Corato

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Corato

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Provincia di Bari. Sorge sul pendio orientale delle Murge di Nord-Ovest. Edrisi (1154) così lo descrive: Alla distanza di nove miglia dal mare le corrisponde entro terra la città di Qûrât, città bella, popolata, nobile e deliziosa, abbondante di frutta e ferace di prodotti alimentari[1].

 

La presenza degli ebrei a C. appare fin dalle più antiche testimonianze strettamente collegata con l’importante comunità della vicina Trani. Tra i nomi dei mutuanti per un prestito imposto nel 1272 dalla Corte agli ebrei di Trani c’è un Abramo figlio di Seniore di Corato[2]. Nel 1275 l’ebreo tranese Sabato de Mugeo Sacerdote fece spiccare da Simone di Bellovidere, giustiziere di Terra di Bari, mandato di comparizione nei confronti dei coratini Giacomo di Sellitto, Marino di ser Giovanni Marco e Giovanni di Rapulleto. I tre, accusati di spergiuro per una certa quantità di denaro che erano restii a restituire, si resero contumaci e furono perciò condannati e banditi dalla città[3].

Nel 1294, sotto la pressione angioina, ci furono a C. conversioni di ebrei al cattolicesimo, come nei vicini centri di Trani, Barletta e Andria, delle quali, però, si ignora il numero[4].

Le notizie sugli ebrei a C. riprendono con gli Aragonesi. Un documento datato 15 ottobre 1478 attesta l’immigrazione nella cittadina, come pure in Andria, Spinazzola e Taranto, di ebrei tranesi[5]. Il resto della documentazione, ad eccezione di due lettere della Camera della Sommaria relative a un ricorso presentato da una certa Sarra, concerne questioni di carattere creditizio.

Troviamo così una lettera della Sommaria indirizzata al capitano di C. (14 febbraio 1494) perché costringa con i mezzi offerti dalla legge i debitori di Criscio e Mosè da Montereale, giudei che abitavano nella cittadina, a restituire quanto avevano ricevuto in prestito, anche al fine di permettere ai due creditori di assolvere ai pagamenti fiscali che dovevano alla Regia Corte[6].

Sul trono di Napoli era intanto succeduto da poco a Ferrante I il figlio Alfonso II, e già la situazione degli ebrei cominciò a farsi più pesante. I debitori approfittarono dell’incertezza del momento, aggravata dalla notizia che Carlo VIII di Francia si era mosso alla conquista del regno di Napoli, per rimandare, o rifiutare, la restituzione dei prestiti. I ricorsi degli ebrei erano sì accolti, ma gli interventi a loro favore erano inefficaci, anche perché sovente assai blandi, come la lettera inviata il 24 dicembre 1494 dalla Sommaria in cui si invitava il capitano di C. a trovare un modo buono e adatto perché gli ebrei conseguissero, se fosse possibile, almeno una parte di quanto era loro dovuto, garantendoli in questo con atto pubblico. Tra gli ebrei creditori c’era anche il medico mastro Iosep, commerciante e banchiere, il quale aveva ottenuto il 29 ottobre 1494 dalla Sommaria una lettera in suo favore indirizzata ai capitani di Bitonto e di C. perché gli fosse restituita la bona quantità di dinari di cui era creditore presso diverse persone delle due città[7]. Un altro creditore era Simone de Israel, ebreo di Trani abitante a C., il quale molestava continuamente con denunce il correligionario Leone de Isac perché gli restituisse un debito di 6 o 7 ducati circa. Leone, che per infortuni occorsigli si era ridotto in miseria, aveva ottenuto dai suoi molti creditori, mercanti  cristiani e giudei, una proroga al soddisfacimento dei debiti: solo Simone de Israel ricusava di concedergli una qualsiasi dilazione. Egli allora si rivolse alla Sommaria, supplicando di non essere gettato a morire in prigione per l’esiguo debito, anche perché aveva figli piccoli che doveva nutrire. La Regia Camera accolse la supplica e scrisse al capitano di Trani (17 ottobre 1494) affinché anche Simone si associasse agli altri creditori nel concedere un po’ di sollievo al malcapitato[8].

Sara, vedova di Iosep di Montereale, si era invece lamentata presso la Camera della Sommaria perché i commissari addetti alla riscossione delle tasse le avevano sequestrato parte dei beni venuti a lei alla morte del marito. Di tali beni ella chiese il dissequestro, affermando che essi, come provava il contratto matrimoniale, costituivano la sua dote e non erano perciò suscettibili di confisca. La Sommaria volle prendere visione del contenuto del contratto, facendolo tradurre dall'ebraico in latino da due esperti ebrei. Sulla base del documento e delle informazioni ricevute dal percettore provinciale, ordinò quindi (18 giugno 1494) al commissario Francino Petralbes di restituire a Sara i beni sequestrati, prendendo però dalla donna idonea cauzione che avrebbe pagato, sulla base dell'apprezzo che stava per essere eseguito, i contributi fiscali non corrisposti per gli stessi beni durante il tempo in cui erano stati posseduti e amministrati dal marito. Il commissario doveva anche sincerarsi  che tali beni non superassero la somma di 250 ducati[9].

Alla fine della dinastia aragonese (1501), la comunità giudaica coratina contava pochi fuochi. Quando col primo bando di espulsione emesso dagli Spagnoli (1510) essi andarono via, l'università chiese che fossero cancellati dal novero della sua popolazione: i nuclei ebraici risultarono 6 su un totale di 643 fuochi cittadini[10].

La necessità convinse le autorità centrali a favorire il ritorno degli ebrei nel Regno, e anche Corato li riebbe tra le sue mura. Nel 1523 l'ebreo Gabriele, abitante della cittadina, venne a contesa con un chierico locale, tal Berardino di Canio. Questi aveva dato in pegno un vestito per 22 carlini e dopo alcuni mesi si era ripreso l'abito e aveva impegnato al suo posto una veste femminile di minore valore. Trascorso l'anno solitamente fissato per la ritenzione del pegno, Gabriele aveva più volte invitato il chierico a riscattare la veste. Dopo quattro mesi di inutili tentativi, il creditore decise di rivolgersi alla Curia Vescovile di Trani, da cui la chiesa di Corato dipendeva, perché prendesse i necessari provvedimenti. Trovata la richiesta giusta e consona alla ragione, la Curia intimò al chierico di restituire quanto doveva entro tre giorni sotto pena di scomunica e di una multa di 200 libbre di cera (4 ottobre 1523).

Nel 1524 un'altra controversia vide opporsi il nobile Giacomo de Media e sua moglie Pasqua Rosa ad Abram (de Ianni) de Gravina, abitante a C. I due confessarono dinanzi alla Curia Arcivescovile di Trani che, spinti dalla necessità, avevano chiesto e ottenuto un prestito di 8 once e 5 carlini, dichiarando però di avere ricevuto 11 once e 5 carlini a titolo di deposito. L'intera somma sottoscritta doveva essere restituita entro un  certo termine, trascorso il quale il creditore si era rivolto al capitano di C., il quale aveva sentenziato che l'ammontare residuo del credito era di 20 ducati. I due debitori, che avevano già restituito 46 ducati e mezzo, rivelarono che il contratto stipulato con  Abram era stato di tipo usuraio e chiesero pertanto di essere assolti dal giuramento ad esso apposto e, conseguentemente, dal reato di spergiuro loro ascritto per non avere restituito l'intera somma nel tempo pattuito, e di potere così impugnare la sentenza. La petizione, presentata alla Curia Arcivescovile l'11 maggio 1524, fu accolta[11].

Consiglio de Fano, attivo a Bitonto, fu nel 1533 cessionario di un credito di 349 ducati, 1 tarì e 5 grani che Abram de Ianni de Gravina,  abitante ancora a C., vantava nei confronti di Costantino de Iannellis di Terlizzi[12].

 

Bibliografia

 

Colafemmina, C. - Dibenedetto, G., Gli ebrei in Terra di Bari durante il Viceregno spagnolo. Saggio di ricerche archivistiche, Bari 2003.

Colafemmina, C., Documenti per la storia degli ebrei in Puglia nell’Archivio di Stato di Napoli, Bari 1990.

Colafemmina, C., Ebrei e cristiani novelli in Puglia. Le comunità minori, Bari 1991.

Ferorelli, N., Gli ebrei nell’Italia meridionale dall’età romana al secolo XVIII, Torino 1915.

 

 

 

 


[1]L’Italia descritta  nel «Libro del re Ruggero», p. 104.

[2]Ferorelli, N., Gli ebrei nell’Italia meridionale, p.62.

[3]Codice Diplomatico Barese, IX, pp. 129-141, doc. CXVII; Colafemmina, C., Ebrei e cristiani novelli in Puglia, p. 83.

[4]Ferorelli, N., Gli ebrei nell’Italia meridionale, p. 46.

[5]Colafemmina, C., Ebrei e cristiani novelli in Puglia, p. 84.

[6]Colafemmina, C.,  Documenti per la storia degli ebrei in Puglia, p. 123, doc. 121.

[7]Ibid., pp. 165-166, doc. 173.

[8]Ibid., pp. 161-162, doc. 168.

[9] Ibid. pp. 125-126, doc. 125; pp. 150-151, doc. 155.

[10] Colafemmina, C.,  Ebrei e cristiani novelli in Puglia, p. 87.

[11] Ibid., pp 88-89.

[12] Colafemmina, C. - Dibenedetto, G., Gli ebrei in Terra di Bari, p.158, n. 61.

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