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L’Aquila (לקוילה,לאקוילא,אקיוולא,אייקוילא)
Sorge sul declivio di un colle alla sinistra del fiume Aterno, nel cuore degli Abruzzi, di cui è capoluogo. Nacque nel XIII secolo dall'unione dei molti villaggi della zona, ognuno dei quali costituì un agglomerato (locale) compreso in uno dei quattro quartieri in cui fu suddivisa la città. Essa crebbe sino a divenire – specialmente per il commercio della lana, della seta e dello zafferano - la seconda città del Regno di Napoli. Un allievo di Gutenberg vi fondò nel 1480 una delle prime tipografie italiane. Nel 1529 il viceré spagnolo Filippo d’Orange la devastò e la privò della sua autonomia. Nel 1443 La città con il suo contado era tassata nel 1443 per 5137 fuochi e nel 1521 per 4612; senza il contado nel 1532 per 1511[1].
Il 22 febbraio 1393 re Ladislao diede facoltà al medico Mosè di Isacco de Vellecto e a Consiglio di Dattolo di Tivoli e ai loro soci di abitare a L’A., di esercitarvi la mercatura e le arti, di tenere sinagoghe e sepolture e di praticare tutto ciò che i giudei che abitavano nella città erano soliti fare ed esercitare secondo la loro consuetudine. Lo stesso sovrano il 27 luglio 1400 concesse eguale facoltà a Liguccio di Dattolo e a suo figlio Gaio e la regina Giovanna II il 31 agosto 1422 al medico Salomone d’Anagni e a Vitale di Angelo de L’Aquila, procuratori degli ebrei d’Abruzzo[2]. Gli ultimi due rappresentarono nel 1425, in una lite per un’eredità, gli interessi dei congiunti Dattolo di Angeletto ed Abramo, eredi del defunto Gennatano di Gaio de L’A.[3].
Mastro Salomone ottenne nel 1427, tramite l’intervento di papa Martino V, di cui era medico e familiare, l’abrogazione delle leggi restrittive volute da fra Giovanni da Capestrano per gli ebrei del Regno e la riconferma dei capitoli a loro favorevoli[4]. Egli era medico anche della regina Giovanna II e quando questa morì (1435), e sul trono di Napoli salì Alfonso I d’Aragona, chiese al nuovo re di prendere il posto che aveva avuto presso la defunta regina. Alfonso, considerando la sua costante fedeltà e bravura, con lettera del 5 agosto 1443 lo confermò nella carica di medico proprio e della propria casa con tutti gli onori ed i privilegi dovuti.
Il 18 ottobre 1458 la Camera Aquilana presentò a Ferrante I, successore del padre Alfonso, una serie di capitoli, due dei quali riguardavano gli ebrei: nel 27° chiedeva che gli ebrei della città e del contado portassero un contrassegno e nel 28° che le controversie con gli ebrei circa debiti e pegni fossero trattate dinanzi al capitano della città. Le due richieste furono riproposte nel 1464 e vennero approvate il 9 maggio da re Ferrante. Il rappresentante degli ebrei locali, mastro Isac, alcuni giorni dopo davanti al Camerario e ai Cinque della città, esibì i privilegi e le grazie concesse dallo stesso re e dai suoi predecessori e chiese che fossero osservati. La Camera ottenne invece da Isac la promessa dell’osservanza dei capitoli concessi alla città. Il 20 luglio 1465, tuttavia, re Ferrante ordinò al capitano e alle autorità di fare osservare a favore degli ebrei abitanti nella città e suo distretto tutti i privilegi, grazie e immunità da lui nuovamente concessi ai correligionari del Regno e di comandare ai macellai della città di fornire la carne secondo quanto era stato costumato nel passato[5].
Gli israeliti aquilani erano attivi nella mercatura e nel prestito su pegno. Non mancavano però altre attività. Così nel 1460 Mosè di Bonomo e i fratelli Leucio, Sabato, Isac, Dattolo e la madre Stella gestivano lu albergu de lu gallu nel locale di Bazzano, quartiere san Giorgio. Ai banchieri ebrei si rivolgevano d’ordinario modesti mercanti e artigiani, ma talvolta anche persone di più alto grado. Nel 1464, per esempio, il tesoriere provinciale Antonio Gazull, per riprendersi parte dei pegni che aveva dato ai giudei per prestiti, fu autorizzato dal re a ritenersi sulle entrate fiscali la somma di 400 ducati da impiegare nel riscatto. In data 2 aprile 1472 e 30 settembre 1473 Mosè di Bonomo anticipò 102 ducati veneti per conto di Pasquale di Santuccio di Pizzoli a Filippo e Lorenzo Strozzi di Firenze. La città stessa chiese nel 1482 un prestito agli ebrei, e fu stabilito che vi dovessero concorrere soltanto i facoltosi che teneno bancho et che imprestano ad usura[6]. Il dinamismo e successo dei prestatori diedero fastidio a fra Giacomo della Marca, che nel 1466 gettò a L’A. le basi per la fondazione del Monte di Pietà, con l’esplicito proposito di refrenare la insatiabile voragine della usura de Iudey, la quale devora et consuma li beni temporali dell’omini et persone de essa magnifica città dell’Aquila et so contado et destretto. La polemica contro gli ebrei si riaccese nel 1488 con la predicazione in città di fra Bernardino da Feltre. Qualche anno prima, nel 1485, sei ebrei locali – Mosè di Bonomo, Manuele di Angelo, Raffaele di Elia, Sabatuzo di Mele e Bonomo di Mosè – avevano costituito una società di durata quinquennale con un capitale di 1.850 ducati per prestare denaro a interesse, comperare e vendere qualsiasi bene, ed in particolare tutto ciò che era legato all’arte della tintoria[7].
Sotto il Viceregno spagnolo, nel 1508 a L’A., la cui popolazione fiscale era di 4005 fuochi, abitavano i nuclei familiari ebraici di Manuele di Angelo (abitante nel quartiere S. Maria Paganica), Mastro Mosè, Manuele de Leuzio de Bonomo e Angelo de Alleva (abitanti nel quartiere S.Giorgio). L’ultimo nucleo era composto di 14 persone, distinte in tre abitazioni, chee si occupavano di panni e tintoria. Nel 1532 i fuochi ebraici erano nove. Altri due avevano lasciato da poco la città, uno per Roma e l’altro per Napoli[8]. Nell’abitazione di Mastro Mosè de Leuzio si raccolsero il 23 aprile 1535 i rappresentanti delle comunità ebraiche d’Abruzzo ed elessero Leuzio di Dattilo di Sulmona loro procuratore per contrarre un prestito che la Corte aveva richiesto per tollerare la permanenza degli ebrei nel Viceregno in base agli accordi fatti con Samuel Abravanel[9]. Come è noto, gli accordi furono poi smentiti dall’imperatore Carlo V, che obbligò tutti gli ebrei a lasciare il Mezzogiorno entro il 31 ottobre 1541.
Degli interessi culturali coltivati dagli ebrei a L’A. offrono testimonianza alcuni manoscritti copiati nella città o posseduti da ebrei che vi risedettero. Dei copisti, si ricordano qui Menahem ben Iosef Isaq, che nel 1412 copiò il Commento al Cantico dei Cantici di Immanuel b. Salomon (Manoello giudeo) e nel 1415 il Commento a Giobbe di Levi b. Gershom (Br. Library 238); Mordekay b. Isaia che nel 1423 copiò il trattato di fisica e astronomia Sha’ar ha-shamayim (La porta del cielo) di Gershom b. Salomon (Cod. Casanantense 155).Nel 1449 Beniamin b. Iudah acquistò un codice della Torah da Samuel b. Salomon da San Severino (Parm. 3228) e all’incirca nello stesso periodo Mosè il Medico b. Eliezer Rossi un codice contenente il Commento breve alla Torah di Mosè b. Nahman (Parm. 2549)[10].
Bibliografia
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Berardi, M.R., Per la storia della presenza ebraica in Abruzzo e nel Molise tra Medioevo e prima età moderna, in L’Ebraismo dell’Italia Meridionale Peninsulare dalle origini al 1541. Società, Economia, Cultura. IX Congresso internazionale dell’Associazione Italiana per lo studio del Giudaismo (Potenza-Venosa, 20-24 settembre 1992), a cura di Fonseca, C.D. et alii, Galatina 1996, pp. 267-294.
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Tamani, G., Manoscritti e libri, in L’Ebraismo dell’Italia Meridionale Peninsulare dalle origini al 1541, a cura di Fonseca, C.D. et alii, Galatina 1996.
[1]De Matteis, C., La fondazione dell'Aquila: documenti, L'Aquila 2004; Equizi, G., Storia de L’Aquila e della sua diocesi, Torino 1957.
[2]Barone, N., Notizie, p. 29; Ferorelli, N., Gli ebrei nell’Italia meridionale, pp. 64-65. Non attesta un’antica presenza ebraica a L’Aquila il nome Bartolomeo de l’Aquila portato da un neofito a Salerno nel 1294; il nome, infatti, fu preso in omaggio dell’inquisitore che lo aveva portato al battesimo, il noto domenicano fra Bartolomeo de L’Aquila.usitoren
[3] Simonshon, S., The Apostolic See and the Jews, nn. 631-632, 635.
[4] Si veda Simonsohn, S., op. cit., n. 646.
[5] Berardi, M.R., Per la storia della presenza ebraica in Abruzzo e nel Molise, pp. 286-287; Colafemmina, C., Documenti per la storia degli ebrei in Puglia e nel Mezzogiorno, pp. 23-24, nn. 19-20.
[6] Silvestri, A., Gli ebrei nel regno di Napoli, pp. 49-50; Berardi, M.R., op.cit., pp. 287-288.
[7] Cfr. Berardi, M.R., op. cit., pp. 289-292.
[8] Ibid.,p. 293; Colafemmina,C., Documenti per la storia degli ebrei in Puglia e nel Mezzogiorno, p. 39, n. 92.
[9] ASAq, Not. Valerius Dominici de Pizulo, busta 68, vol. XXXVI, c. 95b.
[10]Tamani, G., Manoscritti e libri, p. 229; Richler, B. (a cura di), Hebrew Manuscripts in the Biblioteca Palatina in Parma, nn. 128, 558.