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Otranto (אודרונט, אוטרנטו,אודרנטו)
Città della Puglia situata sull’Adriatico, nell’estrema punta orientale d’Italia. Fu città greca, poi municipio romano e nell’alto medioevo fu uno dei più importanti centri del dominio bizantino nel Mezzogiorno. Nel 1070 cadde in potere dei normanni e fece poi parte del principato di Taranto, di cui seguì le vicende. Città demaniale dal 1463 e sede vescovile dal V secolo[1], nel 1443 era tassata per 253 fuochi, nel 1512 per 190 e nel 1532 per 640.
Secondo una tradizione medievale, nel 70 Tito, figlio dell’imperatore Vespasiano, deportò ad O. ed in altre città della Puglia alcune migliaia di ebrei catturati a Gerusalemme nella distruzione della città[2]. Sul piano documentario, il più antico dato sulla presenza di ebrei in questa città è costituito da una stele sepolcrale databile al IV secolo. L’epigrafe, dedicata a una fanciulla di nome Glyka, figlia di Sabino, è scritta sia in greco che in ebraico[3]. Notizie sugli ebrei a O. ritornano a partire dal X secolo: nel 925 la comunità locale accolse alcuni superstiti della distruzione di Oria compiuta dai musulmani di Ubayd Allah, il capostipite dei Fatimidi d’Africa.
Qualche decennio dopo, la Puglia ebraica fu sconvolta da una persecuzione, che sembra mirasse in particolare alla distruzione dei libri sacri. Poiché in quel periodo essa era ritornata sotto il dominio bizantino, si ritiene che la campagna antiebraica fosse stata ordinata dall’imperatore Romano Lecapeno (920-944). Messi sull’avviso dai correligionari – sembra, di Bari – gli ebrei otrantini nascosero i loro testi e “neppure una lettera della Legge “ venne bruciata, ma ciò costò la vita a tre maestri dottissimi e pii: R. Iudah, R. Menahem e R. Eliyah, che preferirono sucidarsi piuttosto che rivelare dove fossero stati nascosti i libri. Secondo Sonne, R. Menahem era la medesima persona di Menahem b. R. Mordechay, tesoriere e circoncisore della comunità, noto come autore di inni liturgici per la festa di Pesah[4].
Nell’XI secolo O. assurse a punto di riferimento, insieme a Bari, degli studi biblici e talmudici, come attesta il detto tramandato da R. Tam di Ramerupt (1100 ca. – 1171): «Da Bari esce la Legge e la Parola del Signore da O.»[5]. Nella città fiorì anche una scuola di copisti, a cui è attribuito un manoscritto (Parma 3173) contenente l’intero testo della Mishnah. Il codice reca ai margini di numerose pagine 154 glosse in volgare salentino arcaico. A codici usciti da questo scriptorium apparterrebbero alcuni frammenti di un Talmud Yerushalmi (MS ASBO 564 e 574), il Vaticano ebraico 31, contenente il Midrash Sifra e altri midrashim, e i rotoli biblici riutilizzati nel secolo XIII per formare un codice su cui furono copiate alcune opere di medicina in greco (Firenze, Plut. LXXIV, cod. XVII).
Nella seconda metà del XII secolo, la comunità ebraica otrantina era una delle più numerose del Mezzogiorno. Secondo Beniamino da Tudela, essa era composta da circa 500 persone – verosimilmente maschi adulti – la cui guide erano R. Menahem, R. Caleb, R. Meir e R. Mali.[6]. Per contrastarne l’influenza, nel 1220 Nicola-Nettario, abate del monastero di Casole, scrisse un Dialogo contro i giudei. L’antagonista otrantino di Nicola si chiamava R. Shemuel, ma l’eco delle discussioni fu tale – riferisce Nicola – che in aiuto del Rabbi accorsero esperti di Babilonia e dell’Egitto, delle Gallie e della Spagna, della Romània e dell’Armenia. Le contrade elencate esprimono la fitta trama di rapporti culturali della comunità con i centri del sapere ebraico: la Romània e l’Armenia erano le terre bizantine e l’Egitto l’ultimo rifugio di Maimonide, i cui insegnamenti furono portati nel Mezzogiorno da grandi maestri di Spagna e di Provenza.
In questo periodo visse anche ad O. un poeta ebreo di nome Anatoli, da identificarsi probabilmente con il medico e filosofo provenzale Iacob ben Abbamari Anatoli (1194-1256). Altri poeti ebrei, di cui è incerta l’epoca in cui vissero, furono Meiuchas e Shabbetai da O.
Dal punto di vista economico, gli ebrei otrantini dovevano partecipare vivamente all’intesa attività mercantile della città, incentrata soprattutto sul porto. Nel 1219 Federico di Svevia, re di Sicilia, confermò alla chiesa cittadina i privilegi che essa possedeva sin dal tempo di re Ruggero (1130-1154), tra cui il diritto alla decime sui redditi “sia dei cristiani sia dei giudei”.
Il periodo angioino, che seguì quello svevo nel 1266, vide nell’ultimo decennio del XIII secolo le comunità ebraiche del Meridione sfaldarsi sotto l’azione proselitistica della Corte e dei nuovi ordini religiosi. Sul finire del XIV secolo la presenza ebraica si riprese, ma si trovò sottoposta ad inique vessazioni ed estorsioni da parte degli inquisitori, e ciò in particolare nella provincia di O. e nel ducato di Calabria. Su ricorso degli israeliti, ci fu nel 1403 un energico intervento da parte del papa Bonifacio IX presso i vescovi delle due province perché impedissero simili malversazioni[7].
Le comunità ebraiche si rafforzarono nel Regno sotto la dominazione aragonese (1442) , ma quella di O. fu sterminata dai turchi che assalirono la città e l’espugnarono l’11 agosto 1480. Nonostante ciò fosse notorio, quando nel 1482 la vicina comunità di Lecce chiese di essere liberata dei contributi che gravavano su quella di O., acteso che tutti i giudei furono ammazzati dai turchi e non ne rimase di essi nessuno, Ferrante I d’Aragona rimandò la decisione a dopo l’esecuzione dell’apprezzo dei beni e dei proprietari superstiti[8].
Con la rinascita della città, anche gli ebrei vi tornarono. Nel 1509 un Salomone Nachamulli vantava un credito di 300 staia di olio nei confronti del veneziano Francesco de Tareno, già castellano di O. a nome di Venezia, a cui la prima era stata data in pegno nel 1496. Nel 1510 David Provinciale, ebreo de O., era invece debitore di 51 ducati nei confronti di un Francisco de Bonivento, ma rifiutava di restituire la somma entro il termine pattuito, affermando di avere ottenuto dalla Real Udienza provinciale una moratoria[9].
Negli anni ’30 del XVI secolo era attivo ad O. Rabbi Moshè Yacchia ben David. Nel 1538 egli occupava la cattedra rabbinica nella città e doveva essere una personalità di rilievo perché Rabbi Meir Katzenellenbogen da Padova lo chiamava “Gaon”, titolo usato generalmente per la massime autorità rabbiniche. Qui egli aveva per lungo tempo atteso a tutti gli uffici rabbinici: “aveva predicato, insegnato la Torah a tutti gli allievi della città, sentenziato in tutti i casi di dubbi rituali, giudicato nelle controversie civili, placato i dissidi personali e scritto le lettere della comunità da inviarsi fuori della città”, ma per tutti questi servizi non era stato mai pagato. Solo quando manifestò l’intenzione di lasciare la città, la comunità gli offrì un salario per indurlo a restare: si giunse ad un accordo, ma sembra che il Maestro chiedesse anche gli arretrati per il lavoro svolto precedentemente. Portata la questione al giudizio di Rabbi Meir da Padova, questi sentenziò che il compenso reclamato da Rabbi Moshè doveva riguardare essenzialmente il suo insegnamento e non gli altri servizi resi alla comunità[10].
Nel maggio 1541 fu pubblicato a nome di Carlo V il bando di espulsione generale degli ebrei, che mise fine alla loro presenza nel Viceregno di Napoli. Nel controllo dei contributi fiscali dati in anticipo alla Corte, si trovò che negli anni 1530-1532, la comunità di O. aveva versato 62 ducati, 1 tarì e 10 grani, nel 1535, su 2352 ducati, 4 tarì e 10 grani versati dall’intera provincia di Terra d’Otranto, la somma corrisposta da essa era stata, invece, di 466 ducati, 1 tarì e 6 grani e mezzo[11].
Bibliografia
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[1] Cfr. Antonaci, A., Hydruntum (Otranto), Galatina 1954; Gianfreda, O., Otranto nella storia, Galatina 1972.
[2]The Josippon [Josephus Gorionides]. Edited with an Introduction. Commentary and Notes by D. Flusser, I, pp. 432-433.
[3] JIWE I, 134.
[4] Sonne, I., Alcune osservazioni, pp. 69-77.
[5] Sefer ha-Yashar 74a.
[6] The Itinerary of Benjamin of Tudela, by M. N. Adler, p. 11 (ebr.); pp. 9-10 (ingl.).
[7] Simonsohn, S., The Apostolic See, doc. 502.
[8] Colafemmina, C., Documenti per la storia degli ebrei in Puglia, p. 45, doc. 17.
[9] Ibid, pp. 227-28; 230, docc. 240, 243.
[10] Schwarzfuchs, S., I Responsi di Rabbi Meir da Padova come fonte storica, pp. 121-123.
[11] Ferorelli, N., Gli ebrei nell’Italia meridionale, pp. 235-236.