Catanzaro

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Catanzaro

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Catanzaro (קטנצארו)

Capoluogo delle regione Calabria, fu fondata tra la fine del secolo IX e gli inizi del X. Sorge su un lungo sperone dai fianchi dirupati, dominante la confluenza della Fiumarella e del Torrente Musòfalo, in vista del mar Ionio. Feudo dei Ruffo, dal 1406 fu città demaniale fino al 1420, quando tornò ai Ruffo. Fu quindi coinvolta nelle vicende tumultuose di Antonio Centelles, marito di Enrichetta Ruffo, fino al 1466, quando divenne città demaniale in perpetuo. Sede vescovile dal XII secolo[1], nel 1441 era censita per 1196 fuochi fiscali e nel 1532 per 1212.

 

La storia degli ebrei a C. si apre con la notizia di un gesto di gratitudine da parte di un cristiano nei confronti di uno di loro: nell’agosto 1265, infatti, un Lombardo Russos assegnò nel proprio testamento 8 once d’oro a favore del giudeo Sabato per avergli procurato familiarità presso il concittadino Galterio Francisco[2]. Un salto di decenni ci porta a Barletta, dove Consolo di Abramo Russi ebreo de Catanzaro si era recato per procurarsi spezie medicinali. Il 10 agosto 1332 egli acquistò da Bartolomeo speziale di Barletta, una certa quantità di spezieria del valore di 3 once e 10 tarì, che si impegnò a pagare entro la successiva festa di S. Martino,  o oltre tale tempo quando gli fosse stato richiesto dal creditore o dai suoi eredi[3].

Queste scarsissime notizie ci permettono di intravedere appena una presenza, che doveva invece essere abbastanza cospicua e incidente. L’8 maggio 1406 gli ebrei locali godettero insieme ai cristiani di un indulto concesso da Ladislao d’Angiò Durazzo a tutti gli abitanti di Catanzaro che Nicola Ruffo, marchese di Crotone e loro conte, aveva costretto a ribellarsi al re.

Nel 1417 il capitano di ventura Antonuccio de Camponneschi, recuperò con ferocia a favore di Giovanna II  e di Nicola Ruffo, questa volta alleato della regina, la città di Catanzaro che era stata infeudata dalla stessa Giovanna a Pietro Paolo da Viterbo, che si era poi schierato contro di lei: i catanzaresi accettarono la realtà, ma presentarono all’assenso del Camponeschi una serie di capitoli e privilegi . Essi chiesero, tra l’altro, che tutti i cittadini e abitanti di C., sia cristiani sia giudei, vivessero franchi e sicuri sotto il dominio e la protezione della regina Giovanna II d’Angiò, che gli stessi fossero per dieci anni esentati da ogni colletta e sovvenzione verso la regina e, trascorsi i dieci anni, non fossero costretti a pagare che tre collette di once 17 e 1/2  al più, che fosse abolita la gabella del ferro e che tutti i fabbri cristiani e giudei, e altri cittadini, potessero a loro volontà comprare e lavorare il ferro e che i giudei fossero esentati dalla gabella della tintoria e dall’annua prestazione della tassa della morthafa e non fossero costretti dagli ufficiali della regina e dagli inquisitori ecclesiastici a portare il segno. Il Camponeschi, in data 21 agosto 1417, approvò le richieste, confermate da Giovanna II il 5 ottobre dello stesso anno[4].

Alle varie guerre tra i rami degli Angioini, si aggiunsero intanto quelle con gli aragonesi di Sicilia, il cui re Alfonso era stato adottato da Giovanna II come erede e successore, ma in seguito ripudiato. Nel 1420-21 Alfonso tentò di conquistare la regione, tentativo che rinnovò nel 1435: l’operazione riuscì solo nel 1438 per mezzo del camerlengo del Regno, il catalano-siculo Antonio Centelles. Conquistata Napoli nel 1442, Alfonso premiò i suoi fautori, e tra questi il medico ebreo Salamon Nehama di C., che nel 1445 nominò suo familiare con il diritto di godere di tutti gli onori, prerogative e privilegi di cui erano insigniti tutti gli altri suoi domestici e familiari[5].

La convivenza dei cristiani con i giudei era divenuta intanto a C. tanto profonda e rispettosa che le due comunità avevano deciso di condividere i rispettivi obblighi e privilegi, come se fossero una sola. Così,quando nel 1452  l'inquisitore fra Nicola de Calvanico giunse nella città e pretese da ciascun giudeo un contributo per finanziare la sua caccia agli eretici, l'università cristiana  contribuì alla raccolta della somma e lo stesso accadde quando il sovrano impose alla giudecca il pagamento di  1 oncia ed in altre occasioni ancora. Sulla base di questi precedenti, quando i cristiani decise di trasferire in città, in un nuovo convento, le monache di S. Chiara e nella loro vecchia sede impiantare una comunità di francescani, fu chiesto anche ai giudei di contribuire alle spese per la realizzazione del progetto. I giudei rifiutarono, affermando che erano pronti a partecipare alle spese dei cristiani in tutto quello che concerneva la vita cittadina, ma non in materia di  chiese e monasteri, non essendosi mai udito che essi avessero contribuito in tali misteri tangenti alla fide cristiana. Nessuno, aggiunsero, sia giudeo che cristiano, poteva essere forzato a compiere simili gesti. I cristiani si sentirono defraudati da tale rifiuto e ordinarono il sequestro, a titolo di anticipazione, di beni appartenenti ai giudei per un importo di oltre 14 ducati. Gli ebrei, tramite i proti della comunità, ricorsero al re e Alfonso d'Aragona ordinò un'inchiesta e incaricò il vicerè di Calabria, Francesco di Siscar, di eseguirla. Il vicerè diede  dapprima ragione ai giudei, poi ai cristiani. Infine, nel 1453, demandò al capitano di C. di esaminare a fondo la questione e di risolverla secondo giustizia, tenendo comunque presente che mai i giudei erano stati tenuti a contribuire al culto cristiano[6].

Qualche mese dopo questa vertenza, Alfonso d'Aragona sottraeva gli ebrei alla giurisdizione del vescovo locale e disponeva che il capitano regio della città rendesse giustizia indistintamente a tutti i cittadini. Il vescovo continuò a molestare e inquietare i giudei, provocando diverse ordinanze da parte del sovrano: nel 1468, con Ferrante I, la Camera della Sommaria riaffermò che la comunità di C. apparteneva alla Regia Camera, come le altre comunità del Regno[7]. In un intervento, assai energico, in data 9 marzo 1473, vennero poi date varie e particolari disposizioni, tra cui quella che aboliva l'obbligo imposto ai giudei di tenere i loro morti in casa  durante la Settimana Santa in forza dei canoni che vietavano loro di uscire in quei giorni. I giudei furono riconoscenti agli Aragonesi per la loro benevolenza[8] e, del resto, anche durante le guerre scatenate contro Alfonso I e Ferrante I dal ribelle conte di Catanzaro Antonio Centelles nel 1444-45 e nel 1458-1461, essi si erano mantenuti devoti al re. Nel 1466, in occasione del matrimonio di Alfonso, duca di Calabria, l’università di C. chiese che i giudei godessero di tutte  le esenzioni concesse alla città in ricompensa della loro fedeltà e per non aver nulla risparmiato in pericoli, travagli e spese[9]: gli ebrei locali, ovviamente, godevano anche delle esenzioni riconosciute a tutte le comunità della regione, come quella di non dovere contribuire a tasse straordinarie imposte per necessità locali. Così nel 1490 su ricorso della comunità, la Camera della Sommaria ordinò al tesoriere di Calabria, di non imporre ai giudei di quella città il contributo straordinario di 3 carlini a fuoco da destinare al restauro delle fortificazioni, essendo essi, insieme con le comunità di Crotone, Santa Severina, Strongoli, Cirò, Rossano, Rende e altre ancora, esenti da tale contributo per privilegio sovrano[10].

La prosperità raggiunta nella seconda metà del XV secolo dalla città, specialmente per lo sviluppo dell’arte della seta, era dovuta anche gli ebrei, che in quest’arte erano maestri. Ne è prova l’invito che le autorità di Messina rivolsero nel 1486 a mastro Chanoretto Geraldino, rinomato tessitore di panni di seta, perché si trasferisse da C. a Messina con la sua famiglia per introdurvi e sviluppare l’arte della seta. Per attrarlo, gli offrirono la cittadinanza, speciali privilegi e l’esenzione delle tasse, comprese quelle imposte dai proti all’interno della comunità ebraica. Charonetto accettò, la città di Messina mantenne le promesse sui privilegi e le esenzioni (lo esentò anche dal portare il contrassegno), gli diede una casa nel quartiere ebraico, una bottega e un laboratorio in un luogo di sua scelta nella città e lo nominò protomagistro e console a vita della corporazione dei setaioli e dei vellutieri[11].

Tra i mestieri praticati dagli ebrei di C., compaiono la tintoria, il commercio di panni, di pettini, di vino e il prestito su pegno[12], ma c’erano anche cultori di halakhah, come quel Hayyim da C., la cui opinione in materia di kasherut fu citata da un mercante ebreo di vino nel corso di una discussione che egli ebbe, poco dopo il 1492, a Nicastro con un maestro, pare di origine bizantina. La discussione verteva sulla purità rituale del vino prodotto dal mercante con uve di un cristiano e poi conservato in botti sigillate presso un altro cristiano[13].

Lo svolgersi abituale delle opere e dei giorni fu scosso nel 1495 dall’invasione del regno da parte di Carlo VIII di Francia. La fama che lo precedeva di re cristianissimo ostile ai giudei, provocò un po’ dappertutto assalti alle giudecche con saccheggi e violenze alle persone. Diverse comunità non trovarono via migliore per salvarsi che convertirsi al cattolicesimo. Questo accadde anche a C. e  la sinagoga, non più frequentata dai seguaci di Mosè, fu abbandonata. Ne approfittarono i cristiani per trasformarla in chiesa parrocchiale e Alessandro VI, con bolla datata 28 aprile 1495 e registrata il 29 dicembre 1497, approvò il passaggio. La nuova chiesa, o piuttosto il suo reddito, che non eccedeva i 24 fiorini l’anno, fu unita alla mensa vescovile vita natural durante del vescovo locale[14], Stefano de Gotifredis.

I neoconvertiti, però, non guadagnarono molto in serenità facendosi cristiani. Con la loro fede appresa in fretta si muovevano assai male tra le dottrine e i riti cristiani, provocando diffidenza, sospetto, comportamenti vessatori da parte di ufficiali e inquisitori. Essi ricorsero allora al re Federico II d’Aragona, il quale il 19 ottobre 1496 scrisse al Cardinale d’Aragona, suo luogotenente generale, perché eleggesse  alcuni buoni cristiani e li desse per lo spazio di due anni come amministratori ai cristiani novelli, affinché insegnassero loro i modi e la disciplina. Trascorso tale termine, se  i neofiti avessero fatto qualcosa contro la fede, sarebbero stati  puniti e castigati e, quanto alle vessazioni inferte dagli ufficiali, i cristiani novelli ebbero facoltà di vendere qualsiasi loro bene mobile o stabile e di porre il domicilio in qualsiasi località del Regno, senza essere ostacolati da alcuno[15].

Il 1503 Ferdinando il Cattolico, sovrano di Spagna insieme ad Isabella di Castiglia, divenne re di Napoli. In linea con la politica di epurazione messa in atto nella penisola Iberica, il 22 novembre 1510 decretò l’espulsione dei giudei e dei cristiani novelli dall’Italia meridionale. L’uscita dal Viceregno doveva avvenire entro il mese di marzo 1511. Anche gli ebrei e molti neofiti di C. presero la via dell’esilio, e di tutti l’università chiese la cancellazione dai ruoli fiscali. In data 22 agosto 1511 la Camera della Sommaria ordinò al tesoriere di Calabria Ultra di inviare diligenti informazioni sul numero ed i nomi di tutti quelli che avevano lasciato la città in forza delle prammatiche di espulsione[16]. Non tutti i neofiti però partirono, perché parecchi riuscirono a dimostrare di essere veri cristiani e non cripto-giudei. Ma un frate domenicano che visitò la Calabria tra il 1654 e il 1659, rilevò che in Catanzaro  rimangono le reliquie di questa empietà, essendosi fatto in molte case ereditario l’errore e precisò che i giudaizzanti di C. avevano sempre tenuto commercio e traffico con i giudei di Salonicco, facendo vela con i pegni per la suddetta città dai porti di Taranto e di Brindisi, quando si ritrovavano carichi di debiti e falliti. Nel 1604 ben 32 persone si erano imbarcate per la Sicilia e di qui erano andate a Salonicco, ordinario asilo della perfidia giudaica, seguite sei anni dopo da altri con le mogli e i figli[17].

Il quartiere in cui abitavano gli ebrei a C., la “giudecca”, era costituito dai vicoli che scendono dall’attuale Corso Mazzini, già via Capuana, tra il Palazzo Fazzari, la Discesa Jannone e la Discesa Piazza Nuova. Al suo interno sorgeva la sinagoga, che nel 1495 fu convertita in chiesa parrocchiale dedicata a Santo Stefano. Nel 1876, nel demolire una vetusta casa vicino l’attuale Palazzo Fazzari,  fu trovato un frammento di marmo con resti di scrittura ebraica[18]: è assai probabile che esso provenisse dal tempio sinagogale.

 

Bibliografia

 

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Trinchera, F., Syllabus Graecarum Membranarum, Napoli 1865.

 

 


[1]Mazza, F.(a cura di),Catanzaro. Storia Cultura Economia,; Pellicano Castagna, M., Storia dei Feudi e dei Titoli Nobiliari della Calabria, II, , pp. 71-75.

[2] Trinchera, F. Syllabus, doc. CCCI, p. 428.

[3] Santeramo,  S. (a cura di), Codice Diplomatico Barlettano, II, pp. 205-206:

 

[4] Catanzaro, C., Di alcune antiche pergamene, pp. 44-52.

[5] Barcellona, ACA, Cancilleria 2906, foll. 154v-155r.

[6] Fonti  Aragonesi, II, pp. 208-209; 218-220.

[7] Monti, G.M.,  Un importante comune, p. 17. Nel 1481 la stessa Camera ordinerà al capitano di non intromettersi nelle questioni interne della comunità e di non portare alcun cambiamento in deroga alle loro consuetudini  e ai privilegi che il re aveva concesso.

[8] Dito, O., La storia calabrese, pp. 227-230.

[9] Ibid., p. 226.

[10] Colafemmina, C., Per la storia, p. 119, doc. 25.

[11] Simonsohn, S., The Jews in Sicily, doc. 4976, 5285, 5438.

[12] Pontieri, E., La Calabria a metà del secolo XV, pp. 97, 110.

[13]David, Jewish intellectual life, p. 145; Richler, B., Hebrew Manuscripts in the Vatican Library, Vat. Ebr. 567, II/3.

[14] Russo, F. Regesto Vaticano, III, 76, N. 13670; 112, N. 14002.

[15] Cassandro, M., Lineamenti, pp. 156-157, Doc. XXII.

[16] ASNA, Sommaria, Partium 82, fol. 122v.

[17] Mercati, S.G., Calabria e calabresi, pp. 721-22.

[18] Catanzaro, C., Di alcune antiche pergamene, p. 54. Secondo altri, il frammento fu rinvenuto nel 1872. Cfr. Mascaro, G., Ebrei nel circondario, pp. 87-88.

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