Soncino

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Soncino (שונצ'ינו)

Provincia di  Cremona. Sito in pianura, sulla destra del fiume Oglio, fu fondato nel secolo IV(secondo il Muratori) e, dopo varie vicende, divenne parte del dominio visconteo nel 1329. Passato attraverso diversi poteri fra il 1402 e il 1413, in questa data cadde sotto il dominio di Filippo Maria Visconti e, per alcuni anni (1432- 1438 e 1441-1448), sotto quello di Venezia. Dal  1448  iniziò   la  dominazione sforzesca, interrotta  solo per  breve tempo  dalla Serenissima.

In virtù del trattato di Blois del 1498, S. ritornò ancora  per un  decennio  a  Venezia, ma,  dopo  la  sconfitta  di Agnadello  (1509), passò  ai  francesi.  Disputato  tra  i contendenti, nel periodo delle grandi guerre franco-spagnole (1520-1525), tornò poi a Francesco  Maria Sforza  per essere, infine, concesso in feudo con titolo marchionale, nel 1536, a Massimiliano  Stampa, sotto  la cui  famiglia rimase sino alla fine del secolo XVII.

Il primo documento riguardante la presenza ebraica a S. è la condotta ottenuta, nel 1441, da Salomone ed altri correligionari[1].

Nel  1454 Simone (Samuele) di Mosè, originario di Spira[2], chiese il permesso  di  trasferirsi  da  Orzinuovi  (in  provincia  di Brescia)  a  S.  per  fenerare: le autorità locali avrebbero preferito  stipulare la condotta con  Jacob di Chiari (che era stato socio di Salomone, gestendo con lui il banco feneratizio soncinate)[3], ma il  Duca  non  poteva acconsentire alla loro scelta, in quanto  Simone, durante e  dopo la guerra  con  la  Serenisssima,  si era dimostrato affetionato servitore e, per il bene del Ducato, aveva messo in periculo, non solo la robba ma el sangue suo[4].

Dalla documentazione successiva risulta che Jacob, pur di  ottenere i capitoli al  posto di Simone,  continuava a vessare quest’ultimo, nonostante  il  Duca  avesse  scritto  alle  autorità di S. esortandole a farlo desistere da tale atteggiamento soto pena della mia desgratia[5].  Jacob, tuttavia, persisteva nella sua ostilità, per cui il podestà ricevette ordine di intervenire per far rispettare i privilegi accordati a Simone, mentre Jacob, sotto pena di 200 ducati d’oro, avrebbe dovuto presentarsi  al  Duca  o all’auditore locale, Angelo da Rieto (Rieti)[6]. Poco dopo, il Duca prese poi le parti di Simone contro il podestà di S., confermandogli l’esenzione dal dazio per gli oggetti impegnati presso il suo banco[7].

Nel  1457  un  francescano  predicò contro la presenza ebraica  a  S.,  invocando,  se  non  l’espulsione, almeno l’obbligo del segno distintivo  e la  diminuzione del tasso d’interesse  praticato: il  Duca intervenne, ordinando  al  podestà di  far  rispettare il privilegio di Simone  e  di  far  desistere,  d’altro  canto,  il   frate, di cui pur non negava le eventuali buone intenzioni[8]

Da documenti di poco posteriori sappiamo che risiedeva allora a S. anche tale Lazzaro, indicato da Simone come trasgressore delle disposizioni sanitarie riguardanti la peste e, successivamente, graziato dal perdono ducale[9].

Nel 1458 Simone, in contestazione con l’erario ducale per il pagamento di un residuo del censo annuale dovuto dagli ebrei, fu invitato a recarsi a Milano per regolare la sua posizione, pena una multa. Simone, nonostante negasse il debito, data l’età avanzata preferì regolare in loco la questione, depositando  presso un cristiano una certa quantità d’argento da vendere, in  caso il Duca avesse  insistito nel pretendere da lui la controversa corresponsione[10].

L’anno successivo, il figlio di Simone,  Magister Donato (Israel Natan), medico, che in seguito fu il promotore della stamperia che rese celebre la famiglia, ottenne l’appoggio ducale per corroborare la supplica al Papa per  aver l’autorizzazione  a  curare  anche  pazienti  cristiani[11]. All’epoca (1459), risultavano  vivere a S. altri due  medici,  Yosef de Alamania del fuMercadante e il figlio, anch’egli di nome Mercadante[12].

Magister Donato godette però, negli anni Sessanta, di un trattamento di riguardo presso il Duca, il quale, ordinando che comparisse (nel 1463) di  fronte al proprio tribunale per un’imputazione (da cui, poi, sarebbe stato assolto), aggiunse l’avvertimento al podestà di badare che neppure uno puntale  de  stringa di proprietà di Donato venisse manomesso. Inoltre, gli  consentì nel 1465 di  recarsi con i fratelli ad una festa  nuziale nel territorio bergamasco, restandovi a suo libito, indipendentemente dal fatto che la località fosse sospettata di contagio della peste[13].

Donato aveva figurato, poco prima, nell’elenco di quanti avevano ricevuto l’absolutio ducale,  insieme a un altro correligionario di S., Vitale (Yehiel), ed era stato arbitro in una controversia a sfondo economico tra ebrei cremonesi, venendovi indicato come “Israele da S.”, cioè con il nuovo cognome, che aveva ormai sostituito il precedente “da Spira”[14]

Tra il 1470 e il 1472 fu istituito il Monte di Pietà, promosso dal frate francescano Pacifico da Cerano[15].

Dopo essere stato menzionato in alcuni documenti relativi principalmente alla tassazione[16], Donato fu tra gli ebrei del Ducato che, nel 1479,  vennero  sospettati  di tramare per sottrarre alla giustizia quelli di Trento, accusati di aver ucciso il piccolo Simonino per scopi  rituali[17].

L’anno seguente,  il Duca scrisse ai commissari di una serie di località, tra cui S., perché  impedissero che il popolo, aizzato dai predicatori durante la Quaresima,  molestasse  gli  ebrei.

Nello stesso 1480 era tesoriere generale degli Ebrei del Ducato Isacco,  figlio di Donato (Israel Natan) di S., che ottenne la collaborazione dei funzionari ducali nell’esazione delle tasse e nei provvedimenti contro i morosi: la sua autorità fu estesa dal Duca e dalla Duchessa anche all’esazione delle tasse emesse in  passato e non ancora pagate. Inoltre,  Isacco fu  tra  i  firmatari  dell’accordo tra l’Università e il Duca per la somma di 32.000 lire  imperiali, da sborsare per il rinnovo del privilegio[18].

Il fratello di Isacco, Salomone di Donato[19], gestiva intanto il banco di S. all’inizio degli anni Ottanta del  secolo[20]  e, all’incirca nel  1485, il  Duca ordinò ai podestà  di una serie di località, tra cui questa, di redigere una  lista segreta di tutte le famiglie ebraiche  residenti in loco[21].

Sulla basse delle accuse del convertito Vincenzo, venne istruito, nel 1488, un processo contro svariati ebrei del Ducato, accusati di vilipendio alla religione cristiana: per nove di loro fu emessa la condanna a morte, poi mutata in espulsione accompagnata dalla  confisca dei beni, mentre 28 furono condannati a pagare una pena pecuniaria. Tra i condannati all’espulsione e alla confisca si trovava anche Donato di S.: dai verbali del processo risulta che gli imputati citarono, tra i propri libri  ebraici – accusati di contenere affermazioni ingiuriose contro la religione cristiana -  anche testi (quali il Mahazor  e  il  Sefer  ha-Mitzvot),  usciti  dalla rinomata tipografia  della  famiglia  Soncino,  di  cui Donato era considerato il capostipite[22].

Poco dopo (1490) venne decretata l’espulsione degli israeliti dal Ducato e la famiglia degli stampatori lasciò la località: qualche anno più tardi, tuttavia, sembra che il feneratore David, oltre a tenere  banco a Cremona, ne tenesse uno anche a S.[23].

Da un atto notarile del 1506 risulta che un ebreo di nome Benedetto abitava allora a S., svolgendovi  l’attività feneratizia: non ci restano, però, informazioni circa la data del suo arrivo nella località[24].

Una presenza ebraica continuò ad essere attestata, negli anni Venti del XVI secolo, con Salomone del fu Bonaventura de Crema (o de Brixia o de Ulmo) , menzionato anche come Mosè in alcuni documenti, che risiedeva a S. e ne dirigeva il banco, insieme al mantovano Abramino fu Aron di Tizano. Salomone e Abramino prestarono alla comunità di S. una somma, con l’accordo di percepirne gli interessi solo se la stessa non fosse stata restituita entro tre mesi[25].

Prima del 1528 (anno in cui morì a S.), si sarebbe convertito come di Paolo de Covo un ebreo, di cui non è stato tramandato il nome ebraico[26]

Nella Riforma statutaria di S.  del 1532, ispirata alla politica antiebraica e antiusuraria degli Zoccolanti, si trovano alcuni paragrafi dedicati alle pene da comminare a chi avesse trasgredito al divieto di rapporti carnali tra ebrei e cristiani[27]

Il banco feneratizio di S. continuò la sua attività, con andamento che mutava al variare della situazione economica generale, sotto la direzione di Salomone e dei suoi eredi[28].

Poco prima della metà del  secolo, oltre a Salomone (indicato come di Brisse) figurava risiedere a S. anche Lazzaro del fu David di Mariano[29].

Nell’elenco  dei  proprietari  dei  banchi  ebraici, stilato dagli esponenti dell’Università nel 1556-1558, a  S. vi erano Salomone di S. e gli eredi di Angelo (o Angelo de Laude de Romanengo), morto qui nel 1558: in quegli anni era attestato come dimorante a S. anche il feneratore  Abraam de Laude, che la popolazione locale tentò invano di espellere[30]. Morto Abraam, il banco passò ai figli minorenni Mosè e Angelo, sotto la tutela dello zio, Jacob de Laude di Cremona e, nel 1563, la gestione fu affidata, con contratto settennale a Marco de Levi de Udeno o di Ferrara, denominato, in seguito alla sua permanenza qui , Marco Soncino[31].   

Dopo l’introduzione del  divieto dell’usura e dell’obbligo del segno distintivo (1566), una prova del clima restrittivo appena instaurato è data dal podestà di S., che informò i funzionari interessati  che gli  ebrei  locali  non  dovevano impiegare personale cristiano, salvo per far fare il pane e il bucato[32].

I de Ulma di S., nel 1570, furono costretti a ridurre la propria attività al recupero dei crediti e al piccolo commercio. All’epoca operavano a S. anche i de Levi e i de Laude, che avevano come procuratore Yosef de Ulma, ma le loro attività languivano. Morti Yosef de Ulma (1580) e Jacob de Laude (1584 circa), abitante già da tempo a  Cremona, e andatosene da S. anche Bonaventura de Ulmis (1583), cessò l’insediamento ebraico nella località[33].

Cimitero

Il  cimitero ebraico, dove fu sepolto nel 1558 Angelo de Laude de Romanengo, era stato acquisito, nel 1442, da Salomone e Jacob[34].

Stampa ebraica

Israel Natan (Donato) di Shemuel (Simone) da Spira, che ha lasciato testimonianza del suo sapere compilando l’indice del Canone di Avicenna[35],  fu il promotore del progetto della tipografia ebraica di S.[36], realizzato dal figlio Yehoshua Shlomoh a partire dal 1483, quando fu terminato  il primo volume, il trattato talmudico di Berakhot.  Ad esso seguirono la prima edizione completa della Bibbia ebraica, munita dei  segni vocalici e degli accenti[37], il  Mahzor ke-minhag bene’ Roma (Formulario di preghiere per i giorni festivi secondo il rito romano)[38], che fu l’unico stampato in Italia nel XV secolo,  e  altre opere (in tutto venticinque edizioni circa), sino al 1490[39]. Yehoshua Shlomoh, dopo aver abbandonato S. per recarsi a Napoli, vi morì nel 1493. Anche i figli di suo fratello Mosheh, Shlomoh e Gershom, si dedicarono all’attività tipografica:  Gershom, dopo aver stampato tre opere a S., si recò altrove, continuando l’attività[40].  

Lavorarono nella tipografia di S., come curatori di testi o correttori di bozze, ebrei di varia provenienza, tra cui alcuni originari dell’Europa settentrionale, come Gabriel ben Aharon da Strasburgo e italiani, come Abraham di Hayyim da Pesaro[41].

Bibliografia

AA. VV., Da Sion uscirà la Legge e la parola del Signore da Soncino, Castelvetro Piacentino 1988.

Villa Antoniazzi, A., Un processo contro gli Ebrei nella Milano del 1488,  Bologna 1985.

Colorni, V., I da Spira avi dei tipografi Soncino e la loro attività nel Veneto e in Lombardia durante il secolo XV, in Michael I (1972), pp. 58-108.

Colorni, V., Shemuel (Simone) da Spira conto fra Giovani da Capistrano. Un curioso episodio del Quattrocento, in RMI  XXXVIII (1972), pp. 69-86.

De Rossi, G.B., Manuscripti codices hebraici bibliothecae J.B. De Rossi, Parma 1803.

Rossi, E., La menorah nella rocca. Gli ebrei a Soncino nei secoli XV e XVI, Soresina 1991.  Simonsohn, S., The Jews in the Duchy of Milan, 4 voll., Jerusalem 1982-1986.

Steinschneider, M., Catalogus librorum hebraeorum in bibliotheca Bodlejana, Berlin 1852-1860.

Tamani, G., Tipografia ebraica a Soncino 1483-1490, Soncino 1988.

Tamani , G. (a cura di),  I tipografi ebrei a  Soncino 1483-1490. Atti del convegno Soncino, 12 giugno 1988,  Soncino 1989.


[1] Simonsohn, S., The Jews in  the Duchy of Milan, I, doc. 29; cfr. doc. 365. Dagli Statuti di S.  del 1393, in cui veniva fatto obbligo al Rettore o Podestà di espellere da S. eretici e circumcisos e veniva vietato di impegnare oggetti relativi al culto cristiano, ha preso corpo l’ipotesi che una presenza ebraica nella località sia da far risalire ad un’epoca precedente: Paolo Ceruti, nella sua Biografia  Soncinate,  ritiene che, forse, gli Ebrei fossero a S. dal 1385-1395. AA.VV., Da Sion uscirà la Legge e la parola del Signore da Soncino,  p. 29; pp. 31-32; cfr. Rossi,  E., La  menorah nella  rocca, pp. 20-21.

[2] In un documento del 1400, viene menzionato Mosè di Giuseppe di Spira, all’epoca banchiere a Mantova, padre di Samuele e antenato dei famosi tipografi che da S. presero il nome. Simonsohn, S., op. cit., I, doc. 5. Su  Mosè o Moyses filius quondam Joseph de Spira de Alemania  cfr. Colorni, V., I Da Spira avi dei tipografi Soncino e la loro attività nel veneto e in Lombardia durante il secolo XV, p. 61 e segg.

[3] Rossi, E., op. cit., pp. 27-28.

[4] Colorni, V., op. cit.,  pp. 71-72. Simonsohn, S., op. cit., I, doc. 298.

[5] Colorni,  V., op. cit., p. 98 (doc. 12); cfr. Simonsohn, S., op. cit., I, doc. 303.

[6] Simonsohn, S., op. cit., I, doc. 314.

[7] Ivi, doc. 365; Colorni, V., op. cit., p. 74; p. 100 (doc. 18).

[8] Simonsohn, S., op. cit., doc. 459. Su questo episodio, cfr.  anche Colorni, V., op. cit.,  pp. 75-76. Simone risulta, peraltro,  essersi scontrato, anni prima, a Pfirt con un altro francescano, ben più temibile del frate che aizzava il popolo soncinese: Giovanni da Capistrano. Sulla rissa tra Shemuel (Simone) e Giovanni da Capistrano, cfr. ivi, pp. 65-66; Colorni, V., Shemuel (Simone) da Spira conto fra Giovani da Capistrano. Un curioso episodio del Quattrocento, in RMI  XXXVIII (1972), pp. 69-86.

[9] Simonsohn, S., op. cit., doc. 490; 507.

[10] Ivi, doc. 538; cfr. anche Colorni,  V., op. cit., p. 76.

[11] Simonsohn, S., op. cit.,  doc. 604.

[12] Ivi , doc. 611. Su questi ebrei, d’origine tedesca, cfr. Colorni, V., op. cit., p. 80,  nota 77.

[13] Simonsohn, S., op. cit., doc. 809, 934. Colorni,  V., op. cit., pp. 77-78.

[14] Simonsohn, S., op. cit., doc. 925; Colorni, V., op. cit., p. 77. Colorni afferma che Donato viene menzionato come “Israel Natan Soncino”  anche nelle fonti ebraiche, che considerano lui - e non suo padre Shemuel - come il capostipite della stirpe (ibidem). La decisione presa da Israel Natan a proposito della controversia in questione non venne accettata da una delle parti in causa, provocando l’intervento delle autorità che,  previa traduzione della decisione di Israel dall’ebraico in latino, avrebbero provveduto a farla rispettare. Simonsohn, S., op. cit., doc. 1408.

[15] Rossi, E., op.cit., pp.  34-35.

[16] Nel 1470 e nel 1472, tra  gli ebrei che  si recarono a  Piacenza per la ripartizione delle tasse, figurava anche Donato (Nathan)  di S., che  era  anche, nel 1471,  nell’elenco degli ebrei in ritardo nel pagamento delle tasse ducali. Nel 1473, Donato (insieme al socio, di cui non è specificato il nome) si rivolse al Duca per ottenerne l’aiuto per l’esazione dei suoi crediti, in modo da poter, a propria volta, saldare il debito con l’erario ducale (ivi, doc. 1256; 1391; 1267; 1479). Da documenti della fine degli anni Sessanta, in cui veniva convocato dal cancelliere ducale, Donato sembrava essersi allontanato da S.,  forse temporaneamente. Ivi, doc. 1085; 1087; cfr. Colorni,  V., op. cit., p. 78.

[17] Simonsohn, S., op. cit., II,  doc. 1897 (nota).

[18] Ivi, doc. 1988; 1991; 1997; 1999; 2020; 2035.

[19] Colorni, V., op. cit., p. 79, nota 75.

[20] Salomone si  appellò al Duca  per rivendicare il  proprio diritto di disporre liberamente dei pegni non riscattati entro un anno dal prestito, contestato da un debitore cristiano con l’argomentazione di non aver riscattato in tempo il pegno, perché era stato fatto prigioniero dai Turchi. Simonsohn, S., op. cit.,  doc. 2041.

[22] Ivi, doc. 2163- 2165;  ivi,  Introduction, , p. XXIV, n. 49; Villa Antoniazzi, A., Un processo contro gli Ebrei nella Milano del 1488,  p. 31. Per il verbale dell’interrogatorio cui fu sottoposto Donato, cfr. pp. 108-110.

[23] Rossi, E., op. cit., p. 40 e  p. 48.

[24] Ivi, p. 49 e p. 117.

[25] Ivi, pp. 53-54; p. 118. Secondo fonti notarili, Salomone e Abramino avevano costituito, nel 1522,  a Sabbioneta una società feneratizia con altri ebrei, per gestire il banco di S.: tale società si sarebbe sciolta nel 1527. Ivi, p. 55. 

[26] Ivi, p. 55; p. 120.

[27] Ivi, p. 61.

[28] Socio del banco di S. era Angelo de Laude di Romanengo, che, nel 1533, fu deputato all’Università ebraica e, nel 1543, lasciò il banco di Romanengo ai figli e al genero, tornando a vivere a Cremona. Non si hanno dati sull’interesse praticato per il prestito su pegno, mentre per quello chirografario l’interesse variava  dal 30% al 45%. Ivi, p. 70.

[29] Simonsohn, S., op. cit., doc. 2503, 2517.

[30] Simonsohn,  S., op. cit., doc. 2991; 3025 ; cfr. Rossi, E.,  op. cit., pp. 74-76.

[31] Rossi, E., op. cit., p. 79; p. 83. Secondo il Rossi,  Marco Soncino sarebbe il capostipite degli ebrei  che hanno assunto questo toponimo come cognome, in quanto la discendenza degli stampatori si sarebbe esaurita verso la fine del secolo XVI. Ivi, p. 83.  

[32] Simonsohn, S., op. cit., doc. 3384.

[33] Rossi, E., op. cit.,  p. 92.  Bonaventura abbandonò S. presumibilmente  in conseguenza alla conversione del fratello Leone, che assunse il nome di Mariano Stampa dal feudatario (Massimiliano II) che gli aveva fatto da padrino (ibidem). Nel 1585 è segnalata la disavventura di un ebreo recatosi a S. per affari:  fermatosi nella locanda, fu malmenato e gettato in carcere, uscendone solo grazie all’intervento dell’Università ebraica di Cremona e di Massimiliano II Stampa. Ivi, p. 93.

[34] Rossi, E., op. cit., p. 76.

[35] De Rossi, G.B., Manuscripti codices hebraici bibliothecae J.B. De Rossi, cod. 1217. L’autografo di Israel Natan compare all’inizio e alla fine del libro I.

[36] Nel colophon del primo libro stampato a S. si legge che il vantaggio dell’impresa consisteva nel propagare il sapere a un prezzo più contenuto di quello occorrente per i testi scritti con la canna o con lo stilo di ferro, o piombo, e quegli che non avrà mezzi sufficienti per preziosi acquisti, li avrà a prezzo vile, e in luogo d’oro metterà fuori argento. Tamani,  G., Tipografia ebraica a Sopncino. 1483-1490,  p. 4.  

[37] I Soncino furono gli unici stampatori ( a S. , a Napoli e a Brescia) del testo completo della Bibbia ebraica, nell’età degli incunaboli; tuttavia, non è da escludere l’ipotesi, avanzata da alcuni bibliografi, che Bibbie complete siano state pubblicate anche nella penisola iberica. Ivi, p. 7.

[38] A tale Formulario di preghiere scrisse l’epigrafe Israel Natan, come si deduce da una nota aggiunta all’epigrafe stessa nella terza edizione, stampata dal nipote Gershom a Rimini nel 1521. Steinschneider, M., Catalogus librorum hebraeorum in bibliotheca Bodlejana, n. 2578.

[39] Per il  catalogo delle edizioni stampate a S. tra il 1483 e il 1490, cfr. Tamani, G., op. cit., pp. 17-71; per la bibliografia, cfr. pp. 79- 83. Vedi anche Tamani , G.  (a cura di),  I tipografi ebrei a  Soncino 1483-1490. Atti del convegno Soncino, 12 giugno 1988,  Soncino 1989.

[40] Su di lui, cfr. Tamani, G., op. cit., pp. 4-5.

[41] Per l’elenco particolareggiato dei curatori di testi e dei correttori di bozze,  cfr. ivi, p. 6.

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