Titolo
Testo
Capoluogo di provincia. Il centro abitato sorge sulla sinistra del Ticino, qualche chilometro a monte dalla confluenza di quest’ultimo con il Po. L’attuale P. corrisponde ad un insediamento di origine antichissima, che dal fiume prese il nome di Ticinum, aumentando di prestigio durante il regno dei Longobardi e, poi, dei Goti, sotto cui assunse il nuovo nome di Papia.
La sua ascesa continuò con i carolingi e, poi, durante l'età comunale, declinando, verso la fine del secolo XIII, con la sconfitta del potere imperiale e dei ghibellini, pur senza perdere l'indipendenza. Successivamente, tuttavia, in seguito alle discordie interne, la città fu costretta ad arrendersi nel 1359 ai Visconti che, pur rimuovendo gradatamente i segni dell'antica indipendenza di governo, favorirono la posizione di rilievo del centro, fondandovi l'università e promuovendo la costruzione di monumenti. Sotto gli Sforza, invece, il prestigio della città diminuì a favore di Milano, sino a subire un tracollo sotto i francesi, che la saccheggiarono nel 1515 e la assediarono due volte, nel 1522 e nel 1525, mettendola a sacco con Lautrec nel 1527.
Sotto il dominio spagnolo, durato quasi due secoli, P. continuò la sua parabola discendente: a testimoniare della preminenza passata rimasero principalmente l'università e, nell'età della Controriforma, vari collegi.
Una delle poche tracce della presenza ebraica nell'Italia settentrionale nei secoli VI-XI è data dalla notizia, riportataci da Alcuino, di una discussione religiosa tra un ebreo, Lullus-Julius e un cristiano, Pietro da Pisa, avvenuta proprio a P. nel 766.
Altre notizie riguardanti gli ebrei pavesi, in questo periodo, hanno più sapore leggendario che valore di prova storica: ad esempio, in un'opera scritta nell'anno 831, troviamo la diceria che un ebreo avrebbe profanato l'ostia durante il sermone di S. Sirio, mentre, secondo un cronista dell'epoca, tutti gli israeliti residenti nella città avrebbero accettato il battesimo nell'anno 836. Più attendibile è, forse, una nota dell'anno 850, attinente alla denuncia contro l'impiego degli ebrei come giudici ed esattori di imposte, espressa nel Concilio della Chiesa pavese.
Una della rare fonti ebraiche circa questo periodo, la Cronaca di Ahimaaz, ci testimonia della continuità della presenza ebraica a P., riferendoci dell'emigrazione nella città di un maestro di scuola, tale Mosè, bandito dall'originaria Oria, all'incirca nel 900.
Quasi due secoli dopo, troviamo a P. un altro Mosè, rabbino, cui una fonte attribuisce come discepolo il lessicografo romano Natan ben Jechiel, mentre un'altra riporta che sarebbe morto in seguito alle persecuzioni che accompagnarono la Prima Crociata.
Sino al XIV secolo, poi, non si ha traccia di ebrei a P., data l'espulsione del 1225 da Milano e dal suo territorio, dopo un periodo di violenze, tumulti popolari e battesimi forzati[1].
Nel 1374 troviamo menzionata P. nel colophon riguardante la copiatura di un libro di preghiere per le feste, secondo il rito italiano, eseguita nella città dal medico pesarese Menachèm di Beniamino.
Nel 1387 un gruppo di ebrei tedeschi, tra cui i tre fratelli Menelinus, Isaac e Venelinus ed un altro Isaac, ottennero qui un privilegio, con cui fu loro consentito di stabilirsi nello Stato milanese, concesso da Gian Galeazzo Visconti, mentre, due anni dopo, fu autorizzata dal Visconti la permanenza a P. di Isaac, di professione merciaiolo.
All'inizio del sec.ìolo XIV i Sapienti di provvisione di P. richiesero la presenza di un feneratore ebreo, per venire incontro alle necessità economiche dei docenti e degli studenti dell'Università.
Per una documentazione più particolaregoiata occorre attendere sino al 1434, quando un prestatore cristiano si lamentò con il duca per la concorrenza che gli facevano Aberlino da Vicenza e Samuel, in possesso di un privilegio (risalente all'anno prima)[2] che consentiva loro l'attività feneratizia[3].
Ma, poichè il Duca, in vista del vantaggio per la popolazione, era favorevole alla presenza di più di un feneratore, il nucleo ebraico (composto essenzialmente dalla famiglia di Aberlino) poté rimanere a P., evidenziando sin da allora quella preminenza dei feneratori nella composizione della Comunità, che sarebbe rimasta costante negli atti riguardanti la presenza ebraica in questa città. Dei tre figli di Aberlino, vengono menzionati nei documenti solo Manno ed Angelo, feneratori, sovente in contrasto tra loro per motivi di interesse[4].
Tra gli ebrei che godettero del favore ducale nel secolo XV, Manno primeggia, avendo ricevuto lo status di familiare del Duca, con un atto del 1441, da cui si nota che, precedentemente, godeva già di quello di cives di Pavia, insieme al figlio Grassino[5]. La sua posizione di rilievo venne confermata nel 1450 dal privilegio elargitogli da Francesco Sforza, in cui gli si concesse il diritto di tenere banco a P. in esclusiva e si sottopose al suo consenso l'attività feneratizia ebraica nella città. Inoltre, gli fu consentito di non portare il segno distintivo e di servirsi di una balia cristiana per il figlio. Due anni dopo, il Duca intervenne poi in sostegno di Manno contro il podestà e gli anziani di P., ribadendo, tra l'altro, le concessioni in materia di segno e di personale cristiano.
Probabilmente in virtù del favore di cui godeva, Manno fu deputato alla raccolta del censo annuo che gli ebrei dovevano pagare al Duca come compenso per il permesso di soggiorno e, in questa veste, ebbe occasione di recarsi più volte a Milano, dove, peraltro, lo chiamavano anche i suoi affari con il Duca stesso. Come prestatore ebbe un ruolo rilevante sia nell’ambito del mutuo a privati che al Comune, del quale venne in soccorso più volte, tra l'altro, nelle spese per gli aiuti militari inviati a Francesco Sforza e per i lavori di pubblica utilità, anche in occasione di un episodio di peste[6]. Nonostante i servigi resi alla città, il Consiglio cittadino nel 1458 proibì a Manno e agli altri ebrei pavesi di esercitare il prestito durante le feste cristiane, in contrasto con il privilegio sforzesco.
D'altro canto, il Comune, anche se contrastò gli interessi ebraici, come è stato appena rilevato e come i debiti pendenti confermano, mostrò, però, riconoscenza nei confronti di Manno e famiglia, favorendo alcuni correligionari loro legati.
Quanto al rapporto con un altro genere di clientela fissa, gli studenti, risulta che Manno nel 1461 si appellò al Duca, lamentando l'irruzione a casa sua da parte di scolari e di altra gente, sfociata in uno scontro violento con il podestà e i suoi uomini[7].
L'anno dopo lo stesso banchiere fu accusato di aver tentato di riportare all'ebraismo il monaco Constancio Romano che, dopo il battesimo, era entrato nell'ordine di S. Ambrogio. Secondo le deposizioni del monaco, Manno ed il figlio Jacob, credendo che egli volesse tornare alla sua fede d'origine, avrebbero fatto presente l'asilo che il Sultano avrebbe offerto a Costantinopoli per chi abbandonasse il cristianesimo in favore dell'Islam o del giudaismo e avrebbero interceduto presso certi ebrei veneziani, esperti in materia. Nonostante l'oscurità che avvolge la vicenda, sembra, tuttavia, che Manno, Aberlino ed altri avessero effettivamente favorito la fuga a Costantinopoli di marrani giudaizzanti. L'episodio fu chiuso, nel 1462, dal perdono ducale, mentre veniva lasciata, invece, aperta la via all'inasprirsi dell'atteggiamento della Chiesa che sfociò, una ventina di anni dopo, nell'accusa, volta a tutti i banchieri del Ducato, di aver profanato l'ostia in diverse chiese, cui seguì l'arresto degli ebrei e il rilascio, solo dietro pagamento di un'ammenda onerosa[8].
Per quanto riguarda i rapporti con il papato, un'annotazione contenuta nell'indice dei volumi mancanti dell'archivio di P., menziona un privilegio concesso dal Papa, facendo, verosimilmente, riferimento alla Bolla, promulgata nel 1432 da Eugenio IV, per confermare i privilegi degli ebrei in Lombardia, Marche e Savoia[9].
Lo stesso indice fa riferimento, nel 1448, alla Bolla di Nicola V che concessee agli ebrei di Lombardia un privilegio, concernente, tra l'altro, la libertà di culto, il permesso di esercitare un'attività e l'esenzione dal segno distintivo[10].
Nonostante tali licenze papali, i rapporti tra gli ebrei e la Chiesa a P. furono alquanto tesi: ne è un esempio, la querela, presentata nel 1458 dai frati di S. Apollinare, contro Manno per aver preso in affitto un orto attiguo al convento, obbligandoli ad un vicinato a loro parere disdicevole, mentre sul cristiano che aveva consentito all'affare pendeva la minaccia di scomunica[11].
Poco più di dieci anni dopo, un predicatore tentò di istigare la popolazione alla cacciata degli ebrei, incontrando l'opposizione del castellano di P., motivata dalla constatazione che essi erano ovunque presenti e maxime in le terre de sancta giese[12].
Circa tre anni dopo, nel 1471, tale Cresso, facente parte di un gruppo di forestieri di passaggio a P., fu accusato di aver profanato un'immagine sacra e si salvò dalla pena, grazie alla conversione. L'accusa di omicidio rituale, reiterata a P. nel 1476 e nel 1477, ebbe nel 1479 la sua espressione più clamorosa, con il procedimento a carico di Belhomo di Arena Po e di altri ebrei, per aver ucciso un ragazzo, tale Turluru, a scopo rituale. Mentre il Duca e il Senato milanese riconobbero l'innocenza degli imputati, prosciogliendoli, la città di P. persistette nelle accuse.
Quanto al noto episodio di Trento, sappiamo che vi fu coinvolto, tra gli altri ebrei del Ducato, anche Manno di P.[13].
Contribuiva all'ostilità contro gli ebrei anche la predicazione francescana: in effetti, nel 1480, predicò a P. Bernardino da Feltre, inducendo il Duca ad intervenire per contenerne la sua irruenza. Poco dopo, tuttavia, in seguito alla sua influenza, venne istituito a P., un Monte di Pietà, anche se l'attività feneratizia ebraica continuò, sia pure risentendone in certa misura[14].
La popolazione, dal canto suo, persistette nel risentimento contro i feneratori, richiedendo, tra l'altro, in contrasto con il privilegio ebraico, l'obbligo del segno distintivo. Un segnale di irrigidimento anche da parte di Bona e Galeazzo Maria Sforza si registrò, sempre nel 1480, quando essi annullarono il privilegio, con il pretesto di un abuso ebraico a sfavore dei cristiani.
Quanto alla Comunità ebraica pavese, composta, in questo periodo, principalmente dagli eredi di Aberlino e dai loro impiegati[15], dai documenti risulta che annoverasse anche un oste, Falcone (Haqim) di Jehiel Cohen, nella cui bettola gli israeliti potevano giocare a carte, ma non i cristiani, pena una multa che il gestore avrebbe dovuto pagare. Costui, che, qualche anno dopo, sarebbe stato sospettato di aver preso in casa sua fanciullo cristiano, probabilmente destinato ad essere la vittima di un omicidio rituale, fu protagonista, nel 1470, di una vicenda che vide implicate le autorità rabbiniche dell'epoca, tra cui il prestigioso Josef Colon di P., intervenute per decidere se, nonostante il suo status sacerdotale (come indica il cognome), potesse riprendere con sè la moglie, dopo che, in seguito a dei dissapori, lo aveva lasciato per rifugiarsi in un convento, ventilando la conversione. A questo proposito, degno di nota fu l'atteggiamento del vescovo di P. che, anziché ostacolarla, le venne in aiuto nel tentativo di riconciliarsi con il marito, abbandonando il proposito di convertirsi[16].
All'incirca nello stesso periodo, furono arrestati a P. tale Salomone ed altri due ebrei, per aver avuto rapporti con una donna cristiana: nel giudicarli il capitano di giustizia avrebbe dovuto tener conto, per ordine ducale, delle disposizioni tutelative assicurate agli ebrei con le littere ottenute dopo debito pagamento[17].
Alla fine degli anni Settanta del XV secolo, i deputati officio provisionum comunitatis lamentavano l'aumento della popolazione ebraica e la promiscuità con i cristiani, sollecitando l’applicazione del segno distintivo.
Nel 1505 quando quest’ultimo era stato imposto a P. e nella contea, pena una multa pecuniaria, il risentimento della popolazione contro gli ebrei ebbe modo di esprimersi con maggior virulenza[18]: l'atteggiamento contrario alle invettive dei predicatori (Bernardino da Feltre in primis), tenuto dall'autorità ducale, infatti, non aveva mitigato i sentimenti della cittadinanza, improntati sempre a viva ostilità. Ne fu esempio il voto di cacciare gli ebrei che i pavesi si affrettarono a fare subito dopo la morte di Bernardino, avvenuta nel 1494.
Il repentino mutamento di atteggiamento di Ludovico il Moro nei confronti degli israeliti, sfociato nel decreto di espulsione del 1490 (che non fu, tuttavia, attuato nè subito nè in toto), rinforzò ulteriormente la tendenza anti-ebraica. Nel 1496, ad esempio, la popolazione protestò contro l'insediamento in città di altri ebrei e, qualche mese dopo, il Duca, al fine di venire incontro alla richiesta dei deputati degli affari, dette ordine di espellere gli ebrei rimasti nella città, ad onta delle disposizioni degli anni passati[19].
Tuttavia, nei primi anni del XVI secolo, si stabilì a P. un ebreo, Pasco, proprietario di un banco di prestiti e di pegni, passato alla sua morte, pochi anni dopo, alla moglie e ai figli. Altri giudei vennero a P., tra il 1510 e il 1511, talchè, poco oltre la metà del secolo, si contavano qui otto famiglie[20].
Nel 1513, un mese dopo il rinnovo del privilegio concesso agli ebrei del Ducato, Massimiliano Maria Sforza ordinò che fosse fatto un censimento segreto in cui venisse appurata la loro situazione economica.
Negli anni seguenti, troviamo documentate le disposizioni ducali volte a proteggere gli ebrei di P. dagli eventuali eccessi della popolazione e del clero.
Nel 1523 il Duca concesse un nuovo privilegio agli ebrei: nonostante le disposizioni date ripetutamente, in quegli anni, per contrastare il clima anti-ebraico, fomentato dal clero, i pavesi persistettero nel loro desiderio di liberarsi degli israeliti e, nel 1527, spinti dall'assedio del Lautrec, fecero voto solenne a Bernardino da Feltre (nel frattempo beatificato), di cacciarli dalla città.
Il Duca, però, si oppose, complice la difficile situazione economica che sollecitava la presenza dei feneratori, il cui elevato tasso di interesse, tuttavia, rinforzava il risentimento della popolazione[21].
Se, da un lato, si giunse nel 1531 alla necessità, da parte di monaci e suore di impegnare arredi sacri presso i banchi ebraici, dall'altro, proprio in quegli anni, vennero rinnovate insistentemente al Duca le richieste di espellere gli ebrei[22].
La convinzione, sempre più ferma, che le varie calamità abbattutesi sui pavesi, fossero dovute al mancato adempimento del voto fatto al Beato, indusse il Consiglio della città a decidere l'espulsione, nel 1537 e nel 1549, che, rimasta inattuata dati i privilegi ottenuti[23], costrinse nel 1558 i pavesi a chiedere a Paolo IV l'assoluzione per il mancato adempimento del voto[24].
La situazione difficile si ripercosse sui rapporti tra gli ebrei pavesi, rendendoli talvolta conflittuali per motivi di interesse[25].
Tuttavia, proprio in questo periodo travagliato, un ebreo bandito, nel 1536, per spaccio di monete false, da P., vi fu riammesso due anni dopo[26],
Quanto ai marrani, troviamo il podestà di P. chiamato a decidere di alcuni averi di Beatrice de Luna, alias Gracia Mendes, nel 1547, mentre, dall'anno seguente, al capitano di porto pavese spettò l'incarico di riscuotere la tassa sui marrani in transito[27].
In svariati documenti, a partire dal 1519, compare Jacob Levita Morello, che godeva di privilegi particolari concessigli da Luigi XII e confermati da Francesco I, e che ebbe per circa un trentennio il monopolio del prestito a P., suscitando particolare avversione tra la popolazione per l'alto tasso di interesse praticato, sfociata, dal 1534, in una serie di proteste contro di lui. Dal governatore, Ferrante Gonzaga egli ottenne l'esenzione dal contributo alle tasse statali, nel 1546, ma, in seguito alle rimostranze dei pavesi, il Gonzaga nel 1548 dette pubblica udienza alle accuse contro i feneratori ebrei, incluso il Morello[28].
Nel 1549 questi dichiarò di essere, sin dai tempi dell'assedio di P., titolare dell'unica licenza di banco concessa, nonchè il capofamiglia dell’unico nucleo rimasto a P., ragion per cui supplicava, l'Imperatore di rinnovargli il diritto esclusivo di risiedere nella città e di feneravi, impegnandosi, dal canto proprio, a sostenere da solo tutte le spese di tassazione cui era sottoposta la Comunità locale[29]. Poco dopo, Il Morello fu anche implicato nell'accusa contro l'ebreo piemontese Lazzarino di Isaac Poggeto, che ne aveva sposato la figlia Allegra, in seguito morta per avvelenamento. Da tale accusa prese l'avvio una clamorosa vicenda, intessuta di processi penali, condanne a morte con bando e confisca dei beni, minacce ad opera di sicari prezzolati, che si concluse con l'assoluzione del Poggeto e della sua famiglia, grazie alla protezione dei Savoia, della quale essi godevano, avendo banco ad Asti[30].
Il monopolio del prestito, cui il Morello tanto teneva, fu, però, minacciato dalla presenza di ulteriori gruppi ebraici: tra il 1557 e il 1558 si insediarono a P., nonostante l'opposizione del Comune, altre sette casate ebraiche, mentre, nel 1566, otto aziende feneratizie erano chiamate a pagare il censo[31]. Il fatto che la Comunità pavese fosse numerosa e ben organizzata giovò agli ebrei nelle transazioni economiche con la città e nelle vertenze con gli studenti, che avevano caratterizzato la vita ebraica pavese sin dai suoi inizi[32].
Tensioni tra i prestatori ebrei e il Consiglio della Città, indussero quest'ultimo, poco dopo la metà del secolo, ad ottenere che le ricevute dei pegni stilate fossero stilate solo in latino o in italiano, per evitare frodi[33].
Complice l'atmosfera ostile agli israeliti che caratterizzava P., inoltre, le autorità fecero gravare su di loro il mantenimento delle truppe spagnole che vi erano acquartierate[34].
Da parte ebraica, invece, all'incirca in questo periodo, si registra anche qui un esempio della tendenza degli ebrei lombardi dell'epoca a distinguersi in progetti di pubblica utilità, con Israel o Donato Levita (de Levitiis), che ottenne una patente ducale per sfruttare l'invenzione di un correligionario per macinare il grano, secondo un nuovo sistema[35].
La peste, dilagata proprio nel periodo delle visite apostoliche del Borromeo e del Peruzzi, contribuì all'inasprimento del clima nei riguardi degli ebrei (accusati di propagare il contagio), portando, nel 1576, a varie misure restrittive, tendenti ad accentuare la separazione sociale, statuita già in precedenza, ad esempio, con il divieto per i cristiani di frequentare case ebraiche (1570). D'altro canto, il fervore con cui veniva svolta l'attività di proselitismo dava i suoi frutti, portando ad alcune conversioni, tra cui quella di un figlio di Leone Levita Morello, che, per l'intervento dell'Inquisizione, nel 1579, ebbe conseguenze tragiche[36].
Nel periodo in cui l'espulsione era stata ormai decisa per il 1591 da parte del sovrano spagnolo, P. si distinse per lo zelo con cui si sforzò di non far insabbiare la pratica che la concerneva e la deroga ottenuta da Simone Sacerdote, subordinando l'espulsione al rimborso dei crediti, deluse le sue speranze di liberarsi subito degli Ebrei. Quando si pensava che la ripartizione della cifra da rimborsare agli ebrei spettasse a tutto lo Stato e non solo ai quattro centri urbani rimasti sede di Comunità, P. fu l'unica a pagare entro il tempo prescritto e, pertanto, fu autorizzata ad affiggere una grida che autorizzava l'epulsione. I tumulti che ne seguirono, tuttavia, furono tali da indurre il governatore a sollecitare una grida di protezione per gli ebrei.
Occorse ancora del tempo prima che, pagata tutta la cifra e sedate le proteste contro il criterio di ripartizione, fosse messa in atto l'espulsione, ma, nel 1597, P. riuscì a conseguire pienamente il suo intento e, da allora, non vi risiedettero più ebrei[37].
Attività economiche
Per quanto concerne le attività economiche degli ebrei pavesi, la priorità va attribuita all'attività feneratizia: tuttavia, nel 1485, risulta che ve ne erano alcuni impegnati anche nel commercio dei gioielli[38].
Riguardo al tasso di interesse percepito, intorno al 1533, in virtù della libera contrattazione sancita dal privilegio sforzesco, esso era del 40-45%: rispondente alla realtà economica del momento, ma troppo gravoso per la popolazione che, perciò, chiedeva l'espulsione dei prestatori.
Negli anni successivi si registrò in tutto lo Stato di Milano una certa ambiguità nell'uso dei termini "prestito" e "usura", cui corrispose l'elusività dei documenti riguardanti l'attività creditizia a P.[39].
Nel 1549, riconfermando il privilegio sforzesco per otto anni, il governatore di Milano, Ferrante Gonzaga, impose come limite al tasso di interesse il 35% per il prestito su pegno e il 25% per quello chirografario.
In seguito alla visita del nunzio apostolico a P., nel 1576–1577, che intendeva far pubblicare la bolla di Pio V contro gli ebrei, la sopravvivenza economica ebraica — restando legata alle sole strazzaria e sensaria — fu gravemente minacciata, provocando il dissenso del podestà, cui si oppose il vescovo di P., che fece pubblicare la bolla nel 1578.
Nel 1593 dall'accusa, poi ritrattata, di un pavese che sosteneva che gli ebrei prestavano a usura anche su vendite di oggetti, abbiamo conferma che anche a P., come in tutto lo Stato di Milano, tra il 1590 e il 1597, l'attività creditizia continuava, sia pure sotto forme di copertura, come l'attività il commercio[40].
Demografia
Sotto il profilo demografico, occorre rilevare che solo dal XIV secolo in poi la documentazione che ci resta inizia ad essere attendibile[41], attestando dal 1389 sporadiche presenze ebraiche. A partire dal 1434, invece, essa è più particolareggiata, riferendosi, in particolare, alle vicende del prestatore Aberlino da Vicenza e della sua famiglia. Da un documento del 1478 risulta che la popolazione ebraica pavese avesse subito un aumento in quegli anni e nel 1496, in seguito alle proteste della popolazione, il vicecomes ricevette ordine dal Duca di cacciare dalla città gli israeliti rimasti ad onta delle disposizioni degli anni precedenti. La presenza ebraica a P., tuttavia, si rinsaldò ai primi del secolo XVI, con Pasco e la sua famiglia, cui si aggiunsero, tra il 1510 e il 1511, altri nuovi arrivati.
Dopo che la presenza ebraica era stata limitata, per circa un trentennio, dal monopolio del prestito avuto dal 1527 da Jacob Levita Morello, la Comunità si ingrandì con l'arrivo di nuove famiglie che nel 1558 vennero registrate a P. in numero di sette, in aggiunta a quella del Morello.
Nonostante le reiterate richieste di espulsione, gli ebrei di P. rimasero nella città, risultando, dal censimento statistico del 1589 e del 1590, in numero di 123, suddivisi in 27 nuclei familiari. Nel 1597, alla vigilia dell'espulsione, restavano, invece, solo 8 nuclei a P., a testimonianza di quanto la Comunità ebraica pavese avesse risentito della difficile situazione che era venuta creandosi[42].
Ghetto e sinagoga
Di un quartiere ebraico non vi è traccia: anzi, da un documento del 1579 risulta che il vescovo lamentasse presso al governatore il fatto che lo star di questi hebrei così disperso per Pavia è di mal essempio et mala edificatione per la continua et stretta conversatione c'hanno con christiani[43].
Nel 1594 viene documentata l'ubicazione delle abitazioni dei due terzi degli ebrei di P. nei quartieri facenti capo alle parrocchie seguenti: S. Maria Canonica Gualterio o Gualtieri, Chiesa Maggiore, S. Marino, S. Maria in Pertica e S. Michele Maggiore[44].
Per quanto concerne la sinagoga, da un documento del 1581 risulta che gli ebrei si riunissero a pregare, sino al 1579, in alcuni locali della casa di Leone Levita Morello, adibiti al culto. In un documento del 1594, invece, viene menzionata la sinagoga, posta in una casa sulla Strada Nuova, appartenente alla parrocchia di S. Maria Canonica Gualterio o Gualtieri, presa in affitto, qualche anno prima, da Clemente Sacerdote, Angelo Levi e Angelo Norsa per 150 lire annue. Dopo aver tentato lungamente di opporsi, gli ebrei furono costretti ad abbandonare l'edificio, lasciandolo ad un pavese cristiano che voleva installarvisi[45].
Cimitero
Quanto al cimitero, un documento del 1564 attesta l'acquisto della terra da adibire alle sepolture ebraiche, nella parrocchia di S. Marco, specificando che la transazione era avvenuta in base all'articolo 10 dell’ottavo privilegio garantito da Francesco II Sforza e confermato da Carlo V e Filippo II. Tra gli acquirenti, figura anche tale Elia di Datolo Marona, doctor legis mosayce.
Più di una trentina di anni dopo — e due anni dopo il bando di espulsione del 1595 — ritroviamo menzionato il cimitero, in occasione del temporaneo rientro dei fratelli Jacob e Consilio di Leone Levita Morello, motivato dalla necessità di provvedere alla custodia del terreno e delle sepolture. Un accordo in questo senso fu stipulato con il priore del monastero di S. Francesco da Paola della chiesa di S. Marco di P.: in base ad esso, i monaci potevano coltivare una parte della terra, impegnandosi, tuttavia, a restituirla agli ebrei gratuitamente ogni volta che gli fusse concesso poter tutti o qual si sia hebreo ritornare ad habitare in questa città o suo principato[46].
Vita culturale
Riguardo alla vita culturale, il primo documento che la attesta è la trascrizione, nel 1374, di un libro di preghiere per le feste, secondo il rito italiano, ad opera del medico Menachèm di Beniamino di Pesaro, che eseguì l'opera per Giacobbe di Aronne di Mantova.
Più tardi, troviamo a P. un ebreo insignito della facoltà esclusiva di giudicare i correligionari dello Stato milanese sia in processi civili che penali, ivi inclusi quelli implicanti la pena capitale. Si tratta di Elijah ben Shabbetai alias Elia di Sabato da Fermo o Elias Sabot, che fu medico personale di Filippo Maria Visconti: apprezzato per la sua competenza medica anche dall'Ambasciatore di Milano alla Corte estense, venne, tra l'altro, invitato in Inghilterra, per curare Enrico IV. Un documento del 1439 testimonia del privilegio accordatogli a suo tempo da Martino V e della posizione di preminenza di cui godeva nel Ducato, culminante nell’amministrazione della giustizia, come è stato rilevato sopra. Insignito dello status di cives romano dal 1405, godette di una posizione prestigiosa alla corte papale e, secondo alcune fonti, sarebbe stato anche attivo come docente all'Università di P., all'inizio del secolo XV.
Per quanto riguarda l'insegnamento della lingua ebraica, invece, troviamo nel 1490 un ebreo convertito d'origine spagnola, tale Benedicto e, dopo qualche anno di intervallo, la cattedra di ebraico fu riattivata, a P., nel 1521, con l'insegnamento di un altro neofita, l'erudito Paulus Ricius, cui si deve, tra le altre opere, la sintesi sistematica della Qabbalah, ad uso dei lettori cristiani e la traduzione in latino di testi musulmani ed ebraici, tra cui parte del Sha'arei Orah del cabbalista Josef Gikatilla, apparso ad Augsburg nel 1516 con il titolo di Portae lucis. Durante il soggiorno a P., egli fu, inoltre, in contatto con Erasmo da Rotterdam.
Da un documento del 1499 risulta che un ebreo d'origine francese, Magister Salomone di Aronne Gallico, occupato in quegli anni nella trascrizione di testi ebraici in latino per il Duca, ricevette il permesso di risiedere con la famiglia nel castello di P.
Il più prestigioso talmudista italiano del XV secolo, Josef Colon, d'origine francese, fu attivo come rabbino, verso la fine della vita, a P., dove morì nel 1480. Data la sua fama, fu ricercato per i responsa anche all'estero, mentre da svariate regioni d'Italia confluivano a lui numerosi allievi: un indizio del fatto che la sua attività didattica continuasse anche a P., si può trovare in un episodio del 1478, riguardante una rissa, scoppiata a casa di tale Magister Colombo — verosimilmente l'italianizzazione del cognome Colon — e avente per protagonista un suo allievo, messa a tacere grazie al prestigio di cui godeva il Maestro. Anche prima di trasferirsi nella città, prese parte, in virtù della sua autorevolezza in fatto di Legge mosaica, alle vicende degli ebrei pavesi, come dimostra il suo intervento nella controversia riguardante Falcone Haqim di Jehiel Cohen, la cui moglie si era ritirata, per un periodo, in convento con il proposito, poi abbandonato, di convertirsi. Colon fu l' unico "italiano" ad essere citato come autore di responsa da Jakob Baruch Landau. Questi, rabbino di origine e di formazione tedesca, compose il famoso compendio legale mosaico Agur, pubblicato, nella maggior parte delle edizioni, insieme allo scritto Hazon (Visione) in cui viene riferita la visione che egli ebbe, nel 1480, probabilmente a P., dove avrebbe soggiornato per qualche tempo.
Tra i laureati insigni di P. vi fu anche, nel 1563, Abraham ben David II Portaleone, l'autore di Shiltei ha-Gibborim (Scudi degli eroi), descrizione del Tempio finalizzata a chiarire i relativi riferimenti sopravvissuti nella liturgia quotidiana e, al tempo stesso, compendio delle scienze dell'epoca. Infine, il noto copista Meir da Padova copiò il Libro della Torah per Leone Levita Morello nel 1570 e nel 1575[47].
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[1] Simonsohn, S., The Jews in the Duchy of Milan, I, Introduction, pp. XIV-XVI; Colorni, V., Judaica Minora, p. 72, nota 19 e nota 21; Tossafot al trattato talmudico Hullin, f. 47 (dove deve leggersi "Pavia" in luogo di "Pontoise"); Cassuto, U., J.E., alla voce "Moses of Pavia".
[2] Invernizi, C., Pavia, p. 200.
[3] Simonsohn, S., op. cit., Introduction, p. XVI; docc. 1, 2, 3, 4, 7, 8, 15. La datazione della presenza ebraica a P. può essere fatta risalire a qualche anno prima, rispetto al 1433–1434, se ci si attiene alla dichiarazione di Manno di Aberlino che, in un documento del 1461 circa, sostiene di essere residente a P. da 33 anni, e, dunque, già dal 1428. Cfr. Simonsohn, S., op. cit., doc. 706.
[4] Simonsohn, S., op. cit., I, doc. 913; Invernizzi, C., op. cit., p. 201.
[5] Nel documento in questione, Grassino viene indicato come fratello di Manno, ma l'albero genealogico della famiglia di Aberlino ci porta a ritenere che si sia trattato di un errore di trascrizione: cfr. Simonsohn, S., op. cit., I, doc. 30; Carpi, D., R. Jehudah Messer Leon, p. 301.
[6] Su Aberlino e sulla sua famiglia, cfr. Carpi, D., op.cit., p. 301; Simonsohn, S., op. cit., I, doc. 30, 74, 169, 173, 1003, 58, 58, 473, 555; a proposito della peste, nel 1457 Manno di Aberlino ricevette il perdono ducale per non aver obbedito alle norme relative a questa malattia: Simonsohn, S., op. cit., I, doc. 509.
[7] Invernizzi, C., op. cit., pp. 207-209; Simonsohn, S., op. cit., I, doc. 569, 787, 718, 722.
[8] Simonsohn, S. op. cit., I, doc. 768, 771, 778, Introduction, p. XXII.
[9] Simonsohn, S., op. cit., doc. 17; il volume contenente il testo della Bolla non è più reperibile: cfr., Idem, The Apostolic See, Documents: 1394–1464, p. 805.
[10] Simonsohn, S., Milan, I, doc. 51; cfr., però, Idem, The Apostolic See, Documents: 1394–1464, p. 922.
[11] Simonsohn, S., Milan, I, doc. 545; Invernizzi, C., op. cit., p. 210.
[12] Simonsohn, S., Milan, I, doc. 1110.
[13] Simonsohn, S., Milan, I, doc. 1315, 1317, 1318; II, doc. 1877, 1878, 1879, 1880, 1884, 1886, 1887, 1888, 1889, 1891, 1892, 1897; Invernizzi, C. , op. cit., p. 212, nota 1; p. 213; Divina, G., Storia del Beato Simone da Trento, II, pp. 146-147.
[14] &Simonsohn, S., Milan, I, Introduction, pp. XX-XXI. Gli interessi ebraici furono colpiti, ad esempio, quando, si decise che al momento dell'incanto dei pegni, il denaro eccedente il loro valore fosse depositato presso il Monte, finché non venisse reclamato dai proprietari legittimi. Cfr. Segre, R., Gli Ebrei lombardi, p. 7; Simonsohn, S., Milan, II, doc. 3211.
[15] Sull'arrivo di nuovi ebrei a P., legati da rapporti di lavoro con gli eredi di Aberlino, vedi, ad esempio, Simonsohn, S., Milan, I, doc. 1035.
[16] Simonsohn, S., Milan, Introduction, p. XXI; I, doc. 1200, 1484, 1701; II, doc. 1823, 1917, 1960, 2023; Invernizzi, C., op. cit., pp. 210-211; 212, n. 1; Graetz H., Geschichte der Juden, VIII, pp. 241-242.
[17] ;Simonsohn, S., Milan, I, doc. 1332.
[18] Simonsohn, S., Milan, II, doc. 1823; 2306; Invernizzi, C., op. cit., p. 217, nota 1.
[19] Invernizzi, C., op. cit., p. 228; Simonsohn, S., Milan, Introduction, p. XXIV; II, doc. 2248, 2254.
[20] Simonsohn, S., Milan, II, doc. 2313, 3067; Invernizzi, C., op. cit., p. 221.
[21] Simonsohn, S., Milan, II, doc. 2322, 2326, 2345, 2385, 2424, 2316, 2618.
[22] Simonsohn, S., Milan, doc. 2434, 2453, 2427, 2430, 2431; Invernizzi, C., op. cit., p. 224.
[23] Segre, R., op. cit., p. 11, n. 5.
[24] Simonsohn, S., Milan, II, doc. 2473, 3072; Invernizzi. C., op. cit., p. 226; p. 220.
[25] Simonsohn, S., Milan, II, doc. 2363; Invernizzi, C., op. cit., p. 229.
[26] Simonsohn, S. Milan, II, doc. 2480.
[27] Simonsohn, S., Milan., II, doc. 2528, 2562, 2770; sulla merce dei marrani in transito, cfr. doc. 2768.
[28] Simonsohn, S., Milan, II, doc. 2363, 2375, 2444, 2522, 2524, 2528, 2562, 2580, 2582, 2770, 2810; Invernizzi, C. op. cit., p. 229.
[29] Simonsohn, S., Milan, II, doc. 2613; Segre, R., op. cit., p. 20.
[30] Simonsohn, S., Milan, II, doc. 2666, 2667, 2758, 2764.
[31] Segre, R., op. cit., pp. 20-21; Simonsohn, S., Milan, II, doc. 2991. Secondo Josef Ha-Cohen, Leone di Jacob Levita Morello avrebbe voluto ripristinare il monopolio paterno sul prestito, escludendo da P. tutti gli altri ebrei; questo atteggiamento avrebbe indotto Filippo II a minacciare la cacciata dallo Stato, nel 1565. Sull'argomento, cfr. Segre, R., op. cit., p. 20, nota 2; HaCohen, J., Emeq ha-Bakhah, p. 94.
[32] Segre, R., op. cit., p. 21, nota 3. Quanto ai rapporti non troppo tranquilli con gli studenti, abbiamo, ad esempio, la testimonianza di Leone Morello, che accusò gli studenti di furto del libro mastro, asportato dal banco di suo padre, Jacob Morello. Quanto agli obblighi degli ebrei nei confronti della corporazione studentesca, Leone Morello esibiva al Rettore dei giuristi la quietanza dei tre scudi pagati nel 1550, 1551 e 1552, per decisione del Senato, in sostituzione dei capponi da offrire agli studenti in occasione della festa di S. Caterina, loro patrona. Simonsohn, S., Milan, II, doc. 2634; Segre, R., op. cit., pp. 21-22.
[33] Simonsohn, S., Milan, II, doc. 3062.
[34] Ivi, II, doc. 3063.
[35] Ivi, II, doc. 3260.
[36] Simonsohn, S., Milan, III, doc. 3695, 3488, 3897, 3758; Invernizzi, C., op. cit., pp. 223-224; Segre, R., op. cit., p. 76; p. 53.
[37] Segre, R., op. cit., 88-90; p. 92; p. 99; p. 103; p. 104; p. 105; p. 122.
[38] Simonsohn, S., Milan, II, doc. 2132.
[39] A titolo di esempio, si puo rilevare che, nel 1548, Jacob Morello dette in "deposito" 50 lire per riaverne 60, senza che di interesse venisse fatta menzione, mentre, nel 1551, chiese "danni, interesse, spese ed usure" e, d'altro canto, fu registrato come gratis et amore un mutuo nel 1554, in virtù del quale egli dava 154 lire per riceverne entro tre mesi 275.
[40] Segre, R., op. cit., p. 8; p. 9; pp. 73-74; p. 115; Simonsohn, S., Milan, II, doc. 2614.
[41] Cfr. sopra, profilo generale di Pavia.
[42] Simonsohn, S., Milan, I, doc. 3, 4, 8; II, doc. 1823, 2248, 2254; 2313, 2361, 2364, 3067; Segre, R., op. cit, pp. 112-114; p. 122.
[43] Segre, R., op. cit., p. 75, nota 2.
[44] Simonsohn, S., Milan, III, doc. 4191; Segre, R., op. cit., p. 115.
[45] Simonsohn, S., Milan, III, doc. 3811, 4191; Segre, R., op. cit., p. 116.
[46] Segre, R., op. cit., p. 116; Simonsohn, S., Milan, II, doc. 3279; III, doc. 4339.
[47] Simonsohn, S., Milan, Introduction, p. XVI; p. XLVI; I, doc. 25, 32, 1200; II, doc. 2181, 2182, 2183, 2275, 2272, 1826; Simonsen, P., Dr. Elias Sabot, p. 360; Motta, E., Oculisti, dentisti e medici ebrei , p. 326; p. 327; Mìnster, L., Maestro Elia, medico ebreo del Quattrocento, pp. 224-258; Weiner, A., Jewish Doctors in England, pp. 142-143; Roth, C., The Jews in the Renaissance, p. 39; Tishby, E., Mishnat ha-Zohar, I, p. 48; Invernizzi, C., op. cit., p. 212, nota 1; Cassuto, U., E. J., alla voce "Colon Josef"; Horodezky, S.A., E.J., alla voce "Landau Jakob Baruch".