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Monopoli (מונופולי, מנופלי)
Sorge sulla costa dell’Adriatico, a sud-est di Bari, alla cui provincia appartiene. Di origine medievale, ebbe importanza sia con bizantini e normanni, sia con veneziani e spagnoli. Fino al sec. XIX fu il principale centro di esportazione dell’olio dal regno di Napoli. Nel 1443 era tassata per 409 fuochi, nel 1521 per 760. Città vescovile dall’XI secolo.
Una pergamena attestava l’esistenza a Monopoli nel 1340 di una “via degli Ebrei” sita nel quartiere delle ”Chiuse”: in pittagio clodarum in ruga, que dicitur Hebreorum”.[1] Il toponimo tramandava la memoria di un’antica presenza, che il proselitismo angioino probabilmente aveva disfatto sul finire del XIII secolo. Per decenni, infatti, nei documenti prevale la menzione dei neofiti. Così il 22 luglio 1467 i neofiti di Monopoli, insieme con quelli di Taranto, Martina, Ostuni e altre località, ottengono una lettera di remissione generale di qualsiasi crimine commesso fino a quella data. Il 6 dicembre 1469, su querela dei neofiti di Altamura e di Monopoli, re Ferrante I ordinò al percettore provinciale di distribuire agli esponenti solo la misura di sale che essi erano tenuti ad acquistare dal Fisco, senza obbligarli a quantità superiori.[2]
La presenza di ebrei ricompare nella documentazione l’ultimo decennio del secolo XV. Nel 1490 si trovava carcerato a Monopoli un ebreo, probabilmente di Ferrara, in favore del quale intervenne la duchessa di questa città, Eleonora d'Aragona, figlia di Ferrante I di Napoli. In seguito a un memoriale da lei presentato, la Camera della Sommaria ordinò di soprassedere alla punizione corporale dell’ebreo e di informarsi sull’entità dei suoi beni, non essendo egli poverissimo come era sembrato. Nel 1492 la stessa Camera ordinò alle autorità locali e ai gabellieri di non costringere un ebreo di nome Consiglio al pagamento straordinario di un carlino a oncia sui pegni venduti, perché tale imposizione era contraria ai privilegi concessi dal re ai giudei.[3]
Intorno a questi anni era attivo a Monopoli un rabbino di nome Levi. Questi, offeso perché la comunità non l’aveva sostenuto in una controversia con un abitante del luogo, la scomunicò e abbandonò la città. Da allora la comunità patì numerose gravi sventure e, nonostante nel frattempo quasi tutti i membri della vecchia generazione fossero scomparsi, persisteva il dubbio che la scomunica fosse ancora in vigore. Fu consultato al riguardo il saggio Rabbi Meir Katzenellenbogen (1482 ca.-1565) – detto Meir da Padova o Maharan Padova – il quale stabilì la procedura per porre fine alla scomunica: un superstite della comunità si sottoponesse per trenta giorni agli obblighi della scomunica e poi chiedesse a tre maestri di esserne liberato. I tre maestri dovevano però essere pari in saggezza al defunto autore dell’interdetto. Se non ce ne fossero sul posto, si cercasse più lontano o in Turchia.[4] Non ci sono dubbi che Rabbi Levi sia lo stesso che nel 1492 fece ricorso contro il capitano della vicina Brindisi perché voleva obbligarlo a restituire il denaro che gli era stato pagato da correligionari quale onorario per alcune cause matrimoniali che egli erano state affidate affinché le risolvesse secondo la Legge mosaica.[5]
Il 29 giugno 1495, la repubblica di Venezia, alleata degli aragonesi contro Carlo VIII di Francia che aveva conquistato il Regno di Napoli, s’impossessò di Monopoli scacciandone il presidio francese, ma infliggendo nell’evento agli abitanti violenze di ogni sorta. Per risollevarsi dalla prostrazione, la città presentò nel 1497 al nuovo governo la richiesta di una serie di grazie. Fu così accordato, tra l’altro, ai cittadini una dilazione di cinque anni, e non di dieci come era stato chiesto, per pagare alcuni “marani” i quali avevano dato loro denaro a interesse; di restituire, entro sei anni, il solo capitale e non l’interesse a quegli ebrei che per timore dei francesi avevano restituito i pegni ai debitori, pegni che per il saccheggio subito erano stati poi perduti dai proprietari.[6]Nel mese di maggio dello stesso anno si presentò a Venezia anche il vescovo di Monopoli, Urbano de Caragnano (1485-1508), già cacciato dalla città con l’accusa di essere filoaragonese, per discolparsi e chiedere di riscuotere le sue entrate. La richiesta fu esaudita e il Senato della repubblica ordinò in data 2 giugno 1497 ad Aloisio Loredano, governatore di Monopoli, di restituirgli le rendite, ordine ribadito il 15 settembre dello stesso anno. Ci furono di certo resistenze a Monopoli, almeno per quanto concerneva i diritti sul ebrei. Nell’istanza presentata al nuovo governatore il 17 febbraio 1499, infatti, il vescovo rivendicava l’esercizio della giustizia su tutti i giudei commoranti nella città e lo ius platee, consistente nel diritto di esigere tre soldi per ducato sul valore delle diverse vendite che si facevano nella pubblica piazza.[7]
Alviso Loredano fu ricordato per il buon governo tenuto in Monopoli, e ricevette grandi lodi e doni quando cessò dalla carica. Solo la comunità ebraica non dovette essergli grata. E ben a ragione. Il 5 dicembre 1498, infatti, lo troviamo dinanzi al Collegio dei Savi, a Venezia, accusato di avere tolto denari e robe ad alcuni giudei in Monopoli, e condannato alla restituzione. Egli cercò di scolparsi, ma in una lettera scritta da Monopoli dal sindaco Nicolò Dolfino si legge che il mittente aveva ricevuto lettere dalla Signoria circa certi denari di ebrei tolti da ser Alviso Loredano, olim governatore; allega quindi l’inventario delle robe, denari, gioie e anelli di cui quello si era appropriato, assicurando che dalle indagini fatte a Mola e a Monopoli aveva rilevato che si era impossessato di circa 600 ducati e altro. Il Muciaccia dice di non avere trovato notizie che l’ex governatore sia stato punito per tali malefatte.[8]
Nella Monopoli saldamente nelle mani di Venezia, era giunto da Corfù alla fine del 1495 don Isaac Abravanel, il grande statista, esegeta e pensatore profugo dalla Spagna. Negli anni trascorsi nella cittadina pugliese don Isaac si dedicò a vasti lavori esegetici e filosofico-teologici. Vi completò alcuni testi di esegesi, tra cui il commento sul Deuteronomio e Zevah Pesah (“Sacrificio pasquale”), e scrisse, su richiesta del figlio più giovane Samuele, che studiava a Salonicco, Nahalat Avot (“L’eredità dei Padri”). Attratto dal tema della redenzione, che calcolò doveva realizzarsi nel 1503, affidò il suo pensiero a una trilogia messianica: Ma‛yenē Yeshu‛ah (“Le fonti della salvezza”), Yeshu‛at Meshiho (“La salvezza del suo Messia”) e Mashmia‛a Yeshu‛ah (“La proclamazione della salvezza”). Al problema della creazione dedicò Shamayim hadashim (“Cieli nuovi”) e Mifalot Elohim (“Prodigi di Dio”).[9]
La dimora di don Isaac a Monopoli durò sino al 1503, quando lasciò la città per Venezia, dove morì nel dicembre 1508. I. Sonne ritiene che anche il figlio Iehuda-Leone, l’umanista autore dei Dialoghi d’Amore, sia vissuto qualche anno a Monopoli.[10] Da notare che nel marzo 1503 le autorità di Monopoli chiesero alla Serenissima che i cristiani novelli, detti marrani, che erano emigrati in Turchia ed erano tornati all’ebraismo, non potessero affidare a procuratori la riscossione dei denari dati a usura prima di partire, ma solo recandosi personalmente a Monopoli. La risposta fu positiva.[11]
Don Isaac ebbe a Monopoli una cerchia di allievi, tra cui il rabbino di origine siciliana Hayyim Yona, come si deduce dalla sottoscrizione autografa al termine di un brano che questi ricopiò dal commento del Maestro iberico alla Guida dei perplessi di Maimonide: “Direttamente dalla sua bocca ho ascoltato capitoli interi della Guida e di ciò che sono stato degno di ricevere alla sua presenza mi ha ordinato di scrivere questa nota e le due questioni summenzionate, derivate direttamente dalle sue parole”.[12] Hayyim Yona fu a Monopoli tra il 1500 e il 1504, svolgendo la funzione di dayyan (giudice rabbinico); la sua firma compare, insieme a quella dei suoi colleghi Iaqov figlio di Iosef ha-Lewi e Iehuda figlio del defunto R. Shemuel in una decisione in materia matrimoniale datata 2 Siwan 5264 (= 15 maggio 1504).
Nel 1503 Ferdinando il Cattolico divenne sovrano del regno di Napoli e alcuni anni dopo ottenne da Venezia la restituzione delle città costiere pugliesi, tra cui, l’8 giugno 1509, Monopoli. Nel novembre dello stesso anno il sovrano ordinò l’espulsione generale degli ebrei e dei neofiti dal Mezzogiorno. L’ordine fu eseguito anche a Monopoli e le autorità locali chiesero nel 1511 alla Camera della Sommaria la cancellazione degli esuli dai ruoli dei contribuenti. Dalle indagini risultò che a Monopoli erano state censite, insieme con i 1079 fuochi della città, 19 famiglie di cristiani novelli, 5 delle quali erano state già escluse dagli oneri fiscali. Per le 14 famiglie esuli la Sommaria concesse lo sgravio fiscale.[13]Nel 1517 alcune famiglie ritornarono, due ristabilendosi a Monopoli – Angelo Bastase e Angelo Secondo – altre cinque in località vicine. Nel 1515 Angelo Secondo aveva presentato ricorso contro l’espulsione, affermando di non essere compreso nell’ordine di esilio avendo ricevuto gli ordini sacri. Degli altri espatriati, uno si era trasferito a Venezia, gli altri a Salonicco.[14]
Nel marzo 1528 Venezia, approfittando dell’impresa del Lautrec contro il regno di Napoli, occupò di nuovo Monopoli. Il 28 giugno 1528 la città presentò all’approvazione della Serenissima una serie di capitoli. Uno conteneva ancora una volta la richiesta che al vescovo, il francescano Teodoro de Piis (1515 - 1539), fossero restituite le entrate di cui era stato privato e la giurisdizione sui giudei. Sulle entrate, la risposta fu positiva; sulla giurisdizione, si rispose di osservare la consuetudine. In un altro capitolo fu chiesto, e ottenuto, che i giudei non potessero vendere i pegni ricevuti a garanzia dei prestiti, neppure se fosse trascorso il termine per la soddisfazione del debito.
Nel gennaio 1530 Venezia fu costretta a restituire Monopoli a Carlo V e al viceregno di Napoli. In questi anni sono attestati come ebrei di Monopoli Rafael de Bello Infante Sacerdote, Melo Belloinfante, Melo Zizo. Nel 1533 Angelo Secondo, già noto come neofito, fa da tramite fra l’università e gli ebrei baresi Daniele de Eleazar, magistro Pumodoro de Speranza e Gabriele de Speranza per ottenere un prestito di 135 ducati a favore della locale università.[15] Ma si è ormai alla fine dell’ebraismo nell’Italia meridionale con l’espulsione generale decretata nel 1540 da Carlo V e completata il 31 ottobre 1541.[16]
E’ probabile che si colleghi al marranesimo veneto-pugliese l’Accademia Ebraica di Filosofia fondata in Monopoli verso il 1550 da Teofilo Panarelli, un medico-inventore-filosofo, impiccato e poi abbruciato a Roma come eretico nel 1572.[17]
Bibliografia: A. David, Fonti ebraiche relative alla vita intellettuale degli ebrei nel regno di Napoli tra la fine del XV secolo e l’inizio del XVI secolo, in “Itinerari di ricerca storica” 20-21 (2006-2007), Tomo I, pp. 231-249; B. Ogren, La questione dei cicli cosmici nella produzione pugliese di Yishaq Abravanel, ib., pp. 141-162; G. Indelli, Istoria di Monopoli del primicerio Giuseppe Indelli, a cura di M. Fanizzi, con note di C. Tartarelli, Fasano 1999; A. Menga, L’umanista Leone Ebreo a Monopoli verso la fine del Qattrocento, in D. Cofano (a cura di), Monopoli nell’età del Rinascimento. Atti del Convegno Internazionale di Studio (22-24 marzo 1985). Monopoli 1988, pp. 355-368; F. Muciaccia, I Veneziani a Monopoli. Da documenti inediti (1495-1530), Trani 1898; B. Netanyahu, Don Isaac Abravanel. Statesman & Philosopher, Philadelphia 1972; S. Schwarzfuchs, I Responsi di Rabbi Meir da Padova come fonte storica, in Scritti in memoria di Leone Carpi, a cura di D. Carpi, A. Milano, A. Rofé, Gerusalemme 1967, pp. 112-132.
[1] Indelli, Istoria di Monopoli, p. 344. Sull’ubicazione della “giudecca” e della sinagoga a Monopoli, cf. G. Bellifemine, La Basilica Madonna della Madia in Monopoli, Fasano 1979, pp. 17-18; Id., La Basilica Santa Maria degli Amalfitani in Monopoli, Fasano 1982, pp. 28-42.
[2]CDB XII, p. 473 e nota 2.
[3] Colafemmina, Documenti per la storia degli ebrei in Puglia, p. 81, doc. 63; pp. 107-108. doc. 92.
[4] Schwarzfuchs, I Responsi di Rabbi Meir da Padova, pp. 122-123.
[5] Colafemmina, Documenti per la storia degli ebrei in Puglia, p. 108, doc. 93.
[6] Muciaccia, I Veneziani a Monopoli, pp. 14-15; X-XI.
[7]Muciaccia, I Veneziani a Monopoli, pp. 11-12; 33-34; VI-VII; Indelli, Istoria di Monopoli, pp. 344-45.
[8] Muciaccia, I Veneziani a Monopoli, pp. 18-19.
[9] Netanyahu, Don Isaac Abravanel, pp. 74-81.
[10] I. Sonne, Intorno alla vita di Leone Ebreo, Firenze 1934, pp. 20-22.
[11] Muciaccia, I Veneziani a Monopoli, pp. 60, XXXV.
[12] David, Fonti ebraiche, pp. 236-237.
[13] Colafemmina, Documenti per la storia degli ebrei in Puglia, pp. 238-239, doc. 253 (11 giugno 1511); p. 261, doc. 283 (13 agosto 1512).
[14] Ib., p. 279, doc. 306; pp. 288-291, doc 314 (27 marzo 1517), doc. 315 (21 aprile 1517).
[15] Colafemmina, Dibenedetto, Gli Ebrei in Terra di Bari, pp. 67, 70, 73. Vedi anche Bellifemine, La Basilica Santa Maria degli Amalfitani, p. 31.
[16] Non sono prova di persistenza della presenza ebraica a Monopoli le elemosine date nei secoli XVI-XVIII a “ebrei divenuti cristiani”, tra cui, nel 1713, “una ebrea, Principessa di Ginevra”. In realtà, a eccezione, forse, di qualche ebreo fatto schiavo, si trattava di scrocconi. Sulla registrazione delle elemosine, cf. Bellifemine, La Basilica Madonna della Madia, p. 18
[17] P. Sorrenti, Le Accademie in Puglia dal XV al XVIII secolo, Bari 1965, pp. 39-41; D. Orano, Liberi pensatori bruciati in Roma dal XVI al XVIII secolo, Foggia 1980, pp. 51-56.