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Provincia di Gorizia. Sita sulla riva destra dell'Isonzo è menzionata per la prima volta in un documento del 1176, ma acquistò importanza solo con il passaggio sotto il dominio veneziano nel 1420, entrando a far parte, nel 1473, delle opere fortificate contro i Turchi. Scoppiata la guerra del 1508, e sferratosi contro Venezia l’attacco della Lega di Cambrai, G., dopo strenua resistenza, dovette arrendersi a Massimilano I nel 1511. Dopo un periodo di pace con Niccolò della Torre, che rese la città una piazzaforte-modello, Venezia, non riuscendo a riaverla per via diplomatica, entrò in guerra con Ferdinando II (la cosiddetta guerra di G.), conclusasi nel 1617. Elevato a contea principesca nel 1647, il territorio di G. fu venduto dal sovrano austriaco a Giovanni Antonio Eggenberg a condizione che, estinguendosi la sua discendenza maschile, la contea tornasse alla Casa d'Austria. De facto, tuttavia, fu Francesco Uldarico della Torre a reggere la nuova contea - uno staterello quasi indipendente composto di 43 villaggi, ivi compresa Aquileia - con propri statuti, moneta propria e sede di un parlamento e di un tribunale. Nel 1717 la contea di G. tornò all'Austria,rimanendo separata da quella di Gorizia e con un proprio governo fino al 1754, quando le due entità furono unite. Pio VI, nel 1788, la fece sede di vescovado, che ebbe, tuttavia, breve durata (1789). Disceso Napoleone in Italia, G. ebbe il compito di ritardare, nel 1797, l'avanzata francese e di proteggere gli Austriaci battuti al Tagliamento.
Lo stanziamento ebraico a G. è legato alla presenza di uno dei rami della famiglia Morpurgo fissatosi nella località dopo il 1560, in seguito al divieto per gli ebrei di risiedere a Vienna, emesso da Ferdinando I[1]. Dalle lapidi del cimitero gradiscano, e dai contratti nuziali, risulta che la famiglia Morpurgo (o Marpuch o Marpurg) avesse (come tutte quelle più ragguardevoli a partire dalla seconda metà del XVI secolo), un emblema, in cui figurava un cetaceo emergente dal mare in tempesta, con un giovinetto che gli usciva dalle fauci[2]. Oltre ai Morpurgo, tra gli altri componenti del nucleo ebraico stanziato a G. - composto in prevalenza di ashkenaziti - vi erano i i Luzzatto, i Prister e i Cohen[3]. I Morpurgo, tuttavia, furono di gran lunga la famiglia più significativa della Comunità ebraica locale. Nel 1624, Mose e Jacob Marpurger di G. vennero posti da Ferdinando II, insieme ai loro familiari, sotto la sua speciale grazia, clemenza, protezione e difesa[4] per iservigi resi alla Corona dai loro avi e da loro stessi, soprattutto nella guerra con i Veneziani (1616), in cui avevano contribuito dando Leib, Guetl und Bluett (corpo beni e sangue)[5] contro i nemici della Casa d'Austria. Con questa lettera imperiale, venivano conferiti ai Marpurger i privilegi solitamente concessi agli Hofjuden, fra cui quello di non essere citati in giudizio per qualsivoglia controversia di fronte a giudici ordinari, ma solo dinnanzi all'Imperatore o ai suoi tribunali, mentre chi avesse cercato di molestarli avrebbe pagato una multa da devolversi per metà all'imperatore e per metà ai danneggiati. Inoltre, era loro concesso di viaggiare e commerciare liberamente per tutto l'impero senza portare il segno distintivo, entrando in relazioni commerciali anche con i mercati viennesi[6]. Grazie a tale posizione privilegiata alcuni dei Marpurger di G. poterono trasferirsi a Vienna ed in altre città[7]. Da numerosi atti notarili, si evince, inoltre, la floridezza economica raggiunta da Mosè Marpurger, nonché dai suoi discendenti, che furono ricchi feneratori e proprietari terrieri[8].In base alla loro prerogativa, i Morpurgo di G. si stabilirono in svariate località della contea, per esercitarvi l’attività, dividendosi in due rami: quello di Romans e quello di Ruda[9]. Nel 1671 fu istituito il Monte di Pietà, voluto dagli Eggenberg per venire incontro alla parte più indigente della popolazione: tuttavia, i banchi feneratizi ebraici restarono in attività[10]. Gli ebrei di G., oltre a pagare una "tassa di tolleranza" in occasione di eventi sia comunitari che privati (ad esempio i matrimoni), dovettero versare un ingente contributo annuale per sito delle loro case, che più tardi avrebbe costituito il ghetto. I Morpurgo, come discendenti degli Hofjuden, erano esentati dalle imposte arbitrarie o superiori a quelle pagate dagli altri sudditi, mentre gli altri correligionari dovevano presumibilmente essere tassati più dei concittadini cattolici[11].
Nell'elenco dei contribuenti del 1719, per la precedente guerra contro i Turchi, gli ebrei di G. figurano aver contribuito per un totale di più di 85.000 Lire[12]. Nel 1722 il sovrano deliberò di porre un limite alla presenza e all'attività ebraica nella contea di G., ordinando a tutti gli ebrei di abbandonare il territorio entro quattro mesi e di vendere tutte le proprietà. Dal provvedimento, tuttavia, il sovrano escluse i Morpurgo, in virtù dei privilegi conferiti, a suo tempo, ai discendenti di Moisè e Jacob Marpurg, che, anzi, riconfermò in quell’occasione, legittimando, inoltre, la loro attività di prestito a G., con la proibizione, però, di aprire nuovi banchi di pegni nei centri della contea[13]. Allo stesso tempo, tuttavia, intimò loro di erigere un ghetto fuori della fortezza, dando inizio ad una lunga ed intricata vicenda che, solo dopo alcuni decenni, si concluse con la segregazione definitiva nel 1769[14]. Nel 1763 gli ebrei di G. (insieme a quelli di Gorizia) furono costretti a donare alle casse imperiali 1000 fiorini, per sottrarsi al prestito forzoso della cifra ben maggiore chiesta da Maria Teresa come "sussidio bellico straordinario". Anche il governo francese chiese un ingente prestito agli ebrei della Contea, dimezzato poi, in seguito alle loro proteste. Nel 1767 vennero aboliti i banchi feneratizi, dopo le ripetute istanze dei nobili e del clero. Nel 1779 fu redatto un censimento degli ebrei della contea di G. e di Gorizia, per valutare se fosse stato più opportuno continuare a lasciarli liberi nelle loro attività o costringerli alla segregazione nei ghetti delle città: i Morpurgo, tuttavia, non persero i loro privilegi[15]. Per quanto riguarda la composizione della Comunità ebraica gradiscana, oltre al nucleo originario ashkenazita, si trovano, nel corso del XVII secolo, italiani e sefarditi (Caliman di Gabriel e Gabriel di Salomon "da Pesaro"); mentre nel XVIII secolo figurano i Cardoso, i Sinigaglia e i Bolaffio e, dopo la "Ricondotta" del 1777, i Bassan e i Romanin[16]. Nel 1782, Giuseppe II, con la sua Toleranzpatent, conferì libertà di culto a tutte le minoranze religiose, compresa l'ebraica. In seguito a tale editto, e a precedenti decreti, gli ebrei furono legalmente esentati dal segno, ammessi alle professioni liberali, ad acquistare immobili ed a prendere in affitto terreni, nonché a tenere a servizio, durante il giorno, personale cristiano. Le direttive in materia di istruzione pubblica furono applicate con entusiasmo a G. grazie ai rapporti tra il capo della Comunità ebraica e il discepolo di Mendelssohn, Naftali Hart Wessely. In forza di un'ordinanza del 1790, gli ebrei della contea di Gorizia e Gradisca vennero assoggettati al servizio militare ed assegnati di preferenza al corpo dei carriaggi, in cui potevano osservare meglio le regole alimentari ed il riposo sabbatico: a richiesta, tuttavia, potevano essere assegnati alle truppe combattenti[17].
Le prime conversioni documentate risalgono al decennio 1633-44, quando i sei figli di Ioanne e Anna Morpurgo probabilmente a loro volta neofiti, ricevettero il battesimo. Nel Settecento si verificarono nelle contee alcuni casi di battesimi impartiti, all'insaputa dei parenti, a minori definiti, pretestuosamente, in fin di vita. Dietro protesta da parte ebraica, l'imperatrice Maria Teresa prese nettamente posizione contro i battesimi dei minorenni, ma la sua definizione non chiara di chi dovesse considerarsi tale, consentì all'arcivescovo di Gorizia di continuare l'opera conversionistica. Esempio ne è, nel 1768, il caso della gradiscana Doretta di Elia di Anselmo Morpurgo, fuggita di casa (o rapita) per convertirsi. Mentre il padre cercava di ostacolare il procedimento, rifacendosi all'età di lei (tredici anni), l'arcivescovo di Gorizia, citando le interpretazioni di alcuni canonisti, spostava all'età di sette anni il possesso del "lume di ragione" e riteneva, quindi, che la fanciulla potesse essere legittimamente convertita. Al padre non restava che arrendersi e contribuire, dietro coercizione, al mantenimento della catecumena. Pochi anni dopo,vi fu un altro caso clamoroso: il figlio di Iacob (alias Iechiz o Isaach) Morpurgo di G., di quindici mesi, fu battezzato segretamente dalla nutrice, con il pretesto che fosse in pericolo di vita, e, di conseguenza,fu tolto ai genitori per essere allevato cristianamente in territorio veneto. Alle vivaci proteste dei genitori e di tutti gli ebrei del Friuli austriaco, il piccolo, fu, dopo varie vicende, riportato a G. per esservi allevato da cristiani, mentre le spese del mantenimento furono a carico del padre. Anche in questo caso, i genitori non riuscirono a riavere il figlio, che venne battezzato nuovamente, a quasi dieci anni, nel 1780. Nel 1772, un'altra figlia di Elia di Anselmo Morpurgo si fece battezzare e seguì la sorella nel chiostro di Spilimbergo. Al padre, che cercava di diminuire la dote e le spese di mantenimento da elargire alla figlia, vennero espropriati alcuni terreni che possedeva a G., per far fronte alle cifre richieste. Infine, agli inizi dell'Ottocento, si convertì uno dei nipoti di Elia del fu Isach Morpurgo di G., Filippo Sarchi o Sarker Morpurgo, laureato in legge[18].
Vita comunitaria
Il gruppo ebraico di G., pur esistendo da tempi immemorabili[19], ed essendo legalmente riconosciuto dalle autorità, assunse i connotati di "Comunità" come persona giuridica solo nel 1753, quando ne vennero nominati i primi capi. Da un documento ottocentesco risulta che essa, probabilmente per le sue ridotte dimensioni, anziché regolare la vita dei suoi membri con uno statuto fisso, si serviva di periodiche assemblee generali[20]. I capi della Comunità di solito erano due: nel 1769 vennero eletti Elia del fu Isach Morpurgo ed Elia di Menasse Morpurgo e dieci anni
dopo, ancora Elia del fu Isach e Samuel di Mario Morpurgo, mentre nel 1793 fu la volta di Emanuele Morpurgo e Benedetto di Isach Luzzatto[21].
Demografia
I primi dati precisi circa la consistenza numerica della Comunità ebraica di G. risalgono al 1764, quando essa risultava consistere di 63 unità; dopo l'arrivo degli ebrei cacciati dalla Repubblica veneta (1777), il numero salì a 65 e, nel 1782, a 74[22].
Attività economiche
Gli ebrei furono attivi nel prestito e dalla prima metà del Settecento in poi esso continuò adonta dei Monti di Pietà, provocando la crescente opposizione del clero che li accusava di abuso, poiché esigevano un interesse del15%, 20% e anche del 30%. Nonostante gli israeliti esibissero i privilegi che li legittimavano a fenerare, i banchi furono aboliti nel 1767[23]. A G. (come nelle località minori della contea) gli ebrei si occuparono, sin dal XVII secolo, della gelsicoltura e della trattura della seta, partecipando anche alla fase successiva della filatura, ed introducendo per primi i filatoi a mano nella zona. Nella seconda metà del XVIII secolo il settore era ancora esclusivamente in mano ebraica, con gli impianti di filatura di Isach Morpurgo e di Isach quondam Mario Morpurgo, che ne avevano ottenuta la concessione dal Direttorio commerciale di Vienna, rispettivamente nel 1763 e nel 1764[24]. Esercitò sino al 1756 la medicina a G. Mario Morpurgo, fratello di Elia, che poi dovette recarsi esule a Venezia, dove divenne il medico del doge[25].
Ghetto
Il progetto per la costituzione del ghetto a G. risale al 1722, ma venne attuato solo alla fine degli anni Sessanta del secolo. Nel 1764, il Consiglio capitanale manifestò l'intenzione di segregare nel ghetto di G., per altro non ancora terminato, anche gli ebrei dei villaggi limitrofi, previa liquidazione dei loro affari. Nel 1768 alcune famiglie risultavano essersi già installate nel ghetto e le restanti le seguirono l'anno successivo. Nel ghetto si trovava anche la scuola[26].
Sinagoghe
Dopo l'istituzione del ghetto, vi fu inaugurata la nuova sinagoga nel 1769, dotata di matroneo e di arredamento ligneo, opera di artigiani locali. La via in cui era ubicata assunse, in seguito, il nome di "Calle del Tempio israelitico". Prima del ghetto, era in funzione a G. un'altra sinagoga, situata probabilmente nella contrada delle Porte e, poi, abbandonata perché ormai fuori dell'abitato ebraico[27].
Cimitero
Secondo la tradizione locale, raccolta da una fonte novecentesca, un antico cimitero ebraico sarebbe esistito a G. presso le mura della fortezza[28]. Tuttavia, poiché non se ne è trovato alcun resto, sono state avanzate alcune ulteriori ipotesi sul luogo di sepoltura degli ebrei gradiscani[29], sebbene l'unico dato di fatto accertato, allo stato attuale della ricerca, sia che la lapide del cimitero di G., che risulta essere la più antica, risale al 1805[30] .
Dotti, rabbini e personaggi illustri
Negli anni Settanta del XVIII secolo era rabbino a G. Abram Morpurgo, non solo erudito nelle discipline ebraiche e, in particolare, profondo conoscitore della Qabbalah, ma anche versato nella letteratura italiana. Sua figlia Malchina, che si distingueva per le conoscenze in campo ebraico e per l’attività poetica, sposò nel 1783 Abram Vita Reggio, in seguito insigne rabbino di Gorizia e, successivamente, rabbino maggiore delle Comunità di G. e Gorizia Uno dei più illustri personaggi della Comunità di G., di cui fu a capo per svariati anni, è Elia di Isach Morpurgo, noto anche come Sarker (Sarcher) o Sacchi. Di grande erudizione nel campo delle lingue orientali e dell'esegesi biblica, il Morpurgo fu anche assai attivo nel campo della pedagogia, della filosofia e della storia.
Sostenitore acceso della Haskalah o illuminismo ebraico, cercò di propagandarne i valori tra i correligionari. Nel 1781 declamò il Discorso pronunziato da Elia Morpurgo Capo della nazione ebraica di Gradisca nel partecipare a quella Comunità la clementissima sovrana risoluzione 16 maggio 1781, in cui plaudiva ai prodromi dell’editto di tolleranza - quali l'abolizione del "linguaggio nazionale" e del segno distintivo - e sottolineava l'incremento delle manifatture e dei commerci ebraici che alla tolleranza imperiale si accompagnava[31]. Il Discorso fu pubblicato a Gorizia, lo stesso anno in cui fu anche pubblicata l'encomiastica Orazione Funebre, in morte dell'imperatrice Maria Teresa. Morpurgo, fu in contatto con Mendelssohn e, soprattutto, con il suo discepolo Wessely: insieme ad altri sette rabbini italiani, ne sostenne le posizioni sulla necessità di rinnovamento degli studi dei futuri rabbini, introducendo le discipline laiche, osteggiate dagli ortodossi. Nel 1783 tradusse (anonimamente) l'opera del Wessely, Divre' Shalom ve-Emet (Discorso di pace e di verità) e curò la traduzione del Iinat Olam (Esame del mondo) del Bedersi[32].
Bibliografia
Bolaffio, A., Abram Vita Reggio, in RMI XXIII (1957), pp.207-213.
Del Bianco Cotrozzi, M., La Comunità ebraica di Gradisca d'Isonzo, Udine 1983;
Del Bianco Cotrozzi, M., Gli ebrei di Gradisca e i loro privilegi, in Ioly Zorattini, P.C. (a cura di), Gli ebrei a Gorizia e a Trieste tra "Ancien Regime” ed emancipazione, Udine 1984, pp. 155-163.
Del Bianco Cotrozzi, M., La vita privata degli ebrei nei territori italiani della Casa d'Austria e nel Friuli veneto in età moderna, in Todeschini, G. - Zorattini, P.C. ( a cura di), Il mondo ebraico. Gli ebrei tra Italia nord-orientale e Impero asburgico dal Medioevo all'Età contemporanea, pp. 181-213.
Milano, A., Storia degli ebrei in Italia, Torino 1963.
Morpurgo, E., La famiglia Morpurgo di Gradisca sull'Isonzo 1585-1885, Padova 1909; Morpurgo, E., Inchiesta sui Monumenti e Documenti del Veneto interessanti la storia religiosa, civile e letteraria degli ebrei, Udine 1912.
[1] Il capostipite della famiglia fu Israel Isserlein di Petachia da Ratisbona, in Baviera, nato a Marbourg in Stiria, che pare essersi trasferito, verso il 1457, a Vienna, e risulta essersi distinto in una serie di opere di esegesi biblica. Da lui prese origine la famiglia Marburg che, dopo la cacciata da Vienna, si suddivise in tre rami, di cui uno fu quello di G., che italianizzò il cognome in Morpurgo. Tutti i Morpurgo stanziati in Italia sono discendenti del ramo di G. Secondo il discorso tenuto, nel 1781, da Elia Morpurgo di G., in occasione dell'emancipazione elargita da Giuseppe II, l'imperatore Massimiliano avrebbe concesso, nel 1509, ad Aaron de Marburg, figlio di Israel Isserlein, un diploma di privilegio. Cfr. Morpurgo, E., La famiglia Morpurgo di Gradisca sull'Isonzo 1585-1885, pp.3-6.
[2] Cfr. ivi, p. 7. Il Morpurgo, citando, in questo contesto, le lapidi del cimitero gradiscano non ne fornisce alcuna datazione; per quanto riguarda il problema dell'ubicazione delle sepolture vedi più sotto il paragrafo "Cimitero". Quanto ai contratti nuziali o Ketubbot, è da menzionare la Ketubbah del 1744, redatta per le nozze tra Abram di Samuel Vita Morpurgo e la figlia del rabbino Isach Stella, Moschetta, decorata in modo particolarmente pregevole e recante gli emblemi di famiglia. Cfr. Del Bianco Cotrozzi, M., La vita privata degli ebrei nei territori italiani della Casa d' Austria, p. 206, nota 34.
[3] Del Bianco Cotrozzi, M., Gli Ebrei di Gradisca e i loro privilegi, p. 156.
[4] Morpurgo, E., op. cit., p. 15, nota1 ; per il testo del documento cfr. ivi, pp. 55-58.
[5] Ivi, p. 55.
[6] Ivi, p. 57.
[7] Ivi, p. 15.
[8] Del Bianco Cotrozzi, M., Gli Ebrei di G. ed i loro privilegi, p. 159, nota 15. Sui possedimenti a G. e nel circondario dei Morpurgo e delle altre famiglie ebraiche di G., cfr. Eadem, La Comunità ebraica di Gradisca, pp. 60-73.
[9] Su questi due rami, cfr. Morpurgo, E., op.cit.,p. 23; pp. 31-39; pp. 39-42. Tra le varie località della contea in cui è documentata la presenza dei Morpurgo, vi è Sagrado, dove essi, dal 1767 al 1771, ebbero in gestione il mulino e ottennero il diritto a riscuotere le rendite dell'Urbario, in estinzione di un ingente debito contratto dal conte Federico Luigi Della Torre; inoltre, sempre nel XVIII secolo, Anselmo Morpurgo di G. vi aveva aperto una fabbrica di tela e lana. Del Bianco Cotrozzi, M., La Comunità ebraica di Gradisca, p. 32.
[10] Ivi, pp. 80-81; p. 85.
[11] Del Bianco Cotrozzi, M, La Comunità ebraica di Gradisca, pp.136-137.
[12] Archivio di Stato di Gorizia, Atti amministrativi e giudiziari di Gradisca, b. 16, cc.nn., citato in Del Bianco Cotrozzi, M., La Comunità ebraica di Gradisca, p. 136, nota 15.
[13] Archivio di Stato di Trieste, C.R., Consiglio b.44, c.103r, citato in Del Bianco Cotrozzi, M., Gli ebrei di Gradisca e i loro privilegi, p. 160, nota 18.
[14] Del Bianco Cotrozzi, M., La Comunità ebraica di Gradisca d'Isonzo, p. 44.
[15] Del Bianco Cotrozzi, M., Gli ebrei di Gradisca, p. 161.
[16] Ivi, p. 156.
[17] Milano, A., Storia degli ebrei in Italia, pp. 329-330.
[18] Del Bianco Cotrozzi, M., La Comunità ebraica di Gradisca, pp. 103-111.
[19] Per tale espressione,impiegata nel rapporto della Luogotenenza di Trieste del 1891, cfr. Del Bianco Cotrozzi, M., La Comunità ebraica di Gradisca, p.133.
[20] Verwaltungsarchiv-Wien, Archiv des Ministeriums für Cultus und Unterricht, D 5 Küstenland, 1891, cc.nn., citato in Del Bianco Cotrozzi, M., La Comunità ebraica di Gradisca, p. 134, nota 4.
[21] Del Bianco Cotrozzi, M., La Comunità, p. 134.
[22] Del Bianco Cotrozzi, M., La Comunità ebraica di Gradisca, pp. 23-24.
[23] Del Bianco Cotrozzi, M., La Comunità ebraica di Gradisca, p. 87; p. 89-90.
[24] Archivio Storico Provinciale di Gorizia, Atti degli Stati Provinciali, Magistrato commerciale, b. 327 II, c. 146r, in Del Bianco Cotrozzi, M., Gli ebrei di Gradisca e i loro privilegi, p. 162, nota 23.
[25] Del Bianco Cotrozzi, M., La Comunità ebraica di Gradisca, p. 123.
[26] Del Bianco Cotrozzi, M., La Comunità ebraica, pp.44-58.
[27] Del Bianco Cotrozzi, M., La vita privata degli ebrei, pp. 198-199; Eadem, La Comunità ebraica di Gradisca, pp. 55-56.
[28] Morpurgo, E., Inchiesta sui monumenti e documenti del Veneto interessanti la storia religiosa, civile e letteraria degli ebrei, in Il Corriere Israelitico, XLIX (1912), p. 25.
[29] Del Bianco Cotrozzi, M., La Comunità ebraica di Gradisca, pp.112-113.
[30] Ivi, p. 113.
[31] Bolaffio, A., Abram Vita Reggio, in RMI XXIII (1957), pp.207-213.
[32] Del Bianco Cotrozzi, M., Gli ebrei di Gradisca e i loro privilegi, pp. 162-163. Morpurgo, E., La famiglia Morpurgo, p.18; Vielmetti, N., Elia Morpurgo di Gradisca, protagonista dell'illuminismo ebraico, pp. 41- 46; Rivkind, I.,Elia Morpurgo di Gradisca coadiutore del Wessely nella lotta della Haskalah alla luce di nuovi documenti e con l'aggiunta di introduzione e note (ebr.), pp. 138-159.