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Cremona (קרמונה)
Capoluogo di provincia. Favorita dal fatto di sorgere sulla riva sinistra del Po, in una zona adatta al guado del fiume, che concorse, sin dall'inizio, alla sua importanza commerciale e strategica, fu un libero Comune, quasi sempre fedele alla parte ghibellina, ma che passò in mano ai guelfi dopo la battaglia di Benevento (1266), sotto la guida dei Cavalcabò. Poiché la C. guelfa negò di riconoscere Arrigo VII, questi la saccheggiò, le tolse il titolo di città, il contado e le rendite, ma, alla sua morte, i Cavalcabò ripresero la città, e, nel 1344, se ne impossessarono i Visconti: ebbe, così, fine l'indipendenza del centro, la cui storia prese a seguire quella del dominio visconteo.
Alla morte di Gian Galeazzo Visconti (1402), C. si ribellò e cadde sotto il dominio di Ugolino e Carlo Cavalcabò (dal 1402 al 1406) e di Gabrino Fondulo (dal 1406 al 1420), finché Filippo Maria Visconti la riebbe per 40.000 fiorini d'oro, dandola, nel 1441, in dote alla figlia Bianca Maria che andava in sposa a Francesco Sforza. Dal 1499 al 1509 C. fu sotto il dominio della Repubblica veneta, mentre, durante le lotte di predominio tra Francia e Spagna, passò con varie vicende dall'uno all'altro dei contendenti. Nel 1535 se ne impossessò Carlo V e per 180 anni la storia di C. si assimilò a quella del dominio spagnolo in Italia.
Nel 1387 Gian Galeazzo Visconti, signore di Milano, concesse ad alcuni ebrei di origine tedesca il privilegio di stabilirsi nelle sue terre, esercitandovi il commercio e l'attività feneratizia e godendo di uno status speciale: si veniva a creare, così, la base per il consolidarsi della presenza ebraica in varie località del ducato, tra cui C.[1], dove essa viene del resto segnalata, pur senza essere documentata, già dal 1278[2]. I primi documenti riguardanti il nucleo ebraico cremonese sono degli atti notarili mantovani che attestano l'esistenza di un banco di prestito, tenuto da Bonaventura del fu Zanatano, Moisè del fu Giuseppe da Spira e Manuele del fu Matassia de Rocheto nel 1400.[3]
Poco più di quarant'anni dopo, nel 1441, Francesco Sforza concesse un privilegio con validità ventennale ad Isacco di Salomone de Iachar, in cui gli si permise di risiedere a C., esercitandovi liberamente la sua professione di medico e l'attività feneratizia, con una posizione di preminenza all'interno della Comunità ebraica locale. L'anno successivo troviamo testimonianza della sua fama come oculista, apprezzato dall'ambasciatore di Milano presso il duca d'Este. Interessante è rilevare che, pochi anni prima, era stata menzionata in alcuni atti notarili la figlia del de Iachar, in quanto convertitasi al cristianesimo, con conseguente separazione dal marito, rimasto ebreo, e situazione patrimoniale da regolare.
Oltre a queste testimonianze sui singoli, troviamo, in svariati rogiti, anche notizie sull’intero gruppo ebraico residente a C., di cui sono documentati il prestito su pegno e l'attività feneratizia a partire dal 1443, nonostante la decisione (peraltro di breve durata) di proibire l'usura, presa nello stesso anno da Francesco Sforza, che, nel 1448, a sua volta avrebbe tentato di regolare il proprio debito con gli ebrei a Cremona e che, nello stesso periodo, concesse ad altri ebrei di stanziarsi a C. come prestatori o agli israeliti cremonesi di spostarsi in altre città del Ducato[4]. Contemporaneamente, sono documentate anche operazioni finanziarie di cristiani che si servivano degli ebrei per praticare l'usura, fornendo l'occasione, talvolta, a truffe da parte dei secondi[5].
Negli anni Sessanta del XV secolo, quando l'opposizione della Chiesa alla presenza ebraica si fece sentire in tutto il Ducato, a C. troviamo il monaco Pietro che predicò contro di essa, mentre particolarmente virulento, nel 1468, fu l'atteggiamento del vescovo, che, tra l'altro, insistette per istituire l'obbligo del segno distintivo, imposto, in seguito, nel 1473, in tutto il Ducato, senza, tuttavia, essere applicato rigorosamente. Proprio dai rappresentanti della città di C., poi, una cinquantina di anni dopo, partì la richiesta a Francesco II Sforza di inasprire la condizione degli ebrei imponendo loro, tra l’altro, l'obbligo del segno[6].
Ovviamente, diversa era la condizione degli Ebrei convertiti, che coronavano gli intensi sforzi di proselitismo messi in atto dalla Chiesa: fu così che, ad esempio, nel 1480 con il denaro del legato di Bernabò Visconti in favore dei cristiani bisognosi, fu garantita una rendita mensile ad un ebreo cremonese, convertitosi con il nome di Dominicus Christiani[7].
Quanto alle conversioni forzate, invece, va segnalata per la sua emblematicità quella di Caracosa, originaria di una località vicino a Tortona e sposa di un ebreo di Viadana, rinchiusa in convento e battezzata a forza dal vescovo di C., nonostante l'opposizione del Marchese di Mantova, l'intervento del Duca di Milano e gli sforzi della famiglia per riaverla. Per protestare contro l'abuso, il Venerdì e il Sabato Santo del 1469, convennero di fronte al palazzo vescovile e al convento in cui Caracosa era stata segregata, gli ebrei locali e forestieri, ma la loro protesta non ottenne l'effetto sperato: dopo essere stati arrestati sotto l'accusa di aver tentato di far pressioni sulla convertita perché tornasse all'ebraismo, essi furono graziati dal Duca[8].
Tuttavia, l'ostilità popolare, fomentata dalla Chiesa, portò ad una serie di moti anti-ebraici che, infine, sfociarono nell' accusa di vilipendio alla religione cristiana, mossa contro un folto gruppo, dalla quale prese le mosse, presumibilmente, Ludovico il Moro per decretare, il 3 dicembre 1490, l'espulsione di tutti gli israeliti dal Ducato. Il provvedimento, però, non venne applicato subito, ma posticipato al 1492 e, anche dopo questa data, troviamo degli ebrei residenti nelle terre ducali, tanto che, nel 1493, venne pubblicamente proibito loro di prestare ad usura e di esercitare qualsiasi altra attività, compresa la medicina. Con tutta probabilità, gli ebrei di C. seguirono la sorte degli altri correligionari del ducato: il Duca, pur opponendosi alla loro residenza nelle proprie terre, sembrò, tuttavia, propenso a concedere loro di soggiornarvi di tanto in tanto per venire incontro ai problemi finanziari della popolazione[9].
Durante il periodo del dominio veneziano (1499–1509), sotto l'egida del Senato veneto, diversi ebrei forestieri si stabilirono a C. come feneratori, provocando, sin dall'inizio, attriti con la città e con l'Università cremonese, che ne temeva la concorrenza: tre anni dopo il loro arrivo i banchieri forestieri furono, presumibilmente molto probabilmente, espulsi.
Nel 1506 C. ordinò l'espulsione di tutti gli ebrei residenti in città, sospettati di avervi introdotto la peste, tramite il contagio propagato dai pegni presi da fuori. Dopo un'offerta per il locale lazzaretto, però, la supplica dell'Università ebraica venne accolta favorevolmente e il decreto di espulsione revocato.
Nel 1509, però, la città tentò nuovamente di liberarsi degli ebrei, rivolgendosi, a questo fine, a Ludovico di Francia: l'espulsione, che era stata concessa dal re a patto che venissero saldati i debiti che i eremonesi avevano, non fu attuata, forse proprio per l'impossibilità di far fronte a questa clausola.
Nel 1512 i rapporti tra C. e gli ebrei risultavano migliorati, secondo quanto attesta un'ordinanza che vietava di molestarli o di danneggiarli e, del resto, tre anni dopo abbiamo la testimonianza della promiscuità delle abitazioni, mal tollerata, ma largamente praticata. Passati pochi, tuttavia, C. iniziò una serie di pressioni su Milano per ripristinare l'obbligo del segno distintivo: in una lettera, datata 30 giugno 1523, i cremonesi si lamentavano per le eccessive usure, per il lavoro nei giorni di festa cristiani e per le trasgressioni rispetto al segno.
Alla vigilia dell'assedio di C. (1526), la città obbligò gli ebrei al pagamento di una parte dei 6.000 scudi impostale, rinnovando, tuttavia, i tentativi di espulsione, ma senza risultato, tanto che le attività ebraiche continuarono senza intralci sino al 1535: due anni prima di questa data, del resto, Francesco Sforza aveva prolungato di alcuni anni il soggiorno degli ebrei nella città[10].
Durante la dominazione spagnola che seguì, gli israeliti furono favoriti per i vantaggi economici che offrivano, sino a divenire il nucleo più numeroso e più influente dell'ebraismo lombardo. L'atteggiamento dell'autorità spagnola provocò, ovviamente, l'inasprirsi dell’ostilità dei cremonesi nei loro confronti e, nel 1549, la città propose di limitare il diritto di residenza a coloro che avessero accettato di diminuire il tasso di usura (abbassandolo dal 30% al 15%), senza sortire però grandi risultati. Intanto, del resto, il Governatore Ferrante Gonzaga aveva confermato i privilegi degli ebrei di tutto il Ducato per altri 8 anni, stabilendo un tasso di interesse dal 25 al 30% ed abolendo il segno distintivo.[11]
Un episodio di intolleranza, nel 1552, nei confronti di una correligionaria convertitasi[12] sarebbe stato, secondo i cremonesi, la riprova della potenza eccessiva raggiunta dagli ebrei: la città fece presente a Milano che molti della natione ebrea, cui era stato fatto divieto di fenerare in diversi centri d'Italia, affluivanoa C., dove esercitavano il prestito in modo troppo esoso, complice lo stato di bisogno ivi esistente[13].
Poiché gli ebrei sovvenzionavano largamente lo Stato, Filippo II, per il tramite del nuovo governatore di Milano, Cristoforo Madruzzo, cardinale di Trento, nel 1557, confermò la condotta per altri dodici anni, favorendoli, inoltre, per quanto concerneva l'attività feneratizia, mentre i cremonesi, dal canto loro, premevano per l'espulsione. La presenza ebraica, tuttavia, era più che importante per l'economia locale, come attesta il fatto che, due anni dopo, la città risultava debitrice di una somma assai rilevante ad uno dei maggiorenti ebrei, che era anche deputato dell'Università dello Stato di Milano, Emanuele Carmini[14].
Quanto ai rapporti con la Chiesa, durante il pontificato di Paolo III, la predicazione anti-ebraica dei frati creò tali disagi da far intervenire il Papa stesso, nel 1541, per mitigarne la virulenza, mentre, nel 1553, Giulio III ordinò il rogo del Talmud, incontrando, però, l'opposizione del governatore, legato ai finanziamenti ebraici. L'Inquisizione, tuttavia, persistette nel proprio atteggiamento e, nel 1557, il cardinale Alessandrino (il futuro Pio V) indirizzò una lettera d'accusa al Senato di Milano, colpevole non solo di aver lasciato circolare il Talmud, ma, anche, di non averne impedito nuove ristampe a C., nonché di non aver prestato la dovuta sorveglianza al passaggio dei marrani lungo il Po. A tal proposito dobbiamo ricordare che, nel 1573, era detenuto proprio a C., con l'accusa di essere marrano, tale Moisè Salim, poi scarcerato, dopo aver provato di essere hebreo vero et non marano[15].
Interessante è rilevare che proprio a C., dove la repressione dell'eresia fu particolarmente sentita, si era formato un centro tipografico ebraico di grande importanza: tre anni dopo il mancato rogo del Talmud, la stamperia di Vincenzo Conti aveva fatto uscire svariate opere a grande tiratura che avevano incrementato gli studi della yeshivah cremonese e dato l'avvio ad un ricco mercato librario. Nel 1559, a seguito di una violenta predicazione quaresimale, l'Inquisitore Giovanni Battista Clarino intimò di consegnare entro poche ore, sotto pena pecuniaria, tutti i libri proibiti, Talmud in primis: in seguito alle accorate proteste ebraiche presso il sovrano, il governatore dello Stato di Milano, pur ordinando la restituzione dei libri sequestrati agli ebrei, non vi incluse il Talmud, mentre gli Inquisitori cercarono di sottrarre la questione all'intervento dell'autorità laica, dando il via ad una controversia sull'estensione da dare all'Indice, conclusasi con il preponderare dell'interpretazione estensiva, che includeva, oltre al testo stesso, ogni altra opera che vi avesse attinenza, conducendo, pertanto, al rogo di oltre 10.000 libri[16].
Alla disputa sull'Indice avevano partecipato i portavoce dell'Inquisizione e della Comunità ebraica cremonese e dalla parte della Chiesa si era schierato, tra gli altri, il gesuita Vittorio Eliano, neofita, mentre l'ebreo Josua dei Cantori o Joshua ben Chet[17] aveva contrastato il rabbino Josef Ottolenghi, difensore della causa ebraica e, pertanto, a favore dell'interpretazione riduttiva dell'Indice stesso[18].
Al conflitto tra l'autorità religiosa e quella laica, sotteso alle vicende talmudiche cremonesi, si intrecciarono le ragioni economiche, per cui Filippo II fu indotto a pensare all'espulsione come mezzo per risolvere i problemi connessi alla presenza ebraica in Lombardia, pur dovendo limitarsi, dato l'indebitamento generale, e di C. in particolare, a suggerire momentaneamente solo la riduzione dei tassi d'interesse, compatibilmente con l'impegno assunto nel rinnovo della condotta e la trattativa diretta con gli ebrei[19].
Nel 1566, quando l'Inquisizione sequestrò nuovamente le opere ebraiche, esse furono restituite ai proprietari grazie all'intervento del Senato milanese, ma l'ingerenza ecclesiastica si fece sempre più sentire, promossa soprattutto dall'Arcivescovo di Milano, il cardinal Borromeo, che riuscì a far introdurre i provvedimenti anti-ebraici di Pio V in Lombardia, sfociti, in quello stesso anno, nel decreto del governatore, che vietava il prestito e obbligava al segno distintivo.[20]
A causa di questi provvedimenti, le attività economiche ebraiche poterono continuare solo dietro opportuna copertura: ad esempio, a C. sono attestate, in questo periodo, svariate vendite di gioielli dietro le quali veniva mimetizzato il prestito. Tuttavia, si registrò, da parte ebraica, il tentativo di far fronte al mutamento della situazione, cercando nuove fonti di reddito alternative. Già dalla seconda metà del XV secolo, del resto, è documentato il commercio di gioielli degli ebrei cremonesi[21], i quali, però, aspiravano a far valere la loro intraprendenza in campi dove mancasse qualsiasi concorrenza cristiana, desiderando mostrare, in particolare, la propria utilità in favore del "bene pubblico": a questo scopo Josef Ottolenghi, nel 1569, propose una serie di provvedimenti, da lui messi a punto per arricchire le finanze dello Stato, sia con un nuovo sistema di controllo della proprietà privata che di riscossione dei dazi, come pure suggerì di imporre una tassa a chiunque si servisse degli alberi del demanio pubblico e presentò un progetto, assieme al lodigiano Salvadio (Salvatore) Pugliese, che avrebbe assicurato al Tesoro un introito di ben 12.000 ducati e, infine, sempre nello stesso anno, offrì al re il metodo che aveva ideato per forgiare l'acciaio in modo più economico[22].
Quasi una trentina di anni più tardi, Isacco Soave, ottenne il permesso di tenere una lotteria a C. e in altre tre città del Ducato, nonostante l'opposizione dei cittadini, tesi, all'epoca, a realizzare il progetto di espulsione degli israeliti[23].
Tornando all'atteggiamento della Chiesa, il soggiorno a C. del cardinal Borromeo, in veste di visitatore apostolico, nel 1575, aveva contribuito a rafforzare i sentimenti anti-ebraici, anche se i rapporti tra le due parti della popolazione risultavano pur improntati ad una certa familiarità, secondo quanto il Borromeo riferiva a Roma, rilevando non solo il notevole aumento della popolazione ebraica, ma anche la conversatione d'essi hebrei con christiani, i quali indefferentemente vano l'un in casa del altro, mangiano e bevono insieme[...], i figliuoli et putti christiani vanno con ogni libertà nelle case degli hebrei et conversano con I loro figliuoli[24].
La peste, che infuriava in quegli anni, contribuì, dal canto suo, a rendere tesi i rapporti con gli ebrei, considerati responsabili del contagio, provocando da parte dei rabbini delle restrizioni riguardanti il gioco delle carte e dei dadi ed una serie di provvedimenti liturgici e sanitari.[25] Inoltre, durante quel periodo travagliato, troviamo che a C., seguendo la momentanea tendenza alla conversione che si riscontrava nelle più prestigiose famiglie dell'ebraismo lombardo, due membri della famiglia Carmini si erano fatti cristiani[26].
Mentre Filippo II, nel 1579, autorizzava la permanenza ebraica nello Stato per altri tre anni, l'anno successivo, gli israeliti di C., data l'atmosfera ostile che li circondava, accettarono di ritirarsi in un quartiere separato, trattando le condizioni, tra cui il ripristino del diritto a fenerare e la concessione di vendere, oltre alle merci vecchie (le strazze), anche merci nuove, come venne, in effetti, concesso. Poiché, tuttavia, i mercanti cristiani intendevano eliminare la concorrenza ebraica, e, d'altro canto, non si riusciva ad attuare la prevista segregazione, tornò a prevalere la scelta di espellere gli ebrei da C., favorita dall'uccisione, nel 1582, del fratello di uno dei deputati dell'Università per mano di un cristiano che era stato, in seguito, giustiziato, nonostante si fosse rifugiato in una chiesa, suscitando, in tal modo, lo scandalo dei religiosi[27].
Sollecitato dalle pressioni di C. in favore dell'espulsione, Filippo II promosse un'indagine sugli ebrei che, nel 1588, ancora non produsse risultati decisivi: i cremonesi, pertanto, ripiegarono sulla segregazione e sulla limitazione delle attività economiche, mentre il re raccoglieva pareri favorevoli alla presenza ebraica non solo tra i dazieri dello Stato, ma anche da parte del governatore di C.[28].
Nonostante ciò, nel 1591, giunse l'ordine di espulsione per tutti gli israeliti della Lombardia: il re, tuttavia, intendeva saldare il debito del Tesoro con essi, suscitando, con ciò, accese polemiche sulla ripartizione della somma.
Poiché C. si distinse nella diatriba, sostenendo che la spesa non dovesse gravare solo sulle città in cui la presenza ebraica era più numerosa, i suoi ebrei sperarono in un ulteriore rinvio, ma il sovrano, dopo essere riuscito a dimezzare con un accorgimento la cifra dovuta, eliminò, nel 1595, ogni pretesto per evitare la cacciata[29].
In seguito a questo stato di cose, tra il 1590 e il 1597, la Comunità cremonese si era pressoché dimezzata, mentre la sua attività creditizia continuava, sotto varie forme di copertura.
Nel giugno del 1597, l'espulsione venne realizzata: tra i quattro ebrei rimasti nello Stato, due erano i deputati dell'Università cremonese: Consiglio (Jekutiel) Carmini e Isacco Soave. Il primo, tuttavia, dovette lasciare la città nel 1601, mentre il secondo vi rimase, trasmettendo ai figli il diritto alla berretta nera dei deputati dell'Università e al porto d'armi. Nel 1629 risultavano ancora residenti a C. i figli del Soave, che continuarono l'attività commerciale e feneratizia, senza più, però, il diritto alla berretta nera[30].
Vita comunitaria
Per quanto riguarda la vita comunitaria, notiamo che, già alla metà del secolo XV, il gruppo ebraico stanziato a C. veniva chiamato universitas hebreorum comorantium in civitate Cremone: come tale, entrò a far parte dell'organizzazione centrale che raccoglieva tutti gli ebrei del ducato, che si riunivano periodicamente in varie località, tra cui C. stessa. Dal 1470 il regolamento interno delle Comunità venne formulato nei termini dei capituli che hanno essi ebrei fra loro. Il rapporto tra gli ebrei e lo Stato, invece, era regolato, dall'epoca di Francesco II Sforza in poi, dai conservatori, subconservatori e auditori, cui spettava la giurisdizione civile sulle controversie tra israeliti e cristiani e il controllo sull'attività feneratizia, contro corresponsione di una cifra annuale da parte dei possessori dei banchi. Gli ufficiali preposti agli ebrei, i donatori o conservatori, sono menzionati per la prima volta in un documento cremonese del 1510, in cui si parla del commissario degli ebrei. Per quanto riguarda l'autogestione, invece, dopo che, nel 1579, l'assemblea di Lodi giunse alla formulazione del sistema di tassazione chiamato Seder ha-Hashba'ah veha- Haarachah, fu stabilito che i contribuenti apparissero di fronte agli assessori di C. per la dichiarazione dei redditi, in base alla quale veniva stabilita la tassazione.
Tra i pochi documenti rimastici sull'amministrazione interna delle varie Comunità nel Ducato, alcuni riguardano quella di C., che, peraltro, come tutte le altre, seguiva, approssimativamente, le regole vigenti negli stanziamenti ebraici del nord e del centro Italia[31].
Un'altra testimonianza del genere, che ci è rimasta, è il decreto del 1582, promulgato a C. dall'assemblea generale degli ebrei italiani — cui partecipavano, abitualmente, anche quelli del ducato — sul monopolio dell'attività feneratizia.
Una di queste assemblee generali, concernente i libri ebraici e il Talmud, si tenne a C. alla fine del 1585 o all'inizio del 1586. La Comunità cremonese aderì, inoltre, assieme a molte altre, alla presa di posizione contro il Meor Einajim di Azariah de' Rossi[32].
Attività economiche
Per quanto riguarda le attivita economiche degli ebrei di C., la priorità spettò certamente a quella feneratizia: nel 1499 il tasso di interesse praticato era del 20% e, durante il travagliato periodo delle lotte di predominio tra Francia e Spagna, nel 1521 esso toccò il 60%, provocando le reazioni della città, che costrinsero i feneratori a restituire il denaro proveniente dall'eccedenza del tasso d'interesse, devolvendolo al locale Monte di Pietà, pur permettendo il prestito su pegno per altri quattro anni, in considerazione della loro partecipazione finanziaria alla taglia di 6.000 scudi e al prestito di lire 1.200, imposti dal Lautrech.
Dopo il ritorno degli Sforza e sotto il dominio spagnolo il tasso salì nuovamente al 40 e poi al 35%.
Nel 1549 il governatore di Milano, Ferrante Gonzaga, confermando il privilegio garantito da Francesco Sforza a suo tempo, impose come limite al tasso di interesse il 35% per il prestito su pegno e il 25 per cento per quello chirografario: queste limitazioni caddero quando fu confermata la condotta per dodici anni nel 1557.
Dopo il rogo del Talmud a Cremona (1559), Filippo II suggerì, tuttavia, la riduzione dei tassi di interesse e la trattativa diretta con gli ebrei: il prestito venne ufficialmente abolito nel 1566, anche se continuò dietro attività di copertura, provocando, presumibilmente, un rialzo dell'interesse. Ad espulsione avvenuta, dopo che la richiesta di Isacco Soave di esercitare l'attività feneratizia venne respinta, Clemente Pavia e Consilio Carmine cercarono di rientrare a C. nel 1609, proponendosi come prestatori al 12% più il cambio.
Nel 1610, tuttavia, il Soave risultava prestare al 40%, suscitando le ire del clero e del Consiglio della città e venendo, pertanto, espulso.
L'altra attività degli ebrei cremonesi, come di tutti i correligionari della Lombardia, era il commercio dell'usato, legato anche ai pegni non riscattati: nel 1580 fu concessa loro la vendita, ma non la produzione, di merci nuove ed è da presumereche essi fossero anche attivi nel mercato edile e fondiario come mediatori.
Alla metà del XV secolo, si trovano poi ebrei cremonesi impegnati nell'oreficeria, come pure più tardi, quando il prestito venne ufficialmente proibito.
Grazie alla ricca attività tipografica, nel XVI secolo, fiorì qui anche il mercato librario[33].
Demografia
Sotto il profilo demografico, dal censimento del 1570 risulta che vivevano a C. circa 100 ebrei, mentre nel 1576 il loro numero era aumentato a 317 e, nel 1589 e nel 1590, le presenze risultano essere 456, diminuite l'anno seguente a 400. Nel 1597 i nuclei familiari erano 37 e, quindi, ipotizzando circa 6 persone per nucleo, la presenza ebraica doveva raggiungere le 222 unità: confrontando questo dato con quello del 1590, si nota che la Comunità si era pressoché dimezzata, seguendo l'andamento demografico di tutto il Ducato, pur continuando ad essere il nucleo lombardo più cospicuo. Considerando che tra i nominativi di C. risultano, nel 1597, anche alcuni di Casalmaggiore, se ne può corroborare l'ipotesi che la tendenza fosse quella di abbandonare le piccole località a favore delle grandi e le grandi a favore di stanziamenti oltre confine.
Ad espulsione conclusa, risultavano vivere a C., nel 1600, due famiglie ebraiche, quella di Consiglio (Jekutiel) Carmini e quella di Isacco Soave, entrambi deputati dell'Università: nel 1601, tuttavia, restava solo il nucleo legato al Soave e, nel 1629, risultavano vivere a C. solo Benedetto e Jacob Soave, che continuavano il commercio e l'attività feneratizia del padre, Isacco, ma che, poco dopo, furono espulsi[34].
Quartiere ebraico e ghetto
Per quanto concerne le zone cittadine a più densa popolazione ebraica, il cardinal Borromeo, durante la sua visita apostolica del 1575, rilevò che gli ebrei, assai numerosi, riempivano parochie intiere, come, ad esempio, quella di S. Sofia. Dalla Descrittione delle bocche del 1576 le zone della città maggiormente abitate dagli ebrei risultavano essere tre: S. Lucia, S. Bartolomeo, S. Sofia, S. Nicola alle spalle del Palazzo del Comune; S. Elena, S. Margherita, S. Leonardo, S. Agata lungo la strada per Milano; S. Vito, S. Prospero, Mercatello, S. Tommaso, S. Ippolito sul fianco del duomo, verso la porta per Venezia.
Delle due macellerie rituali, in funzione nel 1560, una era nel vicolo S. Sofia, ma, in un documento del 1572 la strada de li hebrei risultava essere S. Nicola.
Nel 1579 il Consiglio generale di C. maturò la decisione di riunire gli ebrei in un solo quartiere, mentre la popolazione premeva per la segregazione in un ghetto vero e proprio: nel 1580, l'Università accettò la proposta di segregazione, dichiarando adatta allo scopo solo la contrada detta Prato del Vescovo che, dal fianco del duomo, raggiungeva S. Maria in Betlem. Il progetto di creazione del ghetto non venne mai attuato, a causa delle difficoltà di realizzazione pratica che incontrava[35].
Vita culturale e stampa ebraica
Riguardo alla vita culturale, sappiamo che a C. venne copiato un libro di preghiere nel 1479 e, sempre nella seconda metà del XV secolo, un libro di preghiere per le feste. Risale poi al 1480 la copia del Commento di Gersonide al Pentateuco, mentre un Pentateuco era stato copiato nel 1474. Nel 1550 il celebre copista Meir da Padova copiò qui dei rotoli della Legge per Josef Norlenghi.
Nella seconda metà del XVI secolo ebbe luogo anche l'episodio del Kherem, proclamato dai rabbini di diverse città italiane, convenuti a C., contro il Me'or Einajim di Azariah de' Rossi, accusato di esprimere teorie in contrasto con la tradizione, in particolare riguardo alle aggadot talmudiche e midrashiche e riguardo alle pretese della cronologia di risalire all'epoca della creazione del mondo. Il testo del Kherem fu approvato dal rabbino Avraham Menachem Porto- Cohen (Katz) e sottoscritto da Shaul Refael Carmini, rappresentante degli ebrei del Ducato, entrambi cremonesi.
L'attività tipografica per cui C. divenne famosa è legata alla pubblicazione di svariate opere ebraiche, eseguita nella tipografia di Vincenzo Conti, prima, e, poi, di Cristoforo Draconi, entrambi cristiani, che, con la loro produzione, soppiantarono per qualche anno il primato di Venezia.
Vincenzo Conti era stato già attivo nel campo tipografico proprio a Venezia da cui si trasferì a C., dove ottenne il permesso di stampare in latino nel 1555 e, l'anno seguente, iniziò a stampare testi ebraici, dietro invito degli israeliti locali, cui era vietato l'esercizio dell'attività tipografica[36].
La produzione del Conti si estese per un arco di 11 anni (1556–1567), suddividendosi in due periodi: dal 1556 al 1561 e dal 1565 al 1567. A differenza di quanto era in uso, Conti si servì di caratteri tipografici nuovi e di svariate decorazioni per i frontespizi. Dal 1560–61 sino al 1565 l'attività tipografica cremonese fu interrotta a causa della disputa sul Talmud che si era conclusa con il rogo del 1559, in cui furono bruciati anche numerosi esemplari della tipografia del Conti.
La prima opera stampata dal Conti fu Ammudei Golah di Isaac ben Josef di Corbeil, che uscì grazie alla collaborazione di Samuel Boehm e Shmuel Zanvil Pescarol (Pescarolo): quest'ultimo, oltre ad aver collaborato alla stampa di diverse altre opere in cui, tuttavia, secondo l'uso del tempo, non sempre il suo nome figurava, era correttore di stampa e responsabile della censura secondo le regole imposte dall'Inquisizione. Quanto a Boehm, prima di essere attivo a C., era stato noto correttore di stampa a Venezia.
Il rabbino Meir Heilpron, anch'egli di provenienza veneziana, fu attivo nella stampa di opere ebraiche a C. e, poi, a Mantova, mentre, il rabbino Hajim Gattegno fu coinvolto nell'edizione dello Zohar, che è l'opera più famosa legata alla tipografia del Conti, uscita nel 1559. La stampa di opere in yiddish si deve, invece, a Leib Bress, rabbino di provenienza tedesca, ma legati all'attività tipografica furono anche il rabbino Abraham Pescarol (Pescarolo) e il rabbino David Norlenghi.
Tornando a Vincenzo Conti, osserviamo che, dal 1558 al 1567, continuò a stampare libri ebraici censurati dall'Inquisizione, servendosi, però, della tipografia di Riva di Trento, mentre a C. venne ultimata la stampa del Mahzor tedesco, iniziata a Sabbioneta (nel Ducato di Mantova), nel 1556, da Tobia Foa, presso cui il Conti aveva fatto il suo apprendistato, e, di converso, a Sabbioneta, venivano terminate opere cominciate a C.
Dopo la morte del Conti, nel 1569 o nel 1570, l'attività tipografica fu ripresa da Cristoforo Draconi che stampò, nel 1576, l'opera Josef Lekah di Eliezer Ashkenazi, giovandosi dell'aiuto di Solomon Bueno.
Tra le figure di spicco nell'editoria ebraica dell'epoca vi è anche il rabbino Josef Ottolenghi (Ottolengo), d'origine tedesca, residente a Venezia, che si trasferì a C., in virtù della libertà di studio e di stampa che vi regnava, in contrasto con quanto accadeva altrove in Italia, e vi aprì una yeshivah, dando grande impulso agli studi e promuovendo l'afflusso di molti studenti forestieri. La sua opera in favore dell'incremento degli studi ebraici si ritrova menzionata con grande rilievo nella ben nota cronaca di Josef ha-Cohen, Emeq ha-Bakhah, in cui si attribuisce il rogo del Talmud del 1559 alla controversia tra l'Ottolenghi e il suo concorrente Joshua de' Cantori che, a quanto si evince da una serie di indizi, non avrebbe avuto competenza sufficiente per curare adeguatamente l’attività editoriale, praticata, peraltro, principalmente a scopo di lucro[37].
Legato alla disputa sul Talmud fu anche il gesuita Vittorio Eliano, d'origine ebraica, nipote del noto grammatico Elia Levita Ashkenazi, che soggiornò a C. come inviato dell'Inquisizione e fu attivo come censore, della cui assistenza professionale si servì, per la sua attività di stampa di manoscritti, Joshua de' Cantori.
Il vicario dell'Inquisizione inviato a C., fra Sisto da Siena[38], ebraista, assistette al rogo di 12.000 codici talmudici, di mille copie del Commento della Torah di Menachem da Recanati e di 10.000 scritti di attinenza talmudica, salvando, tuttavia, 2.000 esemplari dello Zohar che giacevano nella tipografia del Conti.
Alcuni dei rabbini coinvolti nell'attività tipografica furono anche autori di opere stampate e manoscritte (ci si riferisce, in particolare, a Josef Ottolenghi, Abraham Pescarol e a David Norlenghi). Il noto Eliezer Ashkenazi (Lazzaro Tedeschi), che fu anche rabbino a C. per un breve periodo, fu autore di alcune opere manoscritte, come Menachem Coen-Porto.
Antonio Campi si servì dell'incisore ebreo David da Lodi per la pianta della città di C., pubblicata nel suo libro Cremona fedelissima città, del 1585[39].
Bibliografia
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[1]Simonsohn, S., Jews in the Duchy of Milan , I, doc. 1.
[2] Bonetti, C., Ebrei a Cremona, p. 5.
[3] Simonsohn, S., op. cit., I, doc. 6; Idem, Pinkas ha-Kehilah be-Cremona, p. 254; Colorni, V., Prestito ebraico , p. 53.
[4] Simonsohn, S., Milan, I, doc. 31, 32, 22, 23, 37, 47, 53, 54, 60, 66.
[5] Bonetti, C., op. cit., pp. 8-9; Simonsohn, S., Milan, I, doc. 81, 87, 88, 89, 91, 110, 115.
[6] Simonsohn, S., Milan, I, doc. 734, 1049, 1050, 1052, 1484; II, 2389; Bonetti, C., op. it., p. 12 e p. 21.
[7] Simonsohn, S., Apostolic See, Documents: 1464–1521, doc. 1010.
[8] Simonsohn, S., Milan, Introduction, pp. XXII-XXIII.
[9] Simonsohn, S., Milan, Introduction, p. XXIV; doc. 2261, 2264, 2265, 2268.
[10] Bonetti, C., op.cit., pp. 17-24; Simonsohn, S., Milan, II, doc. 2300; 2308; 2365.
[11] Bonetti, C., op. cit., pp. 27-29; Simonsohn, S., Milan, II, doc. 2614.
[12] Secondo il Bonetti, gli ebrei cremonesi avrebbero preteso che un'ebrea convertitasi al cristianesimo lasciasse la città, con grande scandalo dei cristiani. Cfr. Bonetti, C., op. cit., p. 30.
[13] Bonetti, C., op. cit., p.30; Simonsohn, S., Milan, II, doc. 2927.
[14] Simonsohn, S., Milan, II, doc. 3018; Bonetti, C., op. cit., p. 31.
[15] Simonsohn, S., Apostolic See, Documents 1539-1545, doc. 2041; Idem, Milan, Introduction, p. XXXVI; III, doc. 3604, 3609; Segre, R., Ebrei lombardi, pp. 31-33; p. 61.
[16] Segre, R., op. cit., pp. 33-36.
[17]Contrariamente al parere degli storici che ritenevano apostata Josue Cantori, il Benayahu offre abbondante documentazione del contrario: cfr. Benayahu, M., Ha defus ha-ivri be Cremona, pp. 100-101.
[18] Secondo la cronaca di Josef Ha-Cohen, il rogo dei libri a Cremona sarebbe da imputarsi alle dispute tra Joshua ben Chet e Josef Ottolenghi (Ottling), entrambi d'origine tedesca; la Segre aggiunge che la causa del conflitto tra i due sarebbe stata, probabilmente, la rivalità nell'attività editoriale, come le informazioni raccolte dal Benayahu, peraltro, confermerebbero. Cfr. Ha-Cohen, J., Emeq ha-Bakha, p. 138; Segre, R., op. cit., p. 37; Benayahu, M., op. cit., p. 53 e segg.; p. 99 e segg.. Per quanto riguarda la discussione sull'estensione da dare all'Indice, cfr. Segre, R., op. cit., p. 36.
[19] Sull'indebitamento di Cremona, vedi Segre, R., op. cit., p. 40.
[20] Segre, R., op. cit., p. 44 e segg.; Simonsohn, S., Milan, III, doc. 3333.
[21] Simonsohn, S., Milan, I, doc. 853; II, 1853.
[22] Segre, R., op. cit., p. 51; Simonsohn, S., Milan, III, doc. 3465; 3423; 3453.
[23] Simonsohn, S., Milan, III, doc. 4301; 4304; Bonetti, C., op. cit., p. 60; Segre, R., op. cit., p.122.
[24] Segre, R., Carlo Borromeo, p. 214.
[25] Segre, R., Ebrei lombardi, p. 76; Cfr., anche, Leone da Modena, Responsa, pp. 104-107 e pp. 169-170 e Benajahu, M., Sarei ha-Briut be-Cremona, pp. 78-143.
[26] Segre, R., Ebrei lombardi, p. 53.
[27] Segre, R., Ebrei lombardi, pp. 69-73; p.83.
[28] Ivi, pp. 84-85.
[29] Segre, R., Ebrei lombardi, p. 102 e segg.; Simonsohn, S., Milan, III, doc. 4227, 4228, 4247.
[30] Segre, R., Ebrei lombardi, p.113; p. 120; p. 122; Simonsohn, S., Milan, III, doc. 4504.
[31] Simonsohn, S., Shjarim me-Pinkas ha- Kehillah be-Cremona, p. 254 e segg.
[32] Simonsohn, S., Milan, Intoduction, I, p. XXVII; Segre, R., Ebrei lombardi, pp. 12-13; Simonsohn, S., Milan, Introduction, p. XLI e segg.; p. XLIV.
[33] Bonetti, C., op. cit., p. 22; Simonsohn, S., Milan, doc. 2378; Introduction, pp. XXXVII-XXXVIII; Segre, R., Ebrei lombardi, pp. 11-12; Simonsohn S., Milan, II, doc. 2614; Segre, R., Ebrei lombardi, p. 30; Bonetti, C., op. cit., pp. 67-68; p. 48; Segre, R., Ebrei lombardi, p. 73; p. 69; Simonsohn, S., Milan, I, doc. 853; Segre, R., Ebrei lombardi, pp. 32-37; Benayahu, M., Ha Defus ha-Ivri be-Cremona, pp. 53-56; pp. 89-90.
[34] Simonsohn, S., Milan, Introduction, I, p. XLIX; Segre, R., Ebrei lombardi, pp. 113-114; pp. 121-122; Simonsohn, S., Milan, III, doc. 4504.
[35] Segre, R., Carlo Borromeo, p. 213; Eadem, Ebrei lombardi, pp. 71-72; Bonetti, C., op. cit., p. 48.
[36] Per la forma assunta dalla collaborazione tra gli ebrei di C. e il Conti in fatto di stampa di opere ebraiche, cfr. Simonsohn, S., Hoseh le- Hozaat Sfarim Ivriim be-Cremona, pp. 143-150.
[37] Per maggiori particolari su Josef Ottolenghi, cfr. Benayahu, M. op. cit., p. 89 e segg.; per la controversia con de Cantori, vedi ibidem, p. 53 e segg.; Josef ha-Cohen , La vallée des pleurs, p. 134; p. 144 e segg.
[38] La presunta origine ebraica di fra Sisto da Siena, non suffragata, tuttavia, da una documentazione univoca ed esaustiva, viene dibattuta da Fausto Parente, in uno studio circostanziato: Parente, F., Alcune osservazioni preliminari per una biografia di Sisto Senese, pp.211-231 e, in particolare, p. 228 e segg.
[39] Simonsohn, S., Milan, Introduction, pp. XLIV-XLV; Benayahu, M., Ha defus ha-ivri be-Cremona, p. 15 e segg.; Milano, A., J.E., alla voce "Cremona "; Benayahu, M., op. cit., p. 58 e segg.; p. 95 e segg.; Segre, R., Ebrei lombardi, pp. 36-37; Mortara, M., Indice alfabetico dei rabbini e scrittori israeliti, p. 46; p. 49; p. 4; p. 44; p. 15.