Capua

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Capua

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Provincia di Napoli. Di origine etrusca (Capeva), divenne uninsediamento romano, nel quale si originò la nota rivolta dei gladiatori capeggiati da Spartaco. La C. antica fu distrutta dai mercenari saraceni al soldo del Principe Radelchi di Benevento nel IX secolo e venne, per questo, ricostruita dagli stessi longobardi nel sito precedentemente occupato da Casilinum. A testimonianza del passato restò, però, nei secoli successivi il casale di Santa Maria Maggiore, dove nel 1277 nacque il futuro re Roberto il Saggio. Intanto, nel X secolo il nuovo centro era divenuto capitale di un omonimo Principato, che comprendeva tutta la Terra di Lavoro sino al Garigliano. Passata nell’XI secolo sotto il controllo dei Normanni, C. andò in seguito in mano agli Svevi e, quale località militarmente strategica, fu, poi, al centro delle contese con gli Angioini. Quando questi ultimi ebbero il sopravvento, la città divenne sede della Magna Curia e ancora sotto gli Aragonesi godette di importanza politica e culturale. Saccheggiata da Cesare Borgia nel 1501, infine, C. subì un netto ridimensionamento con l’avvento degli spagnoli, pur restando una prospera piazzaforte.

Una presenza ebraica a C. esisteva con certezza in epoca romana e tardo-imperiale[1] e sotto il dominio longobardo[2]. Il nucleo israelitico locale era florido e sul finire del X secolo Semuel, nonno del famoso Achimaaz da Oria, era divenuto qui direttore del tesoro e preposto ai dazi[3], mentre il di lui figlio Paltiel fu governatore e direttore di tutti gli affari della città[4].

Anche a C., come in altri centri della Campania, nell’arco dell’XI secolo la giurisdizione sugli ebrei passò progressivamente sotto il controllo dell’arcivescovo, al quale rimase almeno fino al XIV, quando tornò alla Regia Camera, che per questo prese a versare all’ecclesiastico 30 once d’oro e 16 decime di candele ogni anno[5].

Secondo quanto affermato da Beniamino da Tudela nel suo Itinerario,  nel 1165 il gruppo ebraico capuano constava di circa 30 membri, tra i quali si distinguevano R. Qonso (il capo) e il fratello Israel, R. Zaqen e R. David (ormai defunto)[6]: esso, riunito nelle vicinanze della chiesa parrocchiale di San Martino, aveva anche un proprio cimitero[7] (tracce di sepulcra Hebreorum sono state rinvenute, ad esempio, all’esterno delle mura cittadine)[8]. Almeno nel 1375, poi, vi sarebbe stata un'ulteriore (oppure alternativa) area di residenza, sita in prossimità di San Niccolò[9].

Con gli Svevi, ed in particolare con Federico II, grande rilevanza ebbe il ruolo giocato dagli israeliti nelle tintorie: nel 1231 solo a quelle di C. e di Napoli fu permesso dal sovrano di proseguire l’attività e i due ebrei preposti a quella capuana ebbero anche il compito di vagliare caso per caso l’opportunità della riapertura degli altri stabilimenti del Sud, il controllo sulla gestione degli stessi e l’esazione dei diritti del fisco regio[10].

Non dobbiamo, poi, dimenticare che, nello stesso periodo, C. era un frequentato polo fieristico, cosa che portò ad un coinvolgimento degli ebrei anche nella sfera commerciale[11].

Intanto, con l’avvento degli Angioini, si stava aprendo anche per C. l’età delle conversioni, alle quali corrispondeva l’esenzione da qualsiasi contribuzione fiscale: fu così che nel 1294 nella città campana si trovavano ben 45 neofiti esenti e altrettanti erano ancora nel 1312[12] .

Il nucleo ebraico, però, non scomparve, come testimonia il fatto che nel 1464,  insieme a quelli di Napoli ed Aversa, espose delle rimostranze in merito al pagamento della vigesima[13], e sotto gli Aragonesi fu particolarmente impegnato nel settore del prestito: sappiamo che in pieno XV secolo erano qui operanti Abraham Moyses de Bayrano, Abraham di Daniele di Piedimonte (sostituito nel 1482 da un Leucio), l'ebreo Sabato con i soci e la compagnia di Abramo e Maestro Moises, la quale aveva filiali anche a Maddaloni e Nola[14], mentre nel 1483 si scioglieva una compagnia, esistita per lungo tempo, che aveva visto come protagonisti i fratelli Moisè e Angelo di Abramo da Sermoneta e che aveva avuto sede a Napoli e filiali qui, ad Aversa, a Marigliano e a Sermoneta[15] . Proprio per motivi legati all’attività feneratizia la giudecca capuana richiese l'intervento del sovrano, contro le autorità locali, nel 1494[16].

Con il XVI secolo molti prestatori locali estesero (o forse trasferirono) la propria attività verso i centri dello Stato Pontificio: nel 1501 era a Fondi Salomone di Leo da C.[17], nel 1542 Deodato di Mattasia da C. ottenne una tolleranza (prorogata nel 1546 e nel 1548) per fenerare a Cave[18], mentre il figlio Abramo la ebbe per Tivoli[19], nel 1543 Mele di Amedeo da C. divenne feneratore a Sant’Elpidio a Mare[20], nel 1544 i fratelli Gondisalvo e Lustro di Giacobbe da C. ottennero una licenza biennale, con relativa proroga, per Monticelli[21], nel 1545 Giacobbe da C., insieme ad altri correligionari, ebbe una tolleranza quinquennale per Anagni[22] e nel 1551 Vito di Giacobbe da C. ricevette la licenza per Sacrofano[23]. Sappiamo, infine, che nel 1578 Magister Angelus de Ciccano, figlio di Josef da Tivoli, risultava sposato con una Florentia de Capua[24].

 

Dotti e personaggi famosi

A C. nacque, intorno al 1017, Achimaaz ben Paltiel, autore di un importante Sefer Yuhasin, che contiene la storia di varie Comunità ebraiche dell'Italia meridionale tra VIII e XII secolo[25].

Tra i convertiti del XIII secolo, ai quali abbiamo già accennato, si distinse Giovanni da C., operante tra il 1262 e 1269, che tradusse in latino la Kalilah wa-Dimnah di R. Joel, il Dietario di Maimonide e l'Al-Taisir di Ibn Zuhr[26].

Tra il 1260 e il 1271 fu attivo a C. anche il noto Hillel ben Samuel da Verona, che vi esercitò la medicina e tenne dissertazioni di filosofia, avendo tra gli allievi anche Abraham Abulafia[27].

Sul finire del XIII secolo visse con tutta probabilità nella città campana Samuel ben Jacob, traduttore del Shel Refu'ot ha-Meshalshelot ha-Peshutot weha-Murkabot e padre del medico Salomone da C.[28].

Nel 1438 era certamente a C. Mosè Bonavoglia, che vi curò Alfonso I d'Aragona[29].

Si segnala, infine, che nel 1319 Shelomoh ha-rofe ben Shemuel da C. comprò dai figli di Shabbetay ben Shelomoh un manoscritto contenente il commento medio di Averroè alla Metaphysica[30].

 

Bibliografia

Abulafia, D., LEtà Sveva Angioina, in Lebraismo dellItalia Meridionale, IX Congresso Internazionale dell’Associazione Italiana per lo Studio del Giudaismo (Potenza – Venosa, 20-24 settembre 1994),  Galatina 1996, pp. 65-78.

Beniamino da Tudela, Libro di viaggi, Palermo 1989.

Colafemmina, C., Insediamenti e condizione degli ebrei nell’Italia meridionale e insulare, in Gli ebrei nell’Alto Medioevo, XXVI Settimana di studio del Centro italiano di studi sull’Alto Medioevo (Spoleto, 30 marzo-5 aprile 1978), Spoleto 1980, pp. 197-227.

Ferorelli, N., Gli ebrei nell'Italia Meridionale dall'età romana al secolo XVIII, riedizione a cura di Filena Patroni Griffi, Napoli 1990.

Milano, A., Storia degli ebrei in Italia, Torino 1963.

Patroni Griffi, F., Campania Lazio Meridionale, in Lebraismo dellItalia Meridionale, IX Congresso Internazionale dell’Associazione Italiana per lo Studio del Giudaismo (Potenza – Venosa, 20-24 settembre 1994),  Galatina 1996, pp. 249-266.

Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, 8 voll. Toronto 1988-1991.

Tamani, G., Manoscritti libri, in L'ebraismo dell'Italia Meridionale, IX Congresso Internazionale dell'Associazione Italiana per lo Studio del Giudaismo (Potenza - Venosa, 20-24 settembre 1994), Galatina 1996, pp. 225-240. 


[1] Cfr. Milano, A., Storia degli ebrei in Italia, p. 27 e 44.

[2] Ferorelli, N., Gli ebrei nellItalia Meridionale, p. 41.

[3] Milano, A., op. cit., p. 62.

[4] Colafemmina, C., Insediamenti e condizione degli ebrei, p. 224.

[5] Ferorelli, N., op. cit., p. 58.

[6] Benjamin da Tudela, Libro di viaggi, p. 45. Diverse le informazioni riportate dal Ferorelli, che si basa forse su di un’altra traduzione dell’opera, e riporta il numero di 300 individui (cfr. p. 58).

[7] Ferorelli, N., op. cit., p. 58.

[8] Patroni Griffi, F., Campania Lazio meridionale, p. 260.

[9] Cfr. J.E., alla voce “Ghetto”.

[10] Milano, A., op. cit., p. 98. Cfr. anche Abulafia, D., Letà sveva angioina, pp. 67-68.

[11] Ibidem.

[12] Ferorelli, N., op. cit., pp. 67-68.

[13] Ivi, p. 167.

[14] Ivi, p. 146.

[15] Vedi la voce “Aversa” della presente opera.

[16] Ivi, p. 141.

[17] ASNa, Sommaria,  Partium 52 I, f. 168r. Cfr. la voce “Fondi” della presente opera.

[18] Simonsohn, S., The Apostolic See, doc. 2171, 2638, 2791. Cfr. la voce “Cave”.

[19] Vedi la voce “Tivoli”.

[20] Cfr. la voce “Sant’Elpidio a Mare”.

[21] Simonsohn, S., op. cit., doc. 2374, 2744. Vedi la voce “Monticelli”.

[22]  Ivi, doc. 2472. La tolleranza era valida anche per tutte le altre località dello Stato Pontificio.

[23] Ivi, doc. 3018. Cfr. la voce “Sacrofano”.

[24] Cristofanilli, C., Tacto calamo,pp. 70-71. Vedi anche la voce “Ceccano”.

[25] Ahimaaz ben Paltiel, Sefer Yuhasin: libro delle discendenze. Vicende di una famiglia ebraica di Oria nei secoli IX-XI, a cura di Colafemmina, C., Cassano Murge 2001. 

[26] Cfr. J.E., alla voce “John of Capua”.

[27] Milano, A., op. cit., p. 653; J.E., alle voci “Hillel ben Samuel” e “Abulafia, Abraham ben Samuel”.

[28] Cfr. J.E., alla voce “Samuel ben Jacob of Capua”.

[29] Ferorelli, N., op. cit., p. 132.

[30] Tamani, G., Manoscritti libri, p.227.

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