Per  la legislazione relativa al ghetto, cfr. ivi, pp. 118-125.

[53] Per i particolari relativi a tali provvedimenti, cfr. ivi,pp. 115-117.

[54] Francesco II confermò i privilegi ebraici e concesse l’absolutio, come di consueto, quando divenne duca; sotto il suo governo, la Comunità si adoperò per impedire la pubblicazione di nuovi provvedimenti per impedire i rapporti sociali ebraico-cristiani. Ivi, pp. 126-127; cfr., in particolare, la  nota 77.

[55] Per i problemi connessi con la conferma del 1613, cfr. ivi, p. 44.

[56] Ivi, p. 45. Per ulteriori particolari sul governo di Ferdinando, vedi ivi, pp. 129-130.

[57] Vincenzo II confermò, come di norma, privilegi ebraici ed absolutio, pretendendo un pagamento straordinario, sebbene non fosse ancora spirato l’anno del loro rinnovo. Il privilegio del 1626, che fu il più particolareggiato dei patti stipulati tra le autorità e i feneratori, fu il più importante e rimase come base per il prestito ebraico sino alla sua abolizione all’inizio del XIX secolo. Ivi, pp. 45-46.

[58]  Per i particolari relativi agli eventi politici che prepararono la guerra di successione mantovana, cfr. ivi, pp. 44 e segg.

[59] Ivi, pp. 47-48.

[60] Una cronaca puntuale degli eventi connessi con la conquista di M. si trova nell’opera di un ebreo mantovano, Abramo di Isacco Massarani (Massarano), che, pur non essendo presente a gran parte delle vicende, raccolse la testimonianza di testimoni oculari, primo fra tutti, Israel Yehudah di Mosè Forti. Per particolari sulla pubblicazione della cronaca del Massarano, Sefer ha-galut ve-ha-pedut ( L’esilio e il riscatto), vedi la presente opera alla voce “Revere”. 

[61] Per le vicende relative alla guerra di successione, alla conquista di M., all’esilio degli ebrei e al loro rientro, vedi Simonsohn, S., op. cit., pp. 48-60.

[62] Dal pagamento per il rinnovo dei privilegi venne scontato solo il breve periodo dell’esilio: la Comunità, in tali frangenti, fu costretta a chiedere al duca di pagare i debiti in immobili e in obbligazioni. A tali difficoltà economiche si aggiungeva quella di dividere il pagamento delle tasse ducali con gli ebrei di Casale, in gravi ristrettezze per la guerra che perdurava nel Monferrato. Ivi, pp. 61-67.

[63] Quando Carlo II era ancora minorenne, la Comunità ebraica fu costretta, pena la confisca delle proprietà dei massari, a partecipare alle spese di ricostruzione del porto mantovano (Porto Catena), decisa dalla reggente. ,Ivi p. 67.

[64] Inoltre, gli ebrei del Mantovano cessarono, data la situazione, di pagare le tasse alla Comunità della capitale, aumentandone le difficoltà finanziarie. Ivi, p. 68.

[65] La vittoria sui Turchi della lega austro-veneto-papale ( 1685), costò alla Comunità ebraica la partecipazione alle spese per i festeggiamenti a M. L’ingresso delle truppe imperiali nel Mantovano (1691), in seguito alla crisi nelle relazioni franco-austriache e al comportamento del duca Ferdinando Carlo  (che, prima, tradì l’imperatore austriaco e, poi, poi, oscillò tra Austria e Francia), comportò agli  Ebrei di M. forniture per le fortificazioni della città, grano per la popolazione e denaro a prestito per il duca, la cui rapacità che non aveva precedenti. Infine, gli ebrei dovettero contribuire anche alle seconde nozze del duca con Suzanne Henriette de Lorraine, contratte presumibilmente nella speranza di rinsaldare i legami con la Francia. Ivi, pp. 68-69.

[66] Ivi, p. 70.

[67] I privilegi ebraici vennero rinnovati periodicamente dagli austriaci: l’ultimo rinnovo risale al 1791. Ivi, p. 74. Sullo status degli ebrei sotto la dominazione austriaca, cfr. ivi, p. 143 e segg.

[68] Tra l’altro, gli austriaci promisero di non far acquartierare le truppe nel ghetto e non imporre “prestiti” superiori a quelli richiesti agli altri abitanti, mentre, in cambio, gli ebrei donarono indumenti ed altro alle truppe. Ivi, p. 73.

[69] Ivi, p. 74. A guerra finita, insieme ad un reggimento austriaco che giunse a M., vi furono anche due ebrei che avevano servito nell’esercito veneziano e che ottennero dalla Comunità ebraica mantovana di pagare per il loro congedo dall’esercito, rilasciando loro, inoltre, un certificato di “buona condotta” in fatto di osservanza ebraica, per il periodo passato nell’esercito. Ivi, p.75.

[70] Ivi, pp. 75- 76; per i particolari relativi al tentativo del re delle Due Sicilie, cfr. ivi, p. 76, nota 242.

[71] Ivi, pp. 77-78; anche le visite dei reali austriaci a M. o le nascite e altri eventi analoghi della corte austriaca costarono alla Comunità ebraica con notevoli somme. Ivi, pp. 78-79.

[72] Ivi, p. 76.

[73] Nel 1729 il prete lucchese Casimiro Andreoli, giunto a M., cercò di entrare con la violenza nel ghetto, venendo espulso dalle autorità. Sul seguente tentativo dell’Andreoli di vessare gli ebrei altrove, vedi la presente opera alla voce “Ostiglia”.

Circa un anno più tardi, la Comunità chiese l’intervento delle autorità per mettere al bando pubblicazioni antiebraiche, distribuite durante la Pasqua. Nel 1732 lo stampatore dell’Inquisizione a M. pubblicò una storia calunniosa contro gli ebrei, divulgata qui ed in svariate altre città dell’Italia settentrionale. Nel 1737 il convertito Luigi Zanardi  ed alcuni facinorosi  seminarono il terrore nel ghetto, venendo processati. Nel 1738 la “Gazzetta” di M. prese a pubblicare pezzi contro gli ebrei, in particolare polacchi, provocando l’intervento della Comunità per far cessare tal genere di pubblicazione. Nel 1741 il convertito Tommaso Sartoretti venne denunciato per molestie contro gli ebrei, mentre  il convertito Francesco Maria Ferretti ( ex sedicente rabbino Shabbetay Nahamu), cercava fondi per la pubblicazione della sua Verità della Fede  Christiana. Quindi,dietro intervento ebraico, fu espulso dallo Stato di M. il venditore del libello antiebraico Testamento di San Bernardino da Siena.  Infine, nel 1745, fu inviato all’imperatrice un memorandum in favore dell’aggravio fiscale degli ebrei, in nome di argomenti antiebraici, tra cui i loro profitti bellici .     

Anche la morte di un rabbino (Yehudah Mendola) dette occasione, nel 1752, ad una composizione poetica antiebraica. Ivi, pp. 84-88.

[74] Ivi, pp. 90-91. Anche negli anni Sessanta la Comunità di M., insieme a quella di Verona, dovette adoperarsi per far togliere dalla circolazione un opuscolo antiebraico. Approfittando della pubblicistica antiebraica, il convertito Aloys Sonnenfels, traduttore dall’ebraico dell’imperatrice Maria Teresa, cercò di ottenere – invano- soldi anche dalla Comunità di M. per finanziare una sua difesa del Talmud comeopera non contraria al cristianesimo. Dal canto loro, le autorità austriache, nel 1770, emisero severe disposizioni contro i funzionari statali che tenevano comportamenti antiebraici. Ivi, pp. 91-93.

[75] Sui provvedimenti relativi all’obbligo del segno, rinnovatisi  nel XVII secolo, cfr. ivi, pp. 140-142.

[76] Ivi, pp. 148-150. I provvedimenti antidiscriminatori, in cui si avverte il chiaro influsso di Giuseppe II, furono introdotti a M. come nel resto dell’impero austriaco.

[77] Ivi,p. 149. Leopoldo II, inoltre, abolì l’obbligo di rinnovare il privilegio con il relativo pagamento ele tasse pagate per secoli dagli ebrei; confermò, invece, l’abolizione del segno e il diritto di acquistare immobili. Ivi, p. 149.

[78] Negli anni Settanta, il rabbino mantovano Yaaqov Saraval si adoperò per contrastare gli argomenti antiebraici dell’avvocato Giovanni Battista Benedetti di Ferrara; negli anni Ottanta, il medico Benedetto Frizzi impugnò le tesi (soprattutto di ordine economico) contro gli ebrei, espresse dal nobiluomo Giovan Battista Gherardo D’Arco di M. Ivi, pp. 93-95.

[79] Ivi, pp. 95-96.

[80] Ivi, p. 322; per le delucidazioni sul termine “Università” cfr. ibidem. Tra i feneratori e gli altri ebrei si evidenziò subito un conflitto di interessi, che si trascinò sino al ritorno a M., dopo l’espulsione del 1630. Per ulteriori particolari, cfr. ivi, pp. 323-324. Sul conflitto tra feneratori, da una parte, e mercanti e artigiani, dall’altra, risoltosi con la rinuncia dei primi a considerarsi un gruppo organizzato in modo autonomo in seno alla Comunità, vedi ivi, pp. 505-517. Sulle differenze di classe tra i membri della comunità, cfr. ivi, pp. 504-505.

[81] Il termine Assemblea generale o Vaad klali appare regolarmente  nei documenti a partire dal 1562. Ivi, pp. 325-326.

[82] All’inizio, l’Assemblea generale era composta da tutti i capifamiglia, ma, in seguito, divennero più influenti i contribuenti fiscali. Norme per ridurre il numero dei partecipanti (sia pur paganti le tasse) cominciarono ad essere introdotte all’inizio del XVII secolo ed il carattere democratico originario di questa istituzione venne attenuato, ma non del tutto perduto, con il tempo, assumendo toni oligarchici, basati sugli averi. Tra le restrizioni alla partecipazione all’Assemblea ( e ai Consigli) vi fu la previa residenza a M., introdotta dopo il ritorno in città del 1630. Alla fine del XVIII secolo, anche per divenire massari venne richiesta l’origine mantovana. Per questi e ulteriori particolari, cfr.ivi,pp. 324-330. Per le modalità di funzionamento dell’Assemblea generale, cfr. ivi, pp. 331-332.

[83] Ivi p. 327. Per particolari sul Consiglio maggiore, vedi le pp. 332-338; per particolari sul Consiglio minore, cfr. pp. 338-340.

[84]   Dal 1589 due dei massari dovevano essere italiani e uno tedesco.  Per ulteriori particolari relativi alla carica di massaro, vedi ivi, pp. 340-343. La divisione tra ebrei di origine italiana e askenazita (di cui è vistoso esempio la controversia Tamari-Venturozzo, cui si è fatto cenno altrove),  caratterizzò nei secoli la Comunità mantovana, trovando espressione nella proporzione tra massari  italiani e ashkenaziti, che rimase in forza sino al XVIII secolo.  Per i particolari, cfr. ivi, pp. 499-504.

[85] Per  l’insieme dei vari comitati (di cui si segnala in questa sede solo quello per la preparazione degli spettacoli teatrali per la corte, data la sua peculiarità), cfr. ivi, pp. 343-347. Per le istituzioni secondarie, come il macello ebraico e l’albergo, vedi ivi, pp. 348-349.

[86] Ivi, pp. 343-344. Sul sistema finanziario della Comunità e sui vari sistemi di tassazione, compresa la “Cassella” vedi le pp. 375-388. Sui criteri per definire i contribuenti e gli esentati e sulle tassazioni dal XVI secolo in poi, vedi le  pp. 388-393.

[87] Ivi, pp. 351-354.

[88] Ivi, p. 355; per le corti civili ebraiche della Comunità mantovana, cfr. ivi, pp. 354-361.

[89] Ivi, p. 362. Per i punti principali di tale normativa, cfr. ivi, pp. 363-365. Per l’autonomia giuridica degli ebrei di M. sino all’occupazione francese, cfr. ivi, pp. 366-371.

[90] Per i particolari sulle varie “prammatiche” e disposizioni consimili, cfr. ivi, pp. 531-543; sulle disposizioni relative alla morale sessuale nell’età del ghetto, vedi ivi, pp. 543-548; sulle taverne frequentate dagli ebrei mantovani, vedi ivi, pp. 548. 

[91] Ivi, pp. 372-373.

[92] Ivi, pp. 71-72; per i particolari salienti dei rapporti tra la comunità di M. e quelle del mantovano , cfr. ivi, pp.  408-413.

[93] Per ulteriori ragguagli, vedi ivi, pp. 429-498.

[94] Per i particolari, vedi ivi, pp. 550-553.

[95]  Per ragguagli particolareggiati su queste e sulle altre svariate confraternite e associazioni mantovane, vedi ivi, pp. 553-562.

[96] Ivi, p. 560.

[97] Ivi, p. 202; delle undici famiglie, una era francese, quattro tedesche e sei italiane: per ulteriori particolari, cfr. ivi, p. 202, nota 22.

[98] Tale tasso di interesse era notevolmente inferiore a quello praticato dai feneratori cristiani. Ivi, pp. 202- 203; p. 208.

[99] Ivi, pp. 18-19; pp. 216-217. Per i nominativi dei titolari  di banco dell’epoca (tra cui primeggiavano i Norsa) vedi ivi, pp. 212-216.

[100] Ivi, pp. 18-19. Per  nominativi degli ebrei che conducevano i banchi, cfr. ivi, p. 218 e segg. 

[101]  Per ulteriori particolari, compresi i nominativi degli  ebrei che gestivano i banchi, vedi ivi, p. 221-222.

[102] Ivi, p. 20;  p. 220; p. 229.

[103] Per ulteriori particolari e per i nominativi degli ebrei che tenevano banco, cfr. ivi, pp. 229-232; per le disposizioni speciali per i banchi, date al momento del rinnovo dei privilegi nel 1626 (ivi compresa la riduzione del tasso d’interesse), vedi ivi, pp. 232-235.

[104]  Il contratto feneratizio continuò ad essere sulla base di quello del 1626, con poche varianti ( ivi, p. 238). Per i nominativi degli ebrei che prestavano e per le vicende dei banchi sino alla fine del dominio dei Gonzaga, vedi le pp. 239-240.

[105] Ivi, p. 239.

[106] Per queste e ulteriori informazioni, compresi i nominativi dei gestori dei banchi, cfr. ivi, p. 74; p. 242; pp. 246-247. 

[107] I mercanti e gli artigiani ebrei incontrarono l’opposizione delle corporazioni cristiane, sino alla fine del XVIII secolo, quando quest’ultime furono abolite dalle autorità austriache (ivi, p. 257). Per i particolari sulle attività economiche (escluso il prestito) degli ebrei mantovani, durante i secoli, vedi ivi, pp. 257-315. Sulle occupazioni degli ebrei mantovani nel XVII e XVIII secolo, si rimanda ai dati espressi alle pp. 306-308.

[108] Ivi, p. 190. Nel mantovano vi sarebbero stati, alla fine del XV secolo, circa un centinaio di ebrei.Ibidem; cfr., ivi, p. 192.

[109] Ivi, p. 192; nel Mantovano, nel 1587, vi erano tra i 200 e i 250 ebrei, mentre, nel 1591, si contavano 253 “bocche” (ibidem). Il conteggio veniva fatto per “bocche” per conteggiare le scorte di grano necessarie per soddisfare il fabbisogno della popolazione e ne venivano esclusi gli infanti al di sotto dei tre anni e, probabilmente, furono esclusi dal conteggio anche i titolari di banco e i loro dipendenti: pertanto, il numero degli ebrei doveva essere più di 2.000. Ivi, p. 191.

[110] Ivi, p. 191; nel mantovano vi erano all’epoca tra i 500 e i 700 ebrei (ivi, p. 192).

[111] Ivi, p. 55, nota 190.

[112] Ivi, p. 55; p. 193.

[113] Ivi, p. 193. Nel 1711 vi erano 38 nuclei familiari nel  mantovano. All’inizio del passaggio sotto il dominio austriaco, 211 ebrei forestieri ricevettero il permesso di stabilirsi a M., mentre un numero imprecisato di correligionari veniva autorizzato a stabilirsi nelle località limitrofe.

[114] Ivi, pp. 193-194.  Nel 1764 vi erano 186 ebrei nel territorio  mantovano.

[115] Ivi, pp. 194-195. Nel 1772-73, vi erano 548 ebrei nel mantovano, mentre l’anno successivo  ve ne erano 526. Nel 1796-97 erano 579. Ibidem.

[116] Ivi, p. 40.

[117] Ivi, pp. 40-44.

[118] Ivi, p. 65; cfr. il paragrafo “Sinagoghe”.

[119] Ivi, pp. 567-568. Ad esempio, nel 1489, Innocenzo VIII concesse a Leone Norsa di fenerare e di stabilire una sinagoga nell’abitazione. Per il testo del permesso papale, cfr. ivi, Appendice, pp. 759-761.

[120] Alcune sinagoghe venivano denominate con il nome degli ebrei cui era stato concesso il permesso di istituirle; i permessi furono concessi, oltre a Hayyim Levi da Ostiglia, ai fratelli Tizzano, a Mordekhay Bonaventura Sullam, a Mosè Cases e a Samuele Lewi. La “Sinagoga Beccaria” prese il nome dal macello, vicino a cui fu costruita. Ivi, pp. 568-569.

[121] Ivi, p. 65; pp. 570-571.

[122]  Ivi, p. 572; sul nuovo cimitero, cfr. ivi, nota 223.

[123] Ivi p. 573; sul divieto di acquistare ulteriore terreno per il cimitero, durante la prima metà del XVI secolo, vedi ibidem, nota 227.

[124] Ivi, passim, in particolare pp. 626-627;  p. 717; Cassuto, U., E.J., alla voce“Jehuda ben Jechiel (Messer Leon)”.

[125] Cassuto, U., E.J., alla voce“Colon, Josef ben Salomo”; cfr. Simonsohn, S., op. cit., p. 621;  p. 627, nota 111.

[126]  Simonsohn, S., op. cit.,p. 204; per ulteriori particolari sull’attività intellettuale del Finzi, vedi ivi, p. 709.

[127] Conat compose anche una preghiera (ivi, p. 705). Per la sua attività di stampatore, vedi il paragrafo “Stampa ebraica”.

[128] Ivi, p. 621;p. 627; p. 726.

[129] Ivi, pp. 643-646.

[130] Ivi, pp. 21-23; sui due personaggi dalle aspirazioni messianiche, cfr. anche la presente opera alle voci “Sabbioneta”; “Bologna”.

[131] Ivi, pp. 634- 637; 732-733;

[132] Ivi, pp. 729-730.

[133] Ivi, p. 727.

[134] Ivi, pp. 728-729.

[135] Di lui restano anche alcune composizioni  poetiche, responsa e un commento al Kuzari. Ivi, pp. 721-722.

[136] Ivi, p. 619; p. 723.

[137] Ivi, pp. 704-705.

[138] Ivi, p. 731.

[139] Ivi, p. 701.

[140] Ivi, pp. 701-702.

[141] Ivi, pp. 707-709.

 [142] Salomone Barukh  di Samuele Fano fu rabbino a M. nella seconda metà del XVII secolo; tra l’altro, fu in corrispondenza col rabbino Samuele Aboab. Ivi, p. 707.

[143] Meshullam di Isacco Sullam fu correttore di testi e poeta a M. e a Venezia tra la seconda metà del secolo XVI e l’inizio del XVII. Ivi, p. 735.

[144] Protetto in particolare dal duca di Guastalla, il Sommo godette dell’esenzione dall’obbligo del segno; tuttavia, ( in quanto ebreo) non fu ammesso come membro alla neo-fondata Accademia degli Invaghiti, che si occupava di arte drammatica, ma solo come  “scrivano”. Per questi e ulteriori particolari, cfr. ivi, pp. 658-663.

[145] Sulla partecipazione ebraica al teatro a M., ivi comprese le spese che vi erano implicate, cfr. ivi, pp. 656-669.

[146] Ivi, p. 665.

[147]  Ivi, pp. 670-671. Va segnalato, inoltre, che, una ventina d’anni prima, era a M. il convertito Giovan Maria, considerato uno dei più valenti arpisti dell’epoca. Ivi, pp. 669-670.

[148] Ivi, p. 671.

[149] Su Salomone de’Rossi e sui membri della famiglia dediti alla musica, cfr. ivi, pp. 671-675. Sui figli di “Madama Europa”, che si guadagnarono fama come compositori e suonatori di strumenti musicali, cfr. ivi, p. 676.

[150] Ivi, p. 676-677.

[151] Il d’Italia era imparentato con lo stampatore Eliezer d’Italia e con Giacobbe d’Italia, che aveva elaborato un sistema di registrazione per le tasse e i debiti (ivi, p. 654). Per ulteriori particolari sulla famiglia d’Italia, che dal XVI secolo in poi, contò tra i suoi membri  stampatori, medici e dotti, cfr. ivi, pp. 715-716.   Nel campo della pittura va menzionato anche Mosè da Castellazzo, che morì presumibilmente a M. nel 1525, ma visse altrove. Su Mosè da Castellazzo, vedi alla voce “Castellazzo Bormida” della presente opera.

[152] Ivi, pp. 654-655.

[153]  Abramo Massarani fu anche in contatto epistolare con il noto Leone Modena di Venezia. Ivi, p. 719.

[154] Per ulteriori particolari su Aviad Basilea e per notizie su altri membri della famiglia Basilea che si distinsero come rabbini e dotti, dal XVI al XVIII secolo, cfr. ivi, pp. 696-698.

[155] Ivi, p. 699.

[156] Ivi, pp. 738-739.

[157] Ivi, p. 703. Un suo omonimo fu rabbino a M. all’inizio del XVII secolo. Ibidem.

[158] Ivi, p. 710.

[159] Ivi, p. 562; per ulteriori particolari sul sabbatianesimo a M., cfr. ivi, pp. 563-567.

[160] Ivi, pp. 93-94; pp. 733-734 (vedi  in  particolare p. 734, nota 263).

[161] Ivi, p. 732.

[162] Estellina Conat, che  assistette  il marito nella stampa dell’opera di Yedayah ha-Penini Bekhinat olam, è certo una figura femminile fuori dall’ordinario; tuttavia, sulla base della documentazione disponibile, sembra che le donne mantovane del XV e del XVI secolo fossero relativamente colte (ivi, p. 585). Sulla prima stamperia mantovana, cfr. ivi, p. 681. Le sei opere furono:  Sefer Eldad Ha-Dani, Behinat olam di Yedayah Ha-penini, un calendario con dati astronomici stilato da  Mordekhay Finzi di M., Nofet Tzufim di Yedudah Messer Leon, l’interpretazione di Levi di Gershon alla Torah, il Sefer Yosippon (Ivi, p. 681); Cassuto, U. , E.J., alla voce“Conat, Abraham ben Salomo”.  

[163] Tra le opere pubblicate dal Latif , menzioniamo: Tania, Seder olam, Megilat Taanit, Sefer ha-qabbalah. Ivi, p. 681.

[164] Amram, D.W., The Makers of Hebrew Books in Italy, pp. 331-332.

[165] Per ulteriori particolari, cfr. Simonsohn, S., op. cit.,  pp. 682-683.

[166] Ivi, pp. 683-685.

[167] Con il riaffacciarsi della censura in seguito alla bolla papale Cum Hebraeorum malitia (1593), veniva proibito il possesso del Talmud e delle opere cabbalistiche. Ivi, p. 689.

[168]  Per queste e ulteriori informazioni sull’espurgo dei testi ebraici, cfr. ivi, pp. 685-694.

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