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Nella città, che possedeva un territorio estesissimo ed era al centro di una raggiera di strade importanti, tra cui l'Appia Antica e l'Erculia, gli ebrei appaiono all’inizio del IV secolo assai numerosi ed affermati. La più antica documentazione è costituita da un complesso catacombale, venuto alla luce nel 1853[1], scavato nel fianco di mezzogiorno della collina della Maddalena, ad un miglio circa da Venosa, in direzione Nord-Nord/Est. Grosse frane hanno distrutto od ostruito buona parte del settore sinistro della catacomba. Qui le gallerie sovrastavano tutto un sistema di ipogei disposti su più piani, che i crolli hanno in alcuni punti reso comunicanti. Nel corso di una esplorazione effettuata nel 1974 fu scoperto un settore inedito, che riservò la sorpresa di un arcosolio riccamente affrescato. Nella lunetta è dipinto il candelabro ebraico a sette bracci, affiancato a destra dal corno e da un ramo di palma e a sinistra da un cedro e da un'anfora. L'intradosso è tutta una festa di tralci di rose e ghirlande. Il secondo, e ancor più importante rinvenimento, interessò la datazione della catacomba. Infatti, proprio accanto all'arcosolio affrescato, fu rinvenuta un'inscrizione fornita di data consolare, corrispondente all’anno 521. L’epigrafe è dedicata ad una Augusta, figlia di Isas, padre della comunità di Anciasmos, nipote di Simonas, padre della comunità di Lypiae, e moglie del venosino Buono. Questi è decorato del titolo di vir laudabilis, che lo dimostra membro della curia cittadina e quindi ricco possidente. L'epigrafe menziona per la prima volta ebrei di altre comunità presenti a V., o che erano in rapporto con essa. Anciasmos, infatti, da cui la defunta proveniva, è l’attuale Saranda, in Albania, e Lypiae. Lypiae è Lecce, nella Puglia meridionale[2]. Nel corso di lavori di consolidamento eseguiti negli anni ’90 nel settore franato è stata rinvenuta graffita sulla copertura di un piccolo loculo l’iscrizione “Tomba di Mercurio”[3].
La catacomba ebraica era parte di una serie di ipogei sepolcrali scavati lungo il fianco meridionale della collina e sul versante orientale. Alcuni di questi sono cristiani[4] ed un altro grosso complesso, sottostante a quello ebraico, è stato portato alla luce nel 1981 in seguito ad un saggio di scavo[5]. La sua ubicazione fa supporre che anch'esso sia appartenuto alla comunità ebraica, come sembrerebbe confermato da un frammento di stele funeraria con resti di due epitaffi ebraici finito in una tomba scavata nel suolo all’inizio di un corridoio[6].
Di estrema importanza è anche un ipogeo scoperto nei primi decenni del ‘900, a poca distanza dalla vecchia catacomba, che fu indicato come “catacomba nuova”. L'onomastica delle epigrafi rinvenute - tre in greco e una in latino- e la titolatura dei defunti, lo dicono appartenente alla locale comunità ebraica[7].
Le lingue usate nelle iscrizioni della grande catacomba sono la greca, la latina e l'ebraica, e a tali lingue e culture appartiene anche l’onomastica dei defunti. Molti epitaffi sono bilingui, ma il bilinguismo è spesso rappresentato da una semplice eulogia in ebraico. Da notare che mentre nei pressi dell'ingresso sembra esclusiva la lingua greca, man mano che si procede verso l'interno il latino si alterna al greco sino a prevalere nettamente. Uno degli epitaffi più recenti, forse della fine del VI secolo, dedicato a un “Secondino presbitero”, è in greco ma in caratteri ebraici [8].
I testi delle iscrizioni superstiti offrono un'immagine abbastanza ricca dell'organizzazione comunitaria. Vi compaiono, infatti, l'arcisinagogo, i gherusiarchi, uno dei quali è anche archiatra, un didascalo, i presbiteri, i padri (patres) ed il padre dei padri (pater patrum). Quest’ultimo titolo indicava forse una specie di decano o uno dei patres più benemeriti, che erano poi i benefattori della comunità. La moglie del pater è designata con l'appellativo di “madre”[9]. Lo stesso valore dovrebbe avere il titolo di pateressa con cui è decorata una Alessandra ed anche la qualifica di presbytera, data ad alcune defunte, indicherebbe semplicemente che esse erano state mogli di presbyteri.
Circa i rapporti degli ebrei venosini con la città, due iscrizioni della “catacomba nuova”, databili alla fine IV- inizi V secolo, attribuiscono a due di essi, Aussanio e Marcello, il titolo di "patrono”, titolo che era conferito a ricchi e influenti personaggi della città o del municipio[10]. Nella prima metà del V secolo la dignità del patronato cittadino fu interdetta agli ebrei. I notabili ebrei furono quindi indicati a V. come maiures cibitatis, “maggiorenti della città”. Così vengono, infatti, qualificati in un epitaffio del VI secolo i congiunti di una defunta quattordicenne di nome Faustina[11]. Ai funerali della fanciulla, appartenente a una delle famiglie più altolocate, partecipò tutta la città e innalzarono le lamentazioni funebri duo apostuli et duo rebbites. Gli apostuli erano probabilmente emissari delle comunità di Giudea o della Galilea venuti alla ricerca di sussidi[12]. Da notare che nella prima metà del IX secolo un inviato di Gerusalemme – come riferisce il Sefer Yuhasin, una cronaca composta nell'XI secolo da Ahima‘az b. Paltiel da Capua - era a V., dove predicava ogni sabato nella sinagoga[13].
Per l’alto medioevo, l'ebraismo venosino è documentato da un notevole gruppo di iscrizioni funerarie e dall'attività del poeta Silano, di cui ci sono giunti alcuni inni sinagogali[14]. Gli epitaffi, provenienti da un cimitero a cielo aperto situato tra l'anfiteatro romano e la chiesa della Trinità, sono in lingua ebraica, ma l’onomastica è ancora mista: biblica, per la maggior parte, ma anche greca e latina[15]. La rinascita della lingua e della cultura ebraica, a cui molto contribuì la Puglia, aveva ormai coinvolto la vita comunitaria e la lingua dell’epigrafia funeraria ne è un riflesso[16]. Epigrafi ebraiche, datate al IX secolo, si trovano anche a Matera e a Lavello[17]. Esse però non appartengono alle due località, ma vi furono portate da V. per essere riutilizzate, principalmente, come materiale edilizio.
Assai importante una delle iscrizioni traslate a Lavello in cui è riportata - finora caso unico nell'epigrafia ebraica fra tardo antico e altomedioevo - una citazione del trattato Berachot, ossia delle “Benedizioni”, del Talmud Babilonese. L'iscrizione è dedicata a un Pwt ben Yovianu ben Pwt Levi, originario della terra dei Kittim. Secondo il Sefer Yosefon, un’opera scritta nel Mezzogiorno nel X secolo, la terra dei Kittim è la regione compresa tra il Tevere e Napoli[18].
Sulla fiorente comunità di V. nella seconda metà del IX secolo scese il silenzio. La comunità si dissolse, per ricomporsi, forse, in località più accoglienti come la vicina Melfi e le città in ascesa della costa pugliese. È possibile che grossi vuoti siano stati causati dalle guerre che afflissero la regione nei secoli IX e X. È noto che per V. la situazione disastrosa della città spinse nell'867 l'imperatore Ludovico II, che l’aveva strappata ai musulmani, ad interessarsi della sua ricostruzione.
Gli ebrei ricompaiono qui nel XV secolo, forse nel primo decennio come indicherebbe l’espressione nova iudea introducta in civitate ipsa venusina presente in un documento con cui nel 1412 re Ladislao di Durazzo conferma le grazie e i privilegi concessi alla città dalla regina Margherita, sua madre[19].
Nel 1491 la comunità era costituita da trentotto nuclei, o fuochi, che rispondevano ai seguenti nomi: Mosè Spagnolo, mastro Leo de Speranza, David Russo, Iacoy Frisco, Mosè Gallo, mastro Mosè de David, Strucco Frisco, Iacoy Frisco, Michele de Speranza, Samuele de Speranza, Samuele Frisco, Michele Frisco, David de rabbi Salomone, Aronne de Senise,Viene de Lecce, Sabatello de Lecce, mastro David, Mordocay Frisco, mastro Iacoy Sacerdote, Gabriele Solamello, Gabriele Baccalul, Daniele Sacerdote, mastro Simone Scavetto, Iosep Spagnolo, Consulo de Donna, Iannino de Senise, Isac de Trani, Ermio de Auro de Speranza, Nisim de Roca, Iosep Bagalo, Rabin Gallo, David de Bello, Ruben Frisco, Gabriele de Speranza, Daniele de Speranza, Daniele Frisco, Beniamino de Clara, Simone Levi e David Frisco[20]. Il cognome più diffuso, come si vede, è Frisco: nella forma Faci friscu, nata come soprannome o come deformazione del cognome Frisco, esso è attestato già in un documento del 1441. In quest'anno, infatti, le monache del monastero barlettano di S. Lucia diedero a censo in perpetuo a Iacoy Facifriscu, giudeo di V. ma cittadino di Barletta, una notevole estensione di terreno perché fosse dissodato e piantato a vigna[21].
Come nella tarda antichità, anche nel XV secolo gli ebrei di V. strinsero rapporti con quelli di altre comunità. Così nel 1454 il medico Rafael Frisco di V. sposò Bonella, figlia di Benedetto di Masello Teutonico di Bitonto e nel 1465 Moyse di Iacoy di V. convolò a nozze con Iora, figlia di Matteo Calci di Otranto. Nel 1485 Salomon b. Nahman copiò, poi, in Lecce per Daniel b. Yaqob Cuduto di V. un libro di preghiere ( Siddur) per tutto l’anno[22].
Se nel XV secolo tra gli ebrei locali c’era qualche agricoltore, gli altri erano prestatori, artigiani, mercanti. A motivo dell’area agro-pastorale, non c’è da stupirsi che un Consulo di V., insieme a Davit Sacerdoto di Trani, compaia nel 1468 come mercante di porci a Tortorella, nel Salernitano. Mastro Leone da V. commerciava a sua volta in bovini: nel 1497 egli non aveva ancora pagato una somma di 5 ducati per vitelli acquistati nel 1492 ad Ascoli Satriano dal duca Alfonso, l'erede al trono[23].
Nel disordine esploso all'arrivo di Carlo VIII di Francia (1495) molti giudei emigrarono e ci furono anche delle conversioni al cristianesimo. A V. si fece cristiano il medico mastro Daniele figlio di mastro Mosè medico, il quale prese il nome di Sigismondo, certamente in omaggio al vescovo della città, Sigismondo Pappacoda. Appena battezzato, bandì in V. e altrove che era pronto a soddisfare chiunque se sentesse agravato da epso, et che li havesse commisso uxura; sposò quindi una cristiana e nel 1497 volle esigere dei suoi creditori soltanto lo capitale[24].
La ripresa aragonese, con Ferrandino prima e con Federico poi, durò poco. La caduta del Regno sotto la sovranità spagnola (1503) segnò l'inizio della fine per l’ebraismo nel Mezzogiorno. Nel 1510 una prammatica di espulsione costrinse la quasi totalità dei giudei e dei cristiani novelli a cercare contrade più ospitali. I fuochi ebrei che abitavano a V. e che dovettero esulare furono undici[25].
L'espulsione del 1510 non fu vantaggiosa per le popolazioni del Regno, specialmente per le più povere e umili. Le autorità furono quindi costrette a richiamare gli ebrei e così si ricostituirono parecchie comunità o piccoli insediamenti, che durarono sino all’espulsione definitiva del 1541. Per la Basilicata, tuttavia, ci è noto solo il caso di V., dove nel novembre del 1535 l'università stipulò con Sabato di Daniele la convenzione per l'apertura di un banco di prestito. Tra i patti, degno di nota quello che stabilì la misura dell'interesse, o usura, fissata ufficialmente a 3 grana e mezzo per ducato al mese, se i pegni fossero stati in oro o in argento, e a 5 grana in ogni altro caso[26].
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[1] Sul complesso e le sue epigrafi, cfr. Ascoli, G., Iscrizioni inedite o mal note, pp. 39-64; Lacerenza, G., Le antichità giudaiche di Venosa, pp. 293-418; Colafemmina, C., Le catacombe ebraiche nell’Italia meridionale, pp. 120-129. 140-146; Leon, H.J., The Jews of Venusia, pp. 267-284; JIWE I, pp. 61-144, nn. 42-112.
[2] Colafemmina, C., Nuove scoperte nella catacomba ebraica, pp. 369-381; Id., Le testimonianze epigrafiche, p. 39.
[3] Colafemmina, C., Le testimonianze epigrafiche, p. 39.
[4] Colafemmina, C., Iscrizioni paleocristiane di Venosa, pp. 157-165.
[5] Colafemmina, C., Saggio di scavo in località “collina della Maddalena”, pp. 443-451; Id., Le catacombe ebraiche nell’Italia meridionale, pp. 126-128; Meyers, E.M., Report on the Excavations at the Venosa Catacombs, pp. 455-459.
[6] Colafemmina, C., Hebrew Inscriptions, p. 81; Id., Le catacombe ebraiche nell’Italia meridionale, p. 127.
[7] Frenkel, W., Nella patria di Q. Orazio Flacco. Guida di Venosa, pp. 190-198; Levi, L., Ricerche di epigrafia ebraica, pp. 132-151; Id., Le iscrizioni della «Catacomba nuova», pp. 367-371; Lifshitz, B., Les Juifs à Venosa, pp. 367-371; Noy, D., JIWE, I, pp. 144-148, nn. 113-116.
[8] Colafemmina, C., Nova e vetera nella catacomba ebraica di Venosa, pp. 92- 94, tav. II; JIWE, I, pp. 98-100, n. 75.
[9] JIWE, I, p. 148, n. 116.
[10] Grelle, F., Patroni ebrei in città tardoantiche, pp. 139-158; Colafemmina, C., Le testimonianze epigrafiche, pp. 37-40.
[11] Noy, D., JIWE, I, pp. 114-119; Colafemmina, C., Le testimonianze epigrafiche, pp. 39-40.
[12] Ritiene che gli apostuli fossero rappresentanti liturgici, o cantori, della locale sinagoga Lacerenza, G., Ebraiche liturgie e peregrini apostuli, pp. 61-72.
[13] Cfr. Klar, B., Megillat Ahimaaz, pp. 16-17; Colafemmina, C., Ahima‘az ben Paltiel, Sefer Yuhasin, pp. 82-87.
[14] Cfr. Klar, B., Megillat Ahimaaz, pp. 55-58.
[15] Ascoli, G., Iscrizioni inediti o mal note, pp. 67-79; Cassuto, U., Le iscrizioni ebraiche del secolo IX a Venosa, pp. 99-120 (ebr.); Colafemmina, C., Hebrew Inscriptions, pp. 65-77.79-80.
[16] Su questa rinascita, Simonsohn, S., The hebrew revival, pp. 831-858.
[17] Ascoli, G., Iscrizioni inedite o mal note, pp. 77-81, nn. 32-36; Colafemmina, C., Iscrizione ebraica inedita di Lavello, pp. 171-176; Id., Tre iscrizioni ebraiche altomedievali a Matera, pp. 103-116.
[18] Flusser, D., The Josippon, c. 1, 25-26: I, p. 7; Colafemmina, C., Hebrew Inscriptions, pp. 71-77.
[19] Cfr. Nigro, R. ( a cura di), Achille Cappellano. Venosa, 28 febbraio 1584. Descrittione della città de Venosa, sito et qualità di essa, pp. 48-49.
[20] ASNa, Sommaria, Partium 32 I, 194rv. Nel 1443 Venosa era tassata per 593 fuochi, nel 1494 per 700.
[21] Codice Diplomatico Barlettano, IV, p. 99, doc. 153.
[22] Richler, B., Hebrew Manuscripts in the Biblioteca Palatina, p. 284, n. [1089]. M. Beit-Arié definisce il rito del Siddur «Romanian (South Italian)».
[23] Leone, A., Profili economici della Campania aragonese. Ricerche su ricchezza e lavoro nel Mezzogiorno medievale, pp. 141-142; Colafemmina, C., Ebrei e cristiani novelli in Puglia, p. 134.
[24] Ferorelli, N., Gli ebrei nell’Italia meridionale, p. 193.
[25] ASNa, Licterarum deductionum foculariorum 3/2, 68v; Partium 79,166v.
[26] Paladino,G., Privilegi concessi agli Ebrei dal Viceré d. Pietro di Toledo, pp. 637-638.