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Capoluogo di provincia. Situata all'estremità dell'antica via romana che parte dal mare giungendo sino al Po, sulla cui riva destra è stata costruita, P. è una delle più antiche colonie romane dell'Italia settentrionale. Dopo lunghe contese e alterne vicende di dominio tra guelfi e ghibellini, passò ai Visconti e con la morte di Filippo Maria nel 1447, venne instaurata la repubblica, ma sorsero dispute fra il partito autonomistico, lo sforzesco e il veneziano. Quest'ultimo prevalse e la città si dette a Venezia, ma fu assediata e conquistata dagli uomini dello Sforza nel 1448: Francesco Sforza fu così proclamato signore e P. restò sotto il dominio del Ducato di Milano.
Nel 1499 la città passò sotto Luigi XII di Francia, mentre nel 1512 andò alla Chiesa, per essere poi occupata da Massimiliano Sforza che la cedette a Leone X, il quale, a sua volta, dovette consegnarla a Francesco I di Francia, sotto il quale restò sino al 1521, quando tornò alla Chiesa. Nel 1545 Paolo III Farnese creò il ducato di Parma e P. per il figlio Pier Luigi, ucciso in seguito dalla nobiltà locale. La città, aggregata al Ducato di Milano, passò all'impero e Carlo V, nel 1556, la assegnò a Filippo II, assieme al milanese. Tuttavia, P. tornò ai Farnese con il trattato segreto di Gand e da allora rimase loro feudo, sino al 1731.
Il primo documento attestante una presenza ebraica a P. risale al 1437 e riguarda la notizia riferita da tale Salomone, residente nella città, secondo cui Magister Isaac di Noyone (che si faceva chiamare Magister Achino), sedicente ingegnere, sarebbe arrivato a Milano per costruire un ponte sul Po.
Nel 1445 tra gli ebrei cui il Duca condonava la pena per i reati commessi, vi era anche Salomone di Leone di P. e, quattro anni più tardi, gli Anziani della città rifiutarono di accogliere l’ebreo Mayro a fenerare a P., dato che a Salomone e Israele era stato precedentemente accordato il monopolio del prestito. Nello stesso anno, il 1449, il Consiglio cittadino decise di imporre il segno distintivo agli ebrei, unitamente al rispetto della domenica, quale giorno festivo come il sabat e al divieto di mostrarsi in città durante la Settimana Santa. Dal canto suo, Francesco Sforza scrisse al podestà e agli altri funzionari confermando la condotta tra la città e gli ebrei e, quanto al segno, nel 1451 disse di farlo accettare con le debite buone maniere.
L'anno precedente, intanto, gli Anziani avevano confermato l'accordo stipulato con Israele e Salomone, rifiutando, pertanto, le richieste di Emanuele e di Mayro di fenerare a P. e, nel 1451, il Duca fece pressione sul sostituto del vescovo di P. perchè non angariasse gli israeliti locali, dato che jus suum unicuique dandum est[1] e rinnovò le richieste in questo senso anche l'anno successivo e due anni dopo.
Contemporanemente il Duca intervenne anche, più volte, perché i feneratori ricevessero il saldo dei loro crediti dal Comune e, in generale, recuperassero le loro proprietà e, due anni più tardi, egli si adoperò in favore degli ebrei, sottoposti dal locale funzionario delle bollette a vessazioni contrarie al loro privilegio. Sempre nel 1453, Salomone di P., incaricato dell'esazione delle tasse, riferì che gli ebrei piacentini si rifiutavano di anticipare i soldi per i correligionari del Ducato che non avevano ancora pagato e l'anno seguente, il Duca intervenne in aiuto di Israele di P. sia rispetto ai debiti che questi avrebbe dovuto saldare, sia riguardo ai crediti da recuperare.
Nel 1456 tra gli ebrei del Ducato, cui veniva condonata la pena per atti illegali commessi, risultavano anche Bonhomino, Giuseppe Michele e Maher (Meir) di P., ma nello stesso anno il Duca ordinò anche che si facesse luce sull'accusa, formulata da Israel de Alamania residente a P., contro un correligionario tedesco, residente a Castellarquato, che avrebbe tentato di far uccidere la moglie e la cognata da un cristiano a P.
L'anno seguente, Francisco Christiano, indicato in altri documenti come apostata, formulò accuse contro Bonhomo e contro Michele, a suo dire spergiuro, ma rilasciato, insieme agli altri ebrei coinvolti, dietro cauzione. Poco dopo, il Duca ordinò che si appurasse la denuncia mossa da Bonhomo contro il comportamento ostile del funzionario delle bollette, affinchè njuno receva torto e iniuria[2]. Il Duca, tra i vari interventi per rendere, se del caso, giustizia agli ebrei, ingiunse alle autorità competenti di P. di estinguere con Bonhomo e con il fratello Mayer un suo debito, da tempo ritenuto saldato.
Nel 1458 gli ebrei di P. non avevano ancora pagato per intero la tassa annuale all'erario ducale e i ritardatari furono obbligati dal podestà a consegnare quanto dovuto al tesoriere, Bonhomo di P., o a presentarsi al capitano di giustizia, sotto pena di ammenda.
Nello stesso 1458 un documento attesta il permesso ducale concesso agli israeliti piacentini riguardo ad ogni tipo di gioco nella taverna di un tale Mosè, purché vi fossero esclusi i cristiani. Dieci anni dopo, il Duca ordinò ai funzionari piacentini di appurare se era consuetudine tenere hostaria per li ebrei[3] nella città, dando, in caso affermativo, l'autorizzazione a tale Grassone piuttosto che non a un forestiero. Dopo ulteriori dieci anni, il Duca dette istruzione affinché né l'allora gestore della taverna, Mosè, né i suoi clienti fossero molestati e continuassero a giocare, purché solo tra ebrei.
Quanto a Bonhomo, appare più volte menzionato nei documenti come debitore alla Camera ducale: nel 1460, egli e il fratello risultavano impossibilitati a far fronte al prestito pattuito con il Tesoro ducale, per il mancato riscatto dei pegni in loro possesso. Pertanto, il referendario di P. ricevette ordine di emettere un proclama per ottenere entro breve il riscatto dei pegni giacenti presso di loro, pena la confisca. Nonostante ciò non fosse avvenuto, il Duca ingiunse al referendario di ottenere la somma dai due ebrei e, non avendola ricevuta per intero, fece arrestare Bonhomo, imponendo al referendario di applicare arte industria et diligentia[4] per ottenere il rimanente dall'altro feneratore. L'arresto fu prospettato altre volte a Bonhomo ed al fratello, in caso di mancato pagamento delle cifre da prestare al Tesoro ducale.
Per ciò che concerneva la vigesima, invece, è da registrare che nel 1460 un Simone di P. fu latore di due brevi papali sull'argomento[5].
Nel 1461 scoppiarono dei disordini a P. e, tra l'altro, furono fatti tentativi di rapinare gli ebrei, ma, grazie all'intervento della popolazione stessa, venne riportata la calma in città.
Due anni dopo troviamo Isacco di Manasse di P. insignito dello status di familiare ducale e tra coloro che dovevano consegnare al tesoriere della città di Milano la cifra dovuta dagli ebrei al Duca per il 1464, si trovava anche Bonomo (Bonhomo) di P. Sempre nel 1464, il Duca ordinò al commissario e al podestà di far cessare la predicazione anti-ebraica del monaco Marco, sostenendo che gli ebrei erano tollerati in tutti gli Stati cristiani e anche dalla Chiesa. Allo stesso anno, inoltre, risaliva l'assunzione - in nome degli ebrei del Ducato e dietro loro richiesta ad legendum et docendum[6] a P. - di Magister Abraam di Castellano che fu autorizzato a insediarsi nella città per insignare littere ebrayce ad cadauno altro ebreo[7]. Se, invece, vi fossero stati altri interessati a venire nel Ducato ad insegnare argomenti attinenti alla Legge ebraica, avrebbero danneggiato sia gli interessi di Abraam che della Comunità ebraica. A un gruppo di ebrei che faceva richiesta di entrare nel Ducato, invece, presumibilmente per fenerarvi, il Duca concesse l'ingresso, sottoponendolo, pero, per quanto riguardava P., all’autorizzazione di Giuseppe e di Isacco: in particolare, fu escluso dalla possibilità di venire in città un tale Magister Leone.
Nell’assoluzione concessa, nel 1465, da Francesco I Sforza agli ebrei del Ducato, figurava anche Isacco di Israele di P. e l'anno successivo, le autorità rifiutarono l'ingresso a P. a tale Isacco da Romano, data l'opposizione dei locali, capeggiati proprio da Isacco di Israele, ancora residente in città.
Nel 1467, Isacco di Manasse, tesoriere preposto alle tasse ebraiche, ed il fratello Giuseppe, ambedue affezionati servitori, furono aiutati dal Duca nel riscuotere i crediti per pagare a loro volta il proprio debito e, poco dopo, il Duca intervenne con le autorita piacentine, su richiesta di Isacco, a favore del fratello Giuseppe di Broni, e dello zio, Salomone di Monza, accusati ingiustamente da correligionari alessandrini di essersi appropriati di denaro che avrebbe dovuto essere consegnato al Duca defunto. La vicenda risultò alquanto intricata e i vari personaggi coinvolti erano tutti più o meno colpevoli o di reciproche calunnie o di diffamazione nei confronti del defunto: pertanto, il Duca chiuse il caso, perdonando gli interessati, tra cui Isacco e Salomone di Mosè di P.
Pochi giorni dopo, Isacco di P. intervenne con la promessa di pagare 200 ducati, in aggiunta ai 1.000 che gli avrebbero consegnato quelli altri hebrei[8], secondo quanto convenuto.
All'incirca nel 1470, al funerale del padre di Salomone di Pavia, tenutosi a P., il corteo funebre fu attaccato e messo in fuga dagli uomini del locale podestà che vennero arrestati. Nello stesso anno, gli ebrei si lamentarono, poi, per i maltrattamenti subiti in città, ricordando, tra l'altro, l'episodio del funerale, e il Duca intervenne ordinando la punizione dei colpevoli.
L'anno successivo, da un documento che ci attesta del controllo dell'immigrazione ebraica a P. garantito a Isacco di Manasse (cui prima era associato anche Giuseppe), si evince il fervore di studi della locale yeshivah, che avrebbe potuto attirare un gran numero di ebrei, provocando le ire dei cristiani.
Sempre nel 1471, nell’assoluzione ducale appaiono anche un Leone (Yehudah) e Isacco di P.
Nel 1473, tra i delegati degli israeliti che si occupavano dell’esazione delle tasse, risultava esservi anche Leone di P.
Nel 1474 un cristiano che viveva nella casa di Isacco di P. si rifiutò di pagarlo o di lasciare la casa: dietro sollecitazione di Isacco, il Duca intervenne perché gli fosse resa giustizia, affermando: Et benché sia Judeo non è nostra intentione chel sii indebitamente oppresso ne che gli mancha iusticia[9].
Tre anni dopo, dietro richiesta ebraica, il commissario cittadino ordinò che gli Ebrei possano havere dele carne per loro bisogno[10], come in passato.
Nel 1477 i prestatori di P. indirizzarono una petizione ai Duchi, chiedendo che non venisse concessa l'introduzione di un terzo banco nella città ad Isacco, che avrebbe ottenuto dolosamente il consenso comunale all'iniziativa. In questa occasione, assieme alla clausola che non venissero introdotti altri banchi oltre ai due esistenti, gli ebrei riportarono le date inerenti alla condotta, stipulata tra essi e il Comune, nel 1448, confermata due anni dopo dal Duca Francesco e rinnovata due volte decennalmente, nonché confermata dal Duca e dalla Duchessa, nel 1477, con validità di altri nove anni. Qualche mese dopo, gli Anziani premettero sul Duca per evitare il rinnovo della condotta ai banchieri residenti a P., in quanto ve ne sarebbero stati altri disposti a praticare il prestito a condizioni piu vantaggiose per la città: il Duca, tuttavia, venendo incontro ai prestatori di più vecchia data., confermò il loro privilegio. La questione del terzo banco, però, rimase aperta, provocando discussioni: quanto all'autorità ducale, decise di astenersi dall'ingerenza nelle decisioni interne della Comunità ebraica.
In questo periodo, fu pubblicamente processato a P. tale Salomone e le autorità ricevettero l'ordine di procedere in modo tale da non pregiudicare gli interessi ebraici in città.
Nel 1478 il commissario di P. ebbe ordine di vegliare sugli israeliti piacentini e sulle loro proprietà durante la Quaresima e la Settimana Santa, ma l'anno seguente, durante le indagini rispetto all'accusa di omicidio rituale a Pavia, fu arrestato a P. tale Saya, che protestava la propria innocenza.
Nello stesso periodo, Manasse di Isacco di P. fu costretto a lasciare il Ducato per debiti e chiese l'autorizzazione ducale - che gli fu concessa per quattro mesi – a tornarvi per sistemare le proprie pendenze e quelle del padre.
Nel 1480 tale Bonhomo di Melegnano, detentore del permesso di porto d'armi a P., fu attaccato dagli uomini del commissario piacentino che gli sottrassero arma e denaro, poi restituitigli per intervento ducale. Nello stesso anno, il piacentino Viviano denunciò al Duca la sottrazione illegale della figlia Anna, con il pretesto della conversione, ottenendo l'ordine di riportarla a casa, salvo permettere la conversione in caso fosse stata appurata la reale volontà dell'interessata. Con il tempo, si chiarì che: Anna tunc ebrea zovene seducta como si crede da certi cristiani per inamoramento al tempo de li piaceri del carnivale[11] era fuggita da casa con denaro e gioielli della famiglia, consegnandoli a un nobile, con l'intenzione che il vescovo ne disponesse a proprio piacimento data la sua intenzione di convertirsi. Tra le varie argomentazioni avanzate dalla famiglia per riavere i propri beni, vi era anche quella secondo cui essi sarebbero stati il frutto dell'attivita feneratizia e, pertanto, Anna dopoi facta cristiana non li potea tenere como beni di usura[12]: il Duca, dal canto suo, intervenne per imporre la restituzione degli averi ai proprietari legittimi.
Nel 1483 tale Michaela, vedova di Simone di Tortona, convertitasi al cristianesimo assieme alla figlia, presentò il problema dei rimanenti figli sottrattile dagli ebrei piacentini per impedirne la conversione. Il podestà decise che le fossero resi immediatamenti i figli più piccoli, mentre i più grandicelli avrebbero dovuto decidere da soli in merito al ritorno dalla madre e alla conversione.
Nel 1485 dietro ordine ducale i podestà di varie località, tra cui P., dovettero redigere una lista segreta delle famiglie ebraiche residenti in loco.
L'anno seguente, gli ebrei protestarono per le angherie inflitte loro da un cavalere de le strate e de le victualie[13], che veniva ammonito a desistere, sotto minaccia di punizione.
Nel 1488 tra i giudei del Ducato processati per vilipendio alla religione cristiana e condannati alla esplusione e alla confisca dei beni, risultava anche un Isachino del fu Moisè di P. e, ancora nel 1488, sappiamo che avrebbero dovuto essere sottoposti alla tortura due feneratori, padre e figlio, arrestati per aver asportato quanto di proprieta dei loro creditori.
Nel 1503, dopo l’espulsione dal Ducato di Milano, P. inclusa, gli Anziani della città risolsero di non ammettere ebrei a vivervi, mentre si era sparsa localmente la voce dell'insediamento imminente di feneratori. L'anno seguente, il Consiglio di P. ratificò la risoluzione di espellere gli ebrei da P., decidendo di non ammetterne piu l'insediamento.
Nel 1508 Luigi XII di Francia impartì istruzioni al pretore e al sindaco fiscale di P. per permettere a Magister Giuseppe di vivere in città, sino a nuovo ordine, proibendo, tuttavia, alla sua famiglia di venire a stare con lui, mentre P. chiedeva al re di negare a Giuseppe il permesso di risiervi.
Dopo il passaggio al dominio papale nel 1512, P. fu nel 1513 tra le città cui fu ordinato un censimento segreto degli ebrei, con particolare riguardo alla loro situazione finanziaria.
Nel 1528 fu concesso al medico ebreo di Mantova, Giacobbe di Amedeo De Leon, di vivere a P. con la famiglia, curando anche pazienti cristiani.
Secondo una fonte, nel 1530 Magister Abramo di Guglielmo della nota famiglia di medici Portaleone-Sommo avrebbe ricevuto dal papa il privilegio di stanziarsi con la famiglia a fenerare a P.[14].
Tra i permessi papali di costruire o restaurare sinagoghe, concessi nella prima meta del XVI secolo, figura quello elargito a P. nel 1533. Nello stesso anno, Raffaele di Anselmo di Pizzighettone, insieme al permesso di vivere con la famiglia e prestare a P. per cinque anni, ricevette anche il privilegio che lo esonerava dal partecipare alle prediche a scopo di conversione e alle dispute teologiche.
L'anno seguente, ebbe luogo l'esazione della vigesima a P., che si ripeté dieci anni dopo. Nel 1542 fu imposta agli ebrei la tassa per la difesa contro i Turchi e nel 1547 un nobile parmigiano fu incaricato dell'esazione delle imposte della città, ivi comprese quelle ebraiche.
Quanto alla presenza di Nuovi Cristiani, se ne ha una traccia in un documento del 1540, in cui il marchese d'Avalos, governatore del Ducato di Milano, veniva esortato da Paolo III a consegnare al governatore di P. alcuni portoghesi, di recente convertiti, arrestati nel Ducato sotto il pretesto di essere venuti in Italia per tornare al giudaismo.
Dopo il 1570, anno in cui sarebbero stati cacciati da P. dal vescovo locale, Paolo d'Arezzo[15], sporadiche presenze ebraiche sono segnalate nella città. Nel 1577 Moisè de Poesiis risultava ritirare crediti a P. e dirimere controversie, mentre, l'anno seguente, Mandolino de Ottolengo era autorizzato a prestare giuramento more hebraico di fronte al giudice delle cause civili a P., riguardo ad un deposito registrato presso un notaio di Guardamiglio e, undici anni dopo, Donato de Ottolengo era autorizzato a ritirare crediti in P.
L'ultima traccia della presenza ebraica risale al 1596, con Lodovico Cadamosto, alias Josef de Levi, del fu Angelo di P., convertito, che risultava aver lasciato la città per stanziarsi in convento a Lodi[16].
Vita comunitaria
Per quanto concerne la vita comunitaria, gli ebrei si erano riuniti a P., nel 1453, per stabilire la ripartizione delle tasse per l'erario ducale, sotto la guida di Manno, mentre il capitano della cittadella riceveva ordine di non permettere ad alcuno dei convenuti di lasciare la città, dietro forte pena pecuniaria. Qualche tempo dopo, tutti gli isrealiti ricevettero ordine di recarsi a P. per discutere le quote di pagamento con Bonomo e Israele di P., i quali, non riuscendo ad ottenere il pagamento, furono sostiuiti, l'anno seguente, con Manno di Pavia.
Nel 1466 il gruppo ebraico si riunì ancora una volta nella città, essendo stato esortato a confermare la provvisione richiesta, di grande vantaggio per gli interessi del Ducato.
Nel 1470 il Duca ordinò agli ebrei di incontrarsi a P. per organizzare l'auto-gestione delle tasse, che fu messa in atto qualche mese più tardi.
All'incirca una decina d'anni dopo, tutti gli ebrei del Ducato dovettero, poi, recarsi all'assemblea generale di P. onde decidere la ripartizione delle imposte dovute all'erario ducale, da stabilirsi sulla base della dichiarazione giurata dei redditi da parte dei partecipanti. Nel febbraio del 1480, avrebbe dovuto avere luogo a P. la riunione per la valutazione delle tasse imponibili, alla quale dovevano partecipare anche i principali banchieri di P.: in marzo, tuttavia, risultava che la decisione presa di tassare solo i banchieri aveva incontrato l'opposizione di questi ultimi, con la conseguente prospettiva di totalle consumptione[17] degli Ebrei che banchieri non erano, sventata grazie all'intervento ducale. Nella stessa assemblea si decise anche l'esazione delle quote per un nuovo prestito ai Duchi.Circa nello stesso lasso di tempo, i rappresentanti delle Comunità ebraiche, tra cui Isachino di P., si erano riuniti per discutere i ricorsi contro le tasse stabilite.
Per quanto riguarda l'amministrazione del diritto, un documento del 1470 attesta che i rabbini di P. godevano dell'autorità necessaria per dirimere le controversie tra correligionari in caso di dispute non implicanti il diritto penale. Altro esempio dello stesso genere si ha, nel 1485 circa, quando il Duca impartì istruzioni a Magister Abraaam e a Magister Symone (Abramo e Samuele) di P. per giudicare una causa civile tra una coppia di ebrei, da cui essi, essendosi la causa rivelata attinente al diritto penale non di loro pertinenza (ne è sua consuetudine impazarsi de criminali[18]), si astennero[19].
Attività economiche
Le attività economiche degli ebrei piacentini si svolgevano prevalentemente nel campo feneratizio, ma un documento del 1451 attesta anche l'importazione di animali, fornendo un esempio del fatto che gli ebrei del Ducato si dedicavano anche ad occupazioni alternative.
Soffermandoci sull'attivita feneratizia, troviamo che, all'incirca nel 1465, il permesso di esercitarla era detenuto da Isacco di Manasse e da Giuseppe, che avevano anche la facoltà di regolare l'ingresso di nuovi feneratori, sottoposto, appunto, al loro consenso. Isacco risultava proprietario solo di un terzo di uno dei due banchi cittadini, mentre Giuseppe, lasciata P., aveva passato il proprio banco ad altri, affinché lo gestissero in suo nome.
La posizione di preminenza di Isacco di Manasse provocò le reazioni di Giuseppe e Isacco Sacerdote, proprietari di una quota di ambedue i banchi e, pertanto, desiderosi di godere anch'essi della stessa autorità. Nel 1466 fu riconfermata intanto l'autorizzazione a fenerare a P., a Isacco di Mose, che l'aveva ottenuta gia dal 1461, entrando in società con Isacco di Manasse.
Nel 1472, su richiesta di alcuni ebrei, una tassa di 100 ducati era stata imposta ad ogni correligionario che avesse voluto aprire un banco di prestito a P. e dintorni. L'anno successivo, Isacco di Mosè di P., vendette a Salomone di Mandolino di Pizzighettone, due terzi della quota del suo banco di P., mantenendone un terzo, ed ottenne l'approvazione ducale alla vendita e la garanzia degli stessi privilegi dei banchieri piacentini per il compratore.
Qualche anno dopo, Isacco di Manasse ed il figlio Manasse possedevano una quota in uno dei banchi di P., avendone ottenuta l'autorizzazione nel 1473 con un privilegio separato dalla generale riconferma del privilegio ebraico nel Ducato: di essa, quindi, chiesero anche un conferma separata, rispetto al privilegio generale.
All'incirca nel 1477 gli ebrei si opposero, poi, all'apertura di un terzo banco a P. e nel 1488, su richiesta dei creditori piacentini, fu emesso un proclama riguardo alla liquidazione dei crediti dei feneratori: tutti i beni affidati a terzi avrebbero dovuto essere consegnati al funzionario responsabile, che avrebbe provveduto a venderli all'asta, soddisfando i creditori[20].
Vita culturale
Quanto alla vita culturale, nel 1444 furono copiati a P. il Libro di Giobbe ed il trattato Avoth. Dalla seconda metà del XV secolo, è attestata, inoltre, l'esistenza di una fiorente yeshivah a P., in cui insegnava Abraam di Castellano[21].
Bibliografia
Picotti, G.B., D'una questione tra Pio II e Francesco Sforza per la ventesima sui beni degli ebrei, in Archivio Storico Lombardo XL (1913), pp. 184-213 (estr. pp. 3-32).
Ravà, V., Gli israeliti nelle province parmensi, in L'educatore israelita XVIII (1870), pp. 169-180.
Roth, C., The History of the Jews of Italy, Philadelphia, 1946.
Simonsohn, S., History of the Jews in the Duchy of Milan, 4 voll., Jerusalem 1982–1986.
Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, 8 voll., Toronto, 1988–1991.
Zoller, I. Un banco ebraico piacentino sul principio del sec. XVI, in Rivista Israelitica VII (1910), pp. 87-92.
[1] Simonsohn, S., The Jews in the Duchy, I, doc. 122.
[2] Simonsohn, S., op. cit., doc. 487.
[3] Simonsohn, S., op. cit., I, doc. 1084.
[4] Simonsohn, S., op. cit., I, doc. 672.
[5] Lo stesso documento compare anche in: Picotti, G. B., D'una questione tra Pio II e Francesco Sforza per la ventesima sui beni degli ebrei, p. 30.
[6] Simonsohn, S., op. cit., I, doc. 855.
[7] Simonsohn, S., op. cit., I, doc. 858.
[8] Simonsohn, S., op.cit., I, doc. 1021.
[9] Simonsohn, S., op. cit., I, doc. 1515.
[10] Simonsohn, S., op. cit., II, doc. 1665.
[11] Simonsohn, S., op. cit., II, doc. 2013.
[12] Simonsohn, S., op. cit., II, doc. 2013.
[13] Simonsohn, S., op. cit., II, doc. 2149.
[14] Zoller, I., Un banco ebraico piacentino sul principio del sec. XVI, p. 88 e pp. 90-92.
[15] Roth, C., The History of the Jews of Italy, p. 309; Ravà, V., Gli israeliti nelle province parmensi, p. 172.
[16] Simonsohn, S., The Jews in the Duchy, I, doc. 18, 42, 63, 65, 71, 79, 117, 122, 123, 124, 262, 159, 198, 245, 250,274, 290, 355, 422, 445, 469, 487, 492, 536, 540, 544, 562, 1084, 1836, 607, 633, 656, 658, 672, 729, 827, 671, 711, 802, 814, 828, 855, 858, 925, 963, 965, 1010, 1011, 1015, 1016, 1017, 1018, 1019, 1021, 1199, 1203, 1274, 1302, 1494, 1515, 1665, 1634; II, 1693, 1694, 1703, 1736, 1682, 1685, 1773, 1879, 1867, 2012, 1984, 2013, 2103, 2129, 2149, 2165, 2167, 2303, 2305, 2311, 2326; Simonsohn, S., The Apostolic See,, doc. 1378; History, p. 130; doc. 1576, 1578, 1684. 1998, 2395, 2179) 2668; Simonsohn, S., The Jews in the Duchy, IV, p. 2631; p. 2633; p. 2639; p. 2666.
[17] Simonsohn, S., The Jews in the Duchy, II, doc. 1996.
[18] Simonsohn, S., The Jews in the Duchy, II, doc. 2137.
[19] Simonsohn, S., The Jews in the Duchy, I, doc. 234, 251, 257, 986, 1216, 1256, 1267, 1279; II, doc. 1945, 1950, 1972, 1974, 1996, 1997; I, doc. 1214; II, doc. 2137.
[20] Simonsohn, S., The Jews in the Duchy, I, doc. 109, 894, 1034, 1411, 1467, 1556; II, doc. 1634, 1663, 1689, 1690, 2167.
[21] Simonsohn, S., The Jews in the Duchy, I, Introduction, p. XLV, doc. 855, 858, 1274.