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Voghera (ווגרה)
Provincia di Pavia. Situata allo sbocco della valle della Staffora, affluente di destra del Po, in una posizione che le conferì importanza come centro abitato in ogni epoca, fu di origine ligure e, chiamata Iria, decadde con la rovina dell'impero romano a semplice vico. Il nome attuale deriva da Vicus Iriae, attraverso la forma medievale Viqueria. V. si affermò nel periodo dei liberi Comuni e, in seguito, passò alla signoria dei Visconti di Milano, dei Conti dal Verme e degli Sforza e, infine, agli Spagnoli, ma nel 1743, con il trattato di Worms, venne assegnata al Regno di Sardegna.
Il primo documento riguardante la presenza ebraica a V. risale al 1435 e concerne il riscatto di un pegno depositato, l’anno precedente, da un abitante di Pancarano presso tale Angelo di Abramo[1].
Questi fu impegnato nel prestito sino al 1445 e nel 1447, insieme a Carlo del fu Guglielmo de Columbis, anch’egli residente a V., dette, in presenza del notaio, piena procura per dirimere le vertenze ad una serie di decretalium doctores, tra cui Lorenzo de Columbis, arciprete della chiesa di San Lorenzo di V.
Tre anni dopo, Angelo e Pietro de Gastaldis si accordarono per la nomina di un dottore in legge come arbitro in ogni disputa o discussione che potesse sorgere tra di loro, per il lasso di tempo di due mesi e, l'anno seguente, in presenza dello stesso dottore in legge, il de Gastaldis esentò Angelo da ogni pagamento inerente la terra che gli aveva venduto.
Da un documento del 1450, risulta che Angelo era attivo anche nel commercio, vendendo, tra l'altro, bovini.
Nel 1451 viene menzionato a V. l'ebreo Abramo, impegnato nel prestito e l’anno successivo (1452) Abramo e Angelo di V. risultavano ambedue attivi nell'attività feneratizia.
Sempre nel 1452 il Duca scrisse a Luchina dal Verme che Armano di Pavia si era lagnato per i maltrattamenti subiti dal suo factore, Angelo di V., al momento di riscuotere a V. un credito e, pertanto, ordinò di aiutarlo a recuperare il denaro. Inoltre, scrisse anche al podestà, al Comune e agli uomini di V., sostenendo che Armano di Pavia, socio del banco di Angelo di Abramo, aveva fatto causa perché risultava che la persona e i beni di Angelo erano minacciati da alcuni abitanti della città e che l’ebreo era stato vittima di insulti e percosse: pertanto, esortò i cittadini di V. a proteggere Angelo e suo padre Abramo e a lasciarli vivere con loro usanze et consuetudine, si per rispecto de li capitoli facti con loro, quali debitamente si degono observare, si etiam dio perche nostra intentione e che caduno iudeo possa vivere nel paese nostro securamente[2].
Qualche mese dopo, il Duca si rivolse ancora alla dal Verme, in seguito alla petizione di un abitante di V. che si lamentava della pena troppo severa comminatagli per il furto ad un ebreo (il cui nome non è menzionato nel documento) e chiedeva che si istruisse un processo più equo. Il Duca, pertanto, si rivolse alle autorità locali perché venisse appurata la verità, rendendo giustizia alle parti lese.
Nel 1453 il Duca scrisse poi ad Angelo di V., ingiungendogli di recarsi, con il padre e il fratello, a Piacenza per eseguire gli ordini di Bonomo e Israel, tesorieri dell'Università ebraica del Ducato, sotto pena di una forte multa in caso di mancata obbedienza.
In seguito a quest'ordine, Luchina dal Verme scrisse a Francesco Sforza, ricordando che il suo defunto marito aveva fatto venire a V. Angelo e famiglia per il suo tornaconto economico e che i feneratori pagavano le tasse ai dal Verme, senza che il padre di Francesco (Filippo Maria Sforza), avesse preteso tasse da questi feneratori. Dalla richiesta del Duca risultava, tuttavia, che essi avrebbero dovuto partecipare alla tassazione generale degli ebrei del Ducato e, dato non potevano essere tassati da due autorità diverse, ciò sarebbe andato a discapito della dal Verme che, pertanto, chiedeva a Francesco Sforza di rinunciare alle imposte.
Seguì a tale missiva quella di Salomone di Piacenza, che, informando il Duca del mancato pagamento di Angelo di V. e famiglia (dovuto all'opposizione della dal Verme), gli suggerì di costringerli, mentre la dal Verme, dal canto suo, rinnovò la richiesta di esentarli dalla tassazione, ribadendo la clausola del loro privilegio, che proibiva la tassazione da parte di un'autorità esterna.
Il Duca, invece, esortò ulteriormente la dal Verme a consentire agli ebrei di V. di recarsi a Piacenza, sostenendo anche che gli israeliti di Piacenza dovevano consegnare ad Angelo di V. una somma a lui dovuta. Data l'opposizione della dal Verme anche a ciò, le fu ordinato di desistere o di fornire lei stessa il denaro.
Nel 1458 ad Angelo di V. fu dato ordine di presentarsi immediatamente a Milano a conferire con il Duca.
Nel 1471, tra gli ebrei ritardatari cui veniva ingiunto di pagare le tasse al Duca, sotto pena di 25 scudi di multa, si trovava anche Raffaele di V. (nominata come Vignaria), attestato anche nel 1480, tra i tre ripartitori delle tasse, eletti a Piacenza in vista di un nuovo prestito al Duca e alla Duchessa, Otto anni dopo, lo si ritrova tra i condannati all'espulsione e alla confisca dei beni per vilipendio alla fede cristiana.
Nel 1481 Matasia de Mantua, procuratore di Josep Emanuelis doveva pagare 25 ducati al podestà di Pavia, in favore di Isacco di V., procuratore di Giacobbe e soci, per l’acquisto all’asta fatto da Josep di un oggetto di valore di proprietà di Giacobbe.
Dopo quasi un quarto di secolo di silenzio sulla presenza ebraica a V., un documento del 1512 menziona Mastro Giacobbe, residente qui, intento a cedere in appalto a Davide da Modena il banco di prestito che aveva diritto di gestire a Pavia, mentre nella lista dei banchieri del Ducato del 1522, comparivano una Datolo e un Lazzarino da V.
Nel 1555 veniva menzionato in un atto notarile Mandolino da V., residente in Castelnuovo de Casalmaggiore, attivo come procuratore del padre, Isacco. Nello stesso anno, egli risultava creditore del cremonese Clemente de Pescarolo, imprigionato per debiti, mentre nel 1568, agiva come procuratore dei fratelli de Carmino, del fu Emanuele, di Cremona, per recuperare dei crediti a Borgo San Donnino, per informare la marchesa Emilia Gonzaga o il suo procuratore di Isola Dovarese del debito trasferitogli dalla Gonzaga, come indicato dai documenti del conservatore degli ebrei di Cremona, e per trasmettere il documento di Leone de Suavis di Isola Dovarese. Dall'elenco dei banchi (e relativi proprietari), stilato nel 1556–1558, per la ripartizione del censo, risultavano esclusi i banchi di alcune località, tra cui V.
Nel 1580 Vitale de Sacerdotibus dette allo spagnolo Francesco de Vega la procura per l'esazione dei crediti di Salvatore Levita e degli altri correligionari di V. e per la quota di tasse da esigere, secondo quanto stabilito dalla Università ebraica dello Stato di Milano.
Nel 1589 veniva menzionato come residente a V. Josef de Levi, del fu Daniele, e, nel 1594, il fratello Amadio de Levi: con questo si interrompono i documenti relativi alla presenza ebraica a V.[3].
Cimitero
Un cimitero ebraico esisteva all’inizio del XVI secolo a V., come si evince da un responsum di Azriel Diena, del 1535 circa, in cui si riferisce che una quindicina d'anni prima, dato che la Comunità ebraica di Pavia non aveva un cimitero, i morti venivano sepolti nelle località vicine, tra cui V.[4].
Bibliografia
Segre, R., Gli ebrei lombardi nell’età spagnola,Torino 1973.
Simonsohn, The Jews in the Duchy of Milan, 4 voll., Jerusalem 1982-1986.
[1] Angelo viene indicato in tutti i documenti come figlio di Abramo, salvo in uno dove viene menzionato come figlio di Abramo Isacco. Cfr. Simonsohn, S., The Jews in the Duchy of Milan, I, doc. 575.
[2] Simonsohn, S., op. cit., I, doc. 171.
[3] Ivi,I, doc. 10, 11, 27, 41, 45, 77, 98, 139, 158, 171, 182, 183, 184, 244, 250, 251, 575, 1267, II, doc. 2165, 2318, 2393, 2398, 2937, 2955, 2991, III, docc. 4039, 4204; IV, p. 2371, p. 2793, p. 2850. Segre, R., Gli ebrei lombardi nell’età spagnola, p. 17, nota 2.
[4] Simonsohn, S., op. cit.,II, doc. 2398.