Bisceglie

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Bisceglie

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Provincia di Bari. Posta sulla costa adriatica, a nord del capoluogo, B. insiste su di un’area abitata già dal Paleolitico. Colonia greca, poi conquistata dai Romani, durante il periodo longobardo appartenne ai gastaldati di Canosa e di Trani ed il conte di Trani ne mantenne il possesso anche sotto i Normanni. Con gli Angioini B. divenne feudo dei Monfort, per passare poi ai del Balzo e a Roberto d’Angiò e, divenuto contea, agli inizi del XV secolo venne dato da Ladislao I di Napoli a Lorenzo Cotignola. Nel periodo aragonese B. tornò ai del Balzo e, divenuto marchesato, passò a Federico D’Aragona. Nel 1532, infine, il centro ottenne da Carlo V di essere città demaniale.  Sede vescovile dall’XI secolo, B. nel 1443 era tassata per 290 fuochi fiscali e nel 1532 per 831.

 

Gli ebrei appaiono sulla scena di B. nella seconda metà del secolo XV. Il 9 marzo 1462 Sabatino di Mosè di Lecce, cittadino biscegliese, dichiarò di essersi  obbligato dinanzi al capitano di Bitonto di comparire, sotto pena di 50 once, alla presenza del Principe di Taranto, che era anche signore di Bisceglie, dovunque si trovasse. Fideiussori del suo impegno erano stati Iosep Russello, Masello di Elia de Provenza e i fratelli Iacob e Angelo di Iosep, abitanti in Bitonto[1].

L’anno seguente, il Principe di Taranto, che era Giovan Antonio Orsini, decedette e nel possesso di B. gli successe Francesco del Balzo, duca di Andria.  Dal nuovo signore il 19 novembre l463 il consiglio cittadino ottenne, tra altri capitoli, che nella città non abitassero giudei, eretici e cristiani novelli: nel caso essi fossero venuti  per affari, non sarebbe stato loro concesso di dimorare più di tre giorni, trascorsi i quali i loro beni sarebbero stati confiscati e donati ai poveri e le persone sottoposte a pubblica fustigazione[2]. La richiesta dei biscegliesi contrasta con quelle delle altre città, generalmente favorevoli ai giudei. La causa dell’ostilità è forse da ravvisarsi in un certo favore di Giovan Antonio Orsini verso gli ebrei e gli altri dissidenti, di cui è verosimile che egli si servisse come informatori, come potrebbe suggerire l’obbligo che egli impose a Sabatino di Mosè di comparirgli dinanzi dovunque fosse stato necessario. Gli ebrei del Regno, tuttavia, si risentirono dell’interdizione e nei capitoli sottoposti nel 1465 all'approvazione di Ferrante I chiesero che essa fosse annullata e che in sua vece fosse loro riconosciuto di stare o abitare nella cittadina adriatica a loro volontà e piacere. Il sovrano accolse la richiesta per quanto concerneva l'abolizione del limite di tre giorni, ma confermò il divieto di accedere alla città  per abitarvi stabilmente[3]. La restrizione, comunque, poco per volta cadde in desuetudine.

Intanto, i biscegliesi  ricercavano volentieri i servizi offerti dai giudei. E come spesso  accade quando si tratta di affari, non mancavano  litigi e querele. Un’ attestazione in tal senso ci viene da una lettera della Camera della Sommaria, datata 2 ottobre 1488, inviata ai capitani di B. e di Terlizzi su ricorso degli eredi del giudeo Haim de Masello di Trani. I ricorrenti affermavano di essere creditori presso diverse persone delle due località, come appariva chiaramente da pubbliche scritture, ma che i debitori erano riusciti ad ottenere della Gran Corte della Vicaria un provvedimento a loro favore contro la validità di tali obbligazioni perché contratte con giudei. È probabile che i debitori  abbiano accusato i giudei di aver fatto registrare somme più alte di quelle realmente dovute, facendo includere nelle cifre  un’ “usura”, ossia interesse, superiore a quanto consentito per legge. La Sommaria ordinò ai due capitani di convocare tutti gli interessati, di ascoltarne le  ragioni e di risolvere la controversia secondo giustizia[4]

Ma agli ebrei si rivolgevano per prestiti anche le istituzioni ecclesiastiche locali. Così, il 28 gennaio 1532, i canonici della cattedrale e delle tre chiese collegiate cittadine si dichiararono debitori nei confronti dell'ebreo Iacob de Eliazar per la somma di 11 ducati, compreso l'interesse. A garanzia del prestito fu dato un turibolo d'argento. In un inventario delle scritture  che si conservavano nell'archivio  della cattedrale sono ricordati, nel 1534, lo instrumento de la compra che fe il capitulo da Sasacto iudeo de quindici ordini di terre iusta lorto de lo Paradisolo instrumento del debito che haveva lo capitulo con uno iudeo chiamato Isaccho[5].

L'inventario è contemporaneo a un momento di forte tensione tra le comunità ebraiche del Sud d'Italia e il viceré spagnolo Pietro de Toledo. Costui il 5 gennaio 1533 aveva emanato un proclama col quale, dopo aver ricordato la delusione provata dalla Cesarea Maestà nel constatare che gli ebrei non solo non avevano approfittato della sua tolleranza per convertirsi alla fede cattolica, ma avevano seminato il Regno di usure e pervertito le coscienze di molti cristiani, comandava ai giudei di uscire dal Regno entro sei mesi o di convertirsi. Contro il bando di espulsione si mossero gli israeliti, i quali da ogni provincia elessero delegati perché si recassero a Napoli a negoziare con il viceré le condizioni per la permanenza nel Regno. Tra i maggiorenti ebrei di Terra di Bari che si riunirono il 5 dicembre 1533 nel capoluogo per eleggere il loro procuratore da inviare a Napoli, c'erano gli ebrei biscegliesi Abram de Robi, Robi Salamon  e Sarnalus [6].

Le trattative portarono ad un accordo, sottoscritto e consegnato agli interessati il 31 marzo 1536. Di lì a qualche anno esso venne però smentito dalle autorità e nel maggio 1541 fu pubblicato il bando di  espulsione, con il quale si concessero agli ebrei quattro mesi di tempo per uscire dal Regno.

Apparsa ormai chiara la volontà di cacciare i giudei,  molti di essi si diedero da fare per recuperare i loro crediti. Le autorità napoletane invero assistettero i creditori, come appare da una lettera, datata 30 luglio 1540, con cui il Consiglio Collaterale ingiunse al capitano di B., sotto pena di una multa di 1.000 ducati, di provvedere perché i debitori dell'ebreo Robino soddisfacessero ai loro obblighi[7].

Della presenza ebraica a B. rimase memoria per secoli nel toponimo cittadino Iudeca, divenuto poi La Giudea, con cui veniva designata una stretta via a ridosso della chiesa di San Domenico, nei pressi delle mura settentrionali della città. Nel 1941 Via La Giudea, per effetto delle leggi razziali imposte dal regime fascista, vide mutato il nome in Via  Tevere[8].

 

Bibliografia

Colafemmina, C., I Capitoli concessi nel 1465 da Ferrante I ai giudei del Regno, in Studi Storici Meridionali 3 (1992), pp. 279-303.

Colafemmina, C., Documenti per la storia degli ebrei in Puglia e nel Mezzogiorno nella Biblioteca Comunale di Bitonto, in Sefer Yuhasin 9 (1993), pp. 19-44.

Colafemmina, C. – Corsi, P. – Dibenedetto, G. (a cura di), La presenza ebraica in Puglia. Fonti documentarie e bibliografiche, Bari 1981.

Colafemmina, C., Vicende di storia e cultura ebraica a Bisceglie, in Sefer Yuhasin 5 (1989), pp. 1-30.

Gadaleta, A., Antichi statuti , consuetudini e grazie  dell'Università  di  Bisceglie, Trani 1902.

 


[1] ASBa, not. Angelo de Bitritto, reg. 1462-64, c. 19c, r-v.

[2]Gadaleta, A., Antichi statuti , consuetudini e grazie  dell'Università  di  Bisceglie, Trani 1902, pp. 105 -108.

[3] Colafemmina, C.,  I capitoli concessi nel 1465, pp. 286-287, 301.

[4] Colafemmina, C.,  Documenti per la storia degli ebrei in Puglia, p. 69, doc. 49.

[5]  Colafemmina, C., Vicende di storia, pp. 8-9, 19.

[6] Colafemmina, C.- Corsi, P.- Dibenedetto, G. ( a cura di), La presenza ebraica in Puglia, pp.78-70, doc. 43, 44.

[7] Colafemmina, C., Documenti per la storia degli ebrei in Puglia, pp. 312-313, doc. 339.

[8] Colafemmina, C., Vicende di storia,  pp. 14-17.

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