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Bondeno (בונדנו)
Provincia di Ferrara. Sorto su di un’area abitata già dal Neolitico, nel Medioevo fu donato dal re Astolfo al monastero di Nonantola, per poi passare sotto il dominio di Matilde di Canossa ed in seguito sotto quello degli Estensi.
La documentazione relativa alla presenza ebraica a B. risale alla fine del XIV secolo: nel 1394 risultavano abitare qui ed essere associati nella gestione dell'attività feneratizia Manuele e Musetto[1]. Nello stesso anno, viene ricordato anche Abramuccio del fu Musetto da Rimini[2], che la sorellastra, Marchesana del fu Deodato, residente a B., aveva nominato suo procuratore per recuperare un credito[3]. Tre anni più tardi, Abramuccio risultava a sua volta residente a B., iniziando ad esservi attivo nel prestito e ottenendo, alla fine del 1398, un salvacondotto dal marchese Nicolò III d'Este per la libera circolazione nel territorio estense e il diritto, per i successivi sei anni, a non essere molestato nei beni o nella persona a causa del suo denaro, a condizione di non essere indebitato con sudditi del marchese o con le comunità di Firenze, Venezia o Bologna[4].
All'inizio del XV secolo, compare nei documenti locali anche l'ebreo Guglielmo (o Guglielmuccio) di Dattolino di Spello, attivo prima a Ravenna e poi a Bologna, al quale, nel 1401, Nicolò III concesse di tenere banchum unum seu stationem prestiti sive mutui ad tendam[5] a B. per otto anni, insieme a Daniele e Matasia, figli ed eredi di Manuele da Forli, Guglielmo di Dattolino da Bologna, Luzio di Angelo da Ferrara e Vitaluccio di Venturola da Cesena. L'attività feneratizia di Guglielmo e figli è attestata in modo discontinuo sino al 1418, mentre per gli anni 1415-1417, esiste una documentazione completa. Era presumibilmente suo figlio quel Samuele che, nel 1410, fu protagonista di un episodio che, probabilmente, rispecchiava la volontà di preservare i prestatori ebrei da ogni sorta di ritorsioni: infatti, avendo percosso sul capo un bondenese che poco dopo era morto, fu scagionato da ogni sospetto di omicidio da parte dei medici consultati per la perizia e persino dal padre stesso del defunto. D'altro canto, forse sempre per questa ragione, nei documenti relativi all'episodio, non viene menzionato il nome del padre di Samuele[6].
Di Guglielmo ci resta, poi, il testamento redatto nel 1413,[7] da cui si evince anche che, all'epoca, gli ebrei morti a B. non vi venivano sepolti: Guglielmo, ad esempio, indicava Ferrara come luogo di sepoltura prescelto[8]. Dal testamento si ha, inoltre, notizia dei libri da lui posseduti[9].
Dopo alcuni decenni di silenzio, riprendono i documenti riguardanti la presenza ebraica a B., come in tutto il territorio estense, favorita dall'atteggiamento di papa Nicolò V[10]. In un decreto marchionale del 1460, vengono indicati come prestatori Consiglio di Vitale, trasferitosi a B. da Carpi, e Moisè di Manuele da Spoleto, residente ancora a Carpi. Si associava loro nella gestione la famiglia Norsa nel 1463 e, a partire da questa data, i documenti relativi all'esercizio del banco cominciano ad essere redatti a nome degli eredi di Salomone, residenti a Ferrara che subentrano due anni dopo ai feneratori precedenti. Con costoro, nel 1464, era stata stipulata dal Comune una nuova convenzione per la conduzione decennale del banco, confermata da Borso d'Este, a condizione che fosse versata alla Camera marchionale una tassa annua per tutto il decennio. Per il resto del XV secolo, il banco di B. rimase ai Norsa[11].
I rapporti tra il clero e gli ebrei nella prima metà del Quattrocento furono buoni, secondo quanto fanno intuire i documenti relativi alla presenza di cappellani come testimoni in atti coinvolgenti ebrei. Nella seconda metà del XV secolo, invece, non è documentata nessuna collaborazione di tale genere[12].
Nel 1534 Ercole II d'Este, confermando il privilegio accordato dal padre e dal nonno ai sudditi ebrei, menzionava tra gli stanziamenti legati all'attività feneratizia anche quello di B.[13].
Nel 1592 risultavano gestire il banco locale Mattassia Lanternari e Moisè Lunelli[14].
Attività economiche
Il nucleo ebraico di B. risultava formato essenzialmente da prestatori.
All'inizio del XV secolo, per somme fino a 100 lire, per il periodo di sei mesi non veniva percepito interesse: scaduto tale termine, invece, veniva trattenuto l'interesse mensile di 6 denari di marchesini per lira. Il prestito poteva avvenire su pegno o supra fidem o cum cartis et instrumentis, nel qual caso l'interesse mensile era di 8 denari di marchesini piccoli per lira[15].
Negli anni Sessanta del XV secolo, Borso d' Este imponeva una tassa annua di cinquanta lire di marchesini, per tutto il decennio della condotta stipulata tra il Comune e i feneratori per la gestione del banco[16].
Da indizi contenuti in alcuni documenti notarili, risulta che il prestatore Consiglio del fu Vitale gestiva a B. anche un banco di gioco e che anche Deodato di Sabato, della famiglia Norsa, era implicato nel gioco dei dadi[17].
Bibliografia
Balletti, A., Gli Ebrei e gli Estensi, Reggio Emilia 1930.
Kaufmann, D., Contributions à l'histoire des Juifs en Italie, in REJ XX (1890), pp. 34-72.
Norsa, P., Per una famiglia di banchieri. La famiglia Norsa, Napoli 1953.
Peverada, E., Presenza ebraica a Bondeno nel secolo XV, in Studi di storia religiosa bondenese XIX (1994), pp. 107-162.
[1] Peverada, E., Presenza ebraica a Bondeno nel secolo XV, p. 108.
[2] Secondo il Peverada, non e da escludere che Abramuccio fosse figlio di quel Musetto che risultava attivo a B. nel 1394. V. Ivi, p. 109, n. 6. Nel 1399, Abramuccio veniva citato con l'appellativo di "Sefargita", con cui si intendeva presumibilmente l'origine sefardita. Ivi, p. 111.
[3] Ivi, p. 109.
[4] Ivi, p. 111.
[5] Ivi, p. 114.
[6] Ivi, p. 116; pp. 118-119; p. 123; p. 124.
[7] Il Peverada, nel pubblicare il testo del testamento, rileva che, sebbene menzionasse ampiamente l'appartenenza di Guglielmo all'ebraismo, conteneva le formule cristologiche usuali per la clientela cristiana, come, del resto, la lista dei testimoni veniva aperta dal cappellano locale (cfr., ivi, pp. 120-123).
[8] Ivi, p. 123.
[9] Si tratta della Bybya Magna, o Miqra'ot Gedolot e o un Sefer Torah o una Megillat Ester e non meglio specificati libros ad theologiam spectantes, qui libri appelantur Ebraice Chabala (ivi p. 124).
[10] A questo proposito, si ricordino la bolla del 1448, a protezione degli ebrei estensi in particolare dagli attacchi dei predicatori, il permesso concesso a Lionello d'Este di ospitare feneratori nei suoi territori e l'assoluzione, concessa a Borso d'Este ed ai suoi predecessori, per avere permesso l'attività feneratizia nello stato estense (Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, doc.771, 772, 789).
[11] Si trattava di Lazzaro e Vitale, fratelli e figli del fu Salomone, Noe del fu Emanuele del fu Salomone e Deodato fu Sabbato, figlio del defunto Salomone, già nominato (cfr. Norsa, P., Una famiglia di banchieri.La famiglia Norsa , p. 22; p. 61, n. 2; Peverada, E., op. cit., pp. 125-127; pp. 129-134; p. 137).
[12] Peverada, E., op. cit., 137-138.
[13] Kaufmann, D., Contributions a l'histoire des Juifs en Italie, p. 52.
[14] Balletti, A., Gli Ebrei e gli Estensi, p. 67.
[15] Ivi, p. 115.
[16] Ivi, p. 130.
[17] Ivi, pp. 130-131.