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Provincia di Forlì. Sita in una zona collinosa tra i fiumi Savio e Rubicone, e chiamata in epoca romana Caesena o Caesenna, vide il proprio sviluppo condizionato dalla costruzione della via Emilia. Fece parte dell'Esarcato, seguendo le sorti della Romagna, e fu città vescovile sino a quando, nel secolo XI, cominciò a governarsi come un libero Comune e, pertanto, fu in lotta con Forlì, Cervia e Rimini. Il papato, volendo impadronirssene, ma non avendone la forza, la diede in vicariato a Francesco Ordelaffi che già l'occupava (1333), ma, gliela ritolse nel 1357. Sottoposta al diretto governo della Santa Sede, fu governata da rettori tanto aspramente da provocare svariati tentativi di recuperare la libertà. Nel 1377, fu messa a sacco dalle bande dei Bretoni del cardinale Roberto di Ginevra, mandato da Gregorio XI a domare le città romagnole che avevano aderito alla lega capeggiata da Firenze. Concesssa, nel 1379, in vicariato a Galeotto Malatesta, cominciò per la città un periodo di pace. I membri della famiglia Malatesta si succedettero al governo sino al 1465. In seguito, la città tornò alla Santa Sede e fu preda delle fazioni cittadine capeggiate dai Tiberti e dai Martinelli. Cesare Borgia la dominò per quattro anni (1500 – 1504), poi, dopo un tentativo di conquista da parte dei Veneziani, C. passò definitivamente al dominio della Chiesa e papa Giulio II emanò una solenne bolla per la costituzione del governo civile di essa.
La presenza ebraica a C., pur segnalata già nel XIII secolo[1], è stata fatta oggetto di studio accurato a partire solo dal XV secolo. Dagli annali di C. del 1297 risulta un'annotazione che, pur senza specifico riferimento questa località, riferisce del fermento messianico che animava, in quell'epoca, il mondo ebraico italiano, come il mondo cristiano, sia pure in base a tensioni spirituali e ad argomentazioni differenti[2].
A partire dalla fine del XIV secolo, sono segnalate nei documenti alcune presenze ebraiche, legate all’attività feneratizia[3] e negli anni Trenta del successivo, si distinguevano nel prestito Leone Zanatani e donna Allegrezza. Nel 1433 il podestà di C. emise un bando per obbligare gli ebrei all'uso del segno, cui reagirono Musetto d'Angelo e Leone Zanatani, a nome dei correligionari di C., Bertinoro e Meldola, indirizzando una supplica a Malatesta Novello per impetrare l'abolizione del provvedimento, come, in effetti, avvenne.
Le condizioni per l'esercizio del prestito vennero trasformate in "capitoli" nel 1435, grazie agli sforzi di Gayo, figlio di donna Allegrezza, di Salamone del Pozzetto e, successivamente, di Manuello di Aulivuccio (Olivuccio) e di Consiglio della Chiesa Nuova (così chiamato dal nome della via in cui era ubicato il suo banco).
Venticinque anni più tardi, un giovane della comunità ebraica, il figlio di tale Meluzzo, venne assassinato, senza che fossero scoperti gli autori o i mandanti del delitto, nonostante il bando emesso due volte da Malatesta Novello, in cui si prometteva una ricompensa a chiunque avesse fornito informazioni sull'accaduto.
Al termine del periodo della convenzione dei feneratori con il Comune di C., nel 1460, Gayo, Salamone e Consiglio vennero interpellati dal Consiglio degli Anziani, in merito al fatto se intendessero continuare l'attività o meno: mentre Gayo risultava reo di non aver rispettato i patti, Salamone e Consiglio dichiararono di voler continuare secondo le modalità consuete e i patti precedenti, per far fronte ai bisogni del Comune e degli indigenti[4].
Dopo un tentativo fallito, da parte degli Anziani, di estorcere agli israeliti più tasse di quelle pattuite con il Malatesta, i capitoli furono rinnovati secondo il modello precedente. Anche dopo la cessazione della signoria malatestiana e il passaggio di C. allo Stato pontificio, il rinnovo delle condizioni per l'esercizio dell'usura con il feneratore Salamone, risalente al 1469, non presentò sostanziali cambiamenti rispetto a quanto concordato durante il governo malatestiano.
Negli anni Ottanta del XV secolo - ed anche più di quaranta anni dopo - risultavano abitare ed operare a C. giudei di Fano, come di altre località[5].
All'inizio del dominio papale, vennero concesse a C. le entrate della tassa sugli ebrei[6] e nel 1467 il vescovo di Marsi, nominato governatore di questa località e di parte della Romagna, ricevette ordine di non concedere privilegi agli israeliti, contrariamente a quanto avevano fatto i suoi predecessori. Nel 1469 Paolo II inviò un breve in cui concedeva per tre anni alla città, per le riparazioni necessarie alle mura, oltre ad altri proventi, l'intera tassa sugli ebrei.
Quest’ultima - che, al tempo di Malatesta Novello ammontava a 450 lire all'anno - era rimasta probabilmente invariata sotto la dominazione pontificia e il Comune la godette di fatto per diversi anni. Nel 1484 i proventi delle imposte dei giudei cesenati vennero concessi per cinque anni a Girolamo Biondi di Forlì, preposto della Chiesa locale, mentre il Consiglio dei Conservatori e degli Anziani desiderava goderne a sua volta[7]. Il Papa revocando, dopo circa un cinquantennio, ogni precedente concessione della tassa degli ebrei, la avocò dunque alla Camera papale, ma, due anni dopo, la concesse, per tre anni, al suo protégé Herculanos Bitino di C., rinnovandogli, nel 1540, la concessione per un biennio[8].
Sotto il dominio papale, gli ebrei erano tenuti a pagare la vigesima - apparsa per la prima volta nel 1456, nel quadro di un sistema di tassazioni che non riguardava solo i giudei e che subì importanti modifiche con l'introduzione del sistema di tassazione diretta detto dei "sussidi triennali"[9].
I predicatori quaresimali si erano fatti sentire nei tardi anni Ottanta del XV secolo, annunciando ai consiglieri di C. di essere incorsi nella scomunica per i capitoli convenuti con gli ebrei e provocando come reazione la richiesta da parte del Consiglio cittadino della revoca degli stessi. Alla scadenza della convenzione, venne così sancita l'istituzione del Monte di Pietà, corroborata dalla bolla papale, il 10 maggio del 1488.
Un paio d'anni dopo, la cronaca locale segnala il tentativo, poi reiterato, da parte di un cesenate cristiano di attribuire ad un ebreo il reato di contrabbando del sale[10].
Dopo la fondazione del Monte, due feneratori subirono furti e, inoltre, tale Rubino di Giacobbe, venne assassinato, mentre tentava di fuggire verso Rimini con della merce.
Dal 1500 al 1504, il duca Valentino - Cesare Borgia - divenne signore di C. e gli ebrei parteciparono al pari degli altri Cesenati alle vicende locali: come scrive un cronista furono li principali citadini a lavorare, ebrei e ognomo per lo duca Valentino[11]. Quando il dominio del Borgia cessò e subentrò quello di Giulio II, tra gli altri provvedimenti, fu ordinato di permettere il passaggio sul territorio delle truppe spagnole, lasciate dal Valentino, in grazia del denaro pagato dagli ebrei in nome di quest'ultimo[12].
Leone X, considerate le "voci" sul numero sempre crescente di ebrei forestieri a C., sulla promiscuità con i cristiani e sui numerosi beni immobili posseduti, decretò nel 1514 la cacciata di tutti gli israeliti non nativi della città e la vendita dei beni immobili ebraici. Inoltre, gli ebrei non colpiti dall'espulsione avrebbero dovuto portare il berretto giallo e, quanto al prestito, avrebbero potuto praticarlo solo fino a quando il Monte cittadino non fosse stato in grado di sopperire da solo al fabbisogno creditizio della popolazione[13].
Con il breve del 1523 Adriano VI, dopo aver dichiarato che gli ebrei vivevano a C. in gran numero, rinnovò loro il divieto di possedere beni immobili e ingiunse di vivere separati dalla popolazione cristiana[14].
Cinque anni più tardi, il governatore di C. ricevette ordine, una volta appurata la veridicità delle accuse delle suore del convento di S. Clara, di costringere gli ebrei Eliutius e Guillelmus (Guillermus), rei di disturbare con la loro presenza la vita monastica, a traslocare dalle proprie abitazioni, previo risarcimento pecuniario[15].
Nel 1537 i rabbini Moyse Bassola e Ysach di Leone di Ancona vennero incaricati di giudicare il contenzioso tra Salomone di Emanuele di C. e Abraam Adiuto di magister Emanuele circa la restituzione della dote della defunta Dora, moglie di Abramo, dopo che Salomone aveva rifiutato l'arbitrato dei rabbini Ventura di Cingoli e David di Iesi, adducendo la distanza tra C. e queste due localita[16].
Quanto ai convertiti, si apprende da un documento del 1545 che vivevano a C. svariati membri della famiglia di tale Giovanni Battista di Mantova, passati, insieme a lui, alla fede cristiana[17].
Durante il periodo di vacanza del soglio pontificio dopo la morte di Paolo III (1549), gli ebrei di C., tra cui Beniamino di Elia di Mestre, qui residente, risposero all'appello del Comune e contribuirono alle spese per la difesa della città, impegnandosi, inoltre, a rispettare l'uso del segno[18].
Nel 1551 risulta che gli israeliti di una serie di località, tra cui C., avevano dichiarato di avere un reddito inferiore al reale per evadere il fisco: pertanto, fu aperta un'inchiesta al fine di giungere all’equa esazione delle tasse dovute al Papa[19].
Nello stesso anno, fu approvata e confermata la condotta tra la città di C. e un gruppo di banchieri ebrei di Pesaro[20] e l'anno seguente Beniamino di Elia di Mestre, residente a C., insieme ad un correligionario riminese venne incaricato dell'esazione delle tasse degli ebrei di Romagna e dell'esarcato, dopo che la vigesima era stata piu che radoppiata ed era stata imposta una multa per passate trasgressioni[21].
L'ultimo documento attestante un privilegio concesso a feneratori ebrei risale al 1554 e testimonia la presenza di Giuseppe da Fano, Abramo da Fano, Guglielmo di Arezzo e soci come prestatori: il privilegio era stato in origine concesso da Leone X esclusivamente a Ezechia da Fano, Leone da Fano, Leone da Fano, Aleuccio di Arezzo e soci, in seguito all'istituzione del Monte di Pietà. Venne, inoltre, vietata l'attivita di ulteriori banchieri, sotto pena di una multa e di esclusione dalla sinagoga: tuttavia, in caso di rifiuto delle condizioni imposte, si concedeva alla Città di invitare banchieri che offrissero condizioni piu favorevoli.
Infine, fu aumentata la tassa annuale che fu donata a Benedictus Massario de Aspra[22].
Dopo la bolla di Paolo IV Cum nimis absurdum del 1555, venne decretata la segregazione degli ebrei nella zona della città loro destinata all'uopo[23].
Che la comunità si estinguesse totalmente con la cacciata degli ebrei dallo Stato Pontificio, nel 1569, non è ancora del tutto assodato[24]. Un documento di una ventina d'anni dopo attesta che, nel 1590, la città di C. accordò una condotta al banchiere Emanuele (famiglia ed agenti compresi) per esercitare in loco l'attività feneratizia.
Attività economiche
Gli ebrei di C. erano prevalentemente dediti all'attività feneratizia: dall'analisi della documentazione relativa agli anni tra il 1430 e il 1460, è stata attestata la presenza di almeno tre nuclei familiari attivi nel prestito. La durata del prestito era generalmente annuale: dopo ulteriori due mesi di proroga per il riscatto dei pegni, gli ebrei si facevano autorizzare a poter disporre degli stessi a proprio piacimento. Dal 1438 al 1440 la proroga per il riscatto dei pegni venne ridotta ad un solo mese, per poi riprendere come in precedenza[25].
Da un documento del 1466, risulta un esempio isolato di patto di soccida sui generis tra l'ebreo Salomone di Olivuccio del Pozzetto e due abitanti del contado di C., riguardante bestiame bovino di Salomone che i due del contado dovevano custodire, dividendo con il proprietario le spese del dazio sul pascolo, mentre non viene fatta menzione degli eventuali guadagni[26].
A C. (come altrove) venivano stipulate condotte con i medici, affinché essi prendessero in cura gli abitanti della città e del contado per un salario concordato: negli anni Ottanta del XV secolo, l'ebreo Emanuele fu ingaggiato, insieme a due medici cristiani, dalla città di C., a condizioni meno favorevoli di quelle praticate ai colleghi. Se è valida l'identificazione proposta tra Emanuele e Manuele di Salomone che, dopo essere stato nel 1460 medico e confidente del duca di Milano, ottenne dal papa Sisto IV il permesso, nel 1474, di praticare la medicina[27], è possibile dedurre che l'essere ebreo costituisse una discriminante a sfavore[28].
Sempre per quanto riguarda l'esercizio della medicina, i documenti del XV secolo menzionano tale Olivuccio di Guglielmo medico di C.[29] ed inoltre, troviamo, sempre nella seconda metà del Quattrocento,Angiolo de' Rossi, cui, nel 1459, fu concesso dal papa Pio II il permesso di praticare la medicina[30]. Infine, in occasione della peste, tra i medici assoldati dalla città, nel 1486 per curare i malati, c'era anche un ebreo[31].
Tornando all'attività feneratizia, a partire dalla bolla di Giulio II del 1504, due cittadini scelti dal governatore dovevano presenziare alle vendite dei pegni per garantire ai clienti la consegna di quanto sopravanzava la cifra di spettanza dei feneratori[32].
Dopo la cacciata degli ebrei forestieri del 1514, il prestito restò poi provvisoriamente permesso a un tasso non superiore al 20%[33].
In obbedienza al breve di Leone X del 1521, solo due banchi ebraici vennero ammessi a C., nel 1528[34]. Un ebreo di Terracina, Mosè di Salomone ricevette, due anni dopo, un permesso quinquennale per trasferirsi con la famiglia ed i soci a C. per gestire il banco e commerciare in strazzaria, godendo dell'esenzione dal segno e dei privilegi degli altri banchieri locali[35].
Date le particolari condizioni della città, in preda alla guerra e alla peste, nel 1531, un gruppo di feneratori di C. ebbe un’autorizzazione quinquennale per prestare, pur senza tenere un banco, ricevendo anche il permesso di portare i pegni altrove e l’esenzione dal segno[36].
Ad onta del limite al numero dei banchi, imposto dalle disposizioni di Leone X già ricordate e ribadito da Clemente VII (1528), Guglielmo di Consiglio e gli eredi di Bonaiuto di Arezzo, nel 1533, ricevettero la conferma del permesso di continuare ad operare come feneratori, anche dopo che si erano dissociati da Leone di Dattilo da Fano[37]. Nello stesso anno, anche quest’ultimo, il figlio Vitale, le famiglie e i soci ottennero una condotta per 10 anni, con speciale abrogazione delle disposizioni papali esposte sopra[38].
Dal breve di Paolo III del 1543, che imponeva la riduzione del numero dei banchi ebraici e il divieto di aprirne di nuovi, si deduce che in questa località essi fossero sicuramente più di uno[39].
Gli Ebrei erano attivi anche nella mercatura, come risulta dal provvedimento del 1545 di estendere loro la stessa tassa che dovevano pagare i mercanti cristiani[40].
I banchi autorizzati aumentarono, poi, a tre nel 1554, come tre erano i detentori del monopolio creditizio[41]. Tre anni dopo, il tasso di prestito venne abbassato al 12%[42], mentre nel 1590 l'interesse stabilito fu del 18% e si stabilì che i pegni dovessero essere conservati per otto mesi, prima di poter essere venduti[43].
Demografia
Dai documenti dal 1430 al 1460 risultavano vivere a C. una decina di famiglie ebraiche per un totale di circa cinquanta persone[44]. Dati ulteriori non sono, attualmente, a disposizione.
Quartiere ebraico
Secondo una fonte, nel 1555, in seguito alla Cum nimis absurdum di Paolo IV, agli ebrei di C. fu ingiunto di vivere separati dai cristiani, in via delle Pescherie. Tre anni prima, tuttavia, era stato permesso loro di abitare in qualsiasi zona della città. Nel 1556, veniva ulteriormente ribadito l'ordine che gli israeliti si trasferissero nella "contrada della sinagoga", precedentemente assegnata loro[45].
Sinagoga
Secondo una fonte, nel 1473 è attestata l'esistenza di una sinagoga a C., ubicata in pieno centro, di fronte al palazzo dei Conservatori e del Podesta. Dato che questa vicinanza implicava il disturbo dei Conservatori, costretti loro malgrado a sentire le preghiere ebraiche, venne deliberato, nel 1487, il trasferimento altrove del luogo di culto, che, tuttavia, non avvenne. Dato lo stato precario dell'edificio, però, uno dei muri cadde, e, come nota il cronista locale Fantaguzzi, rope la testa a li Conservatori e soi fanti[46].
Con la bolla di Giulio II del 1504, fu dato mandato al governatore di abbattere la sinagoga e di erigerla altrove[47].
Presumibilmente essa venne trasferita in via della Pescheria, indicata, nell'anno 1555, come la "Contrada della sinagoga"[48].
Cimitero
Secondo un documento del 1544, il cimitero ebraico di C. sarebbe esistito da oltre un secolo. In quel periodo il Comune di C., dovendo realizzare denaro liquido per pagare le tasse al Papa, mise in vendita una serie di beni immobili, tra cui il terreno usato dagli ebrei per seppellirvi i morti[49].
Dotti e rabbini; vita culturale.
Nel 1205, Jehuda b. Joab ci ha lasciato l'elenco dei manoscritti ebraici in suo possesso (Biblioteca Angelica 16).
Nel XIII secolo, vissse a C. il tossafista R. Eliezer.
Nella biblioteca fondata nel 1452 dai Frati minori del convento di S. Francesco e ampliata con il decisivo contributo di Malatesta Novello (1429–1465), si trovavano anche sette manoscritti ebraici, tutti anteriori al secolo XIV (e alcuni, forse, anche più antichi), che entrarono a far parte della biblioteca sino dal momento della sua costituzione e che furono probabilmente acquistati grazie anche alla collaborazione dei membri della comunità ebraica di C.[50].
Nacque a C., nel XVI secolo, R. Obadja Sforno, autore dell'Or Ammim, filosofo ed esegeta[51].
A C. nacque anche Samuele Archivolti, noto erudito, grammatico e poeta[52] e, nello stesso periodo, fu in carica come rabbino R. Isacco di Emanuele de Lattes, la cui raccolta di responsa (Ms. Vienna 80, edizione Friedländer, Vienna 1860), rappresenta una fonte importante per la storia degli ebrei a C.
Anche un ramo della famiglia dei dotti de' Rossi aveva come patria C.: in particolare, Mosheh da C. della seconda metà del secolo XIV, Zaccaria da C., che scrisse nel 1501 a Roncofreddo (provincia di Forli) il codice Parma 1418[53] e David de' Rossi da C., che si unì a quegli ebrei italiani che lasciarono i propri luoghi d'origine per raggiungere la Palestina, stabilendosi a Safed nel 1535[54].
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[1] Roth, C., The History of the Jews in Italy, p. 77; cfr. anche il paragrafo “Dotti e rabbini” della presente voce.
[2] Schein, S., An Unknown Messianic Movement in Thirteenth Century Italy: Cesena 1297, pp. 98-108.
[3] Muzzarelli, M.G., Ebrei e città d’Italia in età di transizione: il caso di cesena dal XIV al XV secolo, p. 78.
[4] Cfr. Muzzarelli, M.G., op.cit, pp. 78-105; pp. 116-118; Riva, C., Ebrei in Cesena intorno alla metà del quattrocento, p. 20. L'obbligo del segno sarebbe stato ribadito nel 1497, per cadere, anche questa volta, rapidamente in disuso (Muzzarelli, M.G., op. cit., p. 194).
[5] Muzzarelli, M.G.,op. cit., pp. 118-137; Riva, C., op. cit., p. 21. Sugli ebrei di Fano e di altre località che dimoravano e operavano a C., cfr. Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, doc.1011, 1120; 1366, 1391, 1416. Nel 1529 era un ebreo di Corinaldo il detentore del permesso di stabilirsi con famiglia ed entourage a C. per gestirvi un banco feneratizio (ivi, doc. 1442). Sulla presenza di ebrei di Fano attivi nel prestito a C., negli anni Trenta cfr. ivi,doc. 1443. Nel 1533 oltre a Leone di Dattilo e a Guglielmo di Consiglio, anche gli eredi di Bonaiuto da Arezzo, dimoranti a C., ricevevano conferma di alcuni privilegi relativi all’attività di banco (ivi, doc. 1583). Dalla cronaca del 1480 scritta dal Fantaguzzi, oltre alla morte dei due principali feneratori di C., Gayo e Salamone e alla ricca eredità lasciata ai figli, apprendiamo che svariati immobili erano di proprietà ebraica (Riva, C., op. cit.,p. 21.
[6] Simonsohn, S., op. cit., doc. 918; Muzzarelli, M.G., op. cit., p. 128.
[7] Simonsohn, S., op. cit., docc. 921, 928, 940, 1208; Muzzarelli, M.G., op. cit., pp. 137-138; p. 205.
[8] Simonsohn, S., op. cit., doc. 940, 1043, 1052, 1810, 1903, 1968.
[9] Muzzarelli, M.G., op. cit. , p. 225 e n. 114; si veda anche Stow, K., R., Taxation, Community and State, Paepste und Papstum, vol 19, Stuttgart 1982, p. 13 e segg.
[10] Simonsohn, S., op. cit., doc. 1089, 1127; Muzzarelli, M.G., op. cit., p. 181, p. 192; Riva, C., op. cit., p. 22.
[11]Fantaguzzi, G., Caos. Cronache cesenati dei secoli XII-XVI, edizione parziale dell’opera a cura di Bazzocchi, Cesena 1915 , pp. 188-189, citato da Muzzarelli, M.G., op. cit., p. 199, n. 9. Per l’assassinio di Rubino di Giacobbe, vedi ivi, p. 194.
[12] Simonsohn, S., op. cit, doc. 1175; idem, History, pp. 431-432; Muzzarelli, M.G., op. cit., p., 199 e segg; cfr. Riva, C., La restaurazione pontificia a Cesena dopo la caduta del Valentino, pp. 33-34.
[13] Muzzarelli, M.G., op. cit. pp. 206-207, 218; Simonsohn, S., op.cit., doc. 1226; Vogelstein, H.-Rieger, P., Geschichte der Juden in Rom , II, p. 117.
[14] Muzzarelli, M.G., op.cit., p.211; Simonsohn, S., op. cit., 1522– 1538, doc. 1300.
[15] Simonsohn, S., op. cit., doc. 1390.
[16] Simonsohn, S., op. cit., doc. 1828; sul caso, vedi anche doc. 1795.
[17] Simonsohn, S., op. cit., doc. 2484.
[18] Muzzarelli, M.G., op. cit., p. 223: la Muzzarelli parla di Beniamino di Elia di Cesena, mentre il doc. 3063 parla di Beniamino di Elia di Mestre, residente a Cesena.
[19] Simonsohn, S., op. cit., doc. 3043.
[20] Simonsohn, S., op. cit., doc. 3045.
[21] Simonsohn., S., op. cit., doc. 3063
[22] Simonsohn., S., op. cit., doc. 3191.
[23] Muzzarelli, M.G., op. cit., pp. 226- 227.
[24] Muzzarelli, M.G., op. cit., p. 230.
[25] Riva, C., Ebrei in Cesena, p. 20.
[26] Muzzarelli, M.G., op. cit., p.130.
[27] Simonsohn, S., op.cit., doc. 973.
[28] Muzzarelli, M.G., op. cit., pp. 159-160.
[29] Muzzarelli, M.G., op. cit., p. 132.
[30] Luzzatto, A., Manoscritti ebraici della Biblioteca Malatestiana di Cesena, p. 199; Vogelstein, H.-Rieger, P., op. cit., II, p. 20; Muzzarelli, M.G., op. cit., p. 160; Stern, M., Urkundliche Beiträge I, p. 65.
[31] Vedi sotto "Attività economiche".
[32] Simonsohn, S., op. cit., doc. 1171; Muzzarelli, M.G., op. cit., p. 215.
[33] Muzzarelli, M.G., op. cit. , p. 207; Simonsohn, S., op. cit.,doc. 1229; Vogelstein, H.- Rieger, P., op. cit., II, pp. 117, 125.
[34] Simonsohn, S., op. cit., (1522-1538), doc. 1391: il doc. del 1528 tratta della gestione dei due banchi da parte di Zachias e Leo del fu Dattilus.
[35] Simonsohn, S., op. cit., doc. 1445
[36] Simonsohn, S., op. cit., doc. 1538
[37]Simonsohn, op. cit., doc. 1592. Su Guglielmo e Leone e le loro famiglie, trapiantate da Fano a C. e attive da più generazioni nel prestito, vedi Muzzarelli, M.G., op. cit., pp. 201-202. Cfr. anche Simonsohn, S., op. cit., doc. 1583.
[38] Simonsohn. S., op. cit., doc. 1594.
[39] Muzzarelli, M.G., op. cit., pp. 217-218; Simonsohn, S., op. cit., doc. 2222.
[40] Muzzarelli, M.G., p. 219
[41] ivi, pp. 224-225.
[42] ivi, p. 227
[43] Muzzarelli, M.G., op. cit., p. 230.
[44] Muzzaarelli, M.G., op. cit., p. 122.
[45] Muzzarelli, M.G., op. cit., pp. 225-226; AA. VV., Cultura ebraica in Emilia-Romagna, pp. 46-47.
[46] Fantaguzzi, G., op. cit., p. 29, citato da Muzzarelli, M.G., op. cit., p. 192, n. 107.
[47] Muzzarelli, M.G., op. cit., p. 183; Simonsohn, S., op. cit., doc. 1171.
[48] Muzzarelli, M.G., op. cit., pp. 154-155, p. 182, p. 192, p. 226; AA.VV., op. cit., pp. 76-77.
[49] Muzzarelli, M.G., op. cit., p. 218; AA.VV., op. cit., p., 112.
[50] I sette manoscritti ebraici in questione sono : 1) Avicenna, Il Canon Major; Averroè; 2) I primi cinque libri sulla Logica di Aristotele; 3) Bibbia : Libro dei Re I e II; 4) Bibbia completa; 5) Bibbia: Pentateuco, Profeti, Cinque Rotoli;6) Maimonide, Due Libri del Yad ha-Chazaqa; 7) Abraham bar Chiyya ha-Nasi, Tavole Astronomiche. L'appartenenza ebraica di questi manoscritti, prima che passassero alla biblioteca malatestiana, è attestata da annotazioni estranee ai testi o dichiarazioni inserite nei testi stessi. Interessante e rilevare che, a differenza di altri gruppi di manoscritti ebraici appartenenti a biblioteche italiane coeve, nessuno dei manoscritti summenzionati reca tracce di censura. Luzzatto, A., op.cit., pp. 198-199. Sull'argomento, vedi anche Domeniconi, A., La Biblioteca Malatestiana, p. 39, citato in Riva, C., op. cit.., p. 20, n. 8.
[51] Vogelstein, H.-Rieger, P., II, p. 77.
[52] Vedi per i particolari, alla voce "Bologna" della presente trattazione.
[53] Vogelstein, H.,-Rieger, P., op. cit, I, p. 396.
[54] Milano, A., J.E., alla voce “Cesena"; idem, Storia degli ebrei in Italia, p. 667.