Gorizia

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Gorizia

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Capoluogo  di  provincia.  Sita nel  Friuli  orientale al margine  delle Alpi  Giulie, allo  sbocco della  valle dell'Isonzo, attraverso la quale comunica con i  paesi transalpini, è menzionata per la  prima volta in  un diploma di  Ottone III del 1001. Il centro acquistò importanza nel XII secolo, con la residenza dei Conti  di Pusteria,  divenuti avvocati  della Chiesa  di Aquileia. Nel 1500, estintasi la casata dei Conti di Gorizia,  scoppiò la  guerra  tra la  Casa  d'Austria e  Venezia  per la successione e  G.,  occupata  nel  1508  dai Veneziani, passò subito dopo agli  Asburgo, divenendo  la dimora di feudatari  tedeschi  e  italiani.  Con  la  soppressione del patriarcato di Aquileia, avvenuta nel 1751, la città divenne sede  di  un  arcivescovado.  Durante il periodo napoleonico G. fu occupata, con alterne vicende, ora dai Francesi  e ora  dagli  Austriaci,  rimanendo  alla  Francia dal 1809 al 1814.

Nel X secolo  risulta esservi stata  una presenza ebraica  a G.,  sulla  base  di  un  documento  del 949 che attesta che Daniel  David,  ebreo locale,  prestava  denaro  al  Vescovo Giovanni III[1]. Durante le persecuzioni del 1336-39, gli ebrei di G.  Furono molto colpiti ed alcuni subirono il martirio nel 1338[2]. Nel  1349,  tra  gli  altri  feneratori  attivi  a Cividale, troviamo anche Daniele da G.[3] ed anche nei secoli successivi è attestato il permanere di un gruppo israelitico a G.,  nonostante il  divieto di  soggiornare nella  contea, espresso  dagli  editti  del  1561  e del 1565[4]. Nel 1509 sarebbero stati  concessi dei privilegi ad  Isacco di  Aaron di Marburg, di Trieste,  e famiglia,  estesi nel 1585 dall'arciduca Carlo ad altre famiglie dei loro fratelli e zii[5]. Nel 1624 l'imperatore Ferdinando, in segno  di riconoscimento per la fedeltà dimostrata  alla  Casa d'Austria durante  la  guerra  veneziana,  conferì a Joel Pincherle lo status di Hofjude, permettendogli di vivere a G.[6].

Dal 1648 vi fu un ghetto in città[7] e sappiamo che nel  XVII  secolo  abitavano  in loco alcuni Morpurgo, tra cui Isacco,  in  seguito  trasferitosi  a  Venezia (dove, più tardi, avrebbe esercitato la   medicina Marco, laureatosi a  Padova), e  Giuseppe (padre di  Marco, addottorato  in  medicina  e  in  filosofia a Padova). Tra i membri  della  famiglia  rimasti  a G., troviamo, negli  anni  Settanta  del  XVIII  secolo,  Samuel  Vita e Anselmo[8]. Verso  il 1760,  gli ebrei  furono obbligati a portare il segno distintivo e fu loro vietato di servirsi di  balie cristiane,  salvo  in  caso  di  necessità e previo permesso speciale, ottenuto pagando una tassa. Anche qualora avessero voluto sfoggiare gioielli o ornamenti preziosi, avrebbero dovuto corrispondere una tassa, mentre nel periodo di quaresima erano tenuti a partecipare, almeno due volte alla settimana,  alla predica cattolica. Era, poi,  loro severamente proibito tenere discorsi sull'ebraismo alla servitù  cristiana e nei  giorni festivi cattolici non dovevano  aprire le botteghe del ghetto e, ancor meno, fare affari con i cattolici.

Era proibita la proprietà di immobili fuori dal ghetto e, se un ebreo commetteva  un delitto  che prevedeva  una pena pecuniaria, la somma doveva essere raccolta dalla Comunità, perché la responsabilità ricadesse sulla collettività e  non sul singolo colpevole[9].

La popolazione ebraica di G. subì un forte incremento dopo la cacciata del 1777 dal dominio veneziano[10] e a seguito della Toleranzpatent di  Giuseppe II, un decreto  del 1782 stabilì  che  gli  israeliti  delle  Contee  di  Gradisca e G. continuassero a godere degli antichi privilegi, in  aggiunta ai  nuovi, elargiti  dall'imperatore. Nel  1790 fu stabilita una normativa  speciale, denominata Judenordnung, che prevedeva l'eguaglianza di diritti e  di doveri per la popolazione ebraica e cristiana. Pertanto,  la gioventù  ebraica fu  obbligata a  frequentare scuole tedesche e a G. una di queste ultime venne istituita nel ghetto, ma dal  1789  al  1800  venne frequentata  da un'esigua minoranza  di  scolari,  mentre  la  maggioranza  preferiva frequentare le scuole cristiane[11]. Inoltre, avrebbe potuto essere ammesso agli studi  talmudici solo chi  dimostrato di  aver frequentato con profitto una scuola tedesca ( sempre posto che ve ne  fosse stata una) ed anche il permesso di matrimonio era  subordinato ad un certificato che  attestasse la conoscenza della  lingua tedesca. Agli ebrei fu permesso l'accesso ad ogni attività, salvo la gestione  delle osterie,  con il  pretesto che conduceva all'ozio,  mentre  lo  Stato  aveva  interesse  a promuovere l'industriosità ebraica. A partire  dal 1790  dovettero essere  aboliti tutti  i segni esteriori e i tipi  di abbigliamento che differenziavano  la popolazione ebraica dalla cristiana, fatta eccezione per gli abiti rabbinici. Gli israeliti, inoltre, acquisirono il  diritto di vivere anche fuori dal ghetto e furono sottoposti  alle stesse  autorità giudiziarie e  amministrative degli  altri sudditi: cessò così ogni giurisdizione rabbinica[12]. Gli  ebrei  avevano, poi,  l'obbligo  di  partecipare  al servizio militare[13].

Con  la  morte  di  Giuseppe  II,  però, per gli ebrei ritornarono più o meno  le  restrizioni precedenti. Ad esempio, da una protesta  dei capi della  Comunità, risulta che,  nel 1802,  i  locandieri  di  G.  avevano ricevuto ordine di non ospitare gli ebrei di  passaggio (il che non  avveniva nelle altre  città  della  Corona),  creando  gravi disagi agli israeliti, posto che non  potevano essere alloggiati nel ghetto, data la ristrettezza delle abitazioni[14]: l'occupazione napoleonica, fu pertanto, vista  molto favorevolmente dalla gran parte degli ebrei goriziani. A G. venne pubblicato,  nel 1782, il Discorso alla Nazione Ebrea di Elia Morpurgo da Gradisca[15], mentre nel 1775 il goriziano Samuele  di  Leone  Pincherle, stabilitosi a  Ceneda, si  convertì,  chiedendo che la figlia di sette anni, rimasta a G., fosse tolta alla madre, per essere educata nella religione cattolica: la Comunità si  appellò, allora,  al  Consiglio  capitaneale,  data la minore età[16]. Nel 1782  e nel  1801 si  registrarono due  casi di  giovani che  esprimessero  il  proposito  di  convertirsi, suscitando l'opposizione familiare: non è  noto, però, l'esito  finale delle loro vicende[17].

Vita comunitaria

La Comunità  era retta  da due  capi, eletti periodicamente, che erano  responsabili di  quanto avveniva in ghetto.  Dal ricorso che  i capi dovettero  fare all'autorità governativa per obbligare i renitenti (nel 1764 e nel 1775),  risulta che vi  erano periodiche adunanze  cui erano tenuti a partecipare tutti membri, così come vi erano tasse da pagare per la gestione comunitaria[18].

Attività economiche

Verso il 1760  gli ebrei di  G. praticavano il  prestito su pegno al tasso del  6%[19] ed erano allora in attività  tre banchi, tenuti  dalle  famiglie privilegiate (Morpurgo, Pincherle e Gentili). Nel  1696  l'imperatore  Leopoldo  concesse agli ebrei l'esercizio  del  commercio, sia quello al minuto, che quello delle granaglie. Già  dai  primi  decenni  del  XVIII secolo Aronne e Menasse Morpurgo,  di G., furono attivi nel  commercio del  tabacco, mentre altri correligionari avevano introdotto qui l'industria della seta, favorendo  presso i contadini la bachicoltura. Se in  città vi  erano soltanto  30 o  35 fornelli, nel solo ghetto  ve ne  erano  140  (la "trattura della seta" occupava  più di  cinquecento lavoranti cristiani  e  seicento  ne  erano impegnati nella cosiddetta "incanadura e torcidura delle sete ai filatoi")[20].

Demografia

I  primi  dati  precisi  sulla  consistenza  numerica  della Comunità ebraica goriziana risalgono al 1764,  quando ne facevano parte 256 persone (127 maschi e 129 femmine).  Nel 1779  il numero  salì a 272, suddivisi  in 53 nuclei  familiari (ogni  nucleo  comprendeva, in media,  circa  5,1 unità,  e  includeva  una  coppia, con relativa prole, i genitori di uno dei coniugi  e, talvolta, parenti  non  sposati  e  domestici).  Nel  1788  gli  ebrei risultavano  essere  270,  per  un  totale  di  52 nuclei familiari e rappresentavano circa il 4% della popolazione[21]. Dai  dati  rilevati  dai  registri  della  Comunità del periodo tra il  1778  e il 1800,  risulta che il tasso di natalità era  pari al 44,8 per mille, mentre la mortalità era del 36,6  per mille. Da un'indagine  condotta, per il decennio 1785-95,  sui decessi tra la popolazione  del ghetto e della limitrofa  parrocchia di S. Ignazio,  risulta che la  mortalità era  un po'  più alta  tra la  popolazione cattolica  e  che,  in  particolare,  essa  era  dovuta alle malattie infettive,  mentre la  principale causa  di decesso della  popolazione  ebraica  era  lo  “spasimo”  ( non direttamente riconducibile ad una malattia,  ma  alla disfunzione di diversi organi)[22].

Ghetto

Nel 1648 era  stato istituito il  ghetto a G.,  ubicato alle pendici  del  Castello,  in  una  zona  verde e salubre. Gli ebrei, tuttavia, dovettero abbandonarlo nel 1697, perché  la popolazione cristiana, vittima della peste - a cui, invece, essi erano risultati  quasi immuni  - pretese   si  trasferissero  in  una  zona  malsana,  vicina al cimitero degli appestati, tra la chiesa di S. Giovanni e  il torrente Corno. Il Ghetto  era chiuso  da due  portoni e nel 1762 fu ordinato al portinaio di chiuderli al tramonto, senza permettere agli ebrei di uscire, pena  un multa  pecuniaria. Dieci anni più tardi, l'accento fu messo  sull'obbligo dei  cristiani, servi o impiegati che fossero nel ghetto, di uscirne calata la  notte[23].  Da  sanzioni  disposte  in merito, risulta che alcuni israeliti,  invece,  avessero  l'abitudine  di uscire nottetempo  per  cercare  la compagnia di donne cristiane[24]. Nel 1785, dietro richiesta dei capi della Comunità, fu  concesso agli ebrei un corpo di guardia di tre uomini,  per  assicurare gratuitamente  la  sicurezza  (in cambio  delle  spese  affrontate,   volontariamente,  dalla Comunità  per  una caserma),  minacciata  dalle notturne  rubberie e inquietudini  che succedono nella  contrada degli Ebrei[25]. Con il passaggio ai  francesi, le porte del  ghetto avrebbero dovuto essere abbattute, ma i maggiori  possidenti ebrei si opposero  con  successo  al  provvedimento, preferendo la maggior sicurezza che la chiusura garantiva[26].

Cimitero

Il cimitero di G. risale al XVII secolo; esisteva, tuttavia, un altro cimitero di cui si sono perse le tracce[27].

Vita culturale

Il noto discorso del  capo della Comunità di  Gradisca, Elia Morpurgo, per divulgare  l'editto di tolleranza  di Giuseppe II  e  convincere  gli  ebrei  a seguirne le disposizioni, fu pubblicato  a  G.  nel  1782  e,  l'anno  successivo, fu  pubblicata  la  traduzione  (eseguita  dal  Morpurgo stesso)  del "manifesto" in favore dell'istruzione  della  gioventù ebraica,  Diwre-  shalom  ve-emet  del Wessely. Le idee della Haskalah  o  illuminismo ebraico furono diffuse  a G. principalmente dal rabbino  goriziano Isacco Samuele  Reggio (1784-1855)[28], figlio del rabbino Abram Vita Reggio, che fu per lunghi  anni maestro della scuola religiosa locale e, in seguito, divenne rabbino  e,  quindi, capo  delle  Comunità locale e di Gradisca[29]. Dalla  metà  circa  del  XVIII secolo era stata introdotta a G. una stamperia, in cui, nel 1779, fu prodotto un  volumetto  in  più lingue (compreso l'ebraico), composto  in  omaggio  di  un  maggiorente  della  città. Il componimento in  ebraico ha  scarso valore  letterario, ma costituisce l'attestazione  dell'esistenza  di  strutture tipografiche adeguate  alla  pubblicazione  in  ebraico.  Il consulente tipografico  ( e,  forse,  socio  del  tipografo Tommasini) pare sia stato il gradiscano Elia Morpurgo. Al Tommasini  si deve pure  la stampa  del libro  Esame ad  un giovane  ebreo istruito  nella  sua  religione (1783), scritto dal rabbino veneziano Simone Calimani, che, a richiesta, avrebbe  potuto essere stampato  anche in  tedesco e  in ebraico.  Tuttavia, pare che la tipografia ebraica fosse poco attiva nel XVIII secolo,  mentre  nel successivo la situazione  si presentava diversa[30]  

Bibliografia

Altieri, O., Notizie per una storia demografica degli Ebrei a  Gorizia, in Ioly Zorattini,  P.C. (a  cura  di), Gli  ebrei a Gorizia e  Trieste  tra  Ancien Régime ed Emancipazione, Udine 1984, pp. 145-153.

Bolaffio,  G.,  Sfogliando l'archivio della comunità di Gorizia", in RMI, XXIII,12 (1957), pp.  537-546;  XXIV,  1  (1958),  pp.  30-40; XXIV, 2 (1958), pp. 62-74; XXIV, 3 (1958), pp. 132-141.

Bolaffio,  G.,  Abram Vita Reggio, in RMI, XXXIII(1957), pp. 204-217.

De Grassi, M., La stampa ebraica e di autori ebrei  a  Gorizia nell'Ottocento  nei fondi  della biblioteca  dei Musei provinciali, in Ioly Zorattini,  P.C. (a cura  di), Gli  ebrei a Gorizia e  Trieste  tra  Ancien Régime ed Emancipazione, Udine 1984, pp.133-144.

Morpurgo, E.,  La famiglia Morpurgo  di Gradisca sull'Isonzo,  1585-1885,  Padova  1909.

Morpurgo, E., Inchiesta sui monumenti e documenti del  Veneto interessant la storia religiosa,  civile  e  letteraria  degli  Ebrei, Udine 1912.

Tamani,  G.,  I.S.  Reggio  e  l'illuminismo  ebraico",  in Zorattini,P.C. ( a cura di), Gli  ebrei a Gorizia e  Trieste  tra  “Ancien Régime” ed Emancipazione, Udine 1984,  pp. 29-40.


[1] Morpurgo, E., Inchiesta, p. 26; Tribel, A., Gli ebrei di Trieste, Trieste 1884, citato in Morpurgo, E., La famiglia Morpurgo, p.12.

[2] Cassuto, U., alla voce "Gorizia", in E.J.

[3] Cfr. la voce "Cividale" della presente opera.

[4] Antonini, P., Il Friuli orientale, Studi, Milano, 1865, p. 335 nota 1; p. 384, citato in Morpurgo, E., La famiglia Morpurgo, p. 12, note 6 e 8.

[5] Bolaffio, G., Sfogliando l'archivio della comunità di Gorizia, p. 30.

[6] Morpurgo, E., La famiglia Morpurgo, pp. 14-15.

[7] Antonini, P., op. cit., p. 385, nota 1, citato in Morpurgo, E., La famiglia Morpurgo, p. 16, nota 2.

[8] Morpurgo, E., La famiglia Morpurgo, pp. 16-17; Luzzatto, S.D., Autobiografia, Padova, 1882, p. 22, nota 2, citato ivi p. 17, nota 3.

[9] Bolaffio, G., op. cit., p. 31.

[10] Morpurgo, E., Inchiesta, p. 26.

[11] Bolaffio,  G., op. cit., p. 62.

[12] Bolaffio, G., op. cit., pp.31-33; p. 36.

[13]Per ulteriori ragguagli, cfr. la voce "Gradisca" della presente opera.

[14] Bolaffio, G., op. cit., pp. 34-35.

[15] Si veda la voce “Gradisca” della presente opera.

[16] Archivio di Stato di Trieste, Cesareo Regio Consiglio Capitaniale delle unite Contee di Gorizia e Gradisca(1754-1777; 1791-1803), b. 44, cc. 392, 397, citato in  Del Bianco Cotrozzi, M., La comunità ebraica di Gradisca d'Isonzo, Udine 1983, p. 110, nota 39.

[17] Bolaffio, G., op. cit., pp. 68-69.

[18] Bolaffio, G., op. cit., pp.541-542.

[19] Bolaffio, G., op. cit., p.31.

[20] Bolaffio, G., op. cit., pp. 72-74.

[21] Altieri, O., Note per una storia demografica degli Ebrei a Gorizia, pp. 146-147.

[22]Ivi, pp. 148-149. Da un  registro dell'archivio di G., che copre gli anni dal 1784 al 1813, risulta un quadro più particolareggiato: la mortalità infantile si rivela alta e le morti per “spasimo” ne risultano la causa principale, mentre seconda appare la morte per tubercolosi. Bolaffio, G., op. cit., p. 67.

[23] Morpurgo, E., Inchiesta, p. 26; Bolaffio, G., Sfogliando l'archivio della Comunità di Gorizia, pp.538-539.

[24] Ivi, p. 542.

[25] Ibidem.

[26] Ivi,pp. 539-540.

[27] Morpurgo, E., Inchiesta, p. 26.

[28] Tamani, G., I.S. Reggio e l'illuminismo ebraico, pp. 29-30.

[29] Bolaffio, G., Abram Vita Reggio, pp. 210-213.

[30] De Grassi, M.,  La stampa ebraica e di autori ebrei a Gorizia nell'Ottocento nei fondi della biblioteca dei musei provinciali, pp.133-134.

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