Titolo
Testo
Alessandria (Alessandria della Paglia), אלכסנדיה[1], אלישנדריא[2], אליסנדריה[3]
Capoluogo di provincia. Posta nel tavoliere tra le Langhe e il Monferrato, sul fiume Tanaro a nord della confluenza con la Bormida, fu libero Comune. Dal 1348 sino al 1535 fu dominio dei Visconti e degli Sforza, ma nel 1500 venne saccheggiata dall'esercito di Luigi XI. Dal 1535 sino al 1708 A. fu sotto il controllo degli Spagnoli, resistendo nel 1657 all'assedio congiunto delle truppe francesi e del duca di Modena. Nel 1709 fu annessa al ducato di Savoia e nel 1798 cadde nelle mani di Napoleone, venendo aggregata nel 1808 al dipartimento del Monferrato. Dopo la Restaurazione, nel 1815, A. tornò a far parte del ducato sabaudo.
Una traccia della presenza ebraica ad A. risale agli inizi del Quattrocento, come si deduce da un documento del 1475 circa, in cui un certo Abraham chiedeva al duca di estendere il suo permesso di risiedere nella città, sostenendo che lui e i suoi avi vi avevano vissuto per sessant’anni.
In effetti, secondo un manoscritto della Laurenziana di Firenze, nel 1478 avrebbero vissuto ad A. alcuni ebrei d’origine ashkenazita, ivi compreso un rabbino, di cui non si conosce il nome e nelle carte dell'Archivio di Stato milanese, troviamo menzionato, negli stessi anni, un ebreo alessandrino, tale Guglielmo (Benjamin), che presentava la richiesta di un permesso per aprire in città delle taverne per i poveri e per i correligionari in transito, chiedendo di essere esentato dalle imposte, mentre, pochi anni dopo, è testimoniata l'attività di un certo Rabbi Jacob o Magister Jacob, giudice degli ebrei della città. Troviamo menzionati nei documenti di questi anni gli ebrei non solo come singoli, ma anche come Comunità nel 1472, quando si lamentarono con il duca dei tentativi di espulsione messi in atto dall'autorità municipale e dagli Anziani, ad onta della condotta ducale che consentiva loro la residenza[4].
Anche da parte della Chiesa, del resto, assistiamo a pressioni anti-ebraiche che si fecero sempre più sentire in tutto il ducato, sinché persino Ludovico il Moro, che aveva sempre tenuto un atteggiamento favorevole agli ebrei, fu costretto a cedere, forse a motivo delle accuse rivolte ad un folto gruppo di israeliti ritenuti rei di aver calunniato la religione cristiana, decretando, nel 1490, l’espulsione dalle terre ducali. Tuttavia, il provvedimento non fu messo in esecuzione immediatamente e non colpì tutta la popolazione ebraica: anzi il numero degli ebrei rimasti dovette essere considerevole se, nel 1493, vennero loro vietate tutte le attività e, in primis, quella feneratizia.
Nonostante questo stato di cose, Ludovico il Moro continuò a mantenere rapporti amichevoli con alcuni israeliti e, in particolare, con il medico Salomon Gallico che gli procurava — e traduceva in latino — i libri ebraici che gli interessavano. Al fatto che, proprio nel 1490 (anno dell’espulsione), Abraham di Josef Cohen Vitale di Valenza ottenne il permesso di stabilirsi ad A. e di aprirvi un banco, può non essere estranea la presenza di Salomon Gallico nella città, secondo quanto ci testimonia una lettera che quest’ultimo scrisse a Ludovico il Moro, in data 19 giugno 1494, informandolo dei movimenti più o meno segreti della corte di Francia[5]. Quanto ad Abraham Cohen Vitale, undici anni dopo essersi insediato ad A., approfittando della distruzione del locale Monte di Pietà, stipulò con gli Anziani della città un accordo, secondo cui poteva trattenersi con la sua famiglia, compresi eredi e successori, a patto di impegnarsi a tenere un banco di prestito a beneficio dei cittadini: si veniva formando, così, il nucleo di una Comunità ebraico-italiana[6].
Nel 1533 il duca di Milano, Francesco II Sforza, rinforzò la posizione degli ebrei e ne avallò i privilegi, che consistevano, essenzialmente, nel diritto di risiedere nel ducato, di godere della libertà di culto e di esercitare l’attività feneratizia e commerciale, nonché nell’autogestione interna. Due anni dopo, alla morte dello Sforza, il ducato passò al diretto dominio dell'imperatore Carlo V, sotto il quale i privilegi ebraici vennero ridotti e, anzi, nel 1550, venne fatto un tentativo — mancato peraltro — di espulsione. Sempre negli anni Cinquanta del XVI secolo, dietro istigazione del clero e della popolazione, fu istituito il segno distintivo e il prestito — ufficialmente proibito, anche se indispensabili all'economia locale — potè venire svolto solo clandestinamente.
Nel 1569 scadeva la condotta e furono intavolate trattative per il suo rinnovo, con l'invio alla corte di Spagna di rappresentanti degli ebrei del ducato di Milano. Nonostante il malcontento della Chiesa, la condotta venne rinnovata, ma fu proposta la segregazione nel ghetto, provvedimento che fu attuato, tuttavia, solo ad A., nel 1585.
L'ostilità della Chiesa, che si faceva sentire già da diverso tempo, condusse nel 1559, sotto la spinta della Controriforma, al sequestro degli esemplari del Talmud, restituiti solo dopo molti sforzi.
Dagli anni Settanta in poi, ebbero luogo, inoltre, continue pressioni da parte del clero, sfociate nel tentativo di espulsione del 1591, contrastato ad A. per motivi legati soprattutto alle esigenze economiche della Corona di Spagna, indebitata con i Sacerdote-Vitale. A suggello di una serie di iniziative anti-ebraiche, vi fu, nel 1594, l'accusa, mossa ad un esponente della Comunità alessandrina, di aver rapito un fanciullo cristiano ad celebrandam superstitionem azimorum che non ebbe seguito, però, data la posizione influente dell'accusato.
Ad onta di questo stato di cose poco fausto, nella seconda metà del Cinquecento vi furono degli esempi del fiorire delle attività ebraiche legate al culto, come la copiatura di un rotolo della Torah, nel 1581, ad opera del noto copista Rabbi Meir di Efraim da Padova, a beneficio di Samuel Simone Sacerdote-Vitale. Di un certo interesse, rispetto alla vita culturale ebraica del periodo, è anche il soggiorno nella città dell’autore della nota e controversa cronaca ebraica Shalshelet ha-Qabbalah, Gedaliah Ibn Yahya, che visse ad A. dal 1576 al 1585, scrivendovi alcune opere.
Alla fine del 1596, la tendenza contraria alla presenza ebraica aveva, però, ormai preso il sopravvento e il re Filippo diede istruzioni affinché nel ducato venisse reso esecutivo il decreto di espulsione: il 23 giugno 1597 la cacciata degli ebrei poteva definirsi compiuta[7].
Uno dei maggiorenti della Comunità alessandrina, Samuele Simone Sacerdote-Vitale, che aveva reso, insieme al padre, molti servigi alla Corona di Spagna, partecipando, tra l'altro, a missioni segrete e sventando complotti di spie, fu autorizzato a rimanere con la famiglia ad A., dove continuò l'attività feneratizia. Egli può essere considerato anche un esempio significativo rispetto alla generale tendenza degli ebrei del ducato a cercare, sin quando fosse stato possibile, fonti di reddito alternative al prestito, applicandosi, tra l'altro, come ingegneri e inventori: infatti, era giunto a distinguersi in questo ramo, sottoponendo al re, nel 1591, un progetto per desalinizzare l'acqua di mare a basso costo.
Del resto, qualche anno prima, assieme al padre, Samuele aveva proposto a Emanuele Filiberto di Savoia il promettente progetto di creare a Nizza un mercato verso il Levante, naufragato, poi, per l'ostilità del re di Spagna nei confronti dei marrani che dovevano cooperare all'impresa[8].
Oltre alla famiglia Sacerdote-Vitale, che godeva di una posizione di privilegio all'interno della Comunità, altri ebrei, a partire dal 1601, ottennero nuovamente il permesso di stabilirsi ad A., come, ad esempio, Clemente Pugliese.
Nel 1614 Anselmo Sacerdote-Vitale, figlio di Samuele Simone, ottenne dal Senato di Milano l'esenzione da qualsiasi imposta straordinaria per aver dato alloggio e denaro agli ufficiali e ai loro attendenti. Nel 1640 i Sacerdote-Vitale riuscirono ad ottenere condizioni di vita meno precarie, sfruttando i meriti che si erano acquistati prestando ingenti somme di denaro a beneficio dell'entourage ispano- milanese ed ottenero, in tal modo, una condotta che confermava loro tutte le passate concessioni — avute da Francesco Sforza II e da Carlo V — inerenti il prestito, la residenza in città e il il culto. A conferma dell'entità del loro successo, si legge nelle carte milanesi: corre la voce che gli hebrei in Alessandria fanno e possono quello che vogliono[9].
Quando, nel 1657, il duca di Modena, alleato dei Francesi contro la Spagna, tentò di conquistare A., fu la fedeltà di un ebreo a salvare la città dall’assedio.
Nel 1707, durante la guerra di secessione spagnola, tre membri della famiglia Sacerdote-Vitale si recarono a Torino e, a nome dell'Università, resero omaggio al nuovo sovrano, sottoponendogli svariate richieste inerenti la libertà religiosa, quella di commercio, le relazioni con i cristiani, la regolazione degli affari interni secondo la Legge ebraica, l'esenzione di qualsiasi segno distintivo e l'intervento delle autorità contro i rapimenti di minori a scopo di conversione al cristianesimo.
Vittorio Amedeo II di Savoia, pur accettando la presenza ebraica ad A., nell'intento di uniformare il trattamento degli ebrei locali a quello dei restanti piemontesi, non assentì a tutte le richieste e, su modello di quanto era avvenuto già nel XVII secolo a Torino, nel 1723 fu decretata l'istituzione di un ghetto, chiuso dal tramonto all'alba[10]. Tuttavia, ad A., gli ebrei, pur vivendo in un quartiere destinato esclusivamente a loro, si sottrassero alla segregazione ghettuale vera e propria che si era dimostrata de facto impraticabile[11].
Nel 1749 le autorità concessero a quanti esercitavano il commercio di vivere periodicamente fuori dal quartiere loro assegnato: particolari licenze, inoltre, furono rilasciate a coloro che avevano filande di seta in tutto il Piemonte.
La popolazione ebraica si accrebbe nettamente, dopo l'annessione al Ducato sabaudo, con l'emigrazione di numerose famiglie provenienti soprattutto dall’area modenese, e, nel 1760, l'ammissione di altri israeliti in città venne regolamentata come a Torino e sottoposta al consenso dei rappresentanti dell'Università, mentre era caduta la necessità del consenso della famiglia Sacerdote-Vitale, che aveva tenuto l'egemonia sino all'avvento dei Savoia.
La maggior precisazione dei rapporti tra ebrei e Stato, conseguente alla trasformazione del ducato sabaudo in regno e alle nuove Costituzioni, si fece particolarmente sentire nei territori di recente acquisiti: per avere la benevolenza di Roma, i Savoia dovettero esercitare una politica più rigida nei confronti degli ebrei, che ebbe un influsso negativo anche sulla vita economica. A questo proposito, occorre rilevare che, a parte alcune famiglie facoltose impegnate nelle attività tessili, il resto della comunità si trovava in gravi difficoltà finanziarie.
In aggiunta a questo stato di cose, ad A., alla tradizionale ostilità della Chiesa si unì il risentimento popolare che accomunava polemicamente il potere sabaudo e gli ebrei: tra le varie “pasquinate” anti-governative, nel 1754, ci fu, dunque, anche la canzone antiebraica della Gnora Luna, popolare ai tempi in varie zone d'Italia, con cui gli ebrei venivano bersagliati.
In merito ai rapporti con la Chiesa vediamo, nel 1742, l'opposizione dell'Università all'ingiunzione vescovile di assistere ai Quaresimali e al battesimo dei correligionari convertitisi al cristianesimo. Ancora nel 1772 l'Università si appellava al Re per lo stesso motivo, unendovi la preghiera di esentare le donne e i massari dal “segno” distintivo e richiamandosi al compromesso raggiunto, nel 1766, tra l'autorità ecclesiastica e il governatore, circa la riduzione del numero degli israeliti obbligati a partecipare alle cerimonie in questione.
Nel 1798 le truppe rivoluzionarie napoleoniche entrarono ad A.: il nuovo governo francese vide la partecipazione fervida di numerosi ebrei, attirati dagli ideali egualitari: ad esempio, Lelio Vitale di Salomone Sacerdote divenne membro della Società Patriottica e della Commissione per raccogliere fondi per l'armata francese, mentre Abram Vitale fece parte del Comitato delle requisizioni e divenne impresario delle caserme militari ed altri esponenti della comunità alessandrina figurarono nelle sottoscrizioni.
A. non risentì dei movimenti controrivoluzionari e, al contrario, dopo Marengo, gli ebrei godettero di un eccezionale periodo di libertà, pagato, tuttavia, con un notevole contributo finanziario, imposto loro nel 1803.
Sotto il regime napoleonico venne introdotta la massoneria in Piemonte, cui figurano aver aderito tre membri della comunità, tra cui Lelio Vitale Sacerdote.
L' Università fu aggregata, nel 1808, al Concistoro del dipartimento del Monferrato[12].
Vita comunitaria
La comunità di A., come le altre del ducato di Milano, faceva parte di un'organizzazione centrale chiamata Università o Collegio degli ebrei del ducato, che, dalla metà del XV secolo, nominava tesorieri, assessori fiscali, esattori fiscali ed un comitato composto da quattro membri, scelti dal duca, che era preposto ai problemi fiscali. Il primo incontro delle Comunità ebbe luogo a Piacenza nel 1453 alla scopo di organizzare un sistema per la riscossione delle imposte tanto ducali quanto interne e, in seguito, questo genere di incontri si ripeté annualmente in diverse località del ducato.
Dal 1470 il regolamento interno delle Comunità fu formulato nei termini dei capituli che hanno essi ebrei fra loro. All'assemblea di Lodi del 1579 fu adottato un sistema di tassazione chiamato Seder ha-hashba'ah ve-ha-haarakhah (auto-dichiarazione dei redditi sotto giuramento) e furono eletti tre assessori fiscali e uno o più sostituti, cui gli esecutori ufficiali, chiamati massari, dovevano consegnare la lista dei contribuenti. I massari o rappresentanti — due o tre — si occupavano, inoltre, degli affari di ordinaria amministrazione della Comunità.
Questo tipo di organizzazione continuò ad A. anche nel XVII secolo e, quanto ai rapporti tra gli ebrei e le autorità locali, essi erano di competenza del conservatore degli ebrei, che continuò ad essere in funzione anche sotto la dominazione spagnola, mantenendo l’ attività anche durante il periodo in cui l'attività feneratizia — per la quale era stato essenzialmente istituito — era stata ufficialmente proibita.
Per quanto riguarda i rapporti tra gli ebrei e le autorità ducali, sotto il dominio dei Visconti e degli Sforza, essi erano regolati secondo una carta dei privilegi o condotta di cui si faceva garante il duca: se essa non veniva rinnovata, gli ebrei dovevano lasciare il Paese.
Sullo status di cui godevano gli ebrei all'interno del ducato gli studiosi non hanno ancora espresso un parere univoco[13]: verosimilmente, tuttavia, vi erano alcuni che avevano diritto alla residenza temporanea, altri che erano cittadini a statuto speciale e altri che erano considerati cittadini a pieno titolo. Alcuni, infine, avevano il rango di familiari della Casa ducale.
Poiché la libertà di culto era stata garantita dalle condotte, la Comunità era libera di autogestirsi secondo la Legge mosaica per quanto concerneva gli affari interni.
I rapporti giuridici interni fra ebrei, quindi, venivano gestiti tramite i tribunali rabbinici, che avevano diritto ad esercitare l'arbitrato coattivo, basandosi sul diritto civile ebraico come legge personale degli ebrei, deputata a regolare i loro rapporti interni a preferenza delle norme di diritto comune e locale. Francesco II Sforza nel capitolo VI dei privilegi concessi in data 24 novembre 1533, stabiliva che, in caso di controversia fra ebrei, i contendenti dovessero scegliersi due arbitri, che decidessero la causa secondo le leggi ebraiche: sotto il dominio spagnolo, assieme alla concessione sforzesca del 1533, venne rinnovata anche la disposizione riguardante l'arbitrio coattivo[14].
Sotto i Savoia, al Conservatore degli ebrei fu sostituito un Pretore e l'uffico di competenza degli arbitri fu limitato alle sole cause concernenti le leggi rituali ebraiche o alle cause in cui fosse in questione una cifra di danaro inferiore ad uno scudo d'argento.
Nell'ambito dell'ordine interno della comunità di A., troviamo l'istituzione di due opere di beneficenza per il soccorso ai poveri, una, nel 1786, in nome di Giuseppe Vita Pugliese, e l'altra, nel 1796, in nome di Raffaele Pugliese[15].
Le attività economiche
Nel 1453 è attestata la presenza di prestatori ebrei ad A., mentre da un documento del 1475 circa, desumiamo che la loro attività nella città risale già agli inizi del secolo. Nel 1480 fu dato ordine di chiudere i banchi e di lasciare la città entro sei giorni: in tutto il ducato, del resto, si facevano sentire le conseguenze della predicazione anti-ebraica di Bernardino da Feltre, cui seguì l'istituzione dei Monti di Pietà, che, però, non pregiudicò in misura sostanziale l'attività ebraica.
Dalla condotta firmata dalla città di A. e da Abraham di Josef Sacerdote nel 1501 — in seguito alla distruzione del Monte di Pietà, causato dall'aggressione delle truppe francesi — risulta che questi aveva in esclusiva il diritto di prestare denaro all'interesse di 1 soldo per lira al mese o del 60 % all'anno. Sotto la dominazione spagnola, nel 1566, il prestito ebraico fu proibito nel ducato, eccezion fatta per A., dove continuò, grazie all'appoggio finanziario garantito dalla famiglia Sacerdote-Vitale alla Corona di Spagna.
Per le stesse ragioni, questa famiglia rimase anche dopo l'espulsione del 1597, raggiungendo il massimo della sicurezza in fatto di condizioni di vita, nel 1640, in seguito a un prestito di 5.000 scudi al Marchese di Leganes. Negli anni sucessivi, gli ebrei si distinsero per il loro contributo in articoli di valore a favore dell'entourage spagnolo.
Nel 1685, oltre a coloro che erano occupati nell'attività feneratizia, troviamo ad A. 9 mercanti di tessuti e di cappelli, 4 grossisti, 1 sarto, 1 commerciante di oggetti di seconda mano, 10 ebrei la cui occupazione non viene specificata e 8 che vengono definiti come poveri o in bancarotta in un rapporto dell'ufficiale che si occupava del gruppo locale.
Dopo l'annessione al Piemonte, gli ebrei furono obbligati a contribuire alle casse sabaude con un tributo che salì nel giro di 20 anni da 1.000 a 1.400 lire, mentre la concessione di 12 banchi feneratizi, nel 1749, portava un contributo annuo di 4.800 lire alle finanze reali.
La situazione economica della Comunità alessandrina risentì del peso di questi oneri e, sia per i debiti che ne conseguivano, sia per la diminuzione delle attività commerciali e dei traffici, si trovò a languire[16].
Demografia
Non vi sono dati precisi circa il numero degli ebrei stanziati ad A. sotto il dominio dei Visconti e degli Sforza e sin quasi al termine del dominio spagnolo: tuttavia, vi sono delle testimonianze che danno delle indicazioni generali circa la popolazione ebraica alessandrina. Agli inizi del Quattrocento, pertanto, risulta essere vissuto ad A. un piccolo nucleo ebraico e nell'ultimo trentennio dello stesso secolo viene attestata la presenza di israeliti d'origine tedesca, compreso un rabbino. Alla fine del secolo viene documentato l'incremento della popolazione ebraica, grazie all'insediamento di un ebreo di Valenza[17].
Nel 1590 risultavano vivere ad A. 103 persone, ma, dopo la cacciata dal Ducato di Milano, nel 1597, rimase una sola famiglia di maggiorenti, di cui era a capo Samuele Simone Sacerdote-Vitale. Nel 1601, tuttavia, Clemente Pugliese chiese ed ottenne il permesso di stabilirsi ad A. e, come lui, si insediarono altri. Nel 1640 circa risultavano vivere ad A. 120 ebrei, raggruppati intorno al nucleo dei Vitale. Tuttavia, i primi dati precisi risalgono al 1688: 170 persone, di cui 24 appartenenti alla famiglia Vitale, con altre 10 imparentate con essa, cui vanno aggiunti 4 membri della famiglia Pugliese e altre 2 famiglie, per un totale di 231 persone.
Dopo l'annessione di A. al ducato sabaudo, nel 1726, risultavano circa 230 ebrei, divisi in 30 famiglie, mentre nel 1729 troviamo 38 famiglie, con 300 persone: questo forte incremento della popolazione fu dovuto presumibilmente al fatto che molti di coloro che vivevano fuori della città erano stati obbligati a recarvisi, dal 1723, per riedere nel locale ghetto. Nel 1734 abitavano così nella città 386 ebrei, riuniti in 61 famiglie.
Nel 1754 il numero salì a 401, per 58 famiglie, mentre dal censimento ufficiale, ordinato da Carlo Emanuele III, nel 1761, risultavano 420 ebrei, suddivisi in 64 famiglie, di cui 36 Vitale e 5 Pugliese, mentre tra le persone aggiunte come conviventi o legate da rapporti di lavoro figuravano molti immigrati.
Nel 1774, su una popolazione cittadina di 18.518 abitanti, si trovavano ad A. 518 ebrei[18].
Ghetto e quartiere ebraico
Sotto il dominio spagnolo, principalmente dietro pressione della Chiesa, fu istituito ad A. il ghetto, attivo dal 1585 sino all'espulsione dal ducato nel 1597. Vennero assegnate come residenza coatta la Contrada di Corigio e la Contrada di Gamondio e sappiamo che nell'area del ghetto si trovava la sinagoga, che continuò a rimanere nello stesso luogo anche quando esso fu abolito.
Sotto il dominio sabaudo, nel 1723, dopo la pubblicazione delle Regie Costituzioni di Vittorio Amedeo II, fu stabilito di nuovo di istituire un ghetto ad A., come in tutte le altre città del Piemonte. Fu scelta l’area dove, dai tempi del ducato milanese, avevano vissuto gli ebrei, in prossimità del centro della città, onde consentirne le attività commerciali, ma non nelle immediate vicinanze di chiese o strade in cui erano solite passare le processioni.
Nel 1724 una commissione cittadina stabilì che nessun proprietario di immobili potesse opporsi all'inclusione di un edificio di sua appartenenza all'area del ghetto. Tuttavia, nel 1737 un ghetto munito di porte da sprangare durante la notte non era ancora in funzione nell'area del quartiere ebraico e, del resto, gli ebrei si erano espansi anche al di fuori della contrada loro assegnata: più che di ghetto vero e proprio, dunque, sembra sia il caso di parlare di un quartiere ebraico, che veniva denominato "ghetto". In seguito alle disposizioni ducali, gli ebrei affluirono dalle campagne verso le città in cui era stato predisposto un ghetto, per cui la popolazione ebraica alessandrina aumentò al punto da indurre le autorità a consentire l'ampliamento dell'area destinata alla loro residenza: anche la sinagoga dovette essere allargata e rinnovata dalla Comunità nel 1764.
Dal 1749 fu concesso di alloggiare periodicamente fuori dal ghetto a coloro che frequentavano fiere e mercati o che avevano filande di seta fuori della città. La mancanza di spazio, nonostante i tentativi di porvi rimedio, indusse le autorità a condizionare il permesso di soggiorno degli ebrei forestieri ad A. al benestare della Congrega dell'Università e al pagamento di una cauzione[19].
Sinagoga
L’esistenza di una sinagoga prima degli anni Sessanta del XVIII secolo si inferisce dalla notizia che, dato il notevole aumento della popolazione dalla seconda metà degli anni Venti del secolo, la Comunità aveva fatto allargare e rinnovare il luogo di culto, previa autorizzazione reale. Una composizione poetica del rabbino Elia Levi Deveali suggellò, nel 1764, il compimento dei lavori di ristrutturazione[20].
Cimitero
La prima traccia di sepoltura ebraica ad A. è una lapide sepolcrale, rinvenuta nel 1815 nell'allora via del Possesso antico, vicino alla Bormida, che risale al 1477.
Nel 1572 l'ubicazione del cimitero ebraico è indicata nelle vicinanze del quartiere di San Bernardino, dove si volevano segregare gli ebrei.
Nel 1575 Israel Nizza, dottor hebreo, e Benedetto Theodori (o de Theodoris o Thodros) di Chieri presero in affitto una casa con un appezzamento di terra in A., vicino alla cittadella, per adibirlo a cimitero.
Nel 1709 il duca Vittorio Amedeo concesse il permesso di acquistare altra terra per il cimitero ebraico, qualora si fosse verificata la necessità di ingrandirlo. Nel 1766 le autorità locali vendettero agli ebrei due appezzamenti di terra, in prossimità della Cittadella vecchia, uno aiconfini del sepolcro vechio, l'altro del sepolcro novo[21].
Dotti e rabbini
Nel XVI secolo il cronista Gedaliah Ibn Yahya visse per alcuni anni ad A., dove scrisse — come risulta dalla sua opera principale, Shalsheleth ha-Qabbalah (La catena della tradizione) — alcune opere minori, tra cui, nel 1576, una sull'eccellenza della Torah e, nel 1585, una serie di omelie per tutte le ricorrenze dell'anno. Direttamente legato alla città di A. è un suo responsum, circa le usanze con cui vi veniva festeggiato il Purim[22].
Nel XVII secolo troviamo Josef di Michael Ravenna, rabbino e poeta, autore di un pismon sinagogale in cui si invoca la protezione Divina in tempo di guerra[23], Abramo di Serach Segrè, dayyan, autore di opere manoscritte[24] e Menachem Sansone di Salomone Basilea, rabbino ad A. nella seconda metà del secolo, autore di svariati responsa rabbinici, contenuti, tra l'altro, nei responsa dell'amico Mosè Zacuto, il cui necrologio fu tenuto dal noto Benjamin ha-Cohen Vitale[25]. Quest'ultimo nacque ad A. nel 1651, dove fu attivo come rabbino e predicatore dal 1675. Si trasferì, nel 1682, come rabbino a Reggio, dove morì nel 1730: allievo di Mosè Zacuto (considerato il più autorevole cabbalista italiano dell'epoca, favorevole, per un certo periodo, al sabbatianesimo), fu amico e compagno di studi del cabbalista Abraham Rovigo di Modena, che, insieme a lui, è l'esponente più noto del sabbatianesimo nell'Italia centro-settentrionale.
L'influsso di Zacuto si sente, oltre che nelle riflessioni cabbalistiche, anche nelle poesie liturgiche di Benjamin ha-Cohen, le quali, a loro volta, sembrano aver influenzato Mosè Hayyim Luzzatto. In aggiunta ad un ricco epistolario, soprattutto su temi cabbalistici, e a svariati manoscritti, anch'essi dedicati alla Qabbalah, scrisse più opere, tra cui: Gebul Benyamin (Il territorio di Beniamino), raccolta di omelie alla Torah in tre volumi (Amsterdam, 1727) e Allon Bakhut (La quercia del pianto), commento alle Lamentazioni (Venezia, 1712). Le sue poesie liturgiche d'impronta cabbalistica sono raccolte in Et ha-Zamir (Il tempo del cantare), (Venezia, 1703) ed i suoi responsa legali sono contenuti nell'enciclopedia talmudica Pahad Yizhaq (Il timore di Isacco),[26] compilata tra il XVII e il XVIII secolo da Isacco Lampronti, a Ferrara, nel Massat Mosheh (Il carico di Mosè) di Israel, M. di Rodi (Costantinopoli, 1734–1735) e nel Shemesh Zedaqah (Sole di giustizia) di Morpurgo S. (Venezia, 1743)[27].
Riguardo alla eco che ebbe il sabbatianesimo ad A., tra la fine del XVII secolo e il successivo, è da notare che Rabbi Meir Rofè, noto inviato o shalyah sabbatiano, avrebbe raccolto fondi per il movimento anche ad A., nel 1682, mentre Abraham Rovigo, nel suo Sefer ha-Ma'amarim (Il libro delle sentenze), rivelò l'esistenza di uno scritto o “peteq” sabbatiano che si sarebbe trovato nelle mani di un dotto di A., di cui non viene ricordato il nome[28].
Ad A. fu attivo, inoltre, Joel Usriel Pincherle di Natan, originario di Verona, poi rabbino della città piemontese e Av Bet Din, ricordato nel Pahad Yizhaq e nel Shemesh Zedaqah, cultore di studi cabbalistici, coinvolto nel bando indetto da Josef Ergas, nel 1713, contro gli scritti di Nehemiah Hayon, accusati di sabbatianesimo[29].
Nel XVIII secolo, infine, troviamo Elia di Salomone ha-Levi de Veali o Levi Deveali (1713–1792), il primo di una dinastia di rabbini che aggiunsero al cognome originario la metatesi del nome ebraico Eliyahu. Originario di Finale di Modena, fu educato dal padre, dotto rabbino molto stimato sia in ambiente ebraico che cristiano, di cui si conservano i consulti rabbinici nel Pahad Yizhaq e nel Shemesh Zedaqah. In seguito, studiò dal Lampronti a Ferrara e all'Accademia Ebraica di Modena e, giovanissimo, fu chiamato a coprire la carica di rabbino ad A.: tra i suoi molti meriti in questa veste, vi è anche la guida nella stesura del Regolamento di Prammatica degli ebrei della città, nel 1754. Interessato sia all'ambito della Legge che a quello della Qabbalah (e, in particolare, attento lettore di Yizhaq Luria e di Mosè Zacuto), possessore di una vasta biblioteca, si distinse, oltre che nel campo religioso, anche in quello letterario e scientifico, tenendo un ricco carteggio con i più dotti rabbini del tempo, tra cui Hayyim Yosef David Azulai, e con vari letterati cristiani, come l'ebraista De Rossi, direttore della Biblioteca di Parma. Scrisse svariate opere, per lo più rimaste manoscritte, di carattere religioso, tra cui citiamo, per l'interesse che riveste per gli ebrei di rito italiano, lo Yad Eliyahu (Mano di Elia), breviario delle preghiere ebraiche giornaliere e festive, con annotazioni, correzioni e collazioni su altre edizioni. Tra le sue composizioni poetiche, va ricordato il Shir Bet Adonai (Canto per la casa di Dio), in occasione della conclusione dei lavori per la ristrutturazione della sinagoga di A. nel 1764. Alla sua morte, nel 1792, gli succedette il figlio Moisè Zecut, che rimase in carica ad A. solo vent'anni, essendo stato nominato, nel 1812, Gran Rabbino del Monferrato da Napoleone, con conseguente trasferimento a Casale[30].
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[1] Traslitterazione usata da Ibn Yahya, G., Shalshelet ha-Qabbalah, p. 155.
[2] Traslitterazione adottata da Nepi, G.-Ghirondi, M-S.,Toledot Ghedolei-Israel, p. 161.
[3] Traslitterazione adottata da Tishby, I., Igrot Rabbi Meir Rofe’, p. 76.
[4] Cassuto, E.J., alla voce “Alessandria”; Simonsohn, S., The Jews in the Duchy of Milan, I, doc. 1540; II, doc. 1755, 1848, 2135; I, 1398.
[5] Simonsohn, S., op. cit., I, pp. XXIV-XXV; II, doc. 2272, 2275, 2276, 2278, 2282.
[6] Foa, S., Gli ebrei in Alessandria, p. 550.
[7] Simonsohn, S., op. cit., I, Introduction, pp. XXVIII-XXXVI; p. XLVI; doc. 4006, 4009, 4120; III, doc. 4675; Foa, S., Gli ebrei in Alessandria, pp. 121-122; Ibn Yahya, G., op. cit., pp. 155-156.
[8] Simonsohn, S., op. cit., doc. 3378, 3622, 3903, 3911, 3958, 4087, 4095, 4098, 4107, 4140, 4149, 4241, 4242, 4270; Milano, A., Storia degli ebrei in Italia, p. 274.
[9] Rota, E., Gli ebrei e la politica spagnola in Lombardia, p. 379.
[10] Foa, Gli ebrei in Alessandria, RMI XXIV, 3 (1958), p. 124 e segg.; RMI, XXIV, 5 (1958) p. 215 e segg.
[11]Segre, R., The Jews in Piedmont, doc. 2907, pp. 1606-1607, che descrive questo stato di cose, riferendosi al 1739.
[12] Foa, S., Gli ebrei in Alessandria, RMI XXIV, 5 (1958), p. 215; p. 217 e segg.; RMI XXIV, 11-12 (1958) p. 467 e segg.; RMI XXV, 3-4 (1959), p. 141 e segg.
[13] Simonsohn, S., op. cit., p. XXVI; Colorni, V., Gli Ebrei nel sistema del diritto comune, p. 2 e segg.
[14] Colorni, V., op. cit., p. 25; Idem, Legge ebraica e leggi locali, p. 329.
[15] Simonsohn, S., op. cit., Introduction, p. XVII e segg.; p. XL e segg.; Foa, S., Gli ebrei in Alessandria, RMI XXIV, 5 (1958), p. 219; RMI XXIV, 11-12 (1958), p. 471.
[16] Simonsohn, S., op. cit., doc. 194, 843, 1946, 2302; Segre, R., op. cit., doc. 2777.
[17] Prima della cacciata dal ducato di Milano, sarebbero vissute ad A. due famiglie, Vitale e Levi, per un totale di una trentina di persone, secondo Foa, in: Gli ebrei in Alessandria, RMI XXIII, 12 (1957), p. 555.
[18] Simonsohn, S., op.cit., doc. 4430; Foa, S., Gli ebrei in Alessandria, RMI XXIV, 3 (1958), p. 124; pp. 128-129; RMI XXIV, 7 (1958), p. 320 e segg.; Rota, E., op. cit., p. 379; Segre, R., op. cit., doc. 2821, 3082, 3260.
[19] Simonsohn, S., op. cit., doc. 3937; Segre, R., op. cit., Introduction, p. LXXVI; doc. 2681, 2682, 2704, 2907, 3457; Foa, S., Gli ebrei in Alessandria, RMI XXIV, 5 (1958), pp. 219-220.
[20] Foa, S., Gli ebrei in Alessandria, RMI XXIV 7 (1958), p. 324; cfr. il paragrafo Dotti e rabbini.
[21] Foa, S., Gli ebrei in Alessandria, RMI XXIII, 12 (1957), p. 549; Simonsohn, S., op. cit., doc. 3364; Segre, R., op. cit., docc. 1189, 2535, 3186.
[22] Ibn Yahya, G., Shalshelet ha-Qabbalah, pp. 155-156; Cassuto, E.J., alla voce ”Gedalja Ibn Jachja”.
[23] Zunz, L., Literaturgeschichte der synagogalen Poesie, pp. 444-445.
[24]Mortara, M., Indice alfabetico dei rabbini e scrittori israeliti, p. 60.
[25] Ivi, p. 6; Cassuto, U., E.J., alla voce “Basilea Menachem Simson b. Salomo”.
[26] Lampronti, I., Pahad Yizhaq, I ed., 1750-1840; 1864-1887.
[27] De-Rossi, G.B., Dizionario storico degli autori ebrei e delle loro opere, Parma 1802, I p. 90.
[28] Tishby, I., Igrot le-Rabbi Abraham Rovigo, pp. 73-130, p. 109. Poiché, comunque, il dotto in questione non viene definito come rabbino in carica, è da escludere che si possa identificare con Joel Usriel Natan, che fu, in quegli anni, rabbino di A.
[29] Nepi, G.-Ghirondi, M.S., Toledot Gdolei-Israel, p. 74, pp. 161-162, p. 289; Benajahu, M., “Shemuoth Shabtayot”,
[30] Foa, S., Le sei generazioni dei Rabbini Levi (Deveali), pp. 252-256; Idem, Gli Ebrei in Alessandria, RMI XXIV, 7 (1958), p. 324; Bonfil R., 12 Igrot me-et Rav Elijahu ben Rav Shlomo Rafael Halevi (De Veali), p. 163.