Cascia

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Titolo

Cascia

Testo

Cascia (קאשה)

In provincia di Perugia.

Faceva parte del ducato di Spoleto.

Il primo cenno a una presenza ebraica a  C. risale al 1304, quando i canonici della chiesa di S. Maria della Pieve, per pagare il denaro loro richiesto dal vescovo di Spoleto, impegnavano un calice d’argento lavorato  presso alcuni Ebrei, di cui non venivano menzionati i nomi.[1]

Venti anni più tardi,  il Comune di C. nominava un cittadino come sindaco e procuratore nella richiesta di credito di un’ingente somma di denaro fatta a Deodato di Angelo e a suo figlio Elia, feneratori ebrei di C. o da un Ebreo di Foligno, appoggiando tale richiesta con l’inclusione di proprietà comunali a garanzia del rimborso del prestito.

Dopo quasi un secolo e mezzo, nel 1462, troviamo un altro documento che attesta la presenza  a C. di un Ebreo, Samuele di Elia da Civitanova, che prendeva in affitto una casa a C., nel quartiere di S. Pancrazio. Pochi anni dopo, veniva menzionato in un documento un Ebreo originario di C., Camillo di Magister Elia da C.[2] 

Dal 1467, risultava risiedere nella località Salomone di Gaio di Magister Ventura, che vendeva tessuti (panni carfagni strini ), berretti e altro.[3] Inoltre, Salomone prestava;[4] il commercio precipuo di Salomone era, tuttavia, quello dello zafferano,[5] in cui troviamo attivo dal  1470 anche Aleuccio di Sabato (da Civitanova), poi impegnato anche nella vendita  di lana e di panni carfagni .[6]

Nel 1469, il Comune di C. mandava un’inviato a Perugia per consultare il famoso giurista  Benedetto dei Benedetti ( noto come “il Capra”) sulla legittimità della stipula di condotte feneratizie con gli Ebrei, senza incorrere nella scomunica; il giurista, tenendo presente anche il parere di Bartolo da Sassoferrato, giungeva alla conclusione che chiunque prendesse parte, sia pure solo esecutivamente, a patti feneratizi con Ebrei sarebbe stato passibile di scomunica.[7]

All’inizio degli anni Settanta del XV secolo, troviamo a C. anche i fratelli Abramo e Leone di Bonaiuto da Camerino e Samuele di Magister Elia da Civitanova, impegnati nella vendita di tessuti .

Nella seconda metà degli anni Settanta, Samuele di Magister Elia da Civitanova prestava una somma al Comune di C. , garantito dalle proprietà di una serie di cittadini. Da un documento relativo al prestito si apprende che, oltre a Samuele, anche  Salomone di Gaio di Magister Ventura continuava a risiedere e a fenerare a C.[8]

Nel 1488, Aleuccio prestava probabilmente sotto forma di compera fittizia.[9]

Papa Sisto IV doveva intervenire perchè il comune saldasse un debito con Abraham Abrahe da Norcia e Salomone Cai da C.[10]

Nel 1491, il Consiglio di Credenza del Comune di C.- dopo che i feneratori avevano cessato la loro attività di banco in attesa del rinnovo della condotta e di provvedimenti legali che rendessero sicura  la loro posizione a C.-  decideva di approvare le richieste degli Ebrei, alla presenza del loro rappresentante, Angelo di Salomone, promettendo di ratificare nuovi patti feneratizi di gradimento di ambo le parti.

Alcuni mesi dopo, veniva accettata dal Consiglio la richiesta dei feneratori, che continuavano a rifiutare il prestito, sino a che non fossero state esaudite le loro richieste. Angelo, che era il proprietario del banco cittadino, aveva elencato le seguenti condizioni: che ad Aleuccio di Sabato da Civitanova fossero garantite le medesime condizioni concesse ad Angelo e soci del banco; che il banco non fosse costretto a prestare ai privati; che i feneratori pagassero solo la tassa annuale per il banco e non fossero sottoposti ad altre tasse; che il medico condotto non facesse pagare le sue prestazioni agli Ebrei che tenevano i banchi e alle loro famiglie; che Angelo di Salomone e Aleuccio di Sabato, insieme alle famiglie, godessero dello status dei cittadini di C., in materia di diritto civile e penale, nonostante eventuali disposizioni contrarie negli statuti e riformanze del Comune.

L’anno successivo veniva nominata una commissione formata alcuni cittadini per vigilare sul controllo dei conti, cui Bonaiuto, a nome dell’operatore del banco (nominato come Lazzaro), intendeva procedere, per esaminare i registri comunali e verificare l’entità del debito insoluto che sussisteva tra il Comune e il banco stesso.  Nel 1506, veniva approvata una tassa speciale per riscattare i pegni, impegnati da svariati cittadini di C. nel banco ebraico e al Monte di Pietà. L’anno successivo, il Consiglio di Credenza di C. accettava la richiesta presentata dall’operatore del banco Angelo di Salomone, per ottenere un salvacondotto per tornare in città ad esigere alcuni crediti.[11]

Nel 1536, un Ebreo, di cui non veniva  specificato il nome, si rivolgeva al Consiglio di Credenza di C. per poter venire a stabilirsi nella località, aprendovi un banco, alle seguenti condizioni: che il Comune desse a lui e alla sua famiglia un posto per vivere; che avesse il monopolio della vendita dell’usato e degli stracci (arte cenciaria) a C.; che venisse protetto da danni e molestie durante la Settimana Santa. Il Consiglio approvava all’unanimità tali richieste e si impegnava a stipulare con lui una condotta al più presto.[12]

Nel 1541 risultava operante un banco nel castello di Chiavano, nel distretto di C.[13]

Anche nel 1549, il Consiglio di Credenza approvava la richiesta di un Ebreo (rimasto anonimo )  di                     

venire ad aprire un banco a C.; qualche mese dopo, sembrava che il banco stesse per entrare in funzione; da un documento del 1554, risulta che l’Ebreo Rubino aveva aperto un banco a Chiavano, nel castello di C., e che il Comune era  fortemente indebitato con lui.[14] Presumibilmente, a causa del contenzioso con Rubino, il Comune decideva di chiudere il banco, proibendo al feneratore e ai suoi famigliari di vivere a Chiavano o altrove nel distretto di C.; in attesa che il contenzioso con Rubino venisse risolto, anche i privati che avevano mutuato cifre modeste non erano tenuti a restituirgli il denaro. In tal modo veniva posta fine all’insediamento ebraico a C. e nel suo distretto.[15]

Nel 1556, si convertiva a C. un Ebreo di cui non veniva fornita l’identità, che otteneva aiuto dal  Comune;[16]  con questo documento si chiudono le attestazioni della presenza ebraica a C. e nel suo distretto.

 

Bibliografia

Toaff, A., The Jews in Umbria.


[1] Toaff, The Jews in Umbria, doc. 50; cfr. doc. 110.

[2] Ivi, doc. 111, 1328, 1456.

[3] Ivi, docc. 1467, 1470, 1485, 1525, 1527. Nel 1470, risultava aver venduto una cintura d’oro; nel 1473, del mosto. Ivi, docc. 1546, 1614.

[4] Ivi, docc. 1524, 1536, 1561.

[5] Ivi, docc. 1524, 1536, 1561. V. ache Toaff, Il vino e la carne, Bologna 1989, pp. 241-242.

[6]  Toaff, The Jews in Umbria,docc. 1544, 1587, 1695. Aleuccio, nel 1480, risultava ancora a C., dove affittava a un locale una casa con alberi e piante, nel quartiere di S. Pancrazio. Ivi, doc. 1789.

[7] Ivi, doc. 1502.

[8] Ivi, docc. 1625, 1721, 1734, 1735.

[9] Ivi, doc. 1940.

[10] Simonsohn, Apostolic See, Doc. 1012.

[11]  Toaff, op. cit., docc. 1980, 1987, 1991, 2174, 2177.

[12] Ivi, doc. 2401.

[13] Ivi, doc. 2433.

[14] Ivi, docc. 2496, 2498, 2572, 2578.

[15]  Ivi, docc. 2581, 2582, 2586; v. ivi, Introduction, p. XXXVI.

[16] Ivi, doc. 2588.