Lodi

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Lodi

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Provincia di Milano. Situata nella pianura lombarda, sulla sponda destra dell'Adda, durante l'età comunale fu in continua lotta con Milano, sino al 1198. Dopo un periodo di scontri tra guelfi e ghibellini, i Visconti presero il controllo della città nel 1335, ma, a seguito della morte di Gian Galeazzo, Antonio II Fissiraga e Giovanni Vignato lottarono per la signoria su L., poi tornata ai Visconti con Filippo Maria. Alla morte di quest’ultimo (1447), tuttavia, la città si consegnò ai Veneziani, per passare, in seguito, alla Repubblica Ambrosiana e a Francesco Sforza.

Contesa tra Francia e Spagna, con la pace di Bologna (1529) fu assegnata, assieme al Ducato di Milano, a Francesco II Sforza, ma già nel 1535 passò all'Impero e nel 1556, con la spartizione dei domini di Carlo V, fu assegnata alla Spagna.

Dopo circa due secoli di pace, L. venne occupata più volte da austriaci, francesi e sardi e Napoleone Bonaparte venne acclamato caporale d'onore dalle proprie truppe proprio dopo la battaglia di L. (16 maggio 1796), che assicurò alla Francia il possesso della Lombardia.

La città passò, infine, alla Casa d'Austria.

Il primo documento in cui si allude alla presenza ebraica a L. risale al 1433 e tratta di una disputa, in cui compare un certo Sabatus de Laude[1], che, presumibilmente, è lo stesso che si ritrova, menzionato come Shabbetai[2], nell’assoluzione ducale generale, di cui beneficiò un gruppo di ebrei, e che ricompare, poi, come il principale fautore della resa della città ai Veneziani,[3] nel 1447, secondo la testimonianza del doge. In effetti il da Lodi aveva anche finanziato la Serenissima nelle operazioni militari contro Milano (1446)[4] e, incarcerato e torturato dai milanesi, era caduto in disgrazia a seguito del pagamento di 1.000 ducati per riacquistare la libertà e, più tardi, era stato ricompensato da Venezia con il banco di Peschiera, presto permutato con quello di Villafranca Veronese (poi venduto alla famiglia da Camerino)[5].

Nel 1466 troviamo un altro ebreo lodigiano, tra le vittime della predicazione antiebraica, trucidato in quanto ritenuto reo di voler profanare il crocefisso di una chiesa della città.

Viene menzionato un ebreo lodigiano, Madio, anche nel 1488, nella lista degli correligionari lombardi, ritenuti colpevoli di vilipendio alla religione cristiana e condannati all'espulsione e alla confisca delle proprietà[6].

Verso la metà del secolo XVI, è attestata a L. la presenza di grossi banchi di prestito, facenti capo, tra l'altro, a due deputati generali dell'Università del Ducato di Milano particolarmente prestigiosi, il rabbino Bellavigna Segre (de Segalis) e Michele Ottolenghi. A partire da questo periodo, inoltre, gli ebrei lombardi si riunirono a L. più volte e, di particolare importanza, fu l’incontro generale del 1579, in cui venne adottato il sistema di tassazione chiamato Seder ha-Hasba'ah veha-Haarachah (auto-dichiarazione dei redditi sotto giuramento),  il più antico documento stampato, in materia di tassazione ebraica in Italia, rimastoci[7].

Quanto ai rapporti con la Chiesa, risale al 1541 la protezione concessa da Paolo III, dietro intercessione di Guido Ascanio Sforza, agli ebrei di L., come di altre città del Ducato, contro le angherie e le prediche dei frati[8]. Tuttavia, qualche anno dopo, sotto il pontificato di Paolo IV, l'Inquisizione cercò più volte di confiscare i libri ebraici, nonostante gli ebrei godessero dell'appoggio del governo ducale, e, nel 1559, furono bruciati a Lodi degli esemplari del Talmud, mentre nel 1593 tutti i libri ebraici che vi furono trovati vennero confiscati, consegnati all'Inquisizione e bruciati e gli ebrei furono costretti a pagare una multa[9].

Nonostante questo stato di cose poco favorevole, durante la seconda metà del XVI secolo furono copiati a L. svariati manoscritti ebraici: il noto copista Rabbi Meir di Efraim da Padova copiò dei rotoli della Torah per alcuni correligionari residenti a L., tra cui Clemente (Calonymus) di Samuel (Simone) Pavia.

Un documento interessante per capire l'atmosfera relativamente serena in cui vivevano gli ebrei lombardi, ad onta dell'espulsione che veniva preparandosi, è l'epistolario del lodigiano Emanuele (detto Menachèm) Pugliese[10], redatto nell'ultimo ventennio del Cinquecento.

Sotto il dominio spagnolo (1556), i provvedimenti anti-ebraici presi da Pio V ed introdotti nello Stato di Milano dal cardinal Borromeo condussero alla grida del 1566, che proibiva l'usura e obbligava gli ebrei al segno distintivo: sotto l'accusa di aver tentato ingegnosamente di sottrarsi al segno fu arrestato a L. Leone, figlio di Bellavigna Segre, poi scarcerato grazie all'intervento del governatore della città, in quanto figliolo del dottor di questi hebrei[11].

Quanto alla peste, negli anni Settanta del XVI secolo, gli ebrei non vi furono coinvolti, né con accuse, né con spese eccessive: essi dovettero, però, pagare per la costruzione delle torrette sulla Porta Cremonese che servivano, tra l'altro, per la vigilanza contro i sospetti di peste e versare  un altro donativo in servitium sanitatis[12].

Sulla spinta della proibizione ufficiale dell'usura, anche a L. vi furono ebrei che cercarono di impegnarsi in altre attività: di particolare rilevanza fu l’opera dei fratelli Clemente (Calonymos) e Sansone Pavia, che inventarono una pompa per alzare il livello dell'acqua a scopo di irrigazione, ottenendo un privilegio per godere dei proventi della stessa, e che, qualche anno più tardi, proposero alla città di L. un'altra invenzione di pubblica utilità[13].

Aveva cercato di distinguersi in questo campo, nel tentativo di accattivarsi le simpatie dei governanti, anche un altro ebreo lodigiano, Salvadio (o Salvatore o Jehoshu'a) Pugliese, che aveva suggerito l'imposizione di un dazio sui latticini, principale fonte di reddito locale, con risultati, tuttavia, poco felici[14].

Sebbene un documento del 1590 raccogliesse la dichiarazione dei decurioni di L., secondo cui la città si dichiarava soddisfatta dei suoi ebrei, sempre pronti ed amorevoli nel rendere ogni servigio, e nonostante nel 1594 i Presidenti della Comunità lodigiana annunciassero di non aver l'intenzione di pagare il debito con gli ebrei locali (condizione posta da Filippo II di Spagna per procedere all'espulsione) esprimendo, implicitamente, il disaccordo con questo provvedimento anti-ebraico che stava maturando da qualche anno,  la cacciata ebbe luogo nel 1597.

In seguito all'ondata di disordini e di violenze perpetrate in questo periodo, un capo della Comunità ebraica di L., Moisè Pugliese, ed il figlio Emanuele (l'autore dell'epistolario cui si è accennato sopra) furono vittime di un'aggressione quasi mortale e la loro casa venne saccheggiata[15]: questo ed altri episodi del genere suscitarono la reazione del governatore, che impartì ordini alle autorità locali per proteggere gli ebrei che lasciavano il ducato, scortandoli sino al confine.

Ad espulsione compiuta, Clemente (Calonymos) Pavia, probabilmente in virtù della posizione privilegiata che le sue invenzioni gli avevano procurato, fu uno dei quattro ebrei (oltre a lui a L., due a Cremona ed uno ad Alessandria della Paglia) che ottennero l'autorizzazione a rimanere nel Ducato, insieme ai familiari e ai dipendenti, per tutelare gli interessi degli espulsi[16].

Dopo la cacciata rientrò a L., in qualità di socio del Pavia, Mattatia (o Matteo o Manassela) Sacerdote, che ottenne il permesso di far stabilire nella città il genero, nel 1616: quest'ultimo ottenne, a sua volta, tre anni dopo, analogo permesso per il proprio genero.

Dopo che, nel 1640 era stata rinnovata l'espulsione degli ebrei rimasti nel Ducato, un membro della famiglia Vitale di Alessandria (che era stata risparmiata dal provvedimento) ricevette il permesso di trasferirsi a L. nel 1681, avendo, una ventina d'anni dopo, l’autorizzazione di acquistarvi una casa, grazie ai servigi resi alle autorità in pace e in guerra e alla notevole riduzione del tasso di interesse praticata nella sua attività di prestatore.

Il nipote di costui, a più riprese principale fornitore delle armate imperiali in Italia negli anni Settanta, e venuto incontro economicamente alla guarnigione lodigiana, nonché cittadino integerrimo e stimato dalla popolazione al pari dei suoi antenati, fece richiesta di rinnovo del privilegio, ottenendo, nel 1779, il permesso di continuare a risiedere a L., ma non di acquistarvi casa e di continuare ad esercitare il prestito, divieto da cui trasse il debito vantaggio il nuovo Monte di Pietà locale.

Interessante è rilevare che il Vitale, per legittimare la propria presenza a L., si rifece ai diritti di cui godeva la sua famiglia: del resto, sappiamo da altra fonte, datata 1685, che gli ebrei locali non godevano di un privilegio da parte del re, ma solo di quello, periodicamente confermato, da parte della città e del governatore[17].

Quanto al rapporto con la popolazione, la stessa fonte ci testimonia che in detta città vi è insino tal'uno che camina con spada, et arrolato soldato; et all'occasione è andato mischiato tra Christiani al campo con la compagnia, convivendo tra essi[18].

Tuttavia, dietro pressioni del Nunzio apostolico a Madrid, nel 1688 venne deciso di ingiungere agli ebrei di L. di lasciare la città entro due mesi per trasferirsi ad Alessandria, dato che il loro numero esiguo - 16 - rendeva impraticabile la costruzione di un ghetto[19].

Dai documenti riguardanti Josef Vitale, tuttavia, si evince che la presenza si mantenne anche nel XVIII secolo: pertanto, l'ultimo attestato ufficiale in cui viene menzionato un cognome ebraico a L. è del 1787 e tratta della riduzione dei locali del Monte di Pietà, per motivi di viabilità, cui era stato chiamato a collaborare, come architetto, un Segre[20].

Per quanto riguarda la vita comunitaria, è probabile che, dopo l'espulsione, L. fosse una Comunità numericamente troppo esigua per consentire un’organizzazione amministrativa interna regolare, al pari di quella delle Comunità del Ducato più grandi, prima, e della sola Alessandria, poi[21].

Considerando, invece, le attività economiche, gli ebrei di L., in particolare dopo l'espulsione, figurano essere stati, in larghissima parte, attivi nel prestito: da un rapporto ufficiale del 1685 risulta che vivevano qui 4 famiglie, due in possesso di una condotta e due no, ovvero, su un totale di 27 persone, 6 risultavano senza condotta[22], ma tutti figurano impegnati nell'attività feneratizia, uno come titolare di banco e commerciante di oggetti di seconda mano e due alle sue dipendenze, mentre quello di cui non viene specificata l'attività risulta, da fonte più tarda, essere stato un Vitale di Alessandria che, in virtù della disponibilità ad abbassare il tasso d'interesse dal 30 al 15 %, aveva ottenuto il permesso di acquistare a L. una casa. Il nipote, l'omonimo Josef Vitale, nel proprio memorandum alle autorità, in difesa del  diritto di residenza e di prestito nella città, cita più documenti[23], tra cui, uno che dimostra che, nel 1767, aveva presentato richiesta per rendere ufficiale l'agevolazione da lui praticata a coloro che facevano capo al suo banco di pegni, portando a due anni il termine di scadenza per la vendita dei pegni di valore inferiore alle 5 lire[24].

Sotto il profilo demografico, poi, il censimento tributario attesta che, nel 1568, vivevano a L. circa 60 persone, nel 1589, 130 e nel 1590, 131. Inoltre, in una rogito stilato nel 1597, alla vigilia dell'espulsione, tra la Camera, la Comunità di Milano e l'Università ebraica sono menzionati 10 nuclei familiari a L., presumibilmente composti di 6 persone l'uno, sicché il numero di ebrei lodigiani risulta pressoché dimezzato, mentre nel 1683 figurano 22 persone divise in 4 famiglie[25]. Dal censimento tributario del 1685-1686, invece, risultano 27 ebrei[26] ed in altri documenti del 1688 si dichiara che vivevano all'epoca a L., 16 ebrei, appartenenti a 2 famiglie (Vitale Sacerdote e Levi)[27].

Per quanto concerne l'insediamento ebraico, un documento della metà del XV secolo riporta che l'Università aveva sede in vicolo Maggiore, mentre le contrade abitate in gran parte da ebrei erano quelle del Duomo, di S. Cristoforo, S. Egidio, S. Agnese e S. Maria Maddalena. Al momento dell'espulsione, tuttavia, si era verificato un raggruppamento tra il Duomo, S. Nicolino, S. Agnese e S. Vito[28].

A differenza di quanto taluno ha ritenuto, non vi fu un ghetto a L. prima dell'espulsione[29]: nel 1688, poi, fu deciso che i 16 ebrei locali si trasferissero ad Alessandria per vivere nel ghetto che avrebbe dovuto esservi istituito[30].

La sinagoga, nel periodo precedente l'espulsione, era sita nella casa di Mandolino Ottolenghi in vicolo S. Egidio (dove sollevò le proteste della Chiesa perché era posta tra chiese e dimore di nobili ed era stata persino subaffittata come residenza del governatore spagnolo di L.), poi, era stata installata nella casa di Clemente Pavia, mentre, con la permanenza a L. di Mattatia Sacerdote, si era creata una seconda sinagoga a casa di questi, dando luogo ad una diatriba ricordata anche nel Pachad Izchaq di Lampronti, da cui si evince come, paradossalmente, data la situazione che l'espulsione aveva creato, il punto controverso non fosse la difficoltà di raggiungere il quorum in due luoghi di preghiera, ma la "proprietà" della sinagoga[31].

Il cimitero, che prima dell'espulsione aveva dato luogo ad una controversia con la città, perché ubicato in una zona che per la sua bellezza si sarebbe preferito mantenere per l'uso e il diletto dei lodigiani, era in contrada Larga e, dopo l'espulsione, ne divenne responsabile Clemente Pavia[32].

Per quanto concerne, infine, le figure di un certo rilievo, nel XVI secolo troviamo a L. un incisore di rame, David da Lodi che, tra l'altro, incise la mappa della città di Cremona nel libro di Antonio Campo, Cremona fedelissima città (Cremona 1585)[33].

Il noto copista Rabbi Meir di Efraim da Padova, inoltre, copiò, nella seconda metà del XVI secolo, dei rotoli della Torah per alcuni ebrei residenti a L., tra cui Clemente (Calonymus) di Samuel (Simone) Pavia.

Sempre in questo secolo, abbiamo Bellavigna (Netanel) Segre, figlio di Jehuda, (l'autore di tossafot nei trattati talmudici Hullin ed Eruvin) che fu rabbino, autore di opere manoscritte, e, nella sua veste di deputato generale dell'Università dello Stato di Milano, godette di molta considerazione e influenza anche presso il governatore di L.

Dalla metà del secolo sino all'espulsione, sono stati attivi a L., come autori di opere manoscritte, anche i seguenti rabbini: Joshua Jacob di Elchanan Heilbronn, Josef di Mosè ha-Cohen e Jechiel di Mordechai Satan[34].

Bibliografia

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Cassuto, U., E.J., alle voci "Lodi" e "Cremona".

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Colorni, V., Judaica Minora. Saggi sulla storia dell'ebraismo italiano dall'antichità all'età moderna, Milano 1983.

Dimitrowski, L., Le-Toledot ha-Jehudim be-Italia be-Meah ha-XVI, in Zion, XX, 3-4 (1955), pp. 175-181.

Ha-Cohen, J., La vallée des pleurs, Paris 1881.

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Mortara, M., Indice alfabetico dei rabbini e scrittori israeliti, Padova 1886.

Rota, E., Gli Ebrei e la politica spagnola in Lombardia, in Bollettino della Società Pavese di Storia Patria 6 (1906), pp. 349-382.

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Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, 8 voll., Toronto 1988–1991.

Simonsohn, S., The Jews in the Duchy of Milan, 4 voll., Jerusalem 1982–1986.

Toniazzi, M., I “da Camerino”: una famiglia ebraica italiana fra Trecento e Cinquecento, tesi di dottorato presso l’Università di Firenze, tutor Prof. Giuliano Pinto, 2013.


[1] Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, II, doc. 695, 696.

[2] Sulla corrispondenza onomastica, cfr. Colorni, V., Judaica Minora. Saggi sulla storia dell'ebraismo italiano dall'antichità all'età moderna, pp. 778-779.

[3] Carpi, D., Ha-Jehudim be-Padova be-Tkufat ha- Renaissance, pp. 66, 194 nota.

[4] Castaldini, A.,  Mondi paralleli. Ebrei e cristiani nell’Italia padana dal tardo Medioevo all’Età moderna, p. 23.        

[5] Cfr Toniazzi, M., I “da Camerino”: una famiglia ebraica italiana fra Trecento e Cinquecento, pp. 124-125.              

[6] Simonsohn, S., The Jews in the Duchy of Milan, I, doc. 42; 420; II, doc. 2165.

[7] Segre, R., Gli Ebrei lombardi nell'età spagnola, pp. 22-23; Simonsohn, S., Milan, Introduction, pp. XLI-XLIII.

[8] Simonsohn, S., The Apostolic See, V, doc. 2041.

[9] Ha-Cohen, J., La vallée des pleurs, pp. 195-199; circa l'anno esatto in cui avvenne la confisca dei libri ebraici, seguita dal rogo (1593), cfr. Segre, R., op. cit., p. 107.

[10] Segre, R., op.cit., pp. 87-88.

[11] Ivi, p. 45.

[12] Ivi, p. 75 e p. 76 nota.

[13] Simonsohn, S., Milan, Introduction, p. XLVI; III, doc. 4255; 4257; 4310; 4316; 4414.

[14] Segre, R., op. cit., p. 50.

[15] Simonsohn, S., Milan, doc. 4060, 4318; Segre, R., op. cit., pp. 99-100.

[16] Simonsohn, S., Milan, III, doc. 4060; Segre R., op. cit., pp. 99-100; pp. 118-120; pp. 121-122. Faceva il banchiere e otteneva (1593) una tolleranza papale in proposito: si veda Loevinson, E., Banques de prêts, p. 68.

[17] Simonsohn, S., Milan., III, doc. 4459, 4730, 4733, 4734, 4735, 4736, 4737, 4660 (e in particolare p. 2158 )

[18] Ivi, doc. 4660, p. 2158.

[19] Ivi, doc. 4658, p. 2151.

[20] Ivi, III, doc. 4730, 4731, 4732, 4733, 4734, 4735, 4737, 4738, 4741.

[21] Ivi, Introduction, p. XLIV nota.

[22] Ivi, doc. 4660, p. 2159.

[23] Ivi, doc. 4730.

[24] Ivi, III, doc. 4726.

[25] Segre, R., op. cit., p. 122 nota.

[26] Simonsohn, S., op. cit., Introduction, p. XLIX; Segre, R., op. cit., pp. 112-113.

[27] Simonsohn, S., op. cit., doc. 4658, p. 2151.

[28] Segre, R., op. cit., p. 75.

[29] Simonsohn, S., op. cit., Introduction, p. XXXII nota.

[30] Simonsohn, S., op, cit., doc. 4658, p. 2151.

[31] Segre, R., op. cit., p. 75 nota e pp. 116-117; Dimitrowski, L., Le-Toledot ha-Jehudim be-Italia be-Meah ha-XVI, pp. 179-181.

[32] Segre, R., op. cit., p. 50 nota e p. 116.

[33] Cassuto, U., E. J., alla voce "Cremona".

[34] Mortara, M., Indice alfabetico dei rabbini e scrittori israeliti, passim.

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