San Lucido

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San Lucido

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Provincia di Cosenza. Posto su di uno sperone roccioso dominante il Tirreno ha un toponimo che, nella forma dialettale Santu Lùcitu, è una variazione del nome medievale Santu Nicitu, dall’agionimo Sant’Aniceto. Dal 1093 al 1494 appartenne alla Mensa Vescovile di Cosenza e dal 1494 al 1604 fu un feudo della famiglia Carafa. Nel 1443 era tassato per 300 fuochi e nel 1521 per 360.[1]

 

Una comunità ebraica è documentata a qui nel XV secolo, ma già nel secolo precedente c’erano ebrei che caricavano nel porticciolo della cittadina i rinomati vini e la frutta del suo erto entroterra e della regione cosentina. Il giudeo Xico de Mariffa, per esempio, il 14 aprile 1351 pagò al doganiere di Cagliari 47 lire di diritti doganali per 925 lire di vino rosso e di frutta che aveva portato da S.[2].

Nel 1488 abitavano a in questa località i fratelli Sabato e Simone del fu Mosè de Giosuè, i quali erano in lite con la comunità di Rende, da cui provenivano, perché voleva  obbligarli a pagare i contributi fiscali per fuochi e sale con essa. Presentato ricorso presso la Camera della Sommaria, questa diede loro ragione, avendo essi fissato il loro domicilio e preso moglie a San L., dando così origine a due nuovi fuochi familiari distinti da quello originale di Rende, di cui erede e titolare era diventato un loro fratello di nome Baruch. Nella controversia entrò anche il comune di Rende, allegando che i due erano stati annoverati con la sua popolazione nell’ultimo censimento. La Sommaria confermò invece nel 1492 il suo primo intervento, concedendo che i due fratelli pagassero in Rende le tasse solo per i beni che eventualmente vi possedessero[3].

A  Tropea o a S., a loro scelta,  chiesero il 16 ottobre 1492 di essere portate alcune famiglie della comunità di Bivona, in Sicilia, costrette a lasciare l’isola in forza del decreto di espulsione emanato da Ferdinando il Cattolico. Il gruppo era composto da circa quaranta persone e la nave su cui avrebbero fatto la traversata apparteneva a Nicola Bonfiglio di Lipari.[4] L’arrivo di profughi dalla Sicilia ravvivò di certo l’osservanza ebraica nella cittadina: il 26 novembre 1492, infatti, su richiesta della comunità, la Camera della Sommaria ordinò al mastro giurato di osservare il capitolo concesso dal re ai giudei del Regno di potere circolare liberamente senza portare fuoco o lume la notte del sabato e delle altre loro feste. Nel caso però che si fosse trovato un giudeo che andava senza lume in un’ altra notte, doveva essere arrestato e consegnato al capitano preposto ai giudei di S. dal tesoriere provinciale, perché fosse giudicato. Il giorno seguente, la stessa Camera ordinò al capitano della città di provvedere affinché gli israeliti non fossero in alcun modo ostacolati o molestati nel loro progetto di ampliare la  sinagoga. Nella lettera è riportato in inserto il capitolo con cui il re garantiva ai giudei del Regno la libertà di reggersi secondo la loro disciplina e la liceità di avere sinagoghe[5].

L’integrazione dei nuovi arrivati, comunque, non dovette essere facile. Nel dicembre 1493, infatti, essi lamentarono di essere tassati più del dovuto e il commissario preposto loro, Bartolomeo Bosco, ricevette l’ordinedi esigere i contributi fiscali in base alle facoltà che realmente possedevano e non in quantità maggiore. La Camera ricordò al commissario di «non essere stato inviato a distruggere quei poveri giudei, ben sapendo quanti danni e perdite hanno subito». Gli ebrei siciliani, tuttavia, non si sentirono tutelati e inviarono un’altra petizione, a cui la Sommaria rispose con l’ingiunzione all’autorità di far cessare ogni disordine  e contrasto[6].

Insieme a quello delle tasse, altri problemi assillavano i profughi di S.: Sadich Azeni, giudeo siciliano abitante a Napoli, aveva denunciato nel 1494 che, essendosi recato qui per affari, i correligionari lo avevano subito annoverato con la loro comunità e lo avevano costretto a versare 5 ducati quale rata del contributo fiscale da essi dovuto. La Camera della Sommaria ordinò al capitano di locale di obbligare i giudei a restituire i 5 ducati, o altri pegni eventualmente estorti, e a non molestare più il ricorrente, essendo egli  tassato a Napoli, dove abitava con la famiglia e soddisfaceva ai propri obblighi[7]. Nell’aprile dello stesso anno, poi, Nissim Caruso aveva denunciato che, avendo egli una controversia con Scribicti Suene e con Perna, moglie di Monte de Milac, a motivo di una certa società costituita tra loro, il capitano di S. voleva sentenziare senza ascoltare le sue ragioni. Un’altra vertenza opponeva, invece, Criscio de Canetto ai correligionari mastro David de Azeni ed al fratello di questi. In ambedue i casi la Sommaria ordinò al capitano di ascoltare le parti e di porre fine alle controversie con una giusta sentenza[8].

Dopo la morte di Ferrante I nel gennaio 1494, Carlo VIII di Francia si accinse a conquistare il regno di Napoli. La notizia della progettata invasione provocò un po’ dappertutto manifestazioni di violenza nei confronti degli ebrei ed anche a S. essi sporsero denuncia presso la Camera della Sommaria, la quale, in data 7 luglio 1494, scrisse al capitano cittadino di provvedere affinché ai ricorrenti non fossero fatti insulti e villanie, perché era volontà del re – che adesso era Alfonso II - che nel suo regno ognuno vivesse quietamente senza recare ingiuria agli altri. Tanto più ciò doveva valere nei confronti degli ebrei, che stavano sotto la protezione dei privilegi concessi loro dal sovrano: tale volontà doveva essere proclamata mediante pubblici bandi e i delinquenti dovevano essere puniti[9].

Questa è l’ultima notizia che per ora si conosce sulla comunità ebraica di S.

Nel 1510 gli ebrei ed i cristiani novelli dovettero uscire dal regno di Napoli per volontà di Ferdinando il Cattolico: i cristiani novelli di Crotone, città del basso Ionio, tergiversarono, ma il 15 aprile 1515 fu rinnovato l’ordine di espulsione, con la facoltà di partire da qualsiasi porto della Calabria o, nel caso avessero preferito lasciare la città via terra, in direzione del mar Tirreno e quindi della Sicilia o dei domìni pontifici, di recarsi per l’imbarco a S. o ad Amantea[10].

 

 

Bibliografia

 

Ferorelli, N., Gli ebrei nell’Italia meridionale dall’età romana al secolo XVIII, Torino 1915.

Marrone, A., Ebrei e Giudaismo a Bivona (1428-1547), Bivona 2000.

Martirano, F.,  S. Niceto nella Calabria Medievale. Storia, architettura, tecniche edilizie, Roma 2002.

Tasca, C., Ebrei in Sardegna nel XIV secolo. Società, cultura, istituzioni, Cagliari 1992.

 


[1] Martirano, F.,  S. Niceto nella Calabria Medievale. Storia, architettura, tecniche edilizie, Roma 2002.

[2] Tasca, C.,  Ebrei in Sardegna, pp. 324-325, n. CXX.

[3] Colafemmina, C.,  Per la storia degli ebrei in Calabria, pp. 115-116, doc. 21.

[4] Marrone, Ebrei e giudaismo, pp. 47-48.

[5] Cfr. Ferorelli, N., Gli ebrei nell’Italia meridionale, pp. 101-102.

[6] Ibid., pp. 93-94; Colafemmina, C., Per la storia degli ebrei in Calabria, p. 129, doc. 38 (21 gennaio 1494).

[7] ASNa, Sommaria, Partium 40, fol. 12v.

[8] ASNa, Sommaria, Partium  40, fol. 141r. 182r. Un intervento analogo a favore di un Donato de Canet ebbe luogo il 7 luglio 1494: ib.,  39, fol. 168v.

[9]ASNa, Sommaria, Partium  39, fol. 166r ; Ferrante, Gli Statuti, pp. 175-176.

[10] ASNa, Collaterale,  Partium 12, fol. 92r-v.

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