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Provincia di Ferrara. Posta sulla riva sinistra del Reno, C. è d'origine antichissima e costituì con la vicina Pieve un'entità amministrativa sino al 1376. Nel 1392 Bologna la annetté, dominandola sino al 1404, quando il cardinale legato Baldassarre Cossa trasferì direttamente alla Santa Sede la dominazione su C. In seguito, dal 1417 al 1419, venne riannessa a Bologna e successivamente restituita all'episcopato di quest’ultima. Dopo svariate vicissitudini il controllo del centopievese fu nuovamente nelle mani del governo bolognese che lo mantenne fino al 1449, allorché subentrò la dominazione vescovile destinata a durare praticamente sino agli albori dell'Età Moderna. Nel 1502 C. venne concesso in feudo da Alessandro VI al duca di Ferrara e rimase sotto il dominio della Casa d'Este sino alla rivendicazione di tutto il territorio ferrarese operata da Clemente VIII nel 1598. Nel 1754 venne conferito a C. il titolo di città da parte di Benedetto XIV e nel 1796-98 venne invaso dai Francesi.
Dalla denominazione “ha-Meati” del celebre traduttore dall'arabo in ebraico di opere mediche del XIII secolo Natan, ritenuta toponimo di provenienza (dato che “Meah” in ebraico significa "cento", per cui ha-Meati starebbe per "il Centese"), alcuni studiosi avevano ipotizzato una presenza ebraica a C., già da quell'epoca[1].
I colophon dei manoscritti d'origine centese, di recente ritrovati, tuttavia mostrano la consuetudine di rendere tale toponimo di provenienza con "me-Cento" e, pertanto, contribuiscono a privare di fondamento l'ipotesi precedente[2].
Il documento più antico, ritrovato sino ad ora, circa la presenza ebraica a C. è un atto notarile del 1390 in cui Manuele di Gaudio di Roma dichiarava di aver ricevuto da Bertolomeo Grazioli di C. 120 lire a restituzione di un prestito fatto: in effetti nel 1391 Manuele risultava gestire un banco in questa località che serviva anche Pieve di C., sebbene il vero e proprio titolare del banco fosse Manuele di Daniele da Forlì, con cui Manuele era associato, mentre coinvolti erano anche Manuele e Daniele di Ser Angelo da Perugia.
Ancora nel 1397 i documenti riportano come responsabile del banco di C. Manuele di Gaudio e lo menzionano sino al 1399, quando era intento a pagare le tasse per tale attività.
Nel 1398 Manuele di Daniele da Forlì risultava essere defunto, lasciando tre figli sotto la tutela della madre Bellafiore di Matassia di Orvieto[3] che, nel 1406, stipulò una condotta con il Comune di C.: insieme a Bellafiore era compreso nella condotta suo fratello, Manuele di Matassia. Ad essi, ed ai loro soci e fattori, venne riconosciuto dalla comunità centese il diritto di stabilirsi in loco con le famiglie e di prestare su qualunque pegno, detenendo il monopolio dell'attività feneratizia. Qualora il pegno da loro accettato risultasse rubato venne concesso il diritto alla restituzione della somma anticipata e dei relativi interessi. Trascorsi un anno e 15 giorni dalla presentazione del pegno, gli ebrei erano, inoltre, autorizzati a venderlo ed in caso di controversia facevano testo le scritture contenute nei loro libri contabili. I prestatori, con soci e familiari, erano dichiarati immuni da ogni gravame, salvo il caso in cui fossero proprietari di immobili che, invece, sarebbero stati soggetti a tassazione[4]. Gli ebrei avrebbero, infine, potuto abbandonare a loro discrezione C., previo preavviso di tre mesi.
La condotta prevedeva, in più, che di sabato e nelle feste ebraiche gli israelitibrei non avrebbero dovuto essere molestati o costretti ad accettare o restituire pegni. Infine, in caso di tumulto popolare o di disordini con conseguente assalto al banco, il Comune avrebbe dovuto restituire ai titolari quanto loro eventualmente sottratto.
In cambio delle tutele e garanzie sopra esposte, gli ebrei si impegnavano a prestare al Comune una somma di denaro ad interesse minore di quello richiesto agli altri clienti.
Nonostante la condotta stipulata con Bellafiore e soci, Manuele di Gaudio risultava implicato nell'attivita del banco centese, sino al 1410, salvo un certo periodo di tempo in cui Salomone di Matassia da Perugia compariva come suo sostituto.
Nel 1414 un pievese cristiano, Antonio Mengarini, e un bolognese convertito di recente al cristianesimo, Marco di Manuele, vennero convocati in giudizio insieme a Manuele di Gaudio di Roma alias vocatum Manuelem de Cento, per aver progettato di diffamare Salomone di Matassia da Perugia ed altri gestori di banchi del contado bolognese che facevano concorrenza a Manuele, accusandoli di aver rubato un crocefisso da una chiesa e di averlo portato in casa di Manuele di San Pietro (gestore del banco di Castel San Pietro), per bruciarlo a Purim in una sinagoga (che non viene localizzata).
Secondo la ricostruzione dei fatti, il neo-convertito Manuele di Marco - in obbedienza alle disposizioni di Manuele di Gaudio - escluse all'ultimo momento dall'accusa Salomone da Perugia, aggiungendo, invece, nella denuncia i nomi di altri giudei, per rendere piu credibile il proprio racconto. Gli accusati, arrestati e torturati, vennero rilasciati dopo che il delatore, pentitosi, ritrattò le accuse. Antonio, Marco e Manuele di Gaudio furono condannati alla confisca dei beni e ad abbandonare la città di Bologna, pena la forca. Dalla documentazione più tarda si rileva che, tuttavia, a Manuele di Gaudio venne cancellata la pena (probabilmente nel 1414) e successivamente anche ad Antonio di Gaudio (forse nel giugno 1421). Marco di Manuele, invece, avvistato a Bologna e nel contado, venne catturato e giustiziato nel 1417.
Nel 1423 viene menzionato negli atti giudiziari tale Olivuccio di Gaio, definito ebreo di C., inquisito per estorsione di usure, in un contesto tuttavia poco chiaro.
La presenza ebraica a C. è documentata in modo incontrovertibile nella seconda metà del XV secolo con la Bolla di Callisto III, concessa a C. e a Pieve di C. nel 1455, con cui il Papa consentiva agli ebrei di godere di tutte le esenzioni previste per gli abitanti delle località in questione, salvo per quanto concerneva i patti stipulati tra gli israeliti e le autorità cittadine[5].
Nel 1467 un tale Abramo di C.[6] prestò ai consoli una cifra da restituire entro tre mesi, risultando il primo banchiere attestato con sicurezza come gestore del banco locale in questo lasso di tempo, mentre nel 1474 il banco risultava gestito da tale Santo. Un atto notarile del 1489, attesta che l’attività era passata, poi, a Simone di Angelo (in società con il fratello), che in quel frangente vendeva al correligionario bolognese Ventura di Abramo Caravita la casa dove il banco era ubicato, includendo nel prezzo anche il diritto di esercitare il prestito. A Ventura, che probabilmente gestì direttamente il banco di C., sembrerebbe subentrato in seguito il centese Leone di Abramo di Leone di Padova, cui fanno riferimento dei documenti stilati tra il 1496 e il 1498.
Nel 1498 risultava essere attivo il Monte di Pietà a C.[7].
Nella seconda meta del secolo XVI si stanziarono qui e nelle zone limitrofe gli ebrei che avevano abbandonato Pieve di C.[8] e nel 1589, il cardinale a latere Aldobrandini, legato di Ferrara, impose loro il segno giallo sul cappello[9].
Nel 1636 fu istituito in loco uno dei tre ghetti che dovevano raccogliere tutta la popolazione ebraica della zona. Nel documento di istituzione il cardinale legato concedeva agli ebrei che avevano i loro negozi nella piazza di C. e nelle zone limitrofe di continuare i loro commerci, purché si servissero dei propri locali solo per la vendita e la custodia delle merci, sotto pena della privazione dell'esercizio e di una multa ed altre maggiori [pene] ad arbitrio nostro[10].
Verso il 1721 fu concesso agli ebrei di C. di aprire botteghe sotto alle loro case all'esterno del ghetto e di prenderne in affitto nella parte opposta della strada di fronte al ghetto[11].
Dopo l'editto del 1733, emanato dal cardinale Ruffo,[12] in cui, tra l'altro, si annullavano tutte le mitigazioni concesse precedentemente rispetto al segno, gli ebrei di C. sollecitarono, nel 1735, un addolcimento di tali provvedimenti, giungendo ad ottenere dall'Inquisizione Romana l'autorizzazione a non portare il segno durante i viaggi ed altre facilitazioni, compreso l'uso di negozi e magazzini fuori del ghetto[13].
Nel 1735 un’ebrea centese, Mazaltov del fu Jacob Olivetti, sposatasi con Samuel Ascoli di Urbino, dopo la conversione del marito tornò a C., dove diede alla luce un bimbo, sottrattole per ordine delle autorità, dietro richiesta del marito, per essere battezzato. Poco dopo il battesimo, il neonato morì e la donna fu isolata dalla famiglia e sottoposta a pressione, sinché non acconsentì a convertirsi a sua volta. Il battesimo, avvenuto alla presenza del cardinale arcivescovo di Bologna e del marito, ebbe un carattere di particolare solennità, allo scopo di promuovere la conversione tra gli ebrei locali.
Nel 1774 il cardinale Albani, decano del Sacro Collegio, dichiarò Moise Carpi di C. suo famigliare con tutte le prerogative e onori ivi connessi[14].
Nel 1796 le truppe francesi occuparono la provincia di Ferrara: tra le conseguenze dell'occupazione repubblicana per gli ebrei di C. vi fu l'abolizione del segno color giallo o arancio che dovevano portare sul cappello[15].
Vita comunitaria
Nel 1505 Alfonso I d'Este impose agli ebrei di C., come a quelli degli altri centri minori, di contribuire alle imposte speciali e personali cui erano obbligate le comunità più grandi[16].
I documenti fatti oggetto di indagine sino ad ora risalgono alla fine del XVII secolo e riguardano le confraternite del ghetto: nel 1690 i componenti della confraternita "Talmud Torah", fondata nel periodo tra il 1667 e il 1675, si riunirono per fondare la confraternita di misericordia e beneficenza "Ghemilut Hasadim", il cui capitolato constava di 21 articoli[17]. Nel 1727 venne fondata la "Confraternita di studi Sacri della Misericordia", nata dalla fusione delle confraternite "Talmud Torah" e "Ghemilut Hasadim", della quale sottoscrisse per primo il capitolato di 23 articoli Giuseppe Alessandro Modona[18].
Un editto del 1776 del cardinale legato Scipione Borghese, sollecitato dai massari locali, dopo i tumulti scoppiati nel ghetto, allude alla struttura comunitaria e, al contempo, ne mette in luce il difficile funzionamento. Dal testo si evince che vi erano una "Congregazione generale" ed una "Congregazione ristretta" che presiedevano alla vita comunitaria e, in particolare, all'esazione delle tasse. I massari che presiedevano tali "Congregazioni" erano, tuttavia, ostacolati nell'esercizio delle loro funzioni dall'insubordinazione alla disciplina dei membri della comunità e, in particolare, dalle resistenze opposte alla tassazione. Dall'editto in questione risulta che tale situazione era inveterata e, pertanto, il cardinale cercava di porvi riparo, proibendo agli eletti di esimersi dalle cariche pubbliche, assegnate loro dalle due "Congregazioni", e dalla partecipazione alle adunanze stabilite, sotto minaccia di pene corporali e pecuniarie, queste ultime da devolversi per metà agli ebrei poveri del ghetto e per metà all'opera pia dei mendicanti cristiani[19].
Attività economiche
Con la condotta del 1406 venne concesso agli ebrei di prestare al tasso del 30%[20], mentre una rubrica degli Statuti di C. del 1490 vietava l'asportazione dei pegni non riscossi da mettere in vendita con asta pubblica[21].
Oltre all'attività feneratizia, veniva testimoniata, nei documenti della seconda metà del XV secolo, l'attività di un medico, tale "Mosè teutonico", che ebbe in cura anche un ragazzo cristiano[22].
Dal rapporto sulla situazione finanziaria degli ebrei, redatto nel 1703 dietro ordine della curia romana, risultava che la comunità di C. dichiarava di avere un capitale attivo (20.000 scudi) di gran lunga minore di quello valutato dal perito delegato all'uopo (82.000 scudi) stando al capitale degli Ebrei più facoltosi e cioè: Mosè Vita Mieli (Melli), i fratelli Felis, i fratelli Modena, i Carpi e i Padoa[23].
Mosè Vita Melli (vissuto tra il XVII e l'inizio del XVIII secolo), mercante, proprietario terriero e imprenditore, fu una figura di grande rilievo nell'economia centese, attivo, tra l'altro, nel prestito e nell'incetta di granaglie[24].
Demografia
Dal censimento del 1393, fatto per conto del Comune di Bologna, risultava presente a C. il nucleo familiare composto da Manuele di Gaudio da Roma e dalla moglie e quattro figli.
Per trovare qualche dato, sia pure parziale, sull'ammontare della popolazione ebraica occorre attendere sino al 1636, quando nel rogito notarile relativo alla distribuzione degli alloggi nel ghetto, vengono menzionati tredici capifamiglia, su un totale di circa un centinaio di persone[25].
Ghetto
Il ghetto di C. costituisce un esempio interessante di struttura abitativa, costituita da un gruppo di case prospiciente verso un cortile principale e su altri due secondari di dimensioni molto inferiori. Gli unici due punti di accesso al cortile erano due passaggi coperti da un ampio voltone che sboccavano da un lato sotto i portici dell'attuale via Provenzali (già via Grande), una delle principali arterie cittadine, e dall'altro sotto i portici dell'odierna via Malgodi (già borgo “di Domani”). Le abitazioni del ghetto erano fornite di passaggi di intercomunicazione sia tra loro sia per accedere alla sinagoga[26].
Sinagoga
Nel 1520 il cardinale Raffaele Riario, camerlengo papale, concesse licenza a Leo e Giacobbe di Ventura Caravita, banchieri, di tenere una sinagoga privatea nei loro domicili di Bologna e di C., confermando un'altra licenza concessa loro dal cardinale Giuliano Rovere. La presenza di una sinagoga a C. è documentata nel 1636: sita in via Provenzali (già via Grande), era arredata con pezzi pregevoli, tra cui un’arca santa di legno intagliato risalente alla metà del secolo XVIII, trasferita attualmente in una sinagoga di Natanyah, in Israele[27].
Cimitero
Una fonte locale riporta che l'Università degli ebrei di C. acquistò un terreno ad uso cimiteriale nel 1689. Nel 1691 i massari ottennero dalle autorità di poter edificare nel terreno non usato per le sepolture una casetta da usare, in parte, per i riti funebri e da affittare "a Christiani" che, oltre a coltivare la terra adiacente alle sepolture, avrebbero sorvegliato il cimitero[28].
Nel 1743 venne sepolto in questo cimitero il rabbino Immanuel Gay Ricchi, ferrarese, cabbalista insigne, ucciso, secondo quanto narra la tradizione, mentre stava viaggiando da Bologna a Modena per raccogliere fondi per la yeshivah che intendeva fondare a Gerusalemme[29].
<pDotti, rabbini e personaggi di rilievoNel XIV secolo, Yitzhaq ben Shelomoh terminò a C. l'opera di puntazione vocalica di un Machzor (libro di preghiera per i giorni festivi) secondo il rito romano. Nel XV secolo il grammatico Yosef Zarq, esule dalla Spagna, abitò per qualche tempo a C., dove, nel 1429, compose l'opera Rav Pealim (Grande nelle opere).
Nel 1461 l'amanuense Yitzhaq ben Yoel da C. copiò qui l'opera satirica in prosa Even Bohan (Pietra di paragone) di Qalonymos ben Qalonymos. Nel 1499 David Menahem da Arles terminò di copiare a C. un Siddur (libro di preghiere) per Bona di Bonaventura ben Shelomoh dei Chazaqetti o Hazaqetti (Forti) da Este, noto come il Siddurello, considerato uno dei documenti più interessanti del giudeo-italiano. Nel XVI secolo, un copista anonimo terminò a C. una copia dell' epitome di Averroé dell' Organon di Aristotele, tradotto da Yaaqov ben Abba Mari Anatoli.
Reuven ben David da Perugia scrisse a C., nel 1569, un quesito contenuto in un manoscritto di responsi di Mosheh ben Avraham Provenzali.
Nel 1583, l'amanuense Yishmael ben Shelomoh Hazaq (Forti) copiò a C. alcune opere cabalistiche in un manoscritto contenente un poema per l'uscita del sabato di Binyamin ben Avraham Anav, l'epitome di Shemuel Gallico del Pardes Rimmonim (Il giardino dei melograni) di Mosheh Cordovero, il Sefer ha-tzeruf (Libro della congiunzione) attribuito ad Avraham ben Shemuel Abulafia (copiato, tuttavia, quando il copista si trovava nella provincia di Mantova) ed il Perush Shiur Qomah (Interpretazione allo Shiur Qomah) di Mosheh ben Eliezer.
Nel XVIII secolo David Avraham Marcaria e il fratello copiarono a C., nell'anno 1718, alcune norme relative alla macellazione in forma di quesiti e responsi e altre sentenze in materia di Yaaqov Weil. In occasione delle nozze di Yehudah Gayyim Sonnino e di Ester Modona, celebrate a C., nel 1771, venivano scritte poesie, raccolte in un manoscritto[30]
Nel XVII secolo fu rabbino di C. Netanel Segre di Chieri, autore del libro di decisioni casuistiche Afar Yaaqov, dedicato al padre, il rabbino Yaaqov Aron Segre di Chieri[31].
Nello stesso secolo risulta essere vissuto a C. il rabbino Elia Daniele Del Bene (De-Boni), autore di decisioni rabbiniche contenute nel Pahad Yitzhaq del Lampronti sotto l’acronimo “Adam”[32].
Gamliel Monselice, che fu anche Rabbino Maggiore a Parma, scrisse un commento sul Pereq shirah, dal titolo Siftei renanot (Labbra gioiose), stampato insieme al libro del padre Tehilot ha-shem (Lodi del Signore), menzionato in un manoscritto del Del Bene, e, secondo una fonte, fu rabbino molto influente a C.[33].
Netanel di Meshullam Levi di Modena, rabbino in svariate località, tra cui C., risulta citato più volte nel Pahad Yitzhaq[34].
All'inizio del XVIII secolo fu rabbino a C. Isaia Bassani, figlio del rabbino Israele Ezechia (discepolo di Mosè Zacuto e Yehudah Briel), citato frequentemente nel Pahad Yitzhaq, autore dell'opera manoscritta Mishpat le Ashuqim.[35]
Nel XVIII secolo fu rabbino a C. anche Israel Berakhyah Fontanella, autore dell'opera Maftehot ha- Zohar[36]. Vissero per qualche tempo qui anche Rubino di Zerakhyah Jacchia, ricordato nel Pahad Yitzhaq per un consulto steso in età assai giovanile, e Salomone David di Moise Del Vecchio, di Lugo, poi passato alla carriera rabbinica a Lugo.
Infine, ebbe rilievo nella comunità centese Giuseppe Alessandro Modona (Modena), che, tra l'altro, ricoprì gratuitamente la carica di vice-rabbino: il figlio, Isach Mordechai Modona, spiccò nella comunità locale per la vasta erudizione e gli studi di teologia morale[37].
D'origine centese era anche Beniamino Disraeli, emigrato in Inghilterra nel 1748 il cui nipote fu lo scrittore e statista Benjamin Disraeli[38].
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Volli, G., La comunità di Cento e un suo documento inedito del 1776, in RMI XVII (1951).
[1] A sostegno di questa ipotesi, tuttavia non corroborata da documenti, vi sono le opinioni di Steinschneider e di altri, nonché l'esistenza di una comunità ebraica a Ferrara nel XIII secolo (cfr. Steinschneider, M., Die hebräischen Übersetzungen des Mittelalters und die Juden als Dolmetscher, Berlin 1893 (repr. Graz 1956), p. 670; Broyde, J., e Elbogen, I., s.v. "Ha-Meati Nathan" in J.E.; Sarton, G., Introduction to the History of the Science, II, parte II, Baltimore 1931 (repr. 1950, 1953), pp. 853-854).
[2] Perani, M., Manoscritti e frammenti ebraici copiati o conservati a Cento e Pieve di Cento (sec. XIV-XIX), in Gli Ebrei a Cento e Pieve di Cento, p. 95.
[3] Bellafiore o Belaflora, viene anche designata come "da Civitavecchia". Campanini, A., Quod possit fenerari..., p. 163.
[4] Dal fatto che Manuele di Gaudio veniva tassato, nel 1393, per il possesso di una casa e di un orto a C. risulta che, anche prima del 1406, gli ebrei erano tassati sugli immobili che possedevano (cfr. Muzzarelli, m.G., Ebrei a Cento in epoca medievale, in : AA.VV., Ebrei a Cento e Pieve di Cento tra medioevo ed età moderna, p. 16.
[5] Copia autenticata di tale Bolla si trova all'Archivio comunale di Cento, vol. 1/4/13, a. 1733 (cfr. Muzzarelli, M.G., op. cit., p. 27, n. 27).
[6] Non essendo indicato nella documentazione il patronimico di Abramo, questi può essere identificato solo in via ipotetica come "Abraam Roxelli" o Abramo Roselli di Ferrara (Ivi, p. 23).
[7] Ivi, p. 25. Per tutte le notizie relative agli ebrei di Cento, dalla fine del XIV secolo sino alla fine del XV, cfr. ivi, pp. 13-25.
[8] Cfr. Calzolari, R., Gli ebrei a Pieve di Cento nel secolo XVI, in Calzolari, R. - Campanini, S. - Levi, P., Perani, M. ( a cura di), Gli Ebrei a Pieve di Cento, pp. 20-37, p. 37.
[9] Pesaro, A., Cenni storici sulla comunità israelitica di Cento, p. 43.
[10] Ivi , p. 76.
[11] Per i dettagli relativi a questa ordinanza, cfr. ivi, pp. 107-108.
[12] Per i dettagli di tale editto, v. la voce "Ferrara".
[13] Pesaro, A., Memorie storiche della comunità israelitica ferrarese, p. 53; Perugini, L'inquisition romaine et les Israélites, p. 102.
[14] Pesaro, A., Cenni storici sulla comunità israelitica di Cento, pp.109-110.
[15] Ivi, p. 110.
[16] Kaufmann, D., Contributions à l'histoire des Juifs en Italie, p. 35.
[17] Servi, F., Cenni storici sulla comunità israelitica di Cento, p. 265. Un Pinkas della confraternita "Talmud Torah" del 1693- 1763 ci è rimasto (ms. Kaufmann, 337): Cassuto, EJ, alla voce "Cento".
[18] Levi, P., Il cimitero ebraico di Cento, in Gli Ebrei a Cento e Pieve di Cento fra medioevo ed età moderna, pp. 191-227, p. 201; Servi, op. cit., p. 266.
[19] Il testo dell'editto e stato pubblicato da Volli, G., La comunità di Cento e un suo documento inedito del 1776, pp. 207-209.
[20] Muzzarelli, M.G., op. cit., p. 16. La Campanini, riferendosi alla medesima condotta, riporta che il tasso di interesse mensile per I residenti era di 6 denari per lira; quello per prestiti fatti al comune era di 4 denari per lira, mentre il prestito massimo da concedere al comune era di 50 lire. Campanini, A., op. cit., p. 186.
[21] Muzzarelli, M.G., op. cit., p. 24.
[22] Ivi , p. 22.
[23] Bruzzone, P.L., Les Juifs des Etats de l'Èglise au XVIII siècle, p. 248.
[24] Sul Melli, v. Angelini, W. Una lezione da alcuni contratti di Mosè Vita Melli (1661-1704) e dal suo testamento, in AA.VV., Gli Ebrei a Cento e Pieve di Cento fra medioevo ed età moderna, pp. 63-77.
[25] Pesaro, A., Cenni storici sulla comunità israelitica di Cento, p. 107.
[26] Per una descrizione particolareggiata delle disposizioni relative al ghetto, si vedano i “Capitoli sopra il ghetto degli Hebrei di Cento” emanati dal cardinale legato di Ferrara il 18 agosto 1636 , in Pesaro, A., op. cit., pp. 74-76. Per uno studio sul ghetto di C., cfr. Faccioli, F.- Martinoni, G., Il ghetto e la città, in AA. VV. Gli Ebrei a Cento e Pieve di Cento fra medioevo ed età moderna, pp. 243-255.
[27] Simonsohn, S., The Apostolic See, doc. 1288; cfr. Volli, G., op. cit., p. 207; Nahon, U., Angoli dell'Italia ebraica in Terra d'Israele, p. 108.
[28] Questo documento conferma quanto è già stato rilevato per Ferrara sulla consuetudine di affittare a cristiani il terreno adiacente al cimitero, per consentire al locatario di coltivarlo e, al contempo, di sorvegliare il cimitero. Levi, P., Il cimitero ebraico di Cento, in AA.VV., Gli Ebrei a Cento e Pieve di Cento, p. 200 e p. 225, n. 40.
[29] Ivi,pp. 200- 201.
[30] Perani, M., Manoscritti e frammenti ebraici copiati o conservati a Cento e Pieve di Cento (secc.XIV-XIX), in AA.VV., Gli Ebrei a Cento e a Pieve di Cento fra medioevo ed età moderna, pp. 93-156, pp. 96-99. Per l'elenco dei manoscritti ebraici, che non è assodato se siano stati scritti a C., in cui vi sono notizie relative alla località, cfr. ivi, pp. 100-102. Per i manoscritti medievali di probabile origine bolognese, rinvenuti a C., cfr. ivi, pp. 104-129.
[31] Dalla prefazione dell' Afar Yaaqov risulta che il Segre, non potendo pubblicare l'opera per mancanza di fondi, ne fece omaggio al rabbino Abramo Rovigo di Modena. Molte delle sue decisioni rituali sono riportate nel Pahad Yitzhaq (cfr. Servi, F., op. cit., pp. 265-266).
[32] Servi, F., op. cit., p. 265.
[33] Ghirondi, S. -Neppi, H., Toledot Ghedolei Israel p. 72; Pesaro, A., Cenni storici sulla comunità israelitica di Cento, p. 174.
[34] Ghirondi, S. -Neppi, H., op. cit., p. 273.
[35] Ivi, p. 151; Pesaro, op. cit., p. 175.
[36] Ghirondi, S. -Neppi, H., op. cit., p. 163.
[37] Ivi, 183; Pesaro, A., Cenni storici sulla comunità di Cento, pp. 174-175.
[38] Roth, C., EJ, alla voce “D’Israeli Isaac”.