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Testo
Assisi (אסיזי)
Provincia di Perugia. Posto alle pendici del Monte Subasio, il centro umbro fu colonia romana e municipio imperiale ed in seguito feudo dei duchi di Spoleto. Dal 1129 fu libero Comune ghibellino, ma si sottomise, in seguito, alla Chiesa.
La prima attestazione di una presenza ebraica ad A. risale al 1305, quando Abramo di Vitale, in qualità di procuratore di Mele di Salomone rilasciava quietanza per un prestito fatto ad un cittadino. Abramo di Vitale faceva parte della compagnia di prestito composta dal fratello Genatano e da Leone, Mele e Bonaventura di Salomone, insieme a Mele di Magister Salomone e Manuello di Leone[1]. Tale compagnia operava nella città e nel contado: quando i prestiti erano di modesta entità e concessi a privati, nei documenti veniva riportato solo il nome di uno dei suoi rappresentanti, mentre gli altri venivano menzionati solo come fratres et sotii[2]. Quando, invece, i prestiti erano più ingenti, tutti i nominativi dei membri della società figuravano negli atti, così come accadeva in occasione di prestiti al Comune, di cui si facevano garanti i maggiorenti della città.
I mutui al Comune erano presumibilmente finalizzati allo sviluppo urbanistico della città e al finanziamento delle milizie, costrette, ad esempio, a partecipare al servizio di Perugia contro Todi nel 1310. Tra i clienti dei prestatori risultavano esservi, non di meno, anche dei religiosi[3].
Nel 1309 venne concessa la cittadinanza assisana a Mele di Magister Salomone e a Leone di Salomone, insieme al diritto di costruirsi una casa nella parte della città che andava prendendo impulso, tra la vecchia e la nuova cinta muraria[4].
Nel travagliato periodo di lotte tra guelfi e ghibellini, che caratterizzò A. nel XIV secolo, è attestata la presenza di Sabato di Magister Dattilo, durante il primo ventennio del XIV secolo, e, negli anni Trenta e Quaranta, dei figli di Mele di Salomone e di Mele di Magister Salomone[5].
Nel 1348 infuriò la peste, che mieteva molte vittime, seguita da alcune violente scosse di terremoto e dalla carestia. Gli ebrei non furono in nessun modo considerati responsabili dell’avvelenamento di pozzi e fonti, come era accaduto, invece, in consimili occasioni, Oltralpe. Per far fronte alla difficile situazione economica, due anni più tardi, i Priori stabilirono che i prestatori non potessero esigere la restituzione dei denari prestati agli assisani, se non nella misura di un terzo della somma prestata: il provvedimento ebbe la durata di un anno.
Nel 1363 scoppiò nuovamente la peste, causando morti ad A. e nel contado. L’anno successivo, la cosiddetta Compagnia Bianca, formata da mercenari inglesi e ungheresi, venne in Italia, sotto il comando di Giovanni marchese di Monferrato, saccheggiando le campagne e le città meno difese, come, ad esempio, A., che, d’altronde, era già minacciata dalle milizie del capitano di Ventura Anichino Bongardo.
Perugia, riuscendo a portare dalla propria parte Anichino, nel 1365, mise in fuga gli inglesi, avvalendosi dell’aiuto delle truppe di A. Per far fronte alle spese belliche, i Priori si rivolsero per alcuni prestiti di notevole entità alle due principali compagnie di feneratori locali, che erano composte da Deodato di Beniamino e dal figlio Gaio, da Magister Mele di Magister Bonagiunta di Sabbato di Manuele e da Matassia di Musetto. Altri banchieri che prestarono al Comune somme minori erano i fratelli Sabbatuccio e Vitaluccio di Salomonetto e Salomone di Sabbatuccio.
Nello stesso periodo, i Priori decisero di far fronte alla minaccia dei mercenari che circondavano la città e dei fuorusciti ghibellini creando un’armata assisana filo-guelfa, nelle cui fila figuravano anche due ebrei: il medico Sabbatuccio di Magister Manuele per il rione di Porta S. Giacomo e Vitaluccio di Salomonetto per quello di Porta S. Francesco[6].
Dai frammenti rimastici degli elenchi relativi all’imposta di famiglia (dativa fumi) ed ai tributi straordinari riscossi dal Comune si evince che una posizione particolare tra i contribuenti ebrei assisani era occupata da Sabbatuccio di Salomone e da suo figlio Matassia. Da altri documenti risulta che Sabbatuccio abitava sia ad A. che a Perugia: in quest’ultima città egli, insieme al figlio Matassia, aveva un ruolo di primo piano nel prestito. Nel 1381 venne concessa dai Priori di A. una condotta feneratizia a Matassia, insieme a Dattilo di Abramo da Norcia, a patto che si stabilissero nella città, dove sarebbe stata concessa a loro e all’entourage la cittadinanza. Tuttavia Matassia preferì risiedere, per la maggior parte del tempo, a Perugia, mentre nella sua casa di A. si trasferì Dattilo da Norcia, iniziandovi l’attività creditizia, che si svolse soprattutto a favore del Comune, il quale si vide finanziate le ingenti spese per far fronte alla compagnia di ventura capeggiata dal conte di Barbiano, Alberigo[7].
Operarono poi ad A. anche altri feneratori, come il chirurgo Magister Sabbatuccio di Magister Manuele, che prestava ai privati e al Comune, coadiuvato dal figlio Daniele (suo procuratore), Mele di Salamonetto e Abramo di Manuello. Alla morte di Matassia di Sabbatuccio, il banco fu ereditato dal figlio, che mantenne la residenza a Perugia, mentre rimaneva gestore del banco Dattilo da Norcia.
Nel 1385 i Priori di A. si trovarono a dover fronteggiare la grave crisi economica, aumentata dalla carestia, mentre il capitano di ventura Boldrino da Panicale metteva a sacco il contado e i fuorusciti, appoggiati da Perugia, premevano per essere riammessi in città. Dopo aver ottenuto un ingente prestito da Perugia, i Priori si rivolsero a Dattilo da Norcia e a Salomone di Matassia per avere un mutuo, cui avrebbero potuto contribuire anche Magister Sabbatuccio e gli altri correligionari assisani. In quell’occasione i Priori, derogando del tutto dalla norma, offrirono in garanzia oggetti di culto ed opere d’arte appartenenti alla chiesa di S. Francesco e alla basilica di S. Rufino[8]. Grazie al denaro raccolto dagli ebrei, i fuorusciti desistettero dal progetto di rientrare ad A., ma, poco dopo, i Priori imposero un nuovo prestito forzato ai cittadini più facoltosi, tra cui Dattilo da Norcia, Magister Sabbatuccio di Magister Manuele, Mele di Salamonetto e Abramo di Manuello[9].
Per risanare l’economia cittadina, incrementare la produzione agricola del contado e far fronte alle razzie delle bande dei vari capitani di ventura, tra cui Biordo Michelotti, i Priori si rivolsero più volte al prestito ebraico. Inoltre, il trasferimento di papa Bonifacio IX da Perugia ad A., nel 1393, richiese un ulteriore finanziamento, fornito da Magister Sabbatuccio, che risultava peraltro essere l’unico prestatore menzionato nei documenti degli ultimi anni del XIV secolo[10].
L’unica conversione al cristianesimo attestata qui nel Trecento fu quella di una figlia di Magister Angelo da Foligno, che si fece battezzare nel 1398 ed entrò come monaca nel convento di S. Agnese[11].
Nel XIV secolo gli ebrei ricevettero insieme alla cittadinanza anche il diritto all’acquisto di immobili: così nel 1309 Mele di Magister Salomone e Leone di Salomone comprarono due casalini nel rione di Porta S. Chiara, facendovi costruire spaziose abitazioni, mentre Magister Sabbatuccio di Magister Manuele era proprietario di un appezzamento di terra coltivato a vite in località Viglione e Sabbatuccio di Salomone da Perugia, il feneratore più importante di A., possedeva una casa nel rione di Porta S. Chiara, che lasciò in eredità al figlio Matassia. Le abitazioni degli israeliti assisani erano distribuite in ogni rione della città, ma si trovavano soprattutto nella contrada di Porta S. Francesco[12].
Dopo che Assisi si fu data a Gian Galeazzo Visconti, nel 1400, il feneratore Abramo di Musetto di Camerino, facendo intercedere i rappresentanti dell’autorità ducale, riuscì ad ottenere, nel 1401, il rinnovo delle convenzioni del 1381 per sé e per Salomone di Matassia da Perugia, ricevendo anche la cittadinanza di A., con i relativi benefici, per cui i feneratori avrebbero goduto della parità con gli altri cittadini, sia riguardo al diritto civile che a quello criminale e sarebbero stati sottratti alle pretese giurisdizionali delle magistrature ecclesiastiche[13]. Salomone continuava, tuttavia, a risiedere, per lo più, a Perugia, trasferendosi, in seguito, a Ferrara[14]. Oltre ad Abramo di Camerino rimaneva, dunque, attiva nel prestito solo la famiglia del medico Sabbatuccio. Verso gli anni Trenta del secolo si trasferì poi ad A., provenendo da Spoleto, il feneratore Aleuccio di Salomone da Roma[15].
Nel 1425 giunse ad A. Bernardino da Siena, predicando contro le usure ebraiche, ma l’unica conseguenza della sua opera fu, presumibilmente, una sassaiola contro il maggior feneratore ebreo della città, Manuele di Abramo: il Podestà fece arrestare prontamente i responsabili che, in seguito, furono perdonati dallo stesso Manuele[16]. Questi, nel 1426, figurava come testimone nella vendita di una quota delle decime del Monte Subasio, in cui erano implicati due cristiani: è da rilevare, a tal proposito, che gli ebrei erano qui ammessi a testimoniare negli atti civili, sia che si trattasse di correligionari che di cristiani e tale consuetudine era alquanto eccezionale, posto che, sebbene il diritto giustinianeo ammettesse la testimonianza ebraica, generalmente nelle altre città italiane veniva preferita quella cristiana[17].
Nel 1437 gli eredi di Salomone di Matassia da Perugia, soci con Manuele del banco di S. Chiara, cedettero la loro quota di proprietà al feneratore perugino Guglielmo di Magister Angelo: a Manuele e a Guglielmo si rivolsero, pertanto, i Priori, due anni più tardi, per il prestito di una cifra da donare a Francesco Sforza.
Il banco di S. Chiara cessò l’ attività nel 1442, quando la città fu messa al sacco da Niccolò Piccinino, al servizio di Perugia con le sue milizie di ventura[18]. Intorno alla metà del secolo, dunque, non vi erano banchi feneratizi operanti ad A.
Nel 1448 i terremoti e la peste aggravarono ulteriormente la situazione economica della città e per far fronte a tale stato di cose, i Priori decisero di invitare gli ebrei ad aprire nuovamente un banco, ma senza risultato[19].
Quattro anni più tardi, giunse ad A. fra Cherubino da Spoleto, accanito avversario della giudaica pravità usuraria e decisamente contrario anche al sistema adottato da quei cristiani che, per eludere le disposizioni della Chiesa sul prestito, davano il denaro ai feneratori ebrei perché prestassero in loro vece. Per ristabilire la morale, che gli sembrava alquanto compromessa, fra Cherubino propose ai governanti una serie di decreti e riforme, di sua redazione, che vennero approvati dalle autorità locali. In assenza di banchieri di cui proibire l’attività, fra Cherubino chiese che venisse imposto il segno distintivo agli ebrei di A., che prima non vi erano stati obbligati. Andatosene il frate, tuttavia, nel 1453 le riforme da lui propugnate furono abolite, fatta eccezione per il segno: non sembra, tuttavia, che vi fosse una rigida vigilanza sull’effettiva applicazione di tale provvedimento. Sebbene non fossero stati ancora stipulati ufficialmente dei patti feneratizi, alcuni ebrei prestavano su pegno, come risulta da una disposizione del 1453 che imponeva loro di arieggiare i panni ricevuti, per mantenerli in buono stato di conservazione.
In seguito alla predicazione di fra Cherubino vi furono, tuttavia, alcuni danni all’abitazione di due fratelli ebrei, ma i responsabili vennero puniti con una forte multa.
Nel 1456 l’ennesimo tentativo del Comune di invitare uno o due feneratori ebrei a stabilirsi ad A. fu coronato dal successo e vennero conclusi i patti con Angelo di Angelo di Ferrara, stabilitosi già precedentemente ad A. con il fratello Manuele, il quale si era fatto conoscere dalle autorità per il temperamento rissoso[20]. Il 16 luglio 1456 furono così conclusi i patti (con valore quindicennale), in cui i Priori assicuravano ad Angelo, alla sua famiglia ed al suo entourage, di dover pagare al Comune solo le gabelle regolari, di poter acquistare immobili in città e nel contado e di non essere sottoposti giuridicamente alle autorità ecclesiastiche. Inoltre si specificava che né i frati né altre autorità ecclesiastiche avrebbero potuto indurre il Comune ad annullare i capitoli, ma l’obbligo del segno ( una rotella gialla sul petto) rimaneva e ai contravventori sarebbe stata comminata una multa. In più, durante il Venerdì Santo gli ebrei avrebbero dovuto rimanere chiusi in casa, per evitare l’ostilità della folla, infervorata dalle prediche d’occasione, sebbene si sottolineasse che i cristiani che avessero approfittato di questo giorno per molestare gli israeliti sarebbero stati severamente multati.
L’incarcerazione di Angelo a Perugia, per motivi rimastici ignoti, segnò però la fine della sua attività creditizia, ad un solo anno di distanza dal suo inizio[21].
Nel 1457 furono allora sottoscritti nuovi patti con Magister Bonaiuto di Salomone da Tivoli, che esercitava anche la professione medica[22]. In alcuni punti tali capitoli erano differenti da quelli stipulati con Angelo da Ferrara: il feneratore e il suo entourage erano esentati dal segno, la durata degli accordi era quinquennale e, per questo lasso di tempo, nessun altro prestatore avrebbe potuto operare o risiedere ad A. senza l’esplicito consenso di Bonaiuto. I Priori consentivano che il prestatore e il suo gruppoistituissero una sinagoga dove più sarebbe loro piaciuto e che potessero acquistare carne macellata ritualmente da qualunque macellaio della città, il quale, a sua volta, sarebbe stato obbligato alla vendita, se richiesto.
Insieme a Bonaiuto si trasferirono ad A. anche il padre Salomone e la moglie Perna, cui furono concessi diritto di cittadinanza e salvacondotto per entrare e uscire a piacimento. Bonaiuto associò nella direzione del banco anche Guglielmo da Camerino, che era stato attivo in precedenza nella compagnia di prestito di Manuele di Abramo da Camerino. Dopo la morte improvvisa di Bonaiuto, nel 1462, gli subentrò la sorella Anna, che preferì, però, cedere la gestione a Giacobbe di Elia di Francia, banchiere molto in vista a Perugia, che si trasferì ad A. Per aumentare i fondi a disposizione del banco, Giacobbe, tre anni più tardi, chiese ed ottenne di estendere le condizioni della condotta anche al socio Abramo di Magister Musetto da Perugia, residente a Bevagna. In occasione della visita del cardinale di Bologna, nel 1467, Giacobbe risultava tra i finanziatori delle onoranze tributate dalla città[23].
Nel 1467 predicò ad A. il frate osservante Fortunato Coppoli da Perugia, che, individuava nell’usura ebraica la vera causa della povertà della popolazione, proclamò che solo cacciando gli ebrei la situazione sarebbe migliorata e la città si sarebbe purificata dal peccato mortale in cui era caduta accogliendo i feneratori. Si prese allora la decisione di fondare il Monte di Pietà e di revocare i patti feneratizi, nonché di ripristinare l’obbligo del segno, pena una salata multa per i contravventori[24]. Data la difficoltà di trovare adeguati fondi per il Monte e la sua stessa intrinseca carenza nel sopperire in modo efficace al fabbisogno economico della popolazione, dopo che il Coppoli se ne fu andato, venne però maturando la decisione di revocare l’annullamento dei patti feneratizi, ripristinandoli in toto. Tuttavia, un altro minorita, fra Jacopo della Marca, si mobilitò ben presto per non rendere vani gli sforzi del Coppoli e per tutelare il traballante Monte di Pietà. I capitoli di Jacopo della Marca furono approvati dal Consiglio Segreto e, nel 1469, il vicario generale della diocesi di A. emanò nuovi decreti sul Monte, attaccando veementemente gli ebrei, visti come una minaccia alla buona riuscita del Monte stesso. Poco dopo, Fortunato Coppoli tornò a predicare nella città, ribadendo i punti della sua precedente missione contro l’usura. Gli israeliti, pertanto, decisero di rivolgersi al Papa, lamentando come arbitrario l’annullamento della loro condotta e ottenendo da Paolo II che venisse restituita validità ai capitoli illegalmente annullati, mentre i predicatori venivano ammoniti dal Pontefice a limitarsi a predicare contro i peccati, ma a lasciare in pace gli ebrei, che erano tollerati dalla Chiesa.
Grazie all’intervento di Paolo II, il banco di Giacobbe, che era nel frattempo passato al figlio Manuele, riprendeva la propria attività[25].
Dal 1470 in poi, sono registrati alcuni prestiti concessi da Manuele di Francia e dal socio Bonaventura di Abramo da Bevagna a ecclesiastici e al Comune: in particolare, nel 1480, Manuele o Bonaventura prestarono denaro per i “guastatori” dell’esercito assisano e, quattro anni dopo, i governanti di A. impegnarono presso il banco di Manuele le tazze d’argento del Comune per poter onorare con un presente ragguardevole il cardinale Giovanni Arcimboldo di S. Prassede, legato perugino. Nel frattempo, i frati avevano continuato a ostacolare gli ebrei: nel 1474 Magister Elia, che esercitava la professione medica, aveva fatto richiesta al Comune della condotta medica, che gli venne accordata a patto che presentasse la necessaria dispensa papale, ma, una volta presentata, i frati iniziarono ad aizzare dal pulpito gli assisani contro il medico. Il padre di Elia, rivoltosi al Papa, ne ottenne una bolla, in cui veniva proclamato il diritto di Elia ad esercitare l’arte medica tra i cristiani di tutti i territori della Chiesa ed in cui gli si concedeva anche l’esenzione dal segno distintivo. La bolla si concludeva con un severo ammonimento a non ostacolare l’esecuzione del provvedimento. Mentre i Priori accettarono il documento, i frati continuarono la loro opposizione, sino a che lo stesso Magister Elia decise di dimettersi dall’incarico, avendo preso atto del suo essere sgradito alla popolazione in quanto ebreo. Nel 1475, inoltre, presumibilmente in seguito alla predicazione dei frati, tale Leone si convertì, assumendo il nome di Michele Francesco: il battesimo avvenne con grande solennità e, presumibilmente per incoraggiare altri a seguirne l’esempio, i Priori gli concessero una casa ed un appezzamento di terreno, insieme alla cittadinanza assisana[26].
Nel 1485 giunse ad A. Bernardino da Feltre, che, tra l’altro, nelle sue infiammate prediche sostenne che la decadenza del Monte di Pietà era da ascriversi al persistere dell’attività feneratizia ebraica. Pertanto, egli propose nuovi capitoli e ordinamenti per garantire la sopravvivenza del Monte, subordinandoli, tuttavia, all’immediato annullamento di tutti quelli sottoscritti con gli ebrei. I Priori avallarono la posizione di Bernardino e le sue proposte riguardo al Monte, annullando i capitoli con i feneratori ebrei e vietando loro, sotto pena di una forte ammenda, di esportare i pegni che erano nelle loro mani. Inoltre, rinnovarono per tutti gli ebrei l’obbligo del segno distintivo e, per assicurarsi che i pegni non venissero esportati, i Priori fecero sequestrare tutti i registri e i libri contabili, restituendoli solo dopo aver fissato in 1.000 ducati la multa da pagare in caso di trasgressione al divieto.
Nel 1487 i Priori, mentre ratificavano i capitoli del Monte di Pietà proposti da Bernardino da Feltre, decisero di vietare definitivamente l’attività creditizia ebraica: non ci restano, però, dati riguardanti la permanenza di ebrei ad A. in seguito di tale provvedimento.
Nel 1513 i Priori discussero nuovamente la possibilità di ammettere in città un feneratore ebreo, ma il timore della scomunica li fece desistere[27].
Vita comunitaria
Nel XIV secolo gli ebrei di A. non si erano dati un’organizzazione comunitaria – e, pertanto, venivano indicati come Judei habitantes in civitate Assisii, in burgis et subburgis – dipendendo per molti servizi religiosi dalla Comunità di Perugia[28]. Nel corso del XV secolo, essi fecero ricorso più volte al tribunale rabbinico di Perugia, talvolta minacciando di ricorrere alla magistratura perugina o assisana se non si fossero ritenuti soddisfatti del suo operato[29].
Attività economiche
I primi Ebrei presenti ad A. erano impegnati nell’attività feneratizia.
Nel 1365 l’interesse permesso dal Comune era del 30% annuo[30], mentre nel 1381 esso era lasciato al libero patteggiamento dei prestatori con in clienti[31]. Nel chiedere un ingente prestito agli ebrei di A., nel 1385, i Priori proposero poi il tasso del 20%[32], ma nei patti del 1456 il tasso consentito per prestiti fatti a cittadini assisani era del 30% per somme superiori ad un fiorino e del 40% per somme inferiori a un fiorino (per prestiti fatti ai forestieri l’interesse poteva, invece, venire liberamente pattuito)[33].
Manuello di Leone formò, all’inizio del XIV secolo, una società con il cittadino assisano Ciccolo di Venturello per la raccolta e il commercio delle mandorle, attiva nella città e nel contado. Tale società fu, tuttavia, sciolta nel 1309, per motivi dei quali non ci è rimasta documentazione[34].
Nel 1383 e nel 1384, riceveva la condotta medica Magister Sabbatuccio di Magister Manuele[35]. I suoi figli, Abramo, Daniele e Gaio furono anch’essi medici, esercitando ad A.[36]. Nella seconda metà del secolo XV, fu medico, pur non avendo la condotta comunale, Magister Bonaiuto di Salomone da Tivoli, che aveva ottenuto, invece, la condotta feneratizia[37]. Anche Magister Abramo di Magister Vitale da Perugia, dotato di autorizzazione pontificia ad esercitare la medicina tra i cristiani del territorio papale, lo fece per un periodo ad A. Nel 1474, poi, venne scelto come medico condotto della città Elia, figlio di Manuele di Francia, che, in seguito alla violenta opposizione dei frati, fu costretto a rinunciare al proprio ufficio[38].
Nel 1381 è attestata una taverna gestita da un ebreo, che aveva tra i clienti i frati di S. Stefano: anche Magister Sabbatuccio vendeva il vino, avendo tra i suoi acquirenti i frati di S. Francesco.
Nel 1436 tale Abramo judeo, mercante di ferramenta, riforniva i frati di S. Francesco. Vendeva ferro ai frati del convento e fabbricava le chiavi del palazzo del Capitano del Popolo, tra l’inizio degli anni Settanta e la fine degli anni Ottanta dello stesso secolo, tale Gabriele d’Angelo judeo. Risultava in rapporti commerciali con i frati un mercante di pannine ebreo, intorno alla metà del secolo, quando era attivo come materassaio l’ebreo Dattilo.
Infine, nel 1433, è attestata l’attività di vetturino di Aleuccio, che, all’occasione, affittava calesse e cavallo ai frati di S. Francesco[39].
Demografia
Da un documento del 1341, risulta che risiedevano ad A. 11 nuclei familiari, cui presumibilmente si possono aggiungere alcune altre famiglie non legate all’attività feneratizia, raggiungendo un totale di circa 80 individui[40]. Nella seconda metà del XIV vi erano circa un centinaio di ebrei[41].
Sinagoga
Nel XIV secolo gli ebrei di A. si riunivano probabilmente per pregare in casa di qualche feneratore, ma non disponevano di una sinagoga, mentre nel successivo i capitoli prevedevano esplicitamente l’esistenza di una sinagoga. Essa va identificata, presumibilmente, con la Domus judeorum sita nellevicinanze della piazza del Comune, come si evince da un documento del 1457. Secondo tale documento la sinagoga sarebbe stata nell’area dell’attuale Chiesa Nuova, dietro il Palazzo dei Priori, dove si trova la cosiddetta casa paterna di S. Francesco. Da ulteriori indizi si è ritenuto che, una volta ottenuta la sinagoga, fosse stato proibito servirsi di altri luoghi per il culto[42].
Cimitero
Da un documento del 1434 risulta che il cimitero ebraico era ubicato nella contrada Porta Perlici: esso era presumibilmente in funzione già dal secolo precedente.[43]
Vita culturale
Nel 1389 lo scriba Abraham di Mosheh copiava per Magister Sabbatuccio (Shabbetay ben Matatyah Min Ha-Keneset) la seconda parte del Mishneh Torah (Ripetizione della Legge) di Maimonide (Cod. Parmense 3148, De Rossi 1134)[44].
Negli anni Settanta del XX secolo è stata ritrovata ad A. una pergamena ebraica, che è risultata essere un frammento di un codice pergamenaceo del Salterio ebraico, risalente al XIII-XIV secolo. Una parte dello scritto appare cancellata e ricoperta da un disegno policromo, molto danneggiato, che sembrerebbe raffigurare un gruppo di dame e cavalieri, vestiti secondo la foggia della fine del XIV secolo o dell’inizio del successivo. Ad un esame accurato della pergamena si è evinto che il disegno non costituisce un’illustrazione del testo o una decorazione del foglio del codice, ma è stato steso sul testo ebraico, ricoprendolo; pertanto, è da presumersi che il disegno sia opera di un artigiano cristiano, servitosi della pergamena per usi del tutto estranei al contenuto della stessa. È stata avanzata l’ipotesi che la pergamena fosse stata utilizzata dopo l’abbandono della città da parte degli ebrei, in seguito alla fondazione del Monte di Pietà[45].
Bibliografia
Cassuto, U., La famiglia di David da Tivoli, in Il Corriere Israelitico XLV (1906-1907), pp. 149-152; 261-264; 297-301.
Toaff, A., Gli ebrei nell’Assisi medievale 1305-1487. Storia sociale ed economica di una piccola comunità ebrea in Italia, Assisi, 2001.
[1] Toaff, A., Gli ebrei nell’Assisi medievale 1305-1487, p. 13.
[2] Ivi, p. 14; cfr. ibidem, n. 8.
[3] Ivi, pp. 15-17.
[4] Ivi, p. 19.
[5] Ivi, p. 21. Per altri prestatori minori, attivi ad A., oltre ai figli di Mele di Salomone e per le richieste di prestiti da parte di ecclesiastici, cfr. ivi, p. 24.
[6] Ivi, pp. 27-30.
[7] Ivi, pp. 30-33.
[8] Ivi, pp. 34-35.
[9] Ivi, p. 36, n.78.
[10] Ivi, pp. 37-39.
[11] Ivi, p. 45.
[12] Ivi, pp. 41-42.
[13] Ivi, pp. 53-55; p. 91.
[14] Per ulteriori particolari relativi a Salomone e ai suoi discendenti, cfr. ivi, pp. 57-58.
[15] Per ulteriori dettagli su Aleuccio e sugli altri feneratori attivi ad A., cfr. ivi, pp. 58-60.
[16] Ivi, pp. 60-61.
[17] Per questo e per ulteriori esempi del genere, e per le formule di giuramento ebraiche, cfr. ivi, p. 96.
[18] Ivi, pp. 61-62; è stata avanzata l’ipotesi che, durante il sacco, anche il banco di Manuele fosse stato saccheggiato e ridotto, quindi, a chiudere. Vedi ivi, p. 62, n. 153.
[19] Ivi, pp. 63-64.
[20] Ivi, pp. 64-67. Nel 1455 Angelo da Ferrara e il fratello Manuele venivano condannati al pagamento di una ingente ammenda pecuniaria per aver malmenato il materassaio ebreo Dattilo, cfr. ivi, p. 94.
[21] Ivi, pp. 68-71.
[22] Sulla famiglia di Bonaiuto di Salomone da Tivoli, vedi Cassuto, U., La famiglia di David da Tivoli, in Il Corriere Israelitico XLV (1906-1907), pp. 149-152; 261-264; 297-301. Alcuni membri della famiglia da Tivoli furono attivi nell’attività feneratizia a Città di Castello. Per i particolari: Toaff, A., Ebrei a Città di Castello dal XIV al XVI secolo, in Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria, LXXII, 1975, fasc. 2, pp. 1-105; pp. 21-23.
[23] Toaff, A., Gli ebrei nell’Assisi medievale 1305-1487pp. 73-74.
[24] Ivi, pp. 77-79. Per le svariate ipotesi che sono state formulate dagli studiosi per spiegare il successo della predicazione anti-ebraica dei frati, verso la metà del XV secolo, cfr. ivi, pp. 74-77.
[25] Ivi, pp. 80-82.
[26] Ivi, pp. 83-87.
[27] Ivi, pp. 88- 90.
[28] Ivi, p. 39.
[29] Ivi, p. 93.
[30] Ivi, p. 29.
[31] Ivi, p. 32.
[32] Ivi, p. 35.
[33] Ivi, p. 69; per ulteriori particolari relativi al prestito, vedi ivi, p. 70.
[34] Ivi, p. 18.
[35] Ivi, p. 34.
[36] Ivi, p. 48; cfr. p. 105.
[37] Ivi, p. 72.
[38] Ivi, pp. 109-112.
[39] Ivi, pp. 43-44.
[40] Ivi, p. 26.
[41] Ivi, p. 31.
[42] Ivi, p. 40; pp. 100-101.
[43] Archivio Notarile di Assisi, Biblioteca Comunale di Assisi, vol B 14, Atti di ser Giovanni di Cecco Bevignate da Casacastalda, fasc.. 2, c. 66v., citato ivi, p. 40, n. 91; cfr. p. 101.
[44] Toaff, A., Gli ebrei nell’Assisi medievale 1305-1487, p. 49.
[45] Per ulteriori particolari, cfr. ivi, pp. 113-116.