Parma

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Parma

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Capoluogo di provincia. Tagliata da Est e da Ovest dalla via Emilia e da Sud e da Nord dal torrente Parma che, immediatamente prima di attraversare la città, si interseca con il Braganza, fu città romana. Dal 1303 al 1316 fu sotto il dominio di Giberto da Correggio e, dal 1322, sotto la Santa Sede, passando, quindi, a Ludovico il Bavaro e, poi, a Giovanni di Boemia. Dopo un periodo sotto gli Scaligeri e, poi, sotto Azzo da Correggio, i Visconti tennero la città dal 1346 al 1447; seguì un breve intervallo di indipendenza e poi, la città passò agli Sforza dal 1449 al 1500, quando se ne impossessarono i francesi, sconfitti i quali, nel 1512, essa venne annessa agli Stati della Chiesa, ritornando dal 1515 al 1521 alla Francia e, in seguito, al dominio pontificio con Francesco Guicciardini come governatore. Nel 1545 Paolo III la nominò capitale di un piccolo ducato, cui apparteneva anche Piacenza e vi mise a capo il figlio Pier Luigi Farnese, i cui discendenti avrebbero dominato sino al 1731.

Sebbene vi siano notizie riguardanti la presenza di ebrei a P. prima del XV secolo[1]  e si sappia che sotto il dominio visconteo tra i pochi ebrei residenti nella città vi erano alcuni medici[2], il primo documento a nostra disposizione risale al 1437 ed è l'assoluzione ecclesiastica data, a condizione del pentimento, al prevosto di P., per aver, tra gli altri peccati, anche permesso agli ebrei di usare la sua casa per fenerarvi.

Nel 1445 circa, il Duca concesse  poi l’ assoluzione ad una serie di israeliti, tra cui Salomone di Abramo Galli, residente a P.,  con cui la comunità di P. concordò la condotta nel 1448, stabilendo che prestasse al 20% di interesse, cioè chiedendo 4 denari per lira al mese per i cittadini, mentre non veniva prescritto il tasso da applicare ai forestieri.

Tra i particolari della condotta degni di nota, vi erano l'autorizzazione all'acquisto di una casa per uso personale e all' uso cimiteriale dell'orto di un'altra casa, sempre di proprietà di Salomone. Inoltre, lui ed i suoi soci erano legittimati ad esercitare, oltre all'attività feneratizia, anche la medicina ed il commercio ed erano esentati dal segno. Il Comune, invece, non si riteneva tenuto a risarcirli per eventuali danni in caso di saccheggio della città, ma solo in caso di saccheggio specifico del banco.

Nel 1449 dopo che P. si era consegnata a Francesco Sforza, la condotta fu confermata senza alterazioni: poiché il sistema adottato dallo Sforza era quello di dare il beneplacito al contratto convenuto tra le parti, nello stesso 1449 Magister Giacobbe di Vitale da Bologna, medico di chiara fama, e il fratello ottennero - previo consenso degli Anziani - che i capitoli concordati tra il Comune e Salomone Galli e soci (fra cui si trovavano anch'essi) venissero applicati a loro separatim et divisim[3].

Nel 1453 il Duca lamentava la negligenza mostrata nell'arresto di Magister Giacobbe, fermato in Castellarquato e trasferito in prigione a P., e auspicava la pronta istruzione di un processo per appurare la colpevolezza o meno dell'imputato che, dopo svariate vicende, fu poi rilasciato.

Nel 1456 tra gli ebrei esentati dal Duca dalle punizioni per atti illegali commessi, vi erano anche i parmigiani Salomone, Leone e Lippumanno.

Nello stesso anno il Duca chiese al podestà e agli Anziani di P. che, potendo accogliere in città quanti ebrei volessero stabilirvisi per fenerare, venisse concessa una condotta a Magister Giacobbe e ad altri due, intervenendo per sveltire la pratica. Da un documento di tre anni dopo, risulta che ebrei che, in passato, avevano voluto stabilirsi a P., senza previo permesso di residenza, erano stati arrestati.

Nel 1462 un esponente della famiglia Galli presentò al vicario vescovile di P., per conseguirne l'autenticazione e l'applicazione, l'atto del vescovo di Spoleto, stilato tre anni prima, con cui si imponeva il rispetto della bolla di Martino V contro la predicazione anti-ebraica. Qualche anno più tardi, il Duca approvò che Magister Giacobbe associasse al proprio banco di P. anche Abraam e Raffaele e fece presente che al Comune spettava di confermare tale decisione.

Non mancarono controversie tra gli ebrei e il Comune per la concessione dei banchi di prestito a P., mentre il Duca tendeva a mantenere un certo equilibrio tra la propria autorità e quella comunale, sinché, nel 1480, ordinò al governatore di P. di intervenire, risolvendo con soddisfazione di ambo le parti, il contenzioso tra gli Anziani che volevano modificare i capitoli - più volte confermati dai Duchi – e gli ebrei che si opponevano.

Nel 1488 la situazione dei prestatori parmensi fu compromessa dall'istituzione del Monte di Pietà, in seguito alla predicazione di Bernardino da Feltre[4]. Esempi di predicazione anti-ebraica a P. vi erano già stati, ma le autorità  si erano opposte, impedendo, nel 1461, a un discepolo di frà Timoteo di aizzare il popolo contro gli ebrei e, tre anni dopo, ammonendo il monaco Marco, affinché smettesse di predicare.

Per quanto concerne il divieto di rapporti carnali tra ebrei e donne cristiane, il Duca, invece, si mostrò sempre assai rigoroso: nel 1458, deprecò il cattivo comportamento ebraico in materia e, in particolare, autorizzò l'arresto di tale Lipomanno, riconosciuto colpevole di commercio carnale. Tuttavia, più tardi, il Duca ordinò che fossero restituiti a Lippomanno ed al fratello Anselmo il banco ed i beni, mentre, qualche tempo dopo, Lipomanno si trovò nuovamente in prigione, anche se dai documenti non ne risulta il motivo. Verso la metà del XV secolo, un altro ebreo accusato di rapporti illeciti con una donna cristiana, Angelo di Zacharia, venne poi riconosciuto vittima di calunnia da parte di un mancato pretendente della figlia (tale David di Salomone) e, pertanto, fu reintegrato nei propri beni e autorizzato a ritornare a P., da cui era fuggito.

Analoga calunnia si ripeté ai danni di Angelo, qualche anno dopo, concludendosi nella liberatione per se e per il padre e i fratelli da qui indreto e persino al di presente da quanti delicti gli potessero essere impincti et imputati[5]. Invece, risultò colpevole e, dunque, fu punito, un vecchio judeo,[6] tale Garxon "il tedesco", mentre Rafael di David Galli, imputato della stessa trasgressione, ottenne, nel 1471, un salvacondotto ducale.

Pur proteggendo gli Ebrei dalla predicazione dei frati e dal clero locale, i Duchi non furono, tuttavia, contrari alle conversioni ebraiche al cristianesimo: tra i casi registrati a P. il più clamoroso fu quello del medico Magister Salomone, divenuto Alessandro, cui, poco dopo la metà del XV secolo, per intercessione ducale, furono concesse agevolazioni per incontrarsi con moglie e figli, che non si erano convertiti. Segno del favore con cui i Duchi consideravano la conversione erano anche le pressioni esercitate perché il convertito, ad onta di quanto accordato, invece, nei privilegi concessi agli ebrei, non perdesse il proprio patrimonio e l'eredità. Nella seconda metà del Quattrocento, il duca ordinò al commissario di P. di obbligare la madre di una convertita a darle la dote nuziale e, analogamente, qualche anno dopo tale Salomone fu obbligato a dare alla figlia convertita la stessa dote delle figlie rimaste ebree e, nel 1472, fu favorita nello stesso senso la moglie di Antonio Maria de Arcimboldi, convertita.

Tuttavia, nel 1455 Francesco Sforza ordinò al podestà di P. di arrestare un ebreo per aver favoreggiato, forse insieme ad altri, la fuga della moglie di tale Salamone, convertitasi con i figli. Per quanto concerne, invece, l'appoggio ducale agli ebrei contro l'autorità locale, vediamo che, nel 1455, il Duca intervenne per far rispettare contro il parere del podestà i capitoli degli ebrei che li esentavano dal segno e ripeté un analogo intervento nel 1473, minacciando anche di multa chi avesse arrecato offesa agli israeliti, mentre, nel 1460, intervenne con il commissario di P. per sgravarli dalle continue nove gabelle et impazi[7], in contrasto con i capitoli loro concessi.

D'altro canto, però, scriveva allo stesso commissario perche ordinasse, a Leone e Zannetaro di pagare integralmente entro brevissimo termine, pena un'ammenda pecuniaria, la tassa dovuta alla Camera ducale e, in caso di rifiuto, ne ordinava l'arresto.

Nel 1466, invece, prestando orecchio alle lamentele ebraiche, il Duca ordinò che venissero fatti rispettare i capitoli concessi dal suo predecessore e la concessione allora elargita.

Ugualmente, cercò di proteggere gli ebrei dai collettori papali della vigesima sui beni, sebbene, nel 1464, uno di costoro riuscì a estorcere loro un bacile d'argento.

Nel 1467 il Duca nominò suo medico Guglielmo (Beniamino) Portaleone figlio dell'ebreo parmigiano Angelo (e che visse anch'egli, almeno un periodo a P.) e lo elevò al rango di familiaris. Questi, dal canto suo, si sarebbe appellato al suo appoggio, nel prosieguo degli anni, per quanto concerneva la sua attività di prestatore.

Quanto alle imposte, nel 1467 il Duca ordinò ad alcuni ebrei, tra cui Samuele di P., di recarsi a Pavia per determinare le nuove contribuzioni insieme ai colleghi e nel 1471 dette disposizioni al referendario di P. perché ordinasse agli ebrei di riunirsi eleggendo un delegato per trattare con il cancelliere Michele da Cremona in materia di esazione e, venendo incontro al responsabile ebreo dell'esazione tra gli Ebrei del Ducato, ordinò ad alcuni di loro, tra cui il parmigiano Samuel (Simone) di Zaccaria, di recarsi a Piacenza per creare una commissione che si occupasse della ripartizione delle imposte. Tra gli ebrei che dovevano pagare, vi erano anche i parmigiani David e Abraham da Reggio.

Nello stesso anno (1471) il Duca intervenne perché non venissero esercitate molestie durante le cerimonie religiose ebraiche e concesse l’assoluzione agli ebrei del Ducato, tra cui Mosé de Gallis e fratelli ed Abramo e Davide di Castronovo Parmense, residenti a P.

Tra le città che ricevettero ordine di prendere disposizioni a tutela degli ebrei durante la Quaresima e la Settimana Santa, nel 1478, figurava anche P.

Nel 1480 tutti gli ebrei della giurisdizione di P. che esercitavano il prestito dovevano recarsi all'assemblea di Piacenza.

Nel 1488 tra gli espulsi con confisca dei beni per vilipendio alla fede cristiana, ci furono anche alcuni residenti a P.: Mosè del fu Israele di Rovigo, Elucio del fu Consiglio da Pisa, Angelo del fu Zaccaria e Dattolo del fu Consiglio da Pisa.

Nel 1491 Il Duca di Milano e il Duca di Ferrara favorirono il matrimonio del medico mantovano David da Nursia, della nota famiglia di banchieri, con un’ebrea parmigiana, la figlia di tale Gentila. Poco più di vent'anni dopo, tra le varie città che dovevano fare un censimento segreto degli ebrei, vi era anche P.

Nel 1534 Luca Thomasinus fu nominato motu proprio esattore della vigesima di una serie di città, tra cui P., mentre dieci anni dopo, gli subentrò il cavaliere parmigiano Petrus de Sala per P. e il nord-Italia; nel 1547, fu nominato esattore delle tasse ebraiche il nobile parmigiano Carolus Badalocchio.

Nel 1555 dopo le restrizioni in materia di abitazione e di prestito imposte agli ebrei dalla bolla di Paolo IV Cum nimis absurdum, la Comunità parmense si estinse. Lo zelo conversionistico di Maria Farnese avrebbe portato, invece, nel 1570, al battesimo a P. di quattro giovani ebree d'origine portoghese e, nello stesso anno, fu giustiziato a P. tale Agostino, un convertito di cui si ignora il capo d'imputazione. Occorre attendere quasi due secoli per ritrovare documenti inerenti la presenza ebraica a P., sia pure in forma limitata.

Nel 1749, infatti, Don Filippo Farnese, feudatario del Ducato di P. e Piacenza, promosse severe disposizioni contro gli ebrei che dai paesi circonvicini andavano a commerciare a P., in base alle quali nessuno di loro avrebbe potuto trattenersi nella città più di 24 ore, senza previo consenso scritto del Governatore, che avrebbe potuto essere esteso sino ad otto giorni: qualora gli ebrei non si fossero attenuti a queste disposizioni sarebbero stati puniti con multe pecuniarie o con il carcere, mentre per i recidivi erano previsti l'esilio ed altre pene maggiori ad arbitrio del Governatore[8].

Nel 1751 Don Filippo approvò lo statuto dei negozianti parmensi che stabiliva che nessun ebreo potesse contrattare, sotto pena di perdere le merci e di pagare una forte multa[9].

Rispetto alla vita interna alla Comunità, l'unico accenno a nostra disposizione si trova nei Responsa del rinomato rabbino Yosef Colon e riguarda la validità di una firma sotto un ghet (atto di divorzio) del 1470, eseguito a P. e firmato dai testimoni Yoshuah ben Menachem e Shemuel ben Abraham[10].

Per quanto concerne i luoghi di culto, ci resta un documento del 1464 in cui si accorda agli ebrei il permesso di costruire una nuova sinagoga[11].

Per quanto concerne il cimitero ebraico, nel 1448 Salomone, insieme alla condotta, aveva maturato anche il diritto di adibire a cimitero l'orto di una casa di sua proprietà. Nel 1492, poi, il Duca intervenne per impedire che gli ebrei venissero privati del terreno che serviva loro da cimitero, ma, due anni dopo, il fatto risultava già compiuto[12].

 

Bibliografia

Loevinson, E., Gli ebrei a Parma, Piacenza e Guastalla, in RMI. VII (1932-33), pp. 351-358.

Orvieto, A., Ebrei nel ducato di Parma nel secolo XV, in Il Vessillo israelitico 43/X, pp. 323-327; 43/XI, 357-360.

Ravà, V., Gli israeliti nelle province parmensi, in L'educatore israelita, 1870, pp. 169-180.

Simonsohn, S., Alcune note sugli ebrei a Parma nel '400, in Studi sull'ebraismo italiano in memoria di Cecil Roth, Roma 1974, pp. 227-260.

Simonsohn, S., The History of the  Jews in the Duchy of Milan, 4 voll., Jerusalem 1982–1986.

Simonsohn, S., The Apostolic See and The Jews, 8 voll., Toronto 1988–1991.

Simonsohn, S., The History of the Jews in the Duchy of Mantua,, Jerusalem 1977.


[1] Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, I, col. 556, che informa di persecuzioni agli ebrei di P. in occasione della peste nera della metà del XIV secolo. Orvieto, A., Ebrei nel ducato di Parma nel secolo XV, p. 323 e segg.; Cassuto, U., J.E., alla voce "Parma"; Ravà, V.,Gli israeliti nelle province parmensi, p. 169 e segg.; Loevinson, E., Gli ebrei a Parma, Piacenza e Guastalla, p. 351 e segg.

[2] Simonsohn, S., Alcune note sugli ebrei a Parma nel '400, n. 3, p. 230.

[3] Simonsohn, S., ivi, p. 231.

[4] Secondo il Ravà, op. cit, p. 171, l'influsso di Bernardino avrebbe portato alla cacciata di alcune donne ebree che insegnavano a ballare alle figlie di nobili e notabili della città.

[5] Simonsohn, S., Alcune note sugli ebrei a Parma nel '400, p. 236.

[6] Ibidem.

[7] Simonsohn, S., op. cit., p. 238.

[8] Ravà, V., op. cit., p. 172.

[9] Simonsohn, S., The Apostolic See, 95, doc.: 1394-1464, doc. 720; idem, The Jews in the Duchy, I, doc. 42; idem, Alcune note sugli ebrei a Parma, pp. 230-231; idem, The Jews in the Duchy, I, dcc. 218, 422; idem, Alcune note sugli ebrei a Parma, p. 232; idem, The Jews in the Duchy, I, doc. 590; idem, The apostolic See, 95, doc: 1394-1464, doc.858; Ravà, V., op. cit., p. 170; idem, Alcune note sugli ebrei a Parma, pp. 232-233; Ravà, V., op. cit., p. 171; Simonsohn, S., Alcune note sugli ebrei a Parma, p. 234; idem, The Jews in the Duchy, I, doc. 828; idem, Alcune note sugli ebrei a Parma, pp. 235-236, pp. 237-238, p. 234, p. 238; idem, The Jews in the Duchy, I, doc. 1024, 1184, 1498; II, doc. 1987, 2028; idem, Mantua, II, p. 469; idem, The Jews in the Duchy, I, doc. 1002, 1267, 1302; idem, Alcune note sugli ebrei a Parma, p. 238; idem, The Jews in the Duchy, II, docc. 1776, 1972, 2165; idem, Mantua, II, p. 472; idem, The Jews in the Duchy, II, doc. 2190, 2191, 2326; idem, The Apostolic See, 104, doc.: 1522-1538, doc.1684; 105, doc.: 1539-1545, doc. 2395; 106, doc: 1546-1555, doc. 2668; Loevinson, E., op. cit., p. 352, pp. 355-356; Ravà, V., op. cit., pp. 172-173.

[10] Simonsohn, S., Alcune note,  n. 42, p. 239.

[11] Simonsohn, S., Alcune note, p. 239.

[12] Simonsohn, S., Alcune note, p. 239.

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