Molfetta

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Molfetta

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In provincia di Bari, sulla costa adriatica, a nord del capoluogo. Sorse  in territorio abitato sin dalla preistoria, ma ricordata solo dal secolo XI. Fu città demaniale sotto gli Svevi, gli Angioini e gli Aragonesi; nel 1507 Ferdinando il Cattolico, nuovo signore del Regno, conferì il dominio di Molfetta alla sorella Giovanna, vedova di Ferrante I. Dal 1521 la città fu feudo dei duchi di Termoli e dal 1531 al 1640 dei Gonzaga di Guastalla. Nel 1443 fu tassata per 455 fuochi, nel 1532 per 765. Città vescovile dal secolo  XI.

Il più antico documento finora noto sulla presenza di ebrei  a Molfetta tramanda l’acquisto di un uliveto effettuato nel maggio 1197 da Seniore di Giacobbe di Trani. L’uliveto, pagato tre once d’oro, si trovava in località Corte, sulla via per Terlizzi, e confinava con un terreno del vescovo di Molfetta[1]. Risale probabilmente a questi anni il costituirsi della Closoria  Iudeorum, un esteso oliveto situato in contrada  Valascia, sulla strada per Bitonto[2].

Seniore  di Giacobbe era certamente un prestatore, come  Samuele di Barone (1257), Rubeo di Marzullo (1260) e Marzullo di David (1269), tutti di Trani[3]. Gli ebrei di Trani perseverarono nell’attività  bancaria a Molfetta anche dopo che, sotto le pressioni angioine, erano passati per la maggior parte al cristianesimo (1294). Nel 1328 numerosi cittadini di Molfetta ricorsero al re, Roberto d’Angiò, lamentando che, avendo avuto bisogno di contrarre mutui presso neofiti tranesi, si erano tanto rovinati che non solo non erano in grado di pagare le imposte, ma neppure di provvedere al proprio quotidiano sostentamento[4]. Nel 1446 abitava a Molfetta il neofita tranese Coluccia de Nazzo, che esercitava il mestiere di speziale in società con il napoletano Giovanni Vitaliano[5].

Di un insediamento stabile di ebrei nella città si ha notizia solo in età aragonese. Sembra che tali ebrei fossero profughi dal Mezzogiorno della Francia. Uno di essi, il medico Salamone Origer da Avignone, chiese nel 1490 a Ferrante I la facoltà di esercitare la sua arte nel Regno e di sostenere in Molfetta l’esame di scienza e pratica medica previsto dalle leggi. Il re accolse la richiesta e affidò l’esame al medico molfettese Antonello de Lacertis[6]. Era certamente il medico Salamone Origer il  misser Salamone ricordato dal poeta Rogeri de Pacienza come autore e declamatore di una supplica giocosa in francese maccheronico a favore di due galli rivolta alla regina Isabella del Balzo, moglie di Federico II d’Aragona, nel corso del suo ricevimento a Molfetta il 9 giugno 1497[7].

Un lettera della Camera della Sommaria attesta che insieme con mastro Salamone Origer si trovavano in Terra di Bari altri ebrei provenzali, tra cui la suocera di Salamone, mastro Mosè de Monteaux, Boniar de Alez e suo figlio Bonnia. La lettera, datata 9 agosto 1490, ordinava alle comunità della provincia di non molestare fiscalmente tali ebrei perché essi risultavano registrati con gli ebrei di Terra di Lavoro[8]. Altri due ebrei, provenienti dal Mezzogiorno della Francia e divenuti cittadini molfettesi erano Isac de Largentière e suo figlio Iacob. Essi si occupavano di mercatura e di prestito di denaro[9].

La riscossione dei crediti non sempre era facile, specialmente in tempi calamitosi come quelli che accompagnarono la conquista del regno di Napoli da parte di Carlo VIII di Francia nel 1495. Molfetta, che era rimasta con la sua parte popolare fedele agli Aragonesi, chiese nel 1497 una proroga di quattro anni per il pagamento dei debiti contratti da molti cittadini presso «molti iudei habitanti in Molfetta et in altre parti del Regno». Il pagamento avrebbe dovuto limitarsi al solo capitale, escludendo cioè gli interessi; gli ebrei, inoltre, avrebbero dovuto restituire tutti i pegni che erano stati loro affidati. Re Federico accolse solo la richiesta concernente la restituzione del solo capitale, la cui dilazione fu però limitata allo spazio di due anni[10].

All’inizio del XVI secolo gli spagnoli e i francesi si contesero il regno di Napoli, che si erano segretamente spartiti con l’accordo di Granata dell’11 novembre 1500. A Consalvo di Cordova, che comandava l’esercito spagnolo, si presentarono nel 1501 i legati di Molfetta per chiedere la conferma delle consuetudini e dei privilegi fino allora goduti e la concessione di nuove grazie. Una di queste concerneva i cristiani novelli di Trani che nel 1495 si erano rifugiati a Molfetta per sfuggire alle violenze che erano insorte contro di loro[11]. L’Università chiese e ottenne nel che essi continuassero a restare in città e a trafficare liberamente per tutto il Regno. Essa ottenne ancora che i Re Cattolici, nel caso decidessero di espellerli - come era accaduto in Spagna - concedessero loro quattro mesi di tempo per predisporli a uscire, senza molestia per le persone e i beni[12].

  La guerra che scoppiò tra spagnoli e francesi convinse però molti ebrei e cristiani novelli ad abbandonare la Puglia per recarsi altrove, specialmente in Turchia. Per Molfetta ciò è attestato da un capitolo presentato nel 1507 a Giovanna d’Aragona, signora di Molfetta. L’Università affermava che gli interessi avevano enormemente accresciuto i debiti contratti con gli ebrei, la maggior parte dei quali, dopo essersi cautelati con pubbliche scritture, erano emigrati fuori del Regno e in Turchia. L’Università chiese che i crediti fossero annullati, sia perché concessi a interesse, sia perché, una volta riscossi, anche il denaro se ne sarebbe andato all’estero[13]. In quel tempo erano annoverati con l’Università di Molfetta solo due fuochi ebrei. Nel 1510, invece, anno della prima espulsione degli ebrei dal Regno, i nuclei ebraici erano 7, su un totale di 581 fuochi cittadini[14].

Come in altre località, gli ebrei dopo qualche anno tornarono. Nel 1521 essi pagarono i contributi fiscali in Trani per mano di Robi Moises Levi. Nel 1533, due loro delegati, Iosep e Sciaul Sciallum parteciparono in Bari all’elezione di un rappresentante delle comunità di Terra di Bari da inviare a Napoli insieme con Samuel Abravanel per negoziare la permanenza degli ebrei nel Viceregno minacciati di espulsione[15].

Sino al 1541, anno della definitiva cacciata degli ebrei dall’Italia meridionale, i protocolli notarili attestano nella città una loro fiorente attività commerciale e creditizia. Oggetto del commercio erano per lo più tessuti e capi di vestiario, e i mercanti più attivi erano i fratelli Iosep e Simone de Muscillam, in società spesso con Santoro de Maymon di Napoli, qualche volta con Samuel Abravanel. Operava a Molfetta anche Isac Trevo di Bari, il quale concesse un prestito di 362 ducati all’Università cittadina, che diede in pegno diciotto immagini e vasi d’argento del peso di 43 libbre e 3 once. Il 1 luglio 1538 i sindaco restituì il denaro e riebbe indietro i pegni con la quietanza[16].

Dopo il 1541, rimasero a Molfetta solo alcuni discendenti degli antichi neofiti tranesi del 1294, designati ancora nel XVII secolo come «cristiani novelli». La qualifica era infamante  e attorno al 1648 un de Boctunis diede del denaro a Baldassarre de Nesta, archivista dell’Università, perché la cancellasse dalla sua famiglia e da quella degli Antonelli. Ci fu però una denunzia contro il de Nesta da parte di nobili rivali. L’archivista fu incarcerato nel castello di Bari e il de Boctunis fu condannato al pagamento delle spese.

Nel 1760 un ebreo proveniente da Trieste, di nome Iacob di Israel Cohen, fu ricoverato in fin di vita nell’ospedale di Molfetta. Scoperto che era ebreo, fu oggetto di una accanita catechesi, che finì col prevalere sulla sua resistenza. Fu quindi battezzato e gli furono imposti i nomi di Giuseppe Maria Pietro Fortunato. Egli guarì dall’infermità che lo aveva colpito e dopo la convalescenza riprese il cammino per Napoli, per esercitarvi l’arte di orefice e incisore di gemme, dotato di una lettera commendatizia di mons. Celestino Orlandi, vescovo di Molfetta[17].


[1]Codice Diplomatico Barese, VII, a cura di Carabellese F., Bari 1912, p. 101, doc. LXXVI.

[2]De Gennaro G., Il “Liber appretii” di Molfetta nei primi del Quattrocento, Bari 1963, pp. 67, 79, 116, 128. Nel 1572 è attestato nella campagna molfettese anche il toponimo Lo palmento de li Iudei.  Il “palmento” era il frantoio per uve. Sui due toponimi, cf.  Colafemmina C., Ebrei e cristiani novelli in Puglia. Le comunità minori, Bari 1991, pp. 61-64.

[3]Ib., p. 142, doc. CX; p. 150, doc. CXX; pp. 163-164, doc. CXXVIII.

[4]Caggese R., Roberto d’Angiò e i suoi tempi, Firenze 1922, I, p. 307.

[5]Carabellese F., La Puglia nel secolo XV da fonti inedite, Bari 1901-1907, I, p. 90.

[6]Tridente M., “A proposito di un esame di medicina sostenuto in Molfetta (Da un documento inedito del 1490)”, Gazzetta Internazionale di Medicina e Chirurgia 49 (1940), n. 6-7, pp. 18-26; Colafemmina C., Ebrei e cristiani novelli in Puglia cit., pp. 68-69.

[7]Rogeri de Pacienza, Lo Balzino, V, 1118-1186, 1535, in Opere, a cura di M. Marti, Lecce 1977, pp. 175-177, 186.

[8]Colafemmina C., Documenti per la storia degli ebrei in Puglia nell’Archivio di Stato di Napoli, Bari 1990, pp. 156-157, doc. 163.

[9]Colafemmina C., Ebrei e cristiani novelli in Puglia  cit., pp. 71-73.

[10]Magrone D., Libro Rosso. Privilegi dell’Università di Molfetta, Trani 1902, II, pp. 268-269, doc. LVI, 9.

[11]Vitale V., “Un particolare ignorato di storia pugliese: neofiti e mercanti”, in Studi di Storia napoletana in onore di M. Schipa, Napoli 1926, pp. 233-246.

[12] Magrone D., Libro Rosso  cit., III, Trani 1905, pp. 103-104, doc. I, 7.

[13] Magrone D., Libro Rosso  cit., III, p. 115, doc. VII, 3.

[14] ASNa, Sommaria, Tesorieri e Percettori di Terra di Bari 5385, fol. 22v; ib., 5386, fol. 65v.

[15] ASNa, Sommaria, Tesorieri e Percettori di Terra di Bari 5387 (2 luglio 1521); Colafemmina C., Corsi P., Dibenedetto G. (a cura di), La presenza ebraica in Puglia. Fonti documentarie e bibliografiche, Bari 1981, pp. 78-80, docc. 43-44.

[16] Cfr. Colafemmina C., Ebrei e cristiani novelli in Puglia cit., pp. 75-77; Colafemmina C., Dibenedetto G. (a cura di), Gli Ebrei in Terra di Bari durante il Viceregno spagnolo. Saggio di ricerche archivistiche, Bari 2003, pp. 171-181.

[17]Colafemmina C., Ebrei e cristiani novelli in Puglia cit., pp. 78-81.

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