Gaeta

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Gaeta (גאיטה)

Provincia di Latina. Si affaccia sull’omonimo golfo tirrenico dalla sommità del promontorio di Monte Orlando, sede del suo nucleo medievale. Nel 681 vi si rifugiarono molti cittadini di Formia con il loro vescovo per proteggersi dai pirati. Nel IX secolo la città si costituì in ducato autonomo, che si estinse nel 1140: fece da allora parte del regno del Mezzogiorno, fino all’Unità d’Italia (1861). Nel 1927 fu tolta alla Campania e data al Lazio e nel 1934 fu incorporata nella nuova provincia di  Littoria, oggi Latina[1]. Nel 1443 era tassata per 1278 fuochi fiscali e nel 1532 per 1448.

 

Le notizie sulla presenza ebraica a G. sono assai scarse per il primo medioevo. Verso la metà del IX secolo un ebreo originario di Sefarad, ossia della Spagna, ospitò per qualche tempo nella propria casa il maestro e taumaturgo Aron di Bagdad, che era sbarcato qui provenendo da Giaffa e che avrebbe poi proseguito per Benevento e Oria[2]. Nel 1129 le autorità confermarono a favore della città le imposte derivanti dalla tintoria e da altre arti gestite dagli ebrei locali[3]. Mercante era il giudeo Iacopo de Gayeta, dal quale il  23 aprile 1351  il doganiere di Cagliari riscosse 1 lira e un soldo per una certa quantità di piombo[4].

Gli ebrei compaiono numerosi a G. in età aragonese e le loro attività sono il prestito su pegno e  la mercatura. Un società in tal senso fu quella costituita da Salomone de Angelo e compagni, ai quali Alfonso d’Aragona concesse nel 1438 la libera residenza nella città e nel 1443 la licenza dell’esercizio bancario, la cittadinanza e l’esonero dal segno. Qualche anno più tardi, nel 1468, le autorità chiesero al re che si facesse uscire dalla città un ebreo usuraio, il quale per ogni oncia prende di utile diciotto grani al mese: e se vi rimanga, si stabilisca non potere prendere più di grani dieci, né potere vendere il pegno se non a norma della consuetudine della città[5].

Nella seconda metà del XV secolo abitarono e furono attivi in loco i membri di una autorevole famiglia ebraica toscana: i da Volterra. Un deposito di 500 ducati, esistente presso Abramo de Bonaventura da Volterra veniva nel 1483 rivendicato da Angelo de Moyse de Serre e dai fratelli Moysetto, Ventura e Brunetto. Il Sacro Regio Consiglio aveva ordinato agli arbitri della vertenza, lo stesso Abramo depositario e Vitale Bonaventura, di tentare una composizione pacifica. Nell’agosto dell’anno seguente, la Camera della Sommaria ordinò al notaio Giacomo de Bucchio di G. di consegnare al capitano della città il protocollo originale dello strumento da lui rogato riguardante la compagnia costituita tra Abramo da Volterra, Daniele de mastro Manuele de Sulmoneta e Angelo de Sezze, e allo stesso capitano di cercare di avere tutte le scritture conservate in casa del detto Abramo, facendo scegliere le più importanti dall’ebreo Aron per evitare che Abramo le facesse sparire. Più che ipotizzare un’indagine su eventuali evasioni fiscali, è da ritenere che fossero insorti dissapori – forse dubbi sulla contabilità - tra il da Volterra e gli altri soci, i quali avrebbero quindi chiesto l’intervento delle autorità[6]. Un mastro Angelo, che potrebbe identificarsi con quel de Sezze della compagnia di Abramo da Volterra, nel 1489 desiderava allontanarsi da G. e trasferirsi a Sessa o a Capua, ma la Sommaria lo obbligò a restarvi ancora, per potere restituire alla scadenza i pegni in suo possesso. Nel 1493 egli abitava a Napoli e, su suo ricorso, la Sommaria ordinò al vice conte di Fondi e ai capitani di G. e di Eboli di assisterlo nel riscuotere i crediti che aveva nelle due città, non potendo, in caso contrario, soddisfare ai pagamenti fiscali che doveva alla Regia Curia. Lazzaro da Volterra nel 1484 era creditore presso Abramo de Bologna in circa 900 ducati, dei quali veniva in parte risarcito su un deposito di 800 ducati fatto da Abramo nei banchi di Moise di Cosenza e nel 1488 reclamava il pagamento di diverse quantità di denaro dovutegli da altri debitori. Oltre che a G., Lazzaro era attivo a Napoli e a Cosenza, dove curava gli affari del suocero Vitale di Isacco da Pisa[7].

Sul finire del regno di Ferrante I, ci furono un po’ dappertutto segni di insofferenza nei confronti degli ebrei. Così a G. le autorità ordinarono ai macellai di non amazare animali per carne ad uso de ipsi iudei. Il grave incomodo creato dall’ordinanza spinse gli ebrei a ricorrere alla Camera della Sommaria, che, in data 26 gennaio 1493, ingiunse di revocare immediatamente la proibizione, perché era volontà del sovrano che fossero ben tractati dicti iudei et non detraciati. Un altro problema era creato dall’afflusso dei profughi espulsi dai domini spagnoli nel 1492: c’era riluttanza ad accoglierli, anche perché si temeva che fomentassero la peste che aveva preso ad infierire. Poiché la città di Napoli era già piena di profughi, re Ferrante ordinò alle autorità di G. di accogliere un gruppo di esuli – una decina di casate - giunti in una nave dalla Sicilia e di concedere loro di abitare nella città o in luoghi vicini: prima dello sbarco esse dovevano, però, prendere una serie di informazioni sulla nave, sulle comunità di origine dei giudei, sui loro nomi e cognomi e su mestieri e mercanzie. Questa lettera era del 18 ottobre 1492. Furono portati a terra i bagagli, ma i gaetani proibirono alle persone di sbarcare per timore che fossero apportatrici del contagio. Dopo quattro mesi i profughi erano ancora sulla nave sotto divieto di sbarco e perciò decisero di rivolgersi al re. Questi in data 15 febbraio 1493 reiterò il suo ordine e assicurò i gaetani che i nuovi venuti erano sani e non sospetti di male, come essi stessi potevano verificare facendoli soggiornare per un certo tempo in masserie e in altri luoghi di loro scelta. Nel novembre del 1493, poi, approdarono qui anche due imbarcazioni con esuli provenienti da Cagliari[8].

L’approssimarsi di Carlo VIII di Francia ai confini del Regno, spinse molti giudei a lasciare il loro domicilio abituale per luoghi ritenuti più sicuri. E tale intento perseguì certamente il banchiere Ventura de Moyses, il quale chiese e ottenne nel gennaio 1495 di trasferirsi con la propria famiglia e i pegni da Fondi a G.[9]. La città fu però occupata dai francesi, e quando tentò di ribellarsi subì uccisioni e saccheggi. L’anno seguente fu riconquistata dagli aragonesi e nel 1504 dagli spagnoli di Ferdinando il Cattolico, nuovo sovrano del Mezzogiorno.

La documentazione sugli ebrei a G. durante il Viceregno spagnolo è assai scarsa. Essi si occupavano prevalentemente di prestiti e nel 1521 la municipalità deliberò che il tasso d’interesse non fosse superiore ai cinque tornesi per ducato[10]. Sono documentati a G. nel 1531 mastro Angelo e suo figlio Gabriele di Pontecorvo e nel 1532 Ventura di Sabato di Fondi, il quale si impegnò in quell’anno a terminare il pavimento della sinagoga di Terracina, nel vicino stato della Chiesa, per la somma di 12 ducati[11].

A Terracina presero inoltre dimora alcuni ebrei provenienti da G.: nel giugno 1541 vi operavano come banchieri Benedetto, alias Beraha di G., suo fratello Salomone e suo suocero Salomone da Lipari e nel 1547 Abram di Pasquale, mentre un Abramo di Bonuomo di G. abitava a Roma nel 1554[12].

Gli ebrei di G. avevano la loro “scola”, ossia la sinagoga, al confine tra la parrocchia di S. Giovanni a Mare e quella di S. Lucia, verosimilmente fra le odierne Piazza del Cavallo e Salita Chiaromonte. Dopo l’espulsione generale dei giudei dal Mezzogiorno da parte di Carlo V nel 1541, il notaio Tommaso de Manna chiese l’autorizzazione di poter chiudere lo portico della scola delli Iudei per farne un magazzino. La chiusura del portico fu sollecitata  nel 1560 per motivi di decoro e di pubblica quiete[13].

 

 

 Bibliografia

 

Capobianco, P., Gli Ebrei a Gaeta, Saggio introduttivo di G. Andrisani, Gaeta 1981.

Colafemmina, C., Ahima az ben Paltiel, Sefer Yuhasin. Libro delle discendenze, Cassano Murge 2002.

Colafemmina, C., Documenti per la storia degli ebrei in Campania (IV), in Sefer Yuhasin 7 (1991), pp. 17-43.

Colafemmina, C., Documenti per la storia degli ebrei a Napoli e in Campania nei secoli XV-XVI, in Sefer Yuhasin 12 (1996), pp. 7-39.

De Rossi, P.L., La comunità ebraica di Terracina (sec. XVI), Cori 2004.

Ferorelli, N., Gli ebrei nell’Italia meridionale dall’età romana al secolo XVIII, Torino 1915.

Iannitti, L., Una Scuola Ebraica a Gaeta, in L’Eco di S. Giacomo. Gaeta, 4 (1981), num. 11, p. 3.

Patroni Griffi, F., Campania e Lazio meridionale, in AA. VV., L’Ebraismo dell’Italia Meridionale Peninsulare dalle origini al 1541, a cura di Fonseca, C.D. - Luzzati, M. - Tamani, G. - Colafemmina, C., Università degli Studi della Basilicata, 1996.

Pesiri, G., Appunti sulla comunità ebraica di Cori tra la fine del XV secolo e la prima metà del XVI (1496-1546), inYpothèkaiIII (1987), pp. 25-68. 

Silvestri, A., Gli ebrei nel regno di Napoli durante la dominazione aragonese. in Campania Sacra, 18 (1987), 21–77.

Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, 8 voll., Toronto 1988-1991.

Stow, K.R., The Jews in Rome, Leiden 1995-1997.

Straus, R., Die Juden im Königreich Sizilien unter Normannen und Staufern, Heidelberg 1910 (trad. italiana, Palermo 1992).

Tallini, G., Gaeta: una città nella storia, Gaeta 2006.

Tasca, C., Gli ebrei in Sardegna nel XIV secolo: società, cultura, istituzioni, Roma 1992.

Veronese, A., Una famiglia di banchieri ebrei tra XIV e XVI secolo: i da Volterra. Reti di credito nell’Italia del Rinascimento, Pisa 1998.

 

 

 


[1] Tallini, G., Gaeta: una città nella storia, Gaeta 2006.

[2] Ahima az ben Paltiel, Sefer Yuhasin. Libro delle discendenze, a cura di C. Colafemmina, Cassano M. 2002, pp. 66-69.

[3] Codex Diplomaticus Cajetanus, II, pp. 240-242, doc. CCCXVII. Nel 1208 la tintoria di Gaeta era sottoposta all’abbazia di Casamari (Straus, R., Die Juden, p. 103.;

[4] Tasca, C., Gli Ebrei in Sardegna, pp. 327-328, n. CXXVI.

[5] Silvestri, A., Gli ebrei nel regno di Napoli, pp. 36, 58.

[6] Ibid., pp. 58-59.

[7] Veronese, A., Una famiglia di banchieri ebrei, pp. 135-139.

[8] Colafemmina, C.,  Documenti per la storia degli ebrei in Campania (IV),  pp. 25-26; Id., Documenti per la storia degli ebrei a Napoli e in Campania, pp. 11-12; Ferorelli, N., Gli ebrei nell’Italia meridionale, pp. 80-81.

[9] Ibid., pp. 197-198.

[10] Patroni Griffi, F., Campania e Lazio meridionale, p. 263. Un ducato era suddiviso in 100 grana e 1 grano equivaleva a 2 tornesi.

[11] Pesiri, G., Appunti sulla comunità ebraica di Cori, p. 50, n. 57; De Rossi, P.L., La comunità ebraica di Terracina, p. 81, n. 148.

[12] Simonsohn,  S., The Apostolic See, doc. 2037, 2663; Stow, K.R., The Jews in Rome, n. 1616.

[13] Cfr. Iannitti, L.,  Una Scuola Ebraica a Gaeta, num. 11, p. 3.

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