Monteleone

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Monteleone

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Sorge alle falde del monte Poro, sul pendio di un colle prospiciente il Golfo di Sant’Eufemia, sul sito di precedenti insediamenti italici, greci, cartaginesi.. Città romana col nome di Vibo Valentia, subì varie distruzioni nell’alto medioevo; fu ricostruita nel 1235 per volere di Federico II e le fu dato il nome di Monteleone. Fu città demaniale, eccetto brevi intervalli, fino al 1501, quando fu infeudata ai Pignatelli.[1]  Nel 1443 era tassata per 497 fuochi, nel 1521 per 305. Nel 1929 riprese il nome romano di Vibo Valentia; nel 1992 divenne capoluogo dell’omonima provincia istituita in quell’anno.

Una presenza ebraica è attestata a Vibo Valentia nel V secolo e.v. da alcuni frammenti di ceramica – sembra di produzione locale – con impressa la menorah. Un epitaffio in lingua greca, dello stesso periodo, dedicato a un Antioco Samaritano, farebbe pensare anche a una presenza samaritana, a meno ché non si tratti di un samaritano di passaggio, defunto a Vibo e qui sepolto. L’iscrizione, infatti, fu rinvenuta vicino al porto.[2]

Quanto l’antica città fu ridotta a cumuli di rovine dalle incursioni barbariche, molti dei superstiti si rifugiarono sulla marina, tra i ruderi del porto, e l’abitato che vi sorse continuò il nome della città madre, Vibona, poi Bivona. Tra gli abitanti c’erano anche degli ebrei, attivi in quella che nel medioevo era l’arte precipua che essi coltivavano, ossia la tintoria delle stoffe.  Della tintoria di Bivona nel gennaio 1136 il re di Sicilia Ruggero II confermò la donazione a David, abate del monastero della Trinità di Mileto, insieme con la donazione allo stesso monastero dell’ebreo Leone e della sua famiglia, certamente i gestori della tintoria stessa.[3]

Le notizie riprendono in età angioina. Il 20 gennaio 1270 Carlo I d’Angiò attestò di avere ricevuto dai suoi incaricati i registri fiscali della provincia di Calabria, dai quali risultava la presenza di ebrei a Nicotera e a Monteleone. Qui abitava anche il neofito Pietro di Monteleone, già ebreo col nome di Iacobo Francigena di Catania. Egli aveva il titolo di milite e fu al fianco degli Angioini contro i filosvevi. Il 4 ottobre 1270 il re  ordinò al Giustiziere di Calabria di fare risarcire dai cristiani e dai giudei di Nicotera e di Seminara il suo fedele del danno di 162 once d’oro che aveva subìto quando le due città, parteggiando per Corradino di Svevia, devastarono e saccheggiarono  in Monteleone i beni dei seguaci della casa d’Angiò.[4]

Sul finire del XIII secolo il proselitismo degli Angioini portò al collasso della maggior parte delle comunità ebraiche del Mezzogiorno. Non sappiamo, per mancanza di documentazione, quello che può essere accaduto a Monteleone. E’ però certo che nel primo decennio del XIV secolo nella città era viva e attiva una comunità ebraica, i cui membri erano specializzati – certo per antica tradizione – nel commercio della seta e nella tintoria. Nel 1311, infatti, gli ebrei si lamentarono che i gabellieri della seta entravano nelle loro abitazioni e le frugavano,  sequestrando la seta che vi trovavano, quantunque gli ebrei l’avessero fatta passare regolarmente per il regio fondaco e avessero pagato

 la tassa dovuta. I soprusi continuarono. Nel 1324 il baiulo di Monteleone pretendeva, contro ogni consuetudine, una speciale imposta sulla tintoria esercitata dai giudei, e in maniera tanto scandalosa, da indurre le stesse autorità locali a rivolgersi al re, che è ora Roberto il Saggio, per un provvedimento di equità. Nella richiesta viene specificato che i colori con cui  i Giudei tingevano le stoffe erano il giallo, il nero e il rosso.[5] Agli ultimi decenni dell’età angioina, e precisamente al 10 gennaio 1425, risale la concessione da parte di Ludovico III d’Angiò a Iosep Cohen di Monteleone della facoltà di esercitare l’arte medica in tutto il ducato di Calabria previa autorizzazione di Giorgio d’Alemagna, governatore della provincia.[6]

L’età aragonese si apre con la concessione nel 1452 a Davide de Salamone e a sua moglie di una moratoria di tre anni per estinguere il debito che essi avevano nei confronti di una Polissena, vedova di Antonio Abruzzese.[7] Nel 1491, su ricorso della comunità, la Camera della Sommaria ordinò al tesoriere provinciale di non costringere i giudei della città al pagamento di un contributo straordinario di tre carlini a fuoco che era stato imposto agli abitanti della provincia per il restauro delle fortificazioni, essendo i giudei esenti per privilegio sovrano da tale genere di contribuzioni.[8]Ai giudei di Monteleone, però, che rifiutavano di comparire dinanzi al capitano della città per le cause che li riguardavano, non ritenendolo il loro giudice competente, la Camera della Sommaria il 21 maggio 1494 riaffermò l’autorità del capitano a ministrare loro giustizia, come faceva con i cristiani, raccomandandogli in questo esercizio imparzialità e disinteresse. Lo stesso giorno la Sommaria scrisse al tesoriere provinciale di informarsi su un esposto delle autorità di Monteleone, in cui si lamentava che i giudei forestieri che abitavano nella città si rifiutavano di pagare la gabella di quanto vendevano nel mercato, detta della bilancia e della piazza, gabella che invece pagavano nelle località vicine e che avevano pagato in passato nella stessa Monteleone. La relazione del tesoriere sarebbe stata presentata  al re, che avrebbe deciso in merito.[9]

Nel 1495 il regno di Napoli fu invaso da Carlo VIII di Francia e sollevazioni antigiudaiche esplosero un po’ dappertutto, con saccheggi dei beni e violenze sulle persone per indurle a convertirsi. Il terrore suscitato dall’arrivo delle milizie del cattolicissimo re di Francia, spinse 22 famiglie ebraiche di Monteleone a fuggire dalla città e a rifugiarsi all’estero. Di esse nel 1497 le autorità di Monteleone chiesero al nuovo sovrano legittimo, Federico II d’Aragona, lo sgravio fiscale, perché nel censimento quei nuclei erano stati annoverati con la popolazione locale. La richiesta fu rinnovata nel 1498. Il 20 maggio 1500 la Sommaria emise l’ordine di sgravio per 18 dei nuclei fuggiti; una famiglia infatti era ritornata ad abitare a Monteleone ed un’altra era andata ad abitare a Catanzaro, ed ambedue i nuclei, quindi, dovevano sottostare al pagamento delle tasse. Da notare che dalla richiesta di sgravio inviata dal comune alla Sommaria nel 1498, ma già dal registro del 1496 del tesoriere provinciale, risulta che quando arrivarono i francesi, a Monteleone ci furono ebrei che soccombettero alla violenza fisica o morale e accettarono il battesimo. A nome di questi giudei battezzati (Iudei bachtyati) il neofita Giovanni Battista prestò nel 1496 alla Corte cinque ducati per le necessità del re; altri  privati cittadini prestarono 51 ducati e 2 grana. Nel 1498 la Camera della Sommaria si disse disposta a scomputare queste somme dai contributi fiscali ordinari dovuti dalla città.[10]

La comunità di Monteleone, ridotta ormai a due-tre famiglie, ha la sua ultima attestazione negli anni immediatamente precedenti l’espulsione decretata nel 1510 da Ferdinando il Cattolico, nuovo sovrano del regno di Napoli. Nel 1508 essa era tenuta a partecipare con una quota di 3 ducati e 10 grana al contributo di 450 ducati imposto ai giudei di Calabria quale loro parte del donativo promesso dai giudei del regno alla Corte. Della piccola quota, il 2 giugno 1508 Michele Isac versò all’esattore un ducato, un tarì e 18 grana e mezzo. Il resto della somma fu incassato dall’esattore l’anno seguente, il 1509.[11]

Non sembra che a Monteleone si sia ricostituita dopo il 1511 una presenza ebraica stabile. Non vi mancarono però mercanti ebrei ambulanti, come quell’ Aron Canciola, abitante a Tropea, che  nel 1536 presentò denuncia contro i responsabili dei fondaci di Bivona e di Cosenza per avergli sequestrato i  panni che egli portava a vendere nelle fiere di Monteleone e di Cosenza.[12]

Secondo gli storici locali, gli ebrei nel XV secolo abitavano a Monteleone nella viuzza che collegherà poi il Collegio Filangeri, l’attuale Palazzo Murmura e l’orto di Francia (ora villa dei Gagliardi) fino al ciglione dei Cappuccini. [13]

 

Bibliografia: F. A. Cuteri, Ebrei e Samaritani a Vibo Valentia in età tardo antica: le testimonianze archeologiche, in “Sefer Yuhasin” 25-26 (2008-2009), pp. 17-38.


[1]F. Albanese, Vibo Valentia nella sua storia, Vibo Valentia 19742;  M. Pellicano Castagna, Storia dei Feudi e dei Titoli Nobiliari della Calabria, III, Catanzaro Lido 1999, pp. 234-255.

[2] Noy, JIWE, I, pp. 177-178, n. 138; Cuteri, Ebrei e Samaritani, pp. 17-38.

[3] Ménager, L’Abbaye Bénedictine de la Trinité de Mileto, pp. 52-53, 64.

[4] Minieri Riccio, Alcuni fatti , p. 94; RCA III,  p. 160, n. 30; RCA VI, p. 5; Dito, La storia, p. 160.

[5] Caggese, Roberto d’Angiò, I, 301 (rimanda in nota anche a Reg. Ang.  291, fol. 365 del 2 febbraio 1334).

[6] RCA XXXIV: 51, n. 375.

[7]Mazzoleni, «Codice Chigi», 316-317, Doc. 311.

[8] ASNA, Sommaria, Partium  32/I, fol. 175v.

[9] ASNA, Sommaria, Partium 40, foll. 266r, 268v

[10] ASNA, Sommaria, Tesorieri e percettori 4059, fol. 11r; Partium  46, foll. 94rv-95r; Partium 51, fol. 28rv. Lo storico Vito Capialbi riferisce di un documento del XV secolo, estratto dall’Archivio di Napoli nel 1820, in cui erano registrati 315 Giudei dimoranti nella Giudecca di Monteleone. Vedi Opuscoli varii, Tomo III, Napoli 1849, p. 397. Probabilmente il documento registrava i nuclei familiari e i membri di ciascun nucleo, sia dei giudei stanziali, sia di quelli immigrati di recente.

[11]ASNA, Sommaria,  Tesorieri e percettori  4064.

      [12] Colafemmina, Per la storia, pp. 164-165, doc. 84.

      [13] Albanese, Vibo Valentia nella sua storia, I, p. 223.

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