Amelia

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Amelia (אמליה)

Provincia di Terni. Faceva parte del territorio denominato Terra Arnulphorum (Terra Arnolfa) e nel XVI secolo fu annessa allo Stato della Chiesa.

Il primo documento che attesta l’attività feneratizia ebraica ad A. risale al 1326, quando Angelo di Salomone e Vitale di Leone, ebrei romani, presentarono richiesta al Comune perché restituisse loro il denaro che gli avevano precedentemente  prestato[1].

L’anno successivo, Vitale di Leone da Roma risiedeva ad A. con una condotta, per la quale ottenne dal Comune la modifica di alcune clausole[2]-

Nel 1329 fu risarcito a Vitale di Leone il debito che il Comune aveva contratto con lui l’anno precedente, mentre il successivo il Comune proibì allo stesso ed al figlio di prestare ai cittadini ad un tasso di interesse superiore al 20% annuo: tuttavia, dietro supplica di Vitale, il Consiglio del Popolo decise di revocare il provvedimento[3].

Nel 1393 Elia di Matassia e Aleuccio, ebrei romani, si rivolsero poi al Comune per ottenere di potersi insediare nella località con le proprie famiglie, per esercitare l’attività feneratizia. Tra le richieste dei due, che vennero approvate, vi era quella di essere difesi da qualunque indebita ingerenza del vescovo o dell’inquisitore e di essere giudicati solo dal podestà e non dalle corti ecclesiastiche.

L’anno seguente (1394), Vitale di Aleuccio da Narni, a nome del padre, Aleuccio di Salomone da Narni, e dei fratelli, Abramo, Angelo e Mosè, chiese al Comune di stabilirsi nella località e di esercitarvi il prestito. Anche Vitale ed i suoi chiedesero protezione contro l’ingerenza del vescovo o dell’inquisitore e l’equiparazione ai cittadini di A. in materia di diritto civile e penale. Essi, inoltre, domandarono di non essere costretti a violare il riposo sabbatico e le feste ebraiche e di essere autorizzati  alla compravendita di immobili nella città e nel distretto[4].

Verso la fine degli anni Venti del XIV secolo, è attestata la conversione di Angelo di Salomone, residente ad A., insieme al fratello e al figlio: Angelo prese il nome di Giovanni e ottenne dal Comune un sussidio economico[5].

All’inizio del Quattrocento, Vitale di Aleuccio risultava ancora vivere e fenerare ad A., dove gli veniva rimborsata dal Comune una cifra prestata. Sette anni più tardi, Vitale fu imprigionato (per ragioni a noi ignote) e si appellò al cardinale Ottone Colonna per essere liberato. Qualche anno dopo, Vitale ottenne nuovamente di essere rimborsato dal Comune per un prestito[6].

Nel 1421 fu accettata la richiesta di Dattilo di Salomone da Roma, residente a L’Aquila, di ricevere l’autorizzazione a stabilirsi nella località a fenerare, secondo la condotta stipulata nel 1394 con Vitale di Aleuccio. Qualche anno più tardi, Dattilo di Salomone ottenne che il Consiglio cittadino rivedesse la clausola in cui veniva proibito ad altri ebrei di prestare ad A ma, poco dopo, Dattilo decise di lasciare il centro umbro[7].

Nel 1426 gli subentrò Magister Angelo di Magister  Aleuccio da Perugia, che ebbe una condotta simile a quella concessa a Dattilo, cui furono apportate le seguenti aggiunte: possibilità di comprare terra ad uso cimiteriale, di non essere obbligato a prendere pegni per diciotto mesi e di ottenere misure di protezione per ogni ebreo forestiero che fosse venuto a trovarlo. Qualche mese più tardi, in seguito alla predicazione ad A. di fra’ Bernardino da Siena, il consiglio Generale del Popolo decise di espellere Magister Angelo, che, tuttavia, ottenne di restare ancora per qualche tempo, onde permettere il riscatto dei pegni[8].

Nel 1430 veniva stipulata di nuovo una condotta, stavolta con un  ebreo di San Gemini, Magister Giacobbe di Mele da Terni. I capitoli furono stilati secondo quelli già stipulati con Magister Angelo, cui si aggiungeva il permesso di tenere aperto il banco durante le festività cristiane. Inoltre, dato che Giacobbe esercitava anche la professione medica, gli venne concesso di  percorrere di notte le strade a lume di torcia, per recarsi a visitare i pazienti[9].

Tre anni dopo, risultava risiedere e fenerare ad A. Servadio di Sabato da Viterbo, che prestava al Comune: quest’ultimo, per pagare un debito, l’anno successivo impose ai cittadini una tassa speciale.  In seguito (1435), il feneratore prestò ancora al Comune, per il tramite di alcuni cittadini e lo stesso si  ripeté alcuni mesi dopo[10].

L’anno successivo, però, Servadio desiderava smettere l’attività di banco ad A. e chiedeva al Comune di annullare due clausole firmate con il padre, Sabato di Angelo di Mele da Viterbo. Una riguardava il divieto di ingresso in città per altri ebrei, all’infuori del feneratore, e l’altra riguardava il divieto di lasciare la città, prima di aver pagato tasse e pedaggi[11].

Nel 1445 il medico Magister Leone di Magister Mosè da Rieti, residente a Narni, faceva richiesta al  Consiglio Generale di A.  per potersi trasferire nella città a prestare. Tra le clausole accluse alla sua richiesta vi erano la libertà di seguire il culto ebraico e l’acquisto di terreno per uso cimiteriale. Pochi mesi dopo, Magister Leone risultava già essersi stabilito in città, dove esercitava la professione medica e fenerava  all’interesse di 2 baiocchi per fiorino al mese[12].

Nel 1451 il Consiglio Generale del Popolo decise di invitare un ebreo a stabilirsi in città per fenerare e due anni dopo furono accettate le clausole proposte da Magister  Salomone di Manuele da Terni, cui venne, tuttavia, aggiunto l’obbligo di prestare al Comune una cifra annua senza interesse[13]. Passati alcuni mesi, il Consiglio Generale del Popolo ratificò i patti feneratizi firmati con la società formata da Magister  Salomone, residente  ad Orte, suo padre Magister Manuele di Magister  Sabato da Terni, residente a Todi, e Benedetto di Aleuccio da Genazzano, garantendo loro  pro tempore  i diritti dei cittadini di A. e la libertà  di culto[14].

Nel 1455 si sciolse la società di Angelo di Salomone e Benedetto di Aleuccio, residenti ad A., e di Guglielmo di Dattilo di Corneto, residente a Genazzano. Cinque anni più tardi, il Consiglio Generale concluse di invitare un altro ebreo a stanziarsi in città per prestare. Poco dopo, alcuni membri della corporazione dell’Arte della lana si fecero garanti per un prestito concesso al Comune da Magister Salomone di Magister Manuele, dando in pegno panni di lana: circa tre mesi dopo, il Comune firmò una condotta con Magister Salomone ed il socio, Leone di Giacobbe, garantendo loro la parità dei diritti con i cittadini di A. in materia di legislazione civile e criminale e la libertà di culto. Nel 1464, così, Magister Salomone risultava prestare al Comune di  A., mentre un cittadino si faceva garante per la restituzione della somma[15].

Nel 1467 il medico Magister Elia di Magister Gaio, che aveva esercitato la professione per alcuni anni ad A., presentò richiesta per potersi stanziare stabilmente nella città, acquistandovi beni immobili, nonostante le disposizioni contrarie  contenute negli Statuti. Il Consiglio Generale, in virtù delle eccellenti qualità umane e professionali di Elia, accettò la richiesta[16].

Nel 1468 un decreto del governatore di Perugia, il vescovo Minutoli, stabilì che gli ebrei di A. sarebbero stati obbligati al segno distintivo e sarebbe stato loro proibito vendere, direttamente o indirettamente, ai cristiani le parti inutilizzate degli animali macellati ritualmente. Alcuni mesi dopo, tuttavia, per intervento di Magister Elia, il vescovo revocò le misure prese circa la carne macellata ritualmente e la vendita della stessa e del vino. Anche il decreto sull’obbligo del segno fu in seguito modificato dal vescovo, esentandone le donne, i bambini al di sotto dei dodici anni, i forestieri che non si fossero trattenuti in città per più di quattro giorni e gli israeliti di  A. che avessero dovuto viaggiare fuori dai confini della città. Venne altresì stabilita una multa per i trasgressori[17].

Nel 1470 predicava ad A. il francescano fra’ Fortunato Coppoli, promotore dell’istituzione del Monte di Pietà in una serie di località umbre, il quale proclamò che la città si trovava in peccato mortale per la presenza dei prestatori ebrei. Pertanto, le autorità cittadine presero i provvedimenti necessari per la fondazione del Monte, tra cui l’annullamento della condotta stipulata, nel 1460, con  Magister  Salomone e con Leone di Giacobbe. Tre anni più tardi, Leone di Giacobbe, in procinto di abbandonare la città, chiese al Consiglio di bandire un proclama per invitare i cittadini a riscattare, entro un mese, i pegni depositati presso il suo banco[18].

Nel 1481 il figlio di Magister  Salomone di Magister Manuele da Orte risiedeva ad A. e, anche a nome del padre dichiarava di voler cessare l’attività feneratizia e lasciare la città: le autorità, allora, presero provvedimenti per negoziare con un altro ebreo che venisse a prestare nella città. Pochi giorni dopo, fu stipulata una condotta con Abramo di Isacco di Magister Mosè da Perugia, residente a Bevagna, e con Mosè di Manuele da Assisi. I termini della condotta erano identici a quelli stipulati, nel 1430, con Magister Giacobbe di Mele da Terni e con Sabato di Angelo di Mele da Viterbo e l’interesse era di 2 baiocchi per fiorino. Tre anni più tardi, Abramo di Isacco, testando, affidò il banco di A. all’amministrazione di un agente, scelto dai suoi figli ed eredi[19].

Elia di Manuele da Perugia teneva il banco di A. nel 1485 e il Comune, per risarcire un debito contratto con lui, decideva di imporre una tassa straordinaria ai cittadini. Anche il figlio di Elia, Gabriele, risultava prestare al Comune, per il tramite di un cittadino, anche pochi mesi dopo[20].

Nel 1492, dietro la minaccia di scomunica ventilata dai frati predicatori, il Consiglio Generale del Popolo decise di rivedere alcune clausole della condotta, sottoponendole al pontefice per l’approvazione[21].

Nel 1502 le autorità concessero il rinnovo a Gabriele di Elia da Perugia, operatore del banco di A., di cui era proprietario Gabriele di Abramo da Bevagna, senza tuttavia permettere le modifiche che quest’ultimo avrebbe voluto introdurre. Nello stesso anno, Gabriele di Elia prestava al Comune, ma un contenzioso scoppiò tra quest’ultimo e Gabriele di Elia, che riteneva di non aver ottenuto sufficienti garanzie per tutelare la propria attività. L’anno successivo, il Comune era ancora indebitato con Gabriele, che, tuttavia, accettò di concedere un ulteriore prestito per liberare un cittadino imprigionato a Terni: per rifonderlo il Comune impose una tassa straordinaria alla popolazione e, tre anni più tardi, non potendo far fronte ai debiti con Gabriele, decise di assegnargli le entrate della tassa di pascolo per l’anno in corso. In seguito, vista la penuria di mezzi e l’entità dei debiti, il Comune si risolse ad assegnare a Gabriele i proventi della tassa del mattatoio[22].

Nel 1507 il Consiglio Generale del Popolo discuteva la possibilità di istituire un  Monte di Pietà, annullando contemporaneamente la condotta con Gabriele, che venne esortato a deporre i pegni in sua custodia presso il Monastero di S. Stefano, dove sarebbero rimasti sigillati. Poco dopo, il prestatore, comparso dinnanzi alle autorità, giurò che non avrebbe esportato i pegni depositati nel banco di A.

Qualche mese più tardi, venne annullata la condotta ed i cittadini furono esortati a riscattare i pegni depositati presso il banco. Tuttavia, da un documento del 1512 risulta che, ad onta dell’annullamento dei capitoli, Gabriele continuò a fenerare “ufficiosamente” a A., prestando, tra l’altro, al Comune. Tale ambigua situazione veniva affrontata nel 1517, quando le parti giunsero ad un accordo: Gabriele avrebbe ricevuto ufficialmente il permesso di prestare, ma, in cambio, avrebbe pagato al Comune la metà della tassa feneratiza che era uso pagare per il banco[23]

Il Comune, di nuovo indebitato con il banchiere locale (di cui non viene dato il nome), gli assegnava gli introiti della tassa per il pascolo nel 1524.

Nel 1526 Lazaro di Magister Abramo di Castello, prestatore ad A., anche a nome di Magister  Aleuccio di Magister  Leonee degli eredi di Gabriele di Elia, chiese al Comune il rimborso dei debiti accumulati nel  frattempo, ottenendo in cambio gli introiti di svariate tasse[24].

Gli eredi di Gabriele di Elia e Aleuccio ottennero nel 1532 una tolleranza da papa Clemente VII, che confermava la condotta stipulata con il Comune[25]

Nel 1539 il Consiglio Generale del Popolo, data la scomunica che gravava sulla città per aver siglato patti feneratizi con prestatori ebrei, decise di annullare la condotta ed espellere gli israeliti dalla città: due anni dopo l’operatore del banco, Pacifico, chiese al Comune di essere rimborsato dei debiti accumulati con lui e l’autorità prese provvedimenti per saldarli.

Nel 1547 fu accettata la proposta fatta al Comune da Leone di Salomone da Poggibonsi, che chiedeva  di potersi stabilire ad A., accettando i patti stipulati a suo tempo con Gabriele di Elia da Perugia e offrendo di prestare al Comune stesso, senza interesse, 25 ducati all’anno. Pochi mesi dopo, Pacifico rinnovò la propria richiesta al Comune di risarcirlo dei debiti e, dopo ulteriori pressioni, ottenne che venisse nominata una commissione per provvedere al pagamento di quanto gli era dovuto[26].

Nel 1549 il Comune concesse una condotta feneratizia al medico Magister Lazzaro di Abramo da Viterbo e al cognato Leone di Salomone da Poggibonsi. Tra le altre clausole, veniva inclusa quella di esentare gli ebrei dalle prediche forzate dei frati e dall’intervento degli inquisitori ecclesiastici. Oltre al prestito, essi avrebbero potuto esercitare il commercio[27].

Nello stesso anno, Consolo, il gestore del banco di Magister Lazzaro, si adoperò per farsi ripagare i debiti contratti dal Comune e, negli anni successivi, il gestore del banco Elia cercò anch’egli di recuperare i crediti che aveva presso l’istituzione pubblica[28].

Nel 1556 cessò di essere attivo ad A. il banco di Magister Lazzaro di  Abramo da Viterbo e le autorità decisero che i pegni depositati fossero consegnati al Comune: una commissione cittadina fu incaricata della vendita dei pegni non riscattati, per ripagare il feneratore e l’anno successivo il Comune regolò le proprie pendenze anche con il gestore del banco, Elia[29].

Con questo, si chiudono le testimonianze documentarie della presenza ebraica ad A.  
            

Attività economiche

Gli Ebrei stanziatisi ad A. erano attivi principalmente nel prestito. Nella  condotta stipulata nel 1394 con Vitale di Aleuccio di Narni il tasso feneratizio autorizzato era del 60% annuo e tale rimase in quelle del 1421, del 1430, del 1453 e del 1460[30].

Oltre all’attività feneratizia è attestato l’esercizio della professione medica da parte di svariati ebrei, che  ottennero una condotta comunale.

Nel 1437 il Consiglio Generale del Popolo di A. concesse una condotta medica a Magister David di Montefiascone), rinnovandogliela due anni dopo[31], mentre nel 1453 essa fu affidata a Magister Salomone e a Magister Manuele[32]. Nel 1478 fu la volta di Daniele di Abramo di Castro, che ebbe un contratto di 14 mesi  ed un salario di 100 ducati. Magister Daniele esibì alle autorità cittadine la bolla di papa Pio II Piccolomini del 1459, in cui il pontefice lodava il medico ebreo per l’attività professionale svolta a Narni e a Bagnoregio e gli concedeva il permesso di continuare a prestare le proprie cure ai pazienti cristiani,  esentandolo dall’obbligo del segno. Le autorità cittadine misero gratuitamente a disposizione del medico una casa ma, l’anno successivo, la popolazione si mostrò insoddisfatta delle cure prestate da Magister Daniele e, previa verifica dell’attendibilità di tali lamentele, le autorità annullaro il contratto per la condotta medica[33]

Nel 1530 quest’ultima fu assegnata a Magister Eliseo, facendo passare, per penuria di mezzi, il contratto da annuale a semestrale, con la conseguente diminuzione del salario da 100  a 50 ducati[34].

La comunità ebraica di A. faceva parte dell'organizzazione degli ebrei nel ducato di Spoleto, Umbria, Rieti, Narni, Terni e dei loro contadi, che vennero chiamate nel 1514 a radunarsi a Foligno per ordine di Bonauito di Emanuele da Montefalco e Isahac da Narni (o Abramo di Bonaiuto da Spoleto), sindaci e collettori delle tasse[35]. Sempre in materia fiscale, bisogna sottolineare che gli ebrei di A. pagavano anche altre imposte assieme ai correligionari del ducato di Spoleto[36].

 

Bibliografia

Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, 8 voll. Toronto 1988-1991.

Toaff, A., The Jews in Umbria, Leiden-New York-Köln 1993-94.

 

[1] Toaff, A., The Jews in Umbria, doc. 113.

[2] Ivi, doc. 114.

[3] Ivi, doc. 117, 118.

[4] Ivi, doc. .552, 567.

[5] Ivi, doc. 116.

[6] Ivi, doc. 660, 694, 741.

[7] Ivi, doc. 758,  780, 782.

[8] Ivi, doc. 785, 790, 795, 805.

[9] Ivi, doc. 821, 823.

[10] Ivi, doc. 854, 856, 858, 871 882, 886, 890.

[11] Ivi, doc. 905.

[12] Ivi, doc. 1063, 1068.

[13] Ivi, doc. 1153, 1177.

[14] Ivi, doc. 1183.

[15] Ivi, doc. 1195, 1302, 1303, 1308, 1391.

[16] Ivi, doc. 1465.

[17] Ivi, doc. 1478, 1480, 1494. Grazie all’intervento del vescovo di Perugia, nel 1470, Magister Elia e Magister Leone di Giacobbe ottenevano di essere rimborsati di una cifra prestata precedentemente al Comune. Ivi, doc. 1553.

[18] Ivi, doc. 1484, 1570, 1621.

[19] Ivi, doc. 1811, 1813, 1857.

[20] Ivi, doc. 1890, 1898, 1901.

[21] Ivi,  doc. 1997. Tra il 1492 e il  1496 il Comune di A. riscattò svariate coppe d’argento impegnate presso il banco di Gabriele di Elia; nel 1499, volendo offrire un regalo a Lucrezia Borgia, il Comune impegnò altre coppe d’argento e, dietro energica sollecitazione del feneratore, restituì il debito. Ivi, doc. 2003, 2035, 2043, 2094.

[22] Ivi, doc. 2125, 2129, 2130, 2134, 2140, 2141, 2157, 2163.

[23] Ivi, doc. 2183, 2191, 2254, 2309.

[24] Ivi, doc. 2347, 2364.

[25]  Simonsohn, S., Apostolic See,  doc. 1564.

[26] Toaff, A., op. cit., doc. 2412, 2429, 2464, 2465.

[27] Ivi, doc. 2489.

[28] Ivi, doc. 2492, 2507, 2548, 2557. Nel 1554 Elia ricevette il permesso di importare alcune salme di grano in città. Ivi, doc. 2574.

[29] Ivi,  doc. 2594.

[30] Ivi, doc. 567, 758, 823, 1183, 1308.

[31] Il salario annuale era, nel 1437, di 35 fiorini d’oro, mentre, nel 1439, era di 24 fiorini d’oro. Ivi, doc. 926, 960.

[32] Ivi, doc. 1184.

[33] Ivi, doc. 1754, 1755, 1758.

[34] Ivi, doc. 2380.

[35] Simonsohn, S., Apostolic See, doc. 1216, 1222.

[36] Ivi, doc. 1239, 1329

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