Asolo

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Asolo

Provincia di Treviso. Sorge sul luogo dell’antica Acelum, dove, nei pressi del torrente Musone, sono state ritrovate le uniche testimonianze dell'uomo paleolitico del Veneto. Caterina Cornaro, vedova di Giacomo II di Lusignano, Signore di Cipro, avendo ceduto Cipro alla Serenissima, ebbe in cambio il dominio di A. e vi si stabilì con la corte nel 1489. Nel 1509, però, dietro minaccia delle truppe imperiali, Caterina  dovette  fuggire  a  Venezia,  dove  morì  l'anno seguente. Sia durante la permanenza della Cornaro  che  dopo, A. fu contesa dai  vescovi e  dai signorotti  del capoluogo (gli Ezzelini, i Carraresi e gli Scaligeri), ma rimase, tuttavia, sempre sotto  Venezia, continuando la tradizione culturale, iniziata sotto Caterina.

 

Si suppone che una presenza ebraica ad A. risalga alla fine del secolo XV[1] e che sia stata incrementata dalla cacciata da Treviso, seguita al tumulto popolare del 1509[2]. Da un  documento  del  1547,  riguardante tale Paulina ebrea, che si  dichiarava nativa  di A., si deduce che,  verso  il  1518,  la  famiglia di cui ella faceva parte fosse stanziata in loco[3].

Il Monte di Pietà locale, del resto, fu gestito in modo fallimentare, soprattutto per la disonestà del massaro Antonio Cesana, venuta alla luce nel 1513 (dopo la sua morte), mentre il prestito ebraico continuò a fiorire[4]. Questo dato viene confermato da una lettera, scritta nel 1520 dal  doge di Venezia, Leonardo  Loredan, al podestà di  A., con  la quale  veniva estesa agli ebrei della località la condotta del 1508, concessa ai correligionari residenti in territorio veneziano[5]. La lettera dogale, dal titolo Condotta 1521[6], reca la scritta Presentatum per Grassinum, Marcum et Moysem hebreos habitatores Asylli[7], in cui vengono menzionati i presumibili rappresentanti del nucleo ebraico asolano, cioè  Grassino, padre  dei fratelli Anselmo e Mandolino (che scamparono poi al massacro che avrebbe decimato la Comunità nel 1547), Marco Kohen e Mosè (i quali, invece, vi trovarono la morte)[8].

Nel 1540 fu promossa dal nuovo podestà Leonardo Balbi una elemosina general si nella terra come territorio di Asolo al Monte Santo: et non solamente per questa fiata tantum, ma anco per ogni anno che ha a vegnir in le ditte solennita pascale[9]: tuttavia, l'iniziativa non sembrò venire realmente incontro alla situazione finanziaria dei poveri e, pertanto, il prestito rimase affidato ai feneratori ebrei.

Nel 1543 e nel 1544 si manifestarono le prime avvisaglie di quello che sarebbe successo nel  1547[10], anno in cui Francesco  Donato  inviò una dogale al  podestà di Treviso, Giovanni Renier, deplorando che non fossero stati puniti  i colpevoli[11] dell’episodio di violenza, accaduto nel novembre, che sembrò segnare la fine della Comunità  asolana[12].

Da un manoscritto contenente i documenti relativi al processo istituito contro gli asolani che ordirono la congiura ai danni degli ebrei,[13] si desume che uomini armati invasero e  saccheggiarono  le  case, uccidendo dieci ebrei e ferendone otto. Tra le vittime vi fu Marco (Mordekhay) ha-Kohen, della famiglia Kohen originaria di Castellazzo (in  provincia di Alessandria)[14]. Al momento  dell'aggressione  si  trovavano ad A. 37 israeliti, di cui 35 residenti, suddivisi in 7 famiglie, e 2 ospiti[15].

Il testo in questione ci fornisce anche notizie sulla Comunità locale, informandoci ad esempio del fatto che vi erano all’epoca ancora quattro banchi dei pegni, nonostante il Monte di Pietà fosse stato istituito già nel 1500[16].

Dai documenti risulta, inoltre, che vi era un ebreo attivo come falegname (designato come "Marangono"), tale Giovanni Battista (Jochanan) da  Feltre, la cui casa non venne presa di mira, probabilmente perché modesta[17].

Sempre da dettagli relativi al processo contro gli  accusati si trova conferma del fatto che anche gli ebrei di A., come gli altri correligionari sudditi della Repubblica Veneta, erano sottoposti all'obbligo del segno (un berretto giallo), non potevano portare armi[18], nè possedere beni immobili[19].

I colpevoli in parte riuscirono a fuggire, in parte vennero puniti  con  l'esilio o la condanna ai lavori forzati per dieci anni, mentre uno solo ebbe la condanna a morte[20].

Da una dogale del 1548, relativa alla fine della condotta degli ebrei asolani (nell'ottobre dello stesso anno), risulta che a partire da quella data essi non avrebbero più potuto esercitare il prestito,  ma, si specificava, ben  possino essi hebrei  stanziare  nel  loco  suddetto [Asolo], et fare il solito  esercitio suo della strazzaria, et quanto al mercantare sieno tenuti ad osservare, et non eccieder quello che e disposto per la lezze et ordini nostri[21]. Pertanto, viene corroborata l'ipotesi che alcuni superstiti del  massacro dell'anno precedente fossero rimasti, giustificando le nuove disposizioni  del 1548,  ma che poi, a quanto é dato supporre in assenza di altri documenti, avessero comunque abbandonato la località.

Va notato che, se anche la presenza ebraica fu in seguito sporadica, l'ostilità contro gli ebrei permase, come suggerisce l'ingiunzione fatta dal podestà nel 1556, in occasione della supposta minaccia di un'epidemia di peste: L'andera parte per tuor ogni sospetto della venuta  hogi fatta  delli  hebrei, che  se dise esser venuti da Venetia, che essi hebrei  se habbino a  levar, et partir da questo luogo[22].

Nel XVII secolo, infine, troviamo due cenni a una presenza ebraica, probabilmente temporanea: secondo quanto indicato in un manoscritto del  1623, tale  Salomone, prese allora a prestito un muletto da  Marino  Farolfi  per  recarsi a Bassano, mentre sappiamo che nel 1630 il fornitore delle carte da gioco ad A. era un ebreo[23].

Quartiere ebraico

A cavallo del  Colmarion (Col  Marion) - limitato a nord dalla vecchia strada di Colmarion, a  sud dalla Piazza del Pavion e dall'ultimo tratto di via S. Caterina e attraversato dal breve  vicolo di Belvedere - vi era  un agglomerato di case, chiamato "il ghetto", sebbene alle abitazioni degli ebrei fossero anche intramezzate quelle dei cristiani.

Dalle  deposizioni  processuali già citate,  risulta che gli israeliti abitavano sei edifici contigui o vicini, di cui alcuni erano a più piani e testimoniavano della  relativa agiatezza degli inquilini. Al piano superiore della casa di Marco (Mordekhay) vi era un oratorio, con alcuni rotoli della Legge e arredi sacri, che non vennero saccheggiati[24].

Cimitero

Il cimitero ebraico di A. era sito alle Mura del Colmarion: vi sono state rinvenute due lapidi funerarie della famiglia Gentili (Hefeà in ebraico), una di Gershon Kohen, figlio del rabbino  Mose Hefeà, recante la data 1528 (more iudaico 5288) e l'altra di sua moglie Hannah, recante la data 1513 (more iudaico 5273)[25].

Bibliografia

Bernardi, C.G., Pagnan ammazza Abram...La strage degli ebrei nel 1547 in Asolo e la leggenda del Monforca, Vedelago (Treviso) 1939.

Cassuto, U., E.J., alla voce "Asolo" e "Cantarini".

Lattes, M., Documents et notices sur l'histoire politique et littéraire des Juifs en Italie, in REJ V (1882), pp. 219-228.

Luzzatto, L., Epigrafi ebraiche ad Asolo, in Il Vessillo Israelitico XLVII  (1899), pp. 134-135.

Morpurgo, E., Gli ebrei a Treviso, in Il Corriere Israelitico XLVIII (1909), pp. 170-172.

Morpurgo, E., Inchiesta sui Monumenti e Documenti del Veneto interessanti la storia religiosa, civile e letteraria degli Ebrei, Udine 1912, "Asolo".

Osimo, M., Narrazione  della  strage  compita  nel 1547 contro gli Ebrei d' Asolo e cenni  biografici  della famiglia Koen-Cantarini originata da un ucciso Asolano, Casale  Monferrato 1875.


[1] Tale supposizione acquista consistenza, se si tiene conto della predica, tenuta ad A. da Bernardino da Feltre contro l'usura ebraica, agli inizi degli Anni Novanta, cui seguì, più tardi, l'istituzione del Monte di Pietà. Cfr. Paladini, V., Asolo, p. 172; Pivetta, Storia d'Asolo, vol. I, cap. XIII, ms. del Museo civico; Loredana,Caterina Cornaro, Cosmopoli, Roma, 1938, p. 220, citati (nel modo incompleto che è stato riportato sopra) in Bernardi, C., Pagnan ammazza Abram, p.  46, note 1 e 2.

[2] Morpurgo, E., Gli Ebrei a Treviso, p. 170; della stessa opinione é anche l'Osimo che, tuttavia, ricordando l'incendio degli archivi asolani del 1509, sottolinea la difficoltà di stabilire datazioni precise circa l'inizio della presenza ebraica nella località. Osimo, M., Narrazione della strage compiuta nel 1547 contro gli Ebrei d'Asolo, p. 9.

[3] Osimo, M., ibidem. Ad A. risulterebbe essere stato riorganizzato, nel 1513, il Monte di Pietà, già esistente. Cfr. Bernardi, C., op. cit., p. 46, nota 2. A sostegno di questa notizia il Bernardi cita il "Libro Rosso", ms. Museo civico, senza indicarne, tuttavia, la pagina.

[4] Bernardi, C., op. cit., pp. 47-49.

[5] Questo documento, di cui l'Osimo non fa menzione, era custodito negli archivi della Comunità ebraica di Padova, plico n. 61, Condote, secondo l'indicazione di Lattes, M., Documents et notices sur l'histoire politique et litteraire des Juifs en Italie, p. 220, nota 1. Per il testo originale dei capitoli del 1508, concernenti gli ebrei residenti nel territorio della Repubblica veneziana, cfr. ivi, pp. 229-231.

[6] Tra i punti salienti della lettera, che riportava il decreto del 1520, vi era il permesso di abitare ovunque nel territorio della Repubblica, salvo dove ne era fatto esplicito divieto, esercitandovi il commercio e il prestito solo a condizione che fosse stato concesso anteriormente e secondo le leggi vigenti sulla terraferma. Inoltre, i prestatori su pegno avrebbero dovuto tenere il pegno per soli 15 mesi con proroga di ulteriori 3 mesi, prolungabili solo dietro consenso esplicito del creditore, scritto in latino sulla polizza. Il prestatore che avesse scambiato il pegno, avrebbe perso il capitale prestato con gli interessi, pagando anche una multa di 100 ducati, di cui la metà al delatore e l'altra metà da devolversi a istituzioni pie a scelta delle autorità provinciali. Il prestatore che avesse imbrogliato il creditore, avrebbe dovuto pagare il danno più il 20% della somma da destinarsi come sopra. Il prestatore non sarebbe stato considerato responsabile del deterioramento dei pegni, se, sotto giuramento, avesse assicurato di aver preso tutte le precauzioni necessarie per la loro buona conservazione. Era proibito prendere in pegno oggetti sacri e stoffe straniere di seta o d'oro. In caso di guerra, il prestatore poteva portare i pegni al sicuro, a Venezia, e riportarli indietro senza pagare dazio. Tali regole erano valevoli per 4 anni, poi veniva emesso un bando per riscattare i pegni che, altrimenti, sarebbero stati venduti. Qualora gli ebrei fossero stati cacciati o avessero voluto andarsene, veniva loro concesso un anno di permanenza per liquidare i banchi, durante il quale era loro proibito continuare le attività precedenti, cioè prestito o strazzaria. Ivi, pp. 220-221. Per il testo originale della lettera del 7 gennaio 1521, cfr. ivi, pp. 228-231, in cui sono contenuti anche i capitoli del 1508.

[7] Ivi, p. 228.

[8] Ivi, p. 220.

[9] Bernardi, C., op. cit., p. 50.

[10] Il Bernardi scrive di una congiura contro gli ebrei che fu sventata in tempo, provocando la condanna al bando perpetuo dell'Asolano Gregorio Pelocho e al bando decennale di Zane Fontana da Mussolente e Antonio dal Borgo, Asolano. Non restano altri particolari della progettata azione anti-ebraica. Cfr. ivi, p. 54 e pp. 65-66.

[11] Morpurgo, E., Gli ebrei a Treviso, p. 171; stando al Bernardi, invece, una punizione vi sarebbe stata (cfr. nota precedente).

[12] L' Osimo, senza menzionare dati, sostiene che i superstiti ebrei al massacro continuarono ad abitare ad A. (op. cit., p. 22). La stessa opinione  la esprime il Morpurgo; poiché è presumibile che tra gli elementi a sostegno di tale idea un peso notevole sia stato attribuito alla presenza di una lapide cimiteriale di controversa datazione, si rimanda al paragrafo "Cimitero", per i riferimenti in merito.

[13] Si tratta del manoscritto affidato dal chimico Paolo Scomazzetti di Asolo a Marco Osimo, in cui si trovano raccolti i documenti del processo istituito dal podestà di Treviso, Giovanni Renier, e dal suo successore, Marc'Antonio Mauroceno. Cfr. Osimo, M.,  op. cit., p. 25.

 

[14] Il figlio Caliman si trasferì a Treviso; dal figlio Gershon, che esercitò l'ufficio di cantore a Padova, acquisendo l'appellativo di el Canterin, ebbe origine il cognome della famiglia Cantarini, cui appartennero svariati rabbini e medici. Cfr. Cassuto, U., E.J., alla voce "Cantarini". Per la biografia dei Cantarini cfr. Osimo, M., op. cit., Parte II.

[15] I sette capofamiglia erano: Jacob, i fratelli Anselmo e Mandolino del fu Grassino (detti anche Grassinetti), Moisè, Salomon, Marco Koen (Kohen), Giovan Battista (Jochanan) da Feltre;  gli ospiti erano Paolina di Marco, sposata a Salomon Orefice da Mestre e residente a Mantova e un suo figlio. Ivi, p. 10. Il padre di Anselmo e Mandolino, Grassino, così come Marco Kohen e Moisè erano coloro cui era stata data la lettera ducale del 1521. Cfr. nota 4 e Lattes, M., op. cit., p. 220.

[16] Sull'istituzione del Monte, cfr. Osimo, M., op. cit., p. 14. Sui quattro banchi di pegni, gestiti da Anselmo e da suo fratello Mandolin, da Marco, da Jacob e da Moisè e dal figlio Salomon, cfr. ivi, pp. 29-30.

[17] Osimo, M., op. cit., p. 13.

[18] Osimo, M., op. cit., p. 28. Il capitolo 20 del 1508 dispensa gli ebrei dal berretto giallo durante i viaggi. Cfr. Luzzatto, L., Epigrafi ebraiche ad Asolo p. 231.

[19] Osimo, M., op. cit., p. 13, senza ulteriori dati. Il divieto di possedere beni immobili può essere dedotto dal capitolo 9 del 1508 che stabilisce che gli ebrei: che sotto fede de lettere ducal fin questo zorno hanno continua a prestar ne le Terre et luogi nostri possino in quelli star et habitar cum tutte le sue fameglie et tenit case ad afficto. Lattes, M., op. cit., p. 229.

[20] Osimo, M., op. cit.,  p. 21.

[21] Ivi, p. 28.

[22] Liber part, I, p. 159b, citato in ivi, p. 409.

[23] Il manoscritto, intitolato Origine della famiglia Farolfa (custodito nel Museo civico di Asolo) contenente le memorie del Dr. Marino Farolfi, viene menzionato da Bernardi, C., op. cit., p. 408, nota 2.

[24] Osimo, M., op. cit., pp. 10-11; cfr. Bernardi, C., op. cit., pp. 36-37; p. 40. il Bernardi riporta che nella casa di Marco Kohen si radunavano i bambini, per ricevere l'istruzione impartita loro da un precettore tedesco, anch'egli domiciliato nell'edificio. Ivi, p. 40.

[25] Per il testo delle due lapidi, cfr. Luzzatto, L., op. cit., pp. 134-135. Circa la datazione della seconda lapide è stata seguita l'indicazione del Cassuto, cfr. Idem, alla voce "Asolo" in E.J., che corregge in 1513 (5273 more iudaico) la data, riportata dal Luzzatto come 1613 (5373 more iudaico). Il Morpurgo, invece, accetta la data del 1613 per la seconda lapide e, pertanto, ne inferisce che non tutti gli ebrei avessero lasciato A., dopo il   fatto di sangue del 1547. Cfr. Morpurgo, E., Inchiesta e documenti del Veneto interessanti la storia religiosa, civile e letteraria degli ebrei,( Parte Prima: Monumenti; Sezione Prima: cimiteri e lapidi), "Asolo", p. 2. L'Osimo riferisce dell'esistenza della prima lapide, come datata 1513 (more iudaico 5288) e della seconda come data 1613 (more iudaico 5373), inferendone anch’egli la presenza di ebrei ad A. dopo il 1547. Cfr. Osimo, M., op. cit., p. 12; p. 28.

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