Gemona

Titolo

Gemona

Testo

Provincia di Udine.

Il centro sorge  presso  la  riva  sinistra  del Tagliamento: a nord è limitato  dalla  conoide  sassosa del torrente Drendesima o Vegliato ed  è  in  prossimità  delle  pendici occidentali del Monte Glemina. Città assai antica  della regione carnica,  ai piedi di  due importantissimi valichi  alpini, della  Pontebba e  di Monte Croce, G. fu probabilmente una delle prime, dopo Aquileia, ad avere un ordinamento municipale romano. Durante  l'età  longobarda  fu  sede  di arimanni e fu una colonia militare che guardava i valichi prossimi alle Alpi Carniche. Nel XIII  secolo G. si  costituì in  Comune, che  fu tra i quattro maggiori  del  Parlamento  friulano sotto  il  governo dei patriarchi ed ebbe parte importante nelle vicende  politiche. In seguito, G.  fu uno dei  principali Comuni della  "Patria del  Friuli",  cioè  del  corpo  di  città e territori governato  dal  luogotenente   inviato  dalla  signoria   di Venezia.

La presenza ebraica a G. è  attestata per la prima nel  1395,  quando  il  Comune stipulò una ondotta di durata biennale con  Mina da Aydelbarch  e i figli,  Yosep e Bonhom di Garlchath[1]. A  differenza  di  quello  che  appare  in  altre   condotte dell'Udinese  e, in  particolare a Venzone ),  i feneratori non sarebbero stati qui tenuti a prestare denaro al  Comune "se non per loro espressa volontà"[2].   Anche gli  ebrei di  G., come  la maggior  parte di quelli stanziatisi  nel  Friuli-Venezia  Giulia,  erano   d'origine ashkenazita[3]: la  condotta  concessa  dal  Comune  a  Mina e figli contiene una clausola, tipica delle condotte  stipulate con gli   ashkenaziti e dettata verosimilmente   dalla   loro

precedente esperienza nelle terre d'origine, che assicurava loro che, in  caso d'accusa, questa arebbe stata presa  in considerazione solo se tra  i testimoni  vi fosse  stato un ebreo[4]. Nella stessa condotta, inoltre,  compare un'altra  clausola peculiare gli ashkenaziti (assente, invece,  da quelle coeve rilasciate agli ebrei italiani),  riguardante la difesa contro ogni  forma di proselitismo cristiano,  sia

basato  sulla  costrizione  che  sull'opera  di persuasione. Inoltre, qualora si fosse verificato un caso di conversione, il  proselita  avrebbe  dovuto  essere  allontanato  da  G., probabilmente per non turbare, con la sua presenza, il  nucleo ebraico d'origine[5]. Un'altra clausola di  tali pattuizioni riguarda  la richiesta fatta dai  feneratori di  interrompere l’attività per recarsi altrove, per un periodo di quattro o cinque settimane, in occasione delle feste ebraiche, onde  assistere agli offici sinagogali secondo il proprio rito, in una Comunità più grande[6]. Nel  1401,  il  Consiglio  deliberò  di  accettare per  un biennio  o  un    triennio  l'ebreo  Davide e nel  fu presa  la decisione definitiva di accettare  per un  triennio David  del  fu  Mikhael  di  Cassel e famiglia come  feneratore, secondo accordi molto simili  a quelli stipulati a suo tempo con Yosep e Bonhom. Nel 1408 il Consiglio manifestò l'intenzione di osservare rigorosamente  i  patti  stabiliti  con  David  e,  pertanto, ribadì  che  egli  avrebbe  potuto  appellarsi  solo al Consiglio stesso, ma non al patriarca[7].  Dieci anni  più tardi, il figlio di David, Mosè, che era stato percosso, si rifiutò di
comparire di fronte al  vicecapitano, affermando  di  essere tenuto a farlo solo dinanzi ai provveditori. Nel 1411, nel 1418 e nel 1423 e David risultava prestare  al Comune e nel 1425  i suoi figli, Isacco, Mosè  e Mairo, alla vigilia dello scadere dei patti stipulati con il padre, ne chiesero la conferma, ma il Comune li rifiutò come  illeciti  e  disonesti[8]. La condotta fu rinnovata, tuttavia, poco dopo, a condizione  che l'impegno di  evitare ogni forma  di proselitismo  venisse  applicato  solo  ai  minori di dodici anni[9]. Nel 1431 il Comune, impegnando tutti i beni, prese  a  prestito  da  Isacco  i  denari  necessari  per sopperire  alle   spese  dei   due  oratori,   inviati  come ambasciatori a Venezia[10]. Dopo un silenzio di più di un secolo, un documento del  1546 attesta la  condotta di  Mosè del  fu Donato da Udine e  fratelli[11]. L'ultimo accenno alla presenza ebraica a G. è del 1575, quando fu eseguita la  deliberazione dell'anno precedente,  che  concedeva ai figli del fu Samuele Ashkenazi, residenti qui, di  poter  continuare  a  vivere  in  loco, con l'obbligo di fenerare.  Tale  concessione  fu  elargita  in  segno di riconoscimento per l'attività  diplomatica, svolta dal  loro zio, Salomone Ashkenazi, come ambasciatore del sultano turco presso il governo veneto[12].

Attività economiche

La   presenza   ebraica   a   G.  fu  esclusivamente  legata all'attività feneratizia: nella  condotta 1395 si  stabilì che il tasso di  interesse dovesse essere  del 23 %  circa per i prestiti  dalla  mezza  marca  in  sù  e del 37% circa per i prestiti minori. Nel 1401 risulta che l'interesse fosse del 32%  circa,  nel  1425  del  27%  e  nel 1546 del 20% per i residenti e  del 30%  per i  non residenti,  mentre con  li altri veramente de loci, et terre aliene gli ebrei erano in  liberta de pattizar[13].

Bibliografia

Billiani, L., Dei toscani e degli ebrei prestatori di denaro in  Gemona,  Udine  1895.

Ioly Zorattini, P.C.,  Gli insediamenti ebraici nel Friuli-Venezia Giulia, AISG, Atti del II Convegno Internazionale (Bologna 4-5 novembre 1981), Roma 1983, pp. 121-129.

Milano, A., Storia degli ebrei in Italia, Torino 1963.

Toaff, A., Migrazioni di ebrei tedeschi attraverso  i territori   triestini  e friulani fra XIV e XV secolo, in Todeschini, G.- Ioly Zorattini, P.C. ( a cura  di),  Il  mondo  ebraico.  Gli  ebrei tra Italia nord-orientale   e   Impero   asburgico   dal   Medioevo  all'età contemporanea, Pordenone 1991, pp. 5-29.


[1] Billiani, L., Dei Toscani ed Ebrei prestatori di denaro in Gemona, p. 16. Secondo il Billiani, Aydelbarch  potrebbe essere identificata  con Heidelberg, ipotesi che תpotrebbe essere corroborata dalla  traslitterazione in caratteri ebraici di Heidelberg, che, traslitterata ulteriormente in caratteri latini darebbe all'incirca "Aydelbarq". Cfr. Germania Judaica,III/1, p. 523. Quanto all'ipotesi che Garlchath fosse Carlshafen non sono state trovate prove a sostegno nella   Germania Judaica. Il Milano menziona la località come Garlacht: Storia degli ebrei in Italia,  p. 133.

[2] Billiani, L., op. cit., p. 21. Per il testo completo della condotta, vedi pp. 15-24. La stessa clausola circa la subordinazione del prestito al Comune alla espressa volontà dei feneratori ebrei viene citata anche in Lucchetta, M., I banchi ebraici di prestito su pegno, contributo per una storia del credito nel Friuli e a Pordenone in particolare ( tesi di laurea, Venezia, anno a.c. 1968-69), 3 voll., II, p. 550, citato in Ioly Zorattini, P.C.,  Gli insediamenti ebraici nel Friuli-Venezia Giulia, p. 122; p. 129, nota 11.

[3] Toaff, A., Migrazioni di ebrei tedeschi attraverso i territori triestini e friulani fra XIV e XV secolo, pp. 6-7.

[4] Billiani, L., op. cit., p. 23. A riprova del ricorrere di clausole analoghe a questa della condotta di G., si veda, ad esempio, la condotta, rinnovata nel gennaio 1389 dal Comune di Udine, con un gruppo di ashkenaziti in cui la credibilità di eventuali accuse  veniva subordinata alla presenza sia di ebrei che di cristiani di buona reputazione (cfr. Toaff, A., op. cit., p. 9).

[5] Per il testo della clausola in questione, cfr. Billiani, L., op. cit, p. 16. A proposito della clausola contro ogni forma di proselitismo, va rilevato che nelle ondotte friulane (come in quelle venete e lombarde) essa si limitava al proselitismo contro coloro che non avevano raggiunto la maggiore età religiosa (cioè, i tredici anni), mentre la clausola della condotta di G. del 1395 era estesa anche a tutela degli adulti. Cfr. Toaff, A., op. cit., p.10.

[6] Per il testo della clausola in questione, cfr. Billiani, L., op. cit., p. 19. Secondo il Toaff, questa clausola era legata alla scarsità numerica dei membri del nucleo ebraico, che impediva l'esercizio delle funzioni religiose legate al quorum, dando adito, di conseguenza, alla necessità di recarsi nella "Comunità-madre", secondo i dettami religiosi del calendario ebraico. Cfr. Toaff, A., op. cit., pp. 14-15.

[7] Billiani, L., op. cit. p. 10.

[8] Ivi, p. 11.

[9] Ivi, p. 12.

[10] Ibidem.

[11] Ivi, p. 13.

[12] Ivi, pp. 13-14. Salomone Ashkenazi vi viene definito "il dottore Rabi Salomon"; per ulteriori  ragguagli, cfr. la voce "Udine" della presente opera.

[13] Billiani, L., op. cit., p. 10; p. 12; p. 13.

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