Barletta

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Barletta (ברליטא)

Si affaccia sul mare Adriatico, all’imboccatura sud-est del golfo di Manfredonia.  Fu scalo marittimo di Canusium, ruolo che condivise nella tarda romanità con la vicina Trani. Fiorì come città nel Medioevo quale fortezza dei Normanni, diventando un tappa importante per i crociati e per il traffico commerciale verso la Terra Santa. Nel 1327, in seguito alla distruzione di Nazaret, gli arcivescovi della cittadina galilea si trasferirono a B., che divenne la loro sede definitiva fino alla soppressione del titolo nel 1818. La città raggiunse il suo maggiore splendore sotto gli Angioini (1266-1442). Subentrata nel regno la dinastia aragonese con Alfonso il Magnanimo, il figlio e successore Ferrante I fu nel 1459 incoronato re nella cattedrale di B.. Nel 1443 la città era tassata per 1152 fuochi e nel 1532 per 1153[1].

 

La presenza ebraica a B. doveva avere profonde radici nel XIII secolo, quando, sotto la spinta del proselitismo angioino, ci furono anche  nella  città diverse conversioni di ebrei al cristianesimo[2]. Sotto gli ultimi Angioini ci fu una rifioritura, che perdurò sino alla prima metà del XVI secolo. Alcuni dei suoi ebrei provenivano dall’entroterra, ma la maggior parte dalla Provenza. Nel 1428 Crescas b. David de Miranda Zarfati  vi copiò  Il libro della tavola del talmudista spagnolo Hyya b. Salomon Habib[3] e nel 1441 le monache del monastero di Santa Lucia di B. concessero in censo perpetuo a Iacoy detto Faci friscu, giudeo di Venosa ma cittadino e abitante di B., una terra incolta di notevole estensione  sita in contrada  Vallis de Ioa, confinante con un’altra terra dello stesso Iacoy, con il patto che questi e i suoi eredi si impegnassero a coltivare il terreno e a piantarvi un vigneto. A cautela del contratto,  Iacoy giurò per la legge di Mosè e toccando la penna, secondo l’uso ebraico. L’atto fu stipulato nel monastero, davanti alle grate di ferro del parlatorio. La famiglia di Iacoy non era però tutta dedita alla viticultura. Suo figlio Moyse Frisco, infatti, ottenne, nel 1452 la facoltà di esercitare la chirurgia in tutto il regno di Napoli[4].

Stagione felice sembra sia stata questa per gli ebrei di B.: nel 1456 fu in città il medico Isaq b. Shelomoh del Barri, originario del sud della Francia o della Catalogna, e vi copiò il Libro dei viaggi di Beniamino da Tudela e, il 13 gennaio 1456, gli nacque il figlio Shelomoh, come egli stesso annotò nel manoscritto della Chirurgia di Guglielmo de Saliceto che aveva copiato l’anno prima a Vieste[5].

Una famiglia di notevole rilievo nella comunità locale era quella di origine provenzale dei Marcilio. Ad essa apparteneva Strucco Marcilio, personalità eminente tra i giudei di Terra di Bari e di cui si serviva anche la Corte per varie mansioni. La sua posizione e il suo ruolo, naturalmente, gli procuravano anche invidia e nemici. Nel 1447 un Masello di mastro Angelo di Bitonto lo accusò dinanzi al giudice Antonio de Blasio della stessa città di avere promesso a Francesco Giacomo Catalano di ricompensarlo con quindici ducati se avesse accoltellato il detto Masello, oppure Manachem suo cognato, Cecchille Guregio figlio di Masello Todisco, Isacco, venditore di panni, e Mosè Frisco: nel caso qualcuno dei suddetti fosse stato ucciso, la ricompensa sarebbe stata di 30 ducati, se invece avesse inferto loro solo una coltellata, il compenso sarebbe stato di 15 ducati[6]. Ma l’accusa non approdò a nulla.  In occasione di un pagamento imposto dal re Alfonso I ai giudei di Trani, per esempio, era stato stabilito che i più facoltosi avrebbero anticipato entro il termine fissato tutta la somma e sarebbero stati poi rimborsati dagli altri, che invece non si curarono di farlo.  Su ricorso dei creditori, il successore di Alfonso, il figlio Ferrante I, incaricò nel 1458 Strucco Marcilio di indagare sulla vicenda e di costringere i morosi a risarcire entro dieci giorni i correligionari che avevano anticipato le somme. Strucco si associò nell’indagine il giudice Bartolomeo de Granata di B. Nel 1463, infine, lo stesso Strucco, a nome delle autorità di Gravina, supplicò Ferrante I di rimettere la pena in cui la città era incorsa per non avere obbedito all’ordine di notificare la quantità di sale che deteneva[7].

Circa le attività esercitate dagli ebrei di B., erano prevalenti la mercatura – grano,  stoffe, indumenti, animali – e il prestito a interesse. Anche il clero ricorreva agli ebrei per prestiti, con pegni che parrebbero singolari. Così nel 1462 quello della chiesa di san Giacomo dichiarò che quando re Ferrante dimorò in B., impose una colletta su tutti i chierici, e in particolare su quelli di san Giacomo. Per tale colletta essi pagarono sette ducati, che presero in prestito dai giudei della città dando loro in pegno un calice. Ma non avendo ancora il denaro per riscattare il calice, i chierici affrancarono un censo annuo che era posto su due loro terreni[8]. Una certa animosità contro gli ebrei prese comunque a diffondersi nella città, che nel 1466 chiese e ottenne da Ferrante I che gli ebrei non potessero acquistare carne nei mercati dei cristiani, ma solo in luoghi a essi riservati; inoltre fu regolato il lavoro dei servi cristiani presso gli ebrei e furono limitati gli interessi dovuti per i prestiti allungando i tempi di vendita dei pegni. E poiché agli ebrei si rivolgevano sovente per piccoli affari donne e minori, le autorità fecero inserire negli statuti approvati nel 1473 dal re il divieto per i giudei di trattare acquisti o vendite di beni con tali soggetti senza il consenso dei rispettivi mariti o padri, sotto pena di sanzioni pecuniarie e la perdita dei beni stessi, un terzo dei quali sarebbe andato all’università, un terzo al capitano e una terzo a chi aveva denunciato l’illecito negozio[9].

Nel 1492 una vicenda di basso conio ebbe per protagonisti i due nobili barlettani, Loisio Segetriga e Franci Perroct Toreglia, e una giovane ebrea di nome Ester. Su denunzia del giudeo Benedetto Toros di Trani, il vicario vescovile di Trani aveva sottratto ai due nobili la ragazza e l’aveva affidata a un ebreo di B. di nome Aron. Secondo la denunzia, infatti, la giovane era stata circonvenuta dal Loisio, che l’aveva poi ridotta a sua concubina e domestica. I due nobili ricorsero alla Camera della Sommaria contro l’azione del vicario e dimostrarono che il genitore della giovane, Abramo Traeson, l’aveva liberamente posta al loro servizio per quattro anni mediante pubblico contratto rogato in Napoli e che essi la trattavano bene con l’intento di portarla alla fede cristiana. La Sommaria accolse il ricorso e ordinò al capitano di B. di restituire ai due la giovane[10].

Nel 1495 il regno di Napoli fu invaso da Carlo VIII di Francia e sollevazioni antigiudaiche esplosero un po’ dappertutto, spesso provocate da coloro che avevano contratto debiti con i giudei e con la connivenza delle autorità. Anche a B. si pescò nel torbido, imponendo ai giudei la rinunzia ai crediti e impossessandosi dei loro beni. La città si affrettò a chiedere al nuovo re la legalizzazione delle ruberie e altre grazie ancora. Essa chiese che fossero annullate le concessioni che il sovrano aveva fatto di uffici e beni appartenuti a giudei e di quanto nei disordini che avevano accompagnato la venuta del re di Francia erano finiti in possesso di cittadini di B., che fossero confermate le cancellazioni dei titoli di credito che i giudei avevano fatto, che i giudei restituissero i pegni che non avevano ancora restituito o dessero beni corrispondenti al loro valore, che gli stessi fossero espulsi dalla città e che fossero confermati nei loro possessi e diritti i neoconvertiti Giovanni Maria e fratelli. Carlo VIII  approvò senza riserve l’ultima petizione. Quanto alle altre, egli non ammise restrizioni alle concessioni dei beni che aveva dispensato a suo arbitrio ai suoi fautori, a eccezione dei beni mobili, e  ordinò di restituire in breve tempo ai giudei le proprietà che erano state tolte con la violenza, di pagare i debiti contratti con i giudei, (ma senza gli interessi) e di permettere loro di abitare nella città, non potendo egli mostrarsi più intollerante della Chiesa Cattolica. Espresse, inoltre, la volontà che si procedesse secondo giustizia  nella questione dei pegni. Tutto questo in data 2 aprile 1496[11]. Ci furono anche conversioni forzate,  come quella del figlio, minorenne, di Aron Benvenisti. Il ragazzo fu affidato alla moglie del fu Renzo della Marra, ma a motivo dei maltrattamenti a cui la donna lo sottoponeva,  la Camera della Sommaria ordinò, in data 6 luglio 1496, che fosse consegnato a una persona dabbene di Trani o di B.: suo padre Aron avrebbe provveduto alle spese del vitto e del vestiario del figlio sino al raggiungimento della maggiore età[12]. Da notare che, per quanto le situazione degli ebrei a B. non fosse tra le più accattivanti, nondimeno nella città si rifugiarono i cristiani novelli della vicina Trani quando gli abitanti di quest’ultima, nell’euforia della venuta del cristianissimo re di Francia, li espulsero e si appropriarono dei loro beni[13].

La controffensiva aragonese costrinse Carlo VIII a lasciare Napoli e al nuovo re Federico II d’Aragona il 31 ottobre 1496  si rivolsero i barlettani, per chiedere questa volta a lui la conferma dei frutti acquisiti con la violenza. In una serie di capitoli presentati al re essi inserirono quindi la richiesta che stava loro più a cuore, cioè il riconoscimento della validità della remissione dei debiti fatta –secondo la richiesta - “spontaneamente” dagli ebrei per gratitudine della protezione ricevuta dalle autorità e dell’obbligo che avevano preso di restituire ai proprietari i pegni che avevano portato fuori B. per metterli al sicuro dai saccheggi, fuggendo poi invece essi stessi dalla città. I nomi degli ebrei fuggitivi erano quelli dei principali mercanti e banchieri della comunità: mastro Mosè Marcilio, Aron, l’erede di Abraam Levi, Michele Benvenisti, una donna Bonella, e altri. Il re rispose che avrebbe provveduto in breve con una legge valida per tutto il Regno[14]. L’anno seguente, intanto, la regina Isabella, incaricata della luogotenenza generale del Regno, ordinò al capitano di B. di far restituire al medico Moisè Marcilio una casa che egli aveva regolarmente acquistata prima dell’invasione francese e che i precedenti proprietari, Nardo de Iudicibus, la moglie e Priamo de Saracioni di Capua, approfittando dell’anarchia del periodo di guerra, si erano arbitrariamente ripresa[15]. Nel 1496 Moisè aveva preso ad abitare nella città dalmata di Ragusa, senza però interrompere i suoi rapporti con Barletta. Il 1 agosto 1499 Caterina di Giusto Cristiano di B. – evidentemente una neofita – trovandosi gravemente inferma, consegnò a Isdrael Toros di B., con il quale abitava fuori della città, i beni del defunto Iosep Marcilio e di sua moglie, dei quali era stata nominata depositaria. Tali beni dovevano essere consegnati a magistro Moise Marcilio, zio paterno del defunto Iosep, e a quelle persone che dimostrassero di essere proprietarie di pegni[16].

Sul finire del secolo dimorarono in città don Isach Abravanel e suo figlio, il medico e filosofo Leone. Il re Federico II d’Aragona, che era assai amico degli Abravanel, invitò Don Isach ad andare a Napoli e, in data 10 maggio 1501,ordinò al capitano e alle autorità cittadine di prestare ogni aiuto ai due perché potessero trasferissi con le loro famiglie nella capitale. Ma nel mese di luglio dello stesso anno, in conseguenza del patto segreto di Granada (11 novembre 1500), i francesi invasero il regno di Napoli a nord e gli spagnoli da sud. Nell’incertezza della situazione, Don Isach non si avventurò nel viaggio e tornò a Monopoli, allora sotto il dominio di Venezia[17]. Come è noto, la spartizione del Regno approvata a Cordova non fu rispettata e i francesi e gli spagnoli si fecero guerra. La vittoria arrise agli spagnoli, che avevano fatto proprio di B. il loro centro difensivo, e Ferdinando il Cattolico diventò sovrano di tutto il Mezzogiorno.

Nel 1507 la comunità ebraica barlettana era composta di 37 nuclei familiari – di cui si conoscono i nomi dei titolari e dei componenti - e da essi la autorità ottennero di potere esigere i contributi fiscali ovunque si trasferissero, essendo stati censiti insieme con la popolazione locale[18]. Nel 1502, intanto, l’eminente medico e mercante Moisè Marcilio, che si era trasferito stabilmente da B. a Ragusa, fu qui accusato insieme ad altri ebrei dell’assassinio di una donna cristiana e fu arso sul rogo[19]. Per il delitto attribuito al padre, furono sequestrate al figlio Isach Marcilio di B. una casa e due botteghe che egli possedeva nella piazza di Trani. La Camera della Sommaria in data 30 maggio 1511 ordinò però la restituzione a Isach degli immobili affinché potesse liberamente venderli, a condizione che s’impegnasse prima, mediante cauzione, a restituire alla Regia Corte la casa e le botteghe, o il loro prezzo, nel caso la Camera, visti gli atti del processo, confermasse la loro confisca[20].

La vicenda di Isach Marcilio s’inserisce nel processo di espulsione delle comunità ebraiche dal Mezzogiorno ordinata da Ferdinando il Cattolico il 23 novembre 1510. A questa data, i nuclei ebraici di B. erano 46, di fronte a 1528 nuclei cristiani[21]. Accanto a quella ebraica, c’era nella città una notevole presenza di neofiti, o cristiani novelli. Come altrove, anche a B. le autorità si affrettarono a denunciare la partenza di molti ebrei e neofiti e chiesero che i loro nomi fossero cancellati dai ruoli fiscali. Per esaudire la richiesta, la Camera della Sommaria in data 7 gennaio 1512 ordinò all’esattore provinciale di prendere dettagliate informazioni intorno alle famiglie che si erano assentate e al giorno della loro partenza. Una vedova, Ciancia de Matteo, ottenne di essere riconosciuta non discendente da stirpe giudaica e di potere quindi restare. Spinti forse dall’esito positivo del suo ricorso, altri cristiani novelli di B. chiesero lo stesso riconoscimento ed in data 5 febbraio 1515 il Consiglio Collaterale ordinò al Conte di Muro di mandare un uditore della Regia Udienza perché prendesse visione di tutti i processi concernenti i cristiani novelli della città e sentenziasse su coloro che dovevano andare via e su quelli, invece, a cui egli riconosceva il diritto di restare[22].

Nel 1519 B. ospitava però di nuovo una comunità ebraica e il suo proto era Iacob de Brescia, che nel 1524 presentò il rendiconto quinquennale del suo ufficio ai rappresentanti della comunità – Samuel, Helias Sciullam, Rabi Rafael, Helias Azul, Muscie Durante, Rabi Leone e Simon Todisco – e consegnò loro 13 carlini, resto di quanto aveva riscosso per la sinagoga e la casa dei giudei, insieme a tutti i libri e gli oggetti appartenenti alla sinagoga. Nel 1522 egli, inoltre, si lamentò di essere stato ingiustamente tassato dai proti delle comunità di B., Bari, Bitonto e Trani: la Sommaria accolse il suo ricorso e ordinò al percettore di accertarsi se i carichi fiscali erano stati equamente distribuiti e di provvedere perché gli fosse rimborsato dai correligionari di quanto aveva dovuto indebitamente versare[23].

La comunità di B. cessò di esistere nel 1541, quando tutti gli ebrei del Viceregno dovettero esulare in forza del bando di espulsione emanato dall’imperatore Carlo V e pubblicato nel maggio di quell’anno. La partenza doveva avvenire entro la fine del mese di ottobre: il 19 Iacob Elyedi B. e suo figlio Sciabadullorilascianoin Bari quietanza a Guido Antonio de Dugnano di Milano, sia del denaro che egli aveva mutuato dai due e che aveva loro restituito sia della sua attività di procuratore nell’esigere varie somme da diverse persone in Trani e  di altre località[24].

Gli israeliti abitavano in città nei pressi di via Cambio e suoi paraggi. Alcune localizzazioni: nel 1404 un Valentinus Iudeus aveva una casa nel borgo di San Giacomo e nello stesso borgo nel 1405 abitava un Matheus Iudeus[25]. Un Santhus iudeus nel 1470 abitava nel quartiere del Cambio, vicino alla chiesa di S. Giovanni e nelle sue vicinanze, e precisamente in loco carroziarum, in quegli anni aveva la casa Masello Teotonico[26]. Il cimitero si trovava, infine, presso la riva del mare, nel luogo detto li teruni de li Iudey[27].

 

Bibliografia

 

AA. VV., La presenza ebraica in Puglia. Fonti documentarie e bibIiografiche, a cura di C. Colafemmi­na, C. – Corsi, P. ‑ Dibenedetto, G., Bari 1981.

Ceci, R. - Mascolo, R., Barletta. Leggere la città, Barletta 1986.

Colafemmina, C. -  Dibenedetto, G.  Gli Ebrei in Terra di Bari durante il Viceregno. Saggio di ricerche archivistiche, Bari 2003.

Colafemmina, C., Documenti per la storia degli ebrei in Puglia e nel Mezzogiorno nella Biblioteca Comunale di Bitonto, in Sefer Yuhasin 9 (1993), pp. 19-44.

Ferorelli, N., Gli ebrei nell’Italia meridionale dall’età romana al secolo XVIII, 1915, riedizione a cura di Filena Patroni Griffi, Napoli 1990.

Krekić, B., The role of the Jews in Dubrovnik (Thirteenh-Sixteenth Centuries), in Dubrovnik, Italy and the Balcans in the Late Middle Ages, London 1980.

Loffredo, S., Storia di Barletta, 2 voll., Trani 1893.

Netanyahu, B., Don Isaac Abravanel:Statesman and Philosopher, Corner University Press 1999.

Sirat, C. - Beit-Arie, M., Manuscrits médiévaux en caractères hébraïques portant des indications de date jusqu’à 1540, Jerusalem-Paris 1986.

Tamani, G., Manoscritti e libri, in L’Ebraismo dell’Italia Meridionale Peninsulare dalle origini al 1541, a cura di C. D.Fonseca e altri, Galatina 1996.

Vitale, V.A., Trani dagli Angioini agli Spagnuoli: Contributo alla storia civile e commerciale di Puglia nei secoli XV e XVI, Bari 1912.

 

 

 

 


[1] Cfr. Loffredo, S., Storia di Barletta, 2 voll., Trani 1893; Ceci, R. - Mascolo, R., Barletta. Leggere la città, Barletta 1986.

[2] Ferorelli, N., Gli ebrei nell’Italia meridionale, p. 46.

[3] Sirat, C. Manuscrits médiévaux, II, 68.

[4] Codice Diplomatico Barlettano IV, p. 99, doc. 153; ASNa, Sommaria,  Magno Sigillo Registro 2 (olim 35), fol. 7v: CDB XI.

[5] Sirat, C. Manuscrits médiévaux, II, 88; Tamani, G., Manoscritti e libri, p. 226.

[6] La presenza ebraica in Puglia, pp.26-27, n. 9.

[7] Vitale, V.A., Trani dagli Angioini, pp. 680-682, doc. XXVIII; Colafemmina, C., Documenti per la storia degli ebrei in Puglia, pp. 28-29, doc. 2.

[8] Codice Diplomatico Barese  XIX, p.153, n. 160.

[9] Repertorio delle pergamene di Barletta, a cura di R. Batti, Napoli 1904, pp. 170-174, doc. CXLVII;  Loffredo, S.,  Storia della città di Barletta, II, p. 381-414, doc. XXXVIII.

[10] Colafemmina, C.,  Documenti per la storia degli ebrei in Puglia, pp. 119-120, doc. 109.

[11]Loffredo, S., Storia della città di Barletta, II, pp. 488-502, doc. XLIV.

[12] Colafemmina, C. Documenti per la storia degli Ebrei in Puglia, pp. 187-188, doc. 198.

[13] Vitale, V.A., Trani dagli angioini, pp. 770-771, doc. LXXXI.

[14] Codice Diplomatico Barese XIV, pp. 109-110, doc. 39.

[15] Codice Diplomatico Barese  XIV, p. 110, nota 1.

[16] Presenza ebraica in Puglia, pp. 60-62, doc. 34.

[17] Ferorelli, N., Gli ebrei, p. 88; Netanyahu, B., Don Isaac Abravanel, pp. 77-78.

[18] Colafemmina, C.,  Documenti per la storia degli ebrei in Puglia, pp. 213-215, doc. 225.

[19] Krekić, B., The role of the Jews in Dubrovnik (Thirteenh-Sixteenth Centuries), n. XXI, p. 263,

[20] Colafemmina, C.,  Documenti per la storia degli ebrei in Puglia, pp. 237-38, doc. 251.

[21]  ASNA, Sommaria,Tesorieri e Percettori 5386, f. 2v.

[22] Colafemmina, C.,  Documenti per la storia degli ebrei in Puglia, p. 250. doc. 269: pp. 264-265, doc. 287;p. 274, doc. 299.

[23] Colafemmina. C. – Dibenedetto, G., Gli ebrei in terra di Bari durante il Viceregno, p. 127, doc. 1; Colafemmina, C., Documenti per la storia degli ebrei in Puglia, p. 296, doc. 321.

[24] Colafemmina, C. – Dibenedetto, G., Gli ebrei in terra di Bari durante il Viceregno, p.124, doc. 317.

[25] [25] CDBarl III, p. 282, doc. 372; p. 285, doc. 379. 

[26] Codice Diplomatico Barlettano IV, p. 155. doc. 219.

[27] Gli ebrei in terra di Bari durante il Viceregno, p. 131, doc. 9.

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