Vicenza

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Vicenza (ויצ'נצה )

Capoluogo di provincia. Situata allo sbocco del passaggio fra i Monti Berici e i Monti Lessini, che costituisce la via naturale di comunicazione dalla Lombardia al Veneto orientale, V.  è riunita a Padova e alla Laguna grazie al fiume Bacchiglione. Di origine preromana, in epoca romana divenne municipio ed in epoca medievale, dopo essere stata un Ducato longobardo, un comitato franco e, dal secolo X, parte della Marca di Verona, godette di una certa autonomia dall’inizio del XII secolo. Dopo varie vicende, la situazione di V. all’inizio del XIV secolo fu caratterizzata dal fatto di essere contesa  tra Padova e Verona. Nel 1311, Cangrande della Scala la conquistò, ottenendone in seguito il vicariato da Enrico VII. I padovani , nel loro tentativo di riconquistare la città, furono sconfitti due volte da Cangrande e gli Scaligeri ne rimasero dominatori sino al 1387.  Passata sotto il dominio di Gian Galeazzo Visconti, alla morte di quest’ultimo, si dette a Venezia, per non ricadere sotto il dominio di Padova. Rimase sotto Venezia sino al 1797, ma all’epoca della Lega di Cambrai fu occupata dagli imperiali dal 1509 al 1515.

Nonostante si supponga che la presenza ebraica a V. dati dal XIV secolo[1], il primo documento che la attesta risale al 1407, quando la fraglia (corporazione) vicentina dei Pezzaroli  o rigattieri si oppose al commercio minuto esercitato nella città da alcuni ebrei, sollecitando l’intervento delle autorità veneziane presso i Rettori di V. perché fosse loro negato il permesso di residenza[2].  

Da un documento notarile del primo ventennio del XV secolo, risulta aver abitato a V. tale Beniamino di Manuele che pare sia da identificarsi come un membro della famiglia Finzi, una delle più note dell’ebraismo italiano[3]

Nel 1425 la Città di V. accordò a Guglielmo Musetto da Modena e Beniamin Musetto da Ancona una condotta, a patto che gestissero un banco di prestito[4].

Da un testamento si apprende che all’incirca nel primo trentennio del XV secolo vi era un cimitero ebraico a V., posto vicino a Porta Lupia, in seguito divenuto insufficiente e sostituito da un altro[5].

Dieci anni più tardi, i Rettori di V. accordarono la condotta ad altri ebrei, a condizione che aprissero quattro nuovi banchi di prestito, con un fondo di 20.000 ducati[6]. Il tasso d’interesse concordato era del 15% e del 20% dopo i primi sei  mesi[7] e i feneratori erano Jacobus e Helias con i soci, Beniamino del fu Manuele Finzi, residente a V., Matteo di Lazzaro da Costanza, residente a Treviso, Isacco “sacerdote” del fu Angelo di Francia, residente a Serravalle, e Bonaventura di Zilichman, residente a Ulm in Germania[8].  Nello stesso anno, la ducale, che confermava i patti stipulati con gli ebrei, impose l’uso del segno distintivo[9] e il tasso di interesse  confermato oscillava tra il 15 % e il 20%[10].

Due anni dopo, Helia e Genetano figli del fu Musetto da Modena, residenti a V., e il loro agente Salomon de Melle ricevettero un salvacondotto papale per recarsi alla Curia pontificia e nelle terre soggette al Papa[11].

Gli ebrei stabilitisi a V. non avevano diritto al possesso di beni immobili, in nessuna forma si presentasse, ed erano esclusi dalle corporazioni[12]. All’inizio degli anni Quaranta del secolo venne loro proibito di fare i rigattieri, ovvero di esercitare l’arte di pezaria[13].  

Nel 1453 i feneratori furono allontanati dalla città, complice la predicazione di Bernardino da Feltre, ma il prestito ebraico continuò per interposta persona: gli ebrei che risiedevano nella città davano denaro contro i pegni che ricevevano dai cittadini, operando in nome dei correligionari che esercitavano l’attività feneratizia fuori città. Dopo una protesta formale contro la violazione del provvedimento preso quasi vent’anni prima, presentata dalla Comunità di V. al doge, nel 1470, le autorità veneziane ribadirono il divieto dell’usura, minacciando i trasgressori con pene tali da scoraggiare gli ebrei dal continuare l’attività proibita[14]. Ancora una volta dietro sollecitazione degli ambasciatori vicentini, il doge Mocenigo, nove anni più tardi, vietò l’esercizio dell’attività feneratizia a V. e nel territorio, segno che il prestito clandestino continuava. Nel 1486, tuttavia, gli ebrei vennero espulsi, in concomitanza con l’apertura del Monte di Pietà[15]

All’espulsione cooperarono anche due ecclesiastici vicentini, uno di nascita, Alessandro Nievo, e l’altro di adozione, Pietro Bruti[16].

Prorogato di alcuni mesi, il decreto venne eseguito con particolare rigore, come attesta l’episodio di un ebreo di Cittadella che, essendo stato scoperto venire a V. a  trafficarvi di tanto in tanto, provocò il tempestivo ricorso alle autorità veneziane perché gli venisse proibito l’accesso in città[17]

Resta attestazione di un tentativo di ritornare a stabilirsi nel vicentino,  effettuato verso la metà del XVI secolo da alcuni ebrei stanziatisi a Lonigo e prontamente espulsi[18], ma,  per il resto,  sembra che V. e il suo distretto rimanessero senza una presenza ebraica nel XVI e XVII secolo.

Durante  il XVIII secolo, invece, vi furono ebrei a V., sebbene l’atteggiamento delle autorità fosse ambivalente, come attesta una serie di provvedimenti contro o a favore della loro presenza. Nel 1723 vennero espulsi, ma, cinque anni dopo, fu concesso a Isach Treves e al cugino Giacob, principali creditori nell’edificcio Battistella da cui dipende la sussistenza di buon numero di popolazione in questa città[19], di potersi stabilire liberamente. I Treves poterono rimanere, grazie al privilegio ottenuto nel 1728, mentre gli altri ebrei dovettero andarsene. Tuttavia, alcuni mesi dopo, i Deputati cittadini concessero ad ogni ebreo commerciante all’ingrosso di soggiornare e operare in città, per un periodo di 15 giorni, durante le quattro fiere cittadine. Il permesso fu, in seguito, limitato a cinque giorni per ciascuna delle fiere, con possibilità di proroga dietro richiesta degli interessati.

Negli anni Sessanta del secolo si susseguono, per un quindicennio, bandi che attestano l’attrazione esercitata dalla città sui commercianti ebrei e dopo la cacciata del 1775 essi godettero di un breve periodo di emancipazione, quando la Repubblica cadde per intervento delle truppe francesi[20].

Bibliografia

Carpi, D., Alcune notizie storiche sugli ebrei a Vicenza (secoli XIV-XVIII), in Archivio VenetoLXVIII (1961), pp. 17-23.

Colorni, V., Prestito ebraico e comunità ebraiche nell’Italia centrale e settentrionale con particolare riguardo alla città di Mantova, Estratto dalla Rivista di storia del diritto italianoAnno VIII, Vol. VIII, fasc. 3, Bologna, 1935.

Colorni, V., Genealogia della famiglia Finzi. Le prime generazioni, in Iudaica Minora, Milano, 1983, pp. 329-341.

Ioly Zorattini, P.C., Gli ebrei durante la dominazione veneziana, in Barbieri, F. - Preto, P. (a cura di), L’età della repubblica veneta (1404-1797), Storia di Vicenza, vol. III, t. 1, Vicenza 1989, pp. 221-229.

Milano, A., Storia degli Ebrei in Italia, Torino 1963.

Nardello, M., Il prestito a usura a Vicenza e la vicenda degli ebrei nei secoli XIV e XV, in Odeo Olimpico13-14(1977-78), pp. 69-128.

Roth, C., The History of the Jews in Italy, Philadelphia 1946.

Simonsohn, S.,  The Apostolic See and the Jews, 8 voll., Toronto 1988-1991.


[1] Il Carpi suppone che la presenza ebraica risalisse alla seconda metà del XIV secolo (Carpi,  D., Alcune notizie sugli ebrei a Vicenza (secoli XIV-XVIII), p. 17); il Nardello, invece, afferma che la presenza ebraica risalirebbe alla prima metà del secolo. Cfr. Nardello, M., Il prestito ad usura a Vicenza e la vicenda degli ebrei  nei secoli XIV e XV, p. 80.

[2] Arch. Statale di Vicenza, Arch. Comunale (in seguito A.S.V.), Libro H, c. 95 e libro 29, II, c. 20, documenti del 6 febbraio 1407, citato in Carpi, D., Alcune notizie, p. 19, nota 3. Il Nardello sostiene, invece, che la corporazione dei rigattieri chiese – e ottenne – da Venezia il divieto agli ebrei di commerciare nei giorni di festa cristiani. Nardello, M., op. cit., p. 81; Appendice, doc. I, p. 111. 

[3] Colorni, V., Prestito ebraico e comunità ebraiche nell’Italia centrale e settentrionale, p. 46; Idem, Genealogia della famiglia Finzi, p. 333; cfr.  Ioly Zorattini, P.C., Gli ebrei durante la dominazione veneziana, p. 222.

[4] A.S.V., Libro H, c. 173 t., citato in Carpi, D., op. cit., p. 18, nota 3. Il Nardello li designa come Guglielmo di Museto da Modena, residente, tuttavia, a Bologna e Museto di Begnamino da Ancona, residente a Padova. Cfr. Nardello, M., op. cit.,p. 81. Cfr. Ioly Zorattini,  P.C., op. cit., p. 222. Due banchieri della famiglia Musetto, operanti a V. dal 1425, sono citati anche dal Milano, A., Storia degli ebrei in Italia, p. 140.

[5] Cfr. il testamento di Abraam q. Elie iudeus, in A.S.V., Testamenti, in data 4 febbraio 1434, citato in  Nardello, M., op. cit., p. 80, nota 48 e p. 86.

[6] A.S.V., Libro 29, II, c. 72, citato in Carpi, D., op. cit., p. 19, nota 5.

[7] Nardello, M., op. cit.,p. 82, nota 53; Appendice, doc. III, p. 115. Per i dettagli inerenti la condotta, cfr. pp. 113-122. Il tasso d’interesse concordato con gli ebrei di V. risulta inferiore a quello praticato solitamente. Cfr.  ivi, p. 88, nota 70.

[8] Ivi, p. 87; per alcune varianti nei nominativi dei prestatori, cfr. Capitoli della convenzione conclusa tra la comunità di Vicenza e gli ebrei feneratori, ivi,pp. 112-123.

[9] Ivi, p. 88.

[10] Ibidem. Secondo il Nardello, questo tasso era da considerarsi inferiore a quello praticato, all’epoca, ad es. a Padova. Ibidem, nota 20. 

[11] Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, doc. 723.

[12] A.S.V., Libro 29, II, c. 173; A.SV., Calto I, n. 27, c. 7, citato in Carpi, D., op. cit., p. 19 , note 6 e 7.

[13] Nardello, M., op. cit.,Appendice V, pp. 123-124.Sull’ostilità delle corporazioni cittadine nei confronti degli ebrei, cfr. Ioly Zorattini, P.C., op. cit., p. 223.

[14] Nardello, M., op. cit., pp. 93-94;  cfr. Ioly Zorattini, P.C., op. cit., p. 223.

[15] Nardello, M., op. cit., pp. 93-95. La notizia dell’espulsione degli ebrei da V., nel 1486, è riportata anche in Servi, F.,  Uno sguardo alle Comunità Israelitiche d’Italia, Vicenza, in Il Corriere Israelitico, Trieste, IX, 1870, p. 355; Comitato delle Comunità Israelitiche Italiane, Cenni storici ed amministrativi, Roma 1914, p. 84; Milano, A., op. cit.,p 209. La notizia della fondazione del Monte di Pietà a V., nel 1486, si trova anche in Roth, C., The History of the Jews of Italy, p. 169.Il Roth attribuisce la fondazione del Monte al presunto omicidio rituale di Viadana (Mantova) del  1485, che si chiuse tuttavia con il ritrovamento del corpo del fanciullo, annegato,  e il conseguente scagionamento della locale Comunità ebraica. Ivi, p. 173.

[16] Il Nievo, canonico del duomo di V. dal 1465, era anche noto iurisperitus; la sua opera più famosa, dal  titolo  Consilia contra Iudeos foenerantes, pubblicata a Venezia nel 1474 e ristampata tre anni dopo, tratta dell’usura rifacendosi a passi scritturali, alle norme del  diritto e all’insegnamento dei dottori della Chiesa. Pietro Bruti, veneziano di nascita, investito della luogotenenza della cattedra episcopale vicentina nel 1478, fu inviato, nel 1481, da Sisto IV, insieme al vescovo di Feltre, a Trento ad appurare il caso del presunto omicidio rituale, di cui sarebbe stato vittima Simoncino, e comunicò in una lettera al pontefice la propria convinzione circa la piena responsabilità degli ebrei nel delitto. Nel 1477 il Bruti aveva pubblicato una Epistula contra Iudaeos, in cui si diffondeva sull’omicidio rituale e su fatti di Trento. Scrisse, inoltre, un’ulteriore opera anti-ebraica, l’Opus contra Iudaeos, stampata a V. tre anni dopo l’avvenuta espulsione.  Per l’analisi di questi scritti anti-ebraici, cfr. Nardello, M., op. cit.,pp. 96-110.  Sulla missione del vescovo di Feltre e di Pietro Bruti a Trento, cfr. anche Simonsohn, S., op. cit., doc. 1014.  Sull’espulsione degli ebrei e l’istituzione del Monte, cfr. Ioly Zorattini, P.C., op. cit., p. 226.

[17] A.S.V., Libro 29, secondo, c. 250 t., citato in Carpi, D., op. cit.,p. 21, nota 1; Nardello, M., op. cit., Appendice, X, pp. 127-128.

[18] A.S.V., Libro 28, c. 355 t., citato in Carpi, D., op. cit.,p. 21,  nota 2.

[19] Ioly Zorattini, P.C., op. cit., p. 227.

[20] Ivi, pp. 227-228; cfr. Carpi,  D., op. cit., p. 21.

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