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Capodistria (קאפודיסטריה)
Provincia di Pola. Posta su di un’isola costiera congiunta alla terraferma da una diga e da un ponte era chiamata Justinopolis nel basso Medioevo. Dopo svariate vicende, dovette arrendersi al dominio veneziano nel 1279, rimanendo soggetta al dominio della Repubblica, che ne assunse il controllo nominando il Podestà, scelto sempre tra i membri del patriziato veneziano[1]. C. restò sotto il dominio della Serenissima sino al 1797.
Secondo una fonte degli inizi del Novecento, la presenza ebraica a C. risalirebbe al 1386, quando gli ebrei avrebbero prestato su pegno con regolare contratto notarile, a condizioni loro favorevoli. I primi patti stipulati con i feneratori a C. risalgono però al 1391 e sono conservati negli statuti cittadini[2]. Il banchiere Davide Weymar , con cui erano stati conclusi tali accordi, fu esentato dall’obbligo della “rotella” distintiva in vigore a Venezia e, inoltre, insieme ai suoi collaboratori fu tutelato nell’attività creditizia ed ebbe la possibilità di essere sostituito, in caso di assenza, da altri correligionari.
Nei capitoli non venivano indicati i tassi di interesse che il feneratore poteva richiedere[3] e, meno di trent’anni più tardi, essi furono confermati, aggiungendovi la possibilità di prestare per i figli del Weymar, Marco e Mandolino, come, in effetti, avvenne poi alla morte del padre[4].
Nel 1434 le autorità sospesero le condizioni del prestito, chiudendo, in base a motivazioni non chiare, il banco di Mandolino, rimasto solo dopo la morte del fratello. Meno di dieci anni dopo, Mandolino aveva abbandonato la città, anche se vi risultava ancora impegnato in alcuni affari[5].
Oltre alla famiglia Weymar, furono attivi nel prestito a C. anche Samuele di Magonza, Mosè di Samuele, Samuele di Salomone, Orso, Abramo di Liebermann, ai quali si aggiunsero uno Josef, Emanuele di Francoforte, uno Jacob, un Josefet, un Manuele, un Isaac e una Bella, che operavano qui talvolta scambiandosi tra loro[6].
Dai libri dei Vicedomini, relativi alla prima metà del XV secolo, si evince che l’attività feneratizia a C. si svolgeva secondo tre modelli: in base al primo, il debitore si obbligava a restituire la cifra presa in prestito, vincolando i propri beni presenti e futuri a garanzia, alla presenza di uno più fideiussori[7]. Un ulteriore modello prevedeva, oltre all’obbligazione totale dei beni del debitore, anche il pegno a garanzia del prestito. I documenti relativi a questo secondo tipo di prestito sono poco numerosi e indicano un urgente bisogno di denaro liquido ed i pegni sono generalmente gioielli e capi d’abbigliamento, mentre il debitore s’impegna a restituire la cifra entro un tempo brevissimo[8].
La terza tipologia di prestito è documentata in alcune scritture giuridiche ritenute “contratti di pegno con diritto di usufrutto in favore del creditore”[9], in cui il creditore otteneva dal creditore la possibilità dell’usufrutto di beni immobili per semestri o anni, aprendosi le vie per inserirsi nell’economia cittadina secondo modalità non strettamente ed unicamente legate al prestito, ma correlate ad esso[10].
Da alcuni atti risulta che, tra la fine del XIV secolo e l’inizio del XV, gli israeliti prendevano in affitto e acquistavano immobili: tuttavia, una ducale del 1423 ordinò al Podestà di impedire l’acquisto di beni immobili, senza che ne sia fornita la motivazione. Si può supporre che l’intensificarsi, poco dopo questa data, di quel tipo di contratti, già menzionati, nei quali si parla di usufrutto di determinati beni immobili, sia da collegarsi al divieto[11].
Sembra che, nel periodo esaminato, gli ebrei esercitassero le loro attività nelle vicinanze della “Porta Maggiore”, dove possedevano edifici[12].
Dai documenti a disposizione, risulta che la maggior parte degli ebrei era impegnata nell’attività feneratizia: solo un tale Isacco viene qualificato come Magister[13].
Nel 1550 fu fondato a C. un Monte di Pietà[14], fallito pochi anni dopo. Per far fronte alla grave situazione economica della popolazione venne stipulata una condotta con Cervo di Mestre e Mandolino di Oderzo. La decisione del Senato veneziano, relativa ai feneratori, fu confermata nel 1574 e fu permesso, pertanto, agli ebrei di risiedere in loco senza essere molestati dall’Inquisitore, e di avere una sinagoga ed un cimitero vicino alla chiesetta di S. Giusto. Essi furono esentati da qualsiasi imposta personale, ma furono obbligati a prestare ai contadini e agli abitanti del distretto all’interesse di 2 piccoli e mezzo per lira al mese. Gli ebrei potevano prendere in pegno oro, argento e beni mobili, ma non arredi di Chiesa: il banco ebraico continuò a essere attivo, secondo tali modalità, per circa trent’anni. Sembra, tuttavia, che gli israeliti tralignassero, di tanto in tanto, dalle condizioni loro imposte, provocando la decisione di restaurare il Monte, come avvenne, infatti, nel 1608.
In seguito all’istituzione di quest’ultimo, i feneratori ebrei lasciarono C. nel 1613[15].
Bibliografia
Grison, R., Gli ebrei a Capodistria e la loro attività economica in una serie documentaria inedita (XIV-XV) (I Parte), in Todeschini, G.-Ioly Zorattini, P.C. ( a cura di) , Il mondo ebraico , Pordenone 1991, pp.59-66.
Ive, A., Banques juives et Monts de Piété en Istrie. Les Capitoli des Juifs de Pirano, in REJ II (1881), pp. 175-198.
Lozei, M. Gli ebrei di Capodistria e la loro attività economica in una serie documentata inedita, in Todeschini, G.-Ioly Zorattini, P.C. (a cura di), Il mondo ebraico. Gli ebrei tra Italia Nord-orientale e Impero asburgico dal Medioevo all’età contemporanea, Pordenone 1991, pp. 95-103.
[1] Grison, R., Gli ebrei di Capodistria e la loro attività economica in una serie documentaria inedita (XIV-XV), p. 61.
[2] Mayer , F., Gli ebrei feneratori a Capodistria, Capodistria 1914, p. 25, citato in Grison, R., op. cit., p. 62. La documentazione, per quanto riguarda la prima metà del XV secolo, presa in considerazione dal Grison è basata sostanzialmente sul testo di Mayer, F., Inventario dell’antico archivio municipale di Capodistria, Capodistria 1909 e sui libri dei Vicedomini di Capodistria (microfilmati) reperibili all’Archivio di Stato di Trieste. Cfr. Grison, R., op. cit., p. 60.
[3] Ibidem.
[4] Ivi, p. 26.
[5] Ibidem.
[6] Ivi, pp. 62-63.
[7] Ivi, p. 63.
[8] Ivi, pp. 63- 64.
[9] Ivi, p. 64, nota 15.
[10] Ivi, p. 65.
[11] Lozei, M., Gli ebrei di Capodistria e la loro attività economica in una serie documentata inedita, pp. 95-96.
[12] Ivi, p. 99.
[13] Ibidem. Dai libri dei Vicedomini risultano menzionati come operanti a C., senza specificazione di date, Samuele di Magonza, Davide di Weymar e i suoi figli Marco e Mandolino e la sposa di Joseph, figlio di Mosè, Salomone di Crucilach, Isaac e sua moglie Bella, Jacobus di Parenzo, Emanuele da Francoforte, Sara e Jona, Majer, Dulcis ebrea, Urso, Josefet David, Manul, Abramo di Mestre. Cfr. ivi, p. 102.
[14] Mardonizza, A., La Porta Orientale, pp. 99-110, citato in Ive, A., Banques juives et Monts de Piété en Istrie p. 185, nota 2.
[15] Ive, A., op. cit., pp. 185-186. Riguardo a questi dati l’Ive non fornisce, tuttavia, alcun riferimento bibliografico.