Asti

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Asti

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Capoluogo di provincia. Situato sulla sinistra del fiume Tanaro, fino al XII secolo vide alternarsi il potere vescovile e quello imperiale nel governo della città. Nel 1275 a Roccavione A., in lega con Genova, Pavia e il marchesato di Monferrato, sconfisse Carlo d'Angiò e nel 1310 l'imperatore Enrico VII la donò in feudo ad Amedo V di Savoia. Nel 1387 Giangaleazzo Visconti, signore della città, la dette in dote alla figlia, sposa di Luigi d'Orleans. Caduti gli Orleans nel 1415, A. ritornò alla signoria francese nel 1447. Passata nel 1512 sotto gli Sforza, nel 1531 cadde in mano a Carlo V. Nel 1538 Emanuele Filiberto di Savoia la ereditò per via dinastica, pur rimanendo A. occupata dalle truppe spagnole. Solo nel 1575 gli Spagnoli la restituirono ai Savoia, tentando di rimpossessarsene nella prima guerra di successione del Monferrato. Nei secoli XVII e XVIII, la città fu spesso contesa, a causa delle guerre civili e di successione che la attraversarono. Nel 1797 scoppiò ad A. la rivoluzione contro Carlo Emanuele IV, re di Sardegna, e venne proclamata la Repubblica. Nel 1815, infine, con la Restaurazione, A. ritornò sotto il governo di casa Savoia[1].

La prima notizia, di epoca medioevale, relativa alla presenza di ebrei ad A. risale ad un documento dell'anno 812, in cui viene menzionata la terra Dondoni judeo.

Solo a partire dal XIV secolo, però, con l'arrivo di famiglie ebraiche dalla Francia nel 1394, cominciò a formarsi una vera e propria Comunità.

In seguito, i primi documenti che attestano una presenza ebraica ad A. sono della fine del XV secolo: nel 1469, ad esempio, un ebreo di nome Perutio, abitante in città, si recò per affari a Pavia e, nel 1470, egli spostò la propria residenza a Castello di Annone, una località vicina ad A. Un altro ebreo di questo centro, Giuseppe, nel 1471–1472, cercò rifugio dalla peste ad Alessandria ma, in questi stessi anni, il consiglio cittadino chiese al duca di Orleans, con una certa insistenza, di espellere gli ebrei dalla città e dal territorio circostante. La richiesta non fu accolta ed essi rimasero con l'obbligo, però, di portare il segno distintivo.

Nel 1515 i fratelli Clemente e Salomone, figli di Moisè, ottennero il permesso di risiedere ad A. insieme ad un loro compagno, beneficiando degli stessi capitoli e privilegi che Massimiliano Sforza aveva concesso agli ebrei del resto dei suoi domini.

Nel 1530 la città fu assegnata da Carlo V alla duchessa Beatrice, moglie del duca di Savoia Carlo III, e aggregata così agli stati sabaudi. Nel 1535 la duchessa emise un ordine per espellere gli ebrei da A. e dal contado entro quindici giorni, pena la confisca dei loro beni.

Nel dicembre dello stesso anno furono, comunque, rilasciate due lettere patenti a favore di Giacobbe, Elia e Giuseppe de Sacerdote, che poterono rimanere in città per altri sei mesi con l'obbligo di portare un segno distintivo bianco e rosso, pena una multa di dieci ducati.

Nel 1538, alla morte della duchessa Beatrice, gli ebrei furono riammessi in città dal figlio Emanuele Filiberto. Nel 1539 ad Elia Segre, ai suoi fratelli e al nipote Jacob Foa fu garantita dal duca una condotta per poter abitare in città.

Nel 1589 il Nunzio Apostolico di Torino si lamentava, direttamente con il Pontefice, del comportamento tenuto dalle autorità civili di A. sulla campagna, da lui promossa in tutto il Piemonte, contro i libri ebraici: in quell'occasione, infatti, le autorità avevano preso le difese degli ebrei rompendo i sigilli dei libri posti sotto sequestro[2].

I banchi di prestito

Nel 1538 Emanuele Filiberto concesse agli ebrei di tornare a stabilirsi ad A. e di svolgervi l'attività di prestito, esentandoli dall'uso del segno distintivo. Isacco e Giacobbe Poggetto ed Elia Foa ottennero dal duca il permesso di risiedere per un anno e di aprire dei banchi di prestito. Nell'interesse che essi dovevano pagare si distingueva tra il prestito su pegno, per il quale esso era fissato, e quello senza pegno, per il quale era lasciato libero l'accordo.

Tali banchi rappresentavano una triplice fonte di reddito per i sovrani, che esigevano tasse per concedere e rinnovare la licenza o "condotta", si giovavano delle attività bancarie ebraiche per l'economia dei loro stati e obbligavano gli ebrei a contributi straordinari e speciali donativi. Alla fine del XVI secolo, i banchieri astigiani rappresentavano una discreta potenza finanziaria, che svolgeva la propria attività anche fuori dal dominio sabaudo.

Nel 1565 esistevano ad A. tre banchi feneratizi condotti da Isacco Poggetto, da Lazzarino suo figlio e da Elia Da Nizza. Le disposizioni di Emanuele Filiberto in merito stabilivano che nessuno potesse aprire un banco nella città senza il permesso dei tre sopra menzionati, pena la multa di 500 scudi ad ogni contravventore. Le famiglie Poggetto e Nizza non erano di modesti prestatori, ma dirigevano delle vere società finanziarie. Possedevano banchi a Moncalvo, a Canelli, ad Alba, a S. Damiano, a Chieri, a Crescentino, arrivando fino ad Incisa ed Alessandria e anche al Monferrato. In un documento del 1580, tra i nomi dei conduttori di banchi astigiani già menzionati figurava Mosè Jarach, che successivamente ebbe (1602) due attività a Canelli e Prelle.

Negli elenchi della tolleranza papale del 1584 risultavano attivi ad A. i banchi di Lazzarino Poggetto, che ne aveva un altro a Canelli, di Angelino Poggetto e di Elia da Nizza. Nel 1587 Lazzarino Poggetto pagò una multa di 600 scudi, insieme al figlio Benedetto, per avere prestato denaro illegalmente.

Nel 1603 gli eredi di Lazzarino Poggetto e di Elia da Nizza conducevano i due banchi di A. Quello degli eredi Poggetto fu, nel 1605, diviso in due e condotto separatamente dai fratelli Sansone e Lazzarino.

Nel 1597, oltre a questi, esistevano comunque in città anche due banchi separati condotti da Abramo Concio con il nipote Grassino e da Moisè Poggetto.

Nell'ultima concessione del 1624 erano attivi nel centro piemontese quattro banchi feneratizi gestiti da Mosè Jarach, Emanuele Artom, Giacob Poggetto e Israele Lattes[3].

Il ghetto

Le Regie Costituzioni del 1723 e del 1729 stabilirono la costituzione di un quartiere separato per gli ebrei in tutti i domini sabaudi. Sebbene quelli astigiani vivessero tutti riuniti in un medesimo luogo, il ghetto ad A. diventò obbligatorio nel 1730. La composizione sociale era simile a quella di altre Comunità: un esiguo numero di ricchi proprietari di banchi e di piccoli commercianti benestanti, accanto ai quali pullulava la maggioranza con i suoi commercianti dell'usato, ambulanti, piccoli artigiani e mendicanti. I capi dell'Università degli ebrei erano esentati dalle tasse che tutta la Comunità doveva pagare allo Stato a seconda dei beni posseduti. Gli esattori delle tasse, che venivano versate in casseforti, dette "casselle", erano quattro. Nella cassella di A. venivano versate le tasse anche di Canelli e di San Damiano.

Le due porte d'accesso al ghetto erano probabilmente poste alle due estremità della Contrada degli Ebrei, l'attuale Via Alberti. I decreti napoleonici del dicembre 1798 e del febbraio 1799 resero gli israeliti cittadini come gli altri, abolendo il ghetto con le sue limitazioni e le sue autonomie amministrative[4].

Vita comunitaria

I privilegi concessi alla Comunità ebraica di A. e del suo territorio da Emanuele Filiberto nel 1538 erano diversi da quelli di cui godevano gli israeliti residenti nel resto dei domini sabaudi. Le concessioni ducali stabilirono infatti che le controversie civili interne dovevano essere risolte da due arbitri ebrei. Gli israeliti, inoltre, non potevano essere citati a giudizio nei giorni di festa, nessun inquisitore ecclesiastico o autorità civile poteva dare loro impedimento o molestia durante le funzioni religiose, che si tenevano a casa o nel tempio. Inoltre essi avevano diritto ad un cimitero proprio, a non portare il segno distintivo e ad allontanarsi dalla città, a causa di guerre o pestilenze, con il permesso di ritornarvi.

Il conservatore degli ebrei, che funzionava nel resto dei domini sabaudi, fu sostituito ad A. da pretori e deputati alla provvisione della Comunità. Nel 1565 i privilegi concessi precedentemente vennero riconfermati e vennero tutelati la libertà di culto e l'uso di un tempio, di un cimitero, di libri sacri, e di una macelleria ebraica. Si assicurò agli ebrei la protezione del principe da ogni sopruso e vessazione delle autorità civili. Era riconosciuto il valore delle assemblee generali degli ebrei, dirette dai loro capi, che avevano lo scopo di provvedere alle necessità interne della Comunità e al denaro per far fronte agli impegni finanziari verso il duca. Le controversie religiose interne alla Comunità furono affidate ad un tribunale di due rabbini. La vita religiosa era vivace: il rito seguito era quello tedesco-francese, chiamato "Apam" (o, più esattamente, "Afam"), dalle iniziali ebraiche delle tre città in cui era praticato: Asti, Fossano e Moncalvo. La lingua parlata dagli ebrei di A. era certamente il piemontese integrato con molti vocaboli ebraici italianizzati. In occasione della festa di Purim, era consuetudine che gli ebrei delle Comunità vicine giungessero ad A. per il ballo mascherato.

Nel 1755 sorse l'istituto di beneficenza della Confraternita di Misericordia, che si occupava della lettura quotidiana di testi sacri, dell'assistenza agli indigenti e agli infermi e della sepoltura dei morti e che venne inizialmente sovvenzionata dai suoi membri e da donazioni di private[5].

Demografia

Difficile stabilire con esattezza il numero degli ebrei di A. prima del censimento voluto da Carlo Emanuele III nel 1761: in quell'anno ne risiedevano qui 196, suddivisi in 38 famiglie, mentre nel 1774 il numero era salito a 400[6].

Rabbi Joab ben Isaac Gallico fu rabbino di A. e di Governolo alla fine del XVI e all'inizio del successivo (nel 1582 passò da una località all’altra). Compilò un dizionario per il Talmud e il Midrash ed un suo poemetto fu pubblicato in Ayeleth haShakar. Ebbe banchi di prestito a Mantova e nel mantovano e il suo nome ricorse spesso nelle minute dei libri della Comunità, a causa delle continue polemiche tra quest'ultima e i banchieri.

Rabbi Jacob ben Mordechai Poggetto fu rabbino di A. e di Cuneo e autore del Kizur Reshit Hochma, pubblicato a Venezia nel 1600. Nel 1587 copiò ad A. l’Or Yakar di Rabbi Mosè Cordovero[7].

Bibliografia

De Benedetti, P., Gli ebrei di Asti e il loro rito, in Il Platano 4 (1977), pp. 17-28.

De Benedetti, P., Ancora sugli ebrei di Asti, in Il Platano 5 (1979), pp. 43-46.

Disegni, D., Il rito di Asti-Fossano-Moncalvo, in Scritti in onore di Sally Mayer. Saggi sull'ebraismo italiano, Jerusalem 1956, pp. 78-81.

Foa, S., Banchi e banchieri ebrei nel Piemonte dei secoli scorsi in RMI XXI (1955), pp. 38-50, 85-97, 126-136, 190-201, 284-297, 325-336, 471-486, 520-535.

Milano, A., Asti in E.J., III.

Mortara, M., Indice alfabetico dei rabbini e scrittori israeliti, Padova 1886.

Segre, R., The Jews in Piedmont, 3 voll., Jerusalem 1986–1990.

Servi, F., Uno sguardo alle comunioni israelitiche d'Italia, in Il Corriere Israelitico (1865–1866) IV, pp. 182-184.

Simonsohn, S., The History of the Jews in the Duchy of Milan, 4 voll., Jerusalem 1982–1986.

Voghera Luzzatto, L., Ebrei ad Asti, in Il Torchio (1979–1980), pp. 6-9.

Voghera Luzzatto, L., Emancipazione ebraica ad Asti, in Il Platano (1980) 2, pp. 92-102.


[1] AA. VV., Asti, pp. 77-80.

[2] Monumenta Historiae Patriae, pp. 30-31; De Benedetti, P., Ancora sugli ebrei di Asti, pp. 43-46; Foa, S., Banchi e Banchieri ebrei nel Piemonte dei secoli scorsi, pp. 45-50; Voghera Luzzatto, L., Ebrei ad Asti, pp. 6-9; Voghera Luzzatto, L., L'emancipazione degli ebrei in Piemonte, pp. 92-102; Segre, R., The Jews in Piedmont, I, doc. 730-731, 734, 753, 770, 771, 779, 790, 793-794, 796, 798-799, 804-805, 809; Simonsohn, S., The Jews in the Duchy of Milan, I, doc. 1370, 1428, 1439, II, doc. 2355.

[3] De Benedetti, P., Gli ebrei di Asti e il loro rito, pp. 17-28; Foa, S., op. cit., pp. 86-90;  pp. 131-134; pp. 189-201; pp. 284-293; pp. 476-485; pp. 525-535; Segre, R., op. cit., I, doc. 810-811, 1299, II, doc. 1361.

[4] Voghera Luzzatto, L., Ebrei ad Asti, ibidem; Voghera Luzzatto, L., L'emancipazione degli ebrei in Piemonte, ibidem; Segre, R., op. cit., I, Introduction, LXXV-LXXXIX.

[5] De Benedetti, P., Gli ebrei di Asti e il loro rito, pp. 17-28; Disegni, D., Il rito di Asti-Fossano-Moncalvo, pp. 78-81; Milano, A., Asti, p. 785; Segre, R., op. cit., I, Introduction, IX-XCVIII; Servi, F., Il Corriere Israelitico, pp. 182-184; Voghera Luzzatto, L., Emancipazione ebraica ad Asti, ibidem.

[6] Foa, S., op. cit., pp. 528-529; Segre, R., op. cit., III, doc. 3151, 3260.

[7] Mortara, M., Indice alfabetico, p. 26, p. 50.

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