Nizza Monferrato

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Nizza Monferrato

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Provincia di Alessandria. Situata alla confluenza del torrente Nizza con il Belbo e anticamente conosciuta come Nizza della Paglia, fu un dominio dei Paleologi fino al 1536, quando passò sotto la signoria dei Gonzaga, rimanendovi fino al 1627, anno in cui Carlo di Nevers entrò in possesso del Monferrato. Nel 1708, dopo alterne vicende, N., insieme a ciò che restava del Ducato del Monferrato, fu conquistata dai Savoia[1].

Gli ebrei di N. erano soprattutto gli esuli dalla cacciata dalla Spagna nel 1492, anche se una piccola parte di essi giunse dalla Francia e dalla Savoia, abbandonate in seguito alle espulsioni del XIV e XV secolo[2].

Nel 1601, dopo la cacciata dal Ducato di Milano, Lazzarino di Vitale Sacerdoti, una volta residente ad Alessandria ed ora a N., chiese ai tre rabbini, distributori della proprietà della Comunità degli ebrei del Ducato, la porzione di sua spettanza come erede del padre[3].

I banchi di prestito

L'istituzione di un banco feneratizio a N. precedette la formazione di una vera e propria Comunità ebraica. Nel 1539 si concesse ad Isachino da Nizza e al suo socio Emanuele il privilegio di un banco in città, privilegio che fu rinnovato allo stesso Isachino nel 1570. Il banco, poi, passò nel 1585 a David Ravenna che lo condusse, salvo una breve interruzione nel 1600, fino al 1603. Infatti, nel 1600, il Duca Vincenzo I Gonzaga aveva interrotto i privilegi in tutto il Monferrato, perché gli ebrei erano stati accusati di avere infranto i capitoli ducali che riguardavano gli interessi sul prestito. Nel 1601 il decreto fu revocato e gli israeliti del Monferrato ricominciarono ad esercitare la loro attività di prestito.

Nel 1603 l'unico banco feneratizio di N. era tenuto da Israele Lattes, che allargò, nel 1611, la gestione ai suoi nipoti Salomone e Giosuè, ciascuno a suo nome e per la sua parte.

Nel 1614, i Lattes, insieme a Donato (Deodato) Debenedetti, gestivano in comune, ma ognuno a suo nome e per la porzione che gli spettava, il banco feneratizio di N., che fu però danneggiato gravemente dalle guerre che sconvolsero il Monferrato negli anni compresi tra il 1613 e il 1630,  per la successione del ramo diretto dei Gonzaga. Nonostante ciò, nel 1622, N., a differenza di altre cittadine del Monferrato, manteneva solidamente il suo unico banco feneratizio: infatti, nella tolleranza del 1623, Salomone Lattes e gli eredi di Giosuè Lattes e di Donato (Deodato) Debenedetti ottennero il privilegio di esercitare l'attività di prestito insieme e, dal 1631, quello di N. fu uno dei dodici banchi che rimasero attivi nel Monferrato[4].

Vita comunitaria

Durante il dominio dei Paleologi e dei Gonzaga, e anche successivamente con i Savoia, la Comunità ebraica di N. dipese da un punto di vista amministrativo e religioso dall'Università del Monferrato, che era retta da due, tre o quattro notabili ebrei chiamati massari, eletti dall'assemblea generale che si teneva a Casale Monferrato.

All'assemblea generale partecipavano gli ebrei inscritti alla Comunità nel ruolo di contribuenti. Essa decideva la nomina dei rabbini che si occupavano, oltre che di questioni religiose, anche di vertenze interne alla Comunità. I rabbini potevano, inoltre, scomunicare gli ebrei trasgressori, che non rispettassero le regole imposte dall'Università.

Sebbene l'editto del 1612 limitasse l'uso della sinagoga alla sola città di Casale Monferrato, gli ebrei di N. ne ebbero da sempre una, come ebbero il diritto a cimiteri e macellerie proprie.

Dal 1622 le cause civili tra ebrei non furono sempre giudicate dal Conservatore loro preposto, ma fu concesso all'Università di eleggere due arbitri tra gli israeliti originari del Monferrato, che dovevano decidere le vertenze secondo le leggi ebraiche. Il giudizio emesso era definitivo e non si poteva ricorrere alle autorità civili per una nuova sentenza.

All'inizio del Settecento gli ebrei Iona e Clava di Casale Monferrato, esattori ducali, ebbero dalla Comunità di N., in cambio di 400 doppie, il diritto sui forni.

Un altro episodio che coinvolse gli ebrei di N. fu legato alla taglia imposta dagli Alemanni alla città, che ammontava a lire 9.500: per essere sicuri del pagamento Tobia Giuseppe e Donato Debenedetti furono portati in ostaggio a Torino.

Nel 1728, due ebrei di N., Emanuele Tobia Debenedetti e Giuseppe Vita Foa, contestarono, insieme ad altri di Casale e di Moncalvo, le deliberazioni sulla tassazione prese dall'Università del Monferrato, rappresentata dai due massari Abramo Segre e Consiglio Fiz. La questione fu risolta a favore dell'Università dall'autorità civile giudiziaria, poiché già a quel tempo per gli affari ebraici non esistevano più i Conservatori, la cui carica era stata abolita dalle Regie Costituzioni del 1723.

L'episodio ebbe una certa importanza perché portò alla pubblicazione a stampa di una sentenza che venne successivamente applicata, nei suoi principi, anche nel Piemonte.

Nel 1600 e nel 1700 ci furono diversi casi di conversione al cristianesimo da parte di membri della Comunità locale: nel 1609 Anna Maria Cotta Piazza, nel 1658 Ventura, figlia di Emanuele Levi, nel 1703 Giacobbe ed Emanuele Levi e Colombina Pugliese, nel 1704 Moise Foà di Giacobbe, nel 1714 Isarel Giuseppe figlio di Gershon Foà, nel 1715 Giacomo Debenedetti, nel 1779 la figlia del già menzionato Emanuele Tobia Debenedetti e, infine, nel 1811 Rosa Bedarida, figlia di Salvatore[5].

Il ghetto

Sotto i Paleologi e i Gonzaga non vi fu obbligo per gli ebrei di vivere in un quartiere separato dai cristiani, sebbene fosse loro imposto l'uso del segno distintivo.

Le Regie Costituzioni di Vittorio Amedeo II del 1723, e del 1729 obbligarono alla creazione di un ghetto, che a N. fu istituito verso il 1732. Fu scelta per la sua ubicazione la contrada detta dell'Ospedale, di proprietà dell'Ospedale di Santo Spirito, perché si trovava in essa un edificio adatto ad accogliere la Comunità ebraica: inizialmente provvisoria, divenne poi la sistemazione definitiva del ghetto. Ci fu un tentativo di spostarlo nel 1740 nel quartiere chiamato della Cittadella (l'attuale Via Garibaldi), ma alcuni cittadini e il vescovo di Acqui si opposero perché per questa strada passava la processione del Corpus Domini. L'Ospedale non riebbe mai il proprio stabile e si dispose, quindi, che le famiglie ebraiche pagassero un canone annuo chiamato casacà[6].

Demografia

Difficile stabilire il numero esatto degli ebrei di N.: il primo censimento ufficiale della Comunità fu ordinato da Carlo Emanuele III nel 1761 e risiedevano allora nella cittadina 21 famiglie, circa 80 persone, dichiarate tutte povere ad eccezione di quelle di Salvatore Levi, che viveva in realtà a Genova, di Abramo Debenedetti, che aveva un negozio di pane e vendeva tabacchi, e di Graziadio Levi, che abitava fuori dal ghetto come impresario d'acquavite.

Nel 1774 vivevano a N. 255 ebrei[7].

Bibliografia

AA.VV., Nizza Monferrato, in E.J.

Colombo, D., Il ghetto di Nizza Monferrato, in RMI (1974) XXXX, pp. 52-56.

Foa, S., Gli ebrei nel Monferrato nei secoli XVI e XVII, Alessandria 1914 (ristampa Bologna 1965). Foa, S., La politica economica della casa Savoia verso gli ebrei dal secolo XVI fino alla Rivoluzione Francese. Il portofranco di Villafranca (Nizza), Roma 1962.

Segre, R., The Jews in Piedmont, 3 voll., Jerusalem 1986–1990.


[1] AA. VV., Nizza Monferrato, p. 866.

[2] Colombo, D., Il ghetto di Nizza Monferrato, pp. 52-56; Foa, S., Ebrei nel Monferrato, pp. 7-20; Segre, R., The Jews in Piedmont, I, Introduction; II, doc. 2591; III, doc. 2841-2843.

[3] Simonsohn,S.,  Milan, p. 2220.

[4] Colombo, D., op. cit., 52-53; Foa, S., La politica economica della casa Savoia, pp. 104-116; Foa, S., Gli ebrei nel Monferrato, pp. 66-105; Segre, R., op. cit., II, doc. 1965, 2238.

[5] Colombo, D., op. cit., pp. 52-56; Foa, S., Gli ebrei nel Monferrato, pp. 6-65; Foa, S., La politica economica della casa Savoia, pp. 138-164; Segre, R., op. cit., III, doc. 2849.

[6] Colombo, D., op. cit., ibidem; Segre, R., op. cit., III, doc. 2807, 2836, 2931, 2934, 3147, 3260, 3277.

[7] Colombo, D., op. cit., pp. 52-56; Foa, S., La politica economica della casa Savoia, pp. 155-156; Segre, R., op. cit., doc. 3147, 3260.

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