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Casalmaggiore
Provincia di Cremona. Posto sulla riva sinistra del Po e pervenuto nel 1390 in possesso ai Visconti, passò ai Veneziani, poi tornò ai Visconti, finché Niccolò Piccinino, nel 1438, assediato il forte, non lo costrinse alla resa. Nel 1509 Federico Gonzaga, marchese di Mantova ne prese possesso per Luigi XII, re di Francia, ma, sconfitti i francesi a Ravenna, C. venne in dominio di Massimiliano Sforza, duca di Milano e poi di Carlo V che lo vendette a Giovanni e Tommaso Marini, nel 1545. Retrovenduto nel 1568, e da Filippo II concessa in feudo nell'anno stesso a Francesco Ferdinando d'Avalos, marchese di Pescara, venne redento nel 1618 a favore della Regia Camera.
Il primo accenno ad una presenza ebraica a C. risale al 1446, quando, nei capitoli et pacti tra il Comune di C. e quello di Cremona, venivano menzionati tale Moyses e la fragnia zudea[1] che prestavano a usura a C.
Nel 1453 il podestà locale spiegava al Duca che la sorella di un Abramo era stata espulsa dalla località, dietro richiesta di frate Raffaello, dell'ordine di S. Bernardino, che sosteneva che essa zudea era trista ribalda et asassina de le creature cristiane cum soy cativi costumi et male opere[2].
Nello stesso periodo, come anche più avanti, il Duca intervenne per far rispettare la condotta dei feneratori e perché il Comune saldasse i propri debiti: relativamente a questi ultimi, contratti con un feneratore che si era trasferito in altra località, il Duca minacciò il podestà di privarlo del sallario[3] di un mese, qualora non si fosse adoperato per fargli restituire il danaro.
Nel 1457 Salomone e Abramo lamentarono poi presso il Duca il mancato rispetto dei capitoli, essendo stato loro impedito di commerciare nei giorni di mercato e avendo subito molestie durante la Quaresima. Il Duca intervenne in loro favore e, sempre in virtù dell'osservanza dei patti feneratizi, li protesse dalla concorrenza dei correligionari che, secondo le informazioni ricevute, stavano per trasferirsi a C., proibendo loro l'esercizio del prestito. Sempre nel 1457, Maria, figlia di Raffaele di C., convertitasi al cristianesimo, si sposò e il marito, appoggiato nel suo presunto diritto dal vescovo di Cremona, pretese dal suocero la dote che questi, invece, non intendeva dargli, spalleggiato dagli altri ebrei della località. Alcuni documenti, successivi di quasi trenta anni, ripropongono il caso, aggiungendo che Raffaele non intendeva pagare perché, a suo dire, né il diritto civile né quello ecclesiastico obbligavano un padre a dare la dote alla figlia, dopo la conversione. Raffaele, minacciato di sequestro della proprietà, si appellava all'autorità e chiedeva, al contrario, che gli venisse restituito quanto la figlia aveva portato con sé fuggendo di casa.
Nel 1460, in seguito alla protesta degli israeliti di C., il Duca, intervenne esortando il podestà ad impedire ulteriori molestie nei loro confronti, garantendo, invece, il rispetto delle concessioni ducali, in tutti i loro aspetti.
Dalla documentazione del 1461–1462 risulta che un membro dell'entourage ducale aveva aggredito e derubato un ebreo dal quale era stato sconfitto, giocando ai dadi: dopo l'intervento del Duca e del podestà, venne resa giustizia alla vittima.
Nel 1464, pur accettando nella quotidianità la presenza dei feneratori, gli abitanti di C. fecero, tuttavia, presente al Duca che avrebbero preferito fare a meno degli usurai, in linea con i precetti della Chiesa.
Verso il 1465, il podestà di C. proibì agli ebrei di vendere i loro beni al mercato, com'era sempre stata consuetudine, confinandoli, invece, in un luogo lontano e disabitato: essi, pertanto, si appellarono al Duca per ristabilire lo status quo ante.
Sempre nel 1465, il Duca perdonò una serie di israeliti di C., accusati di fornicazione con donne cristiane e, nel 1466, espresse il proprio disappunto rispetto al comportamento delle autorità locali, che avevano obbligato gli ebrei al pagamento di una tassa da cui erano, invece, esentati, e ribadì l'ordine di rispettare il loro privilegio: la stessa situazione si ripeté nel 1470.
Nell'elenco degli ebrei che dovevano ancora pagare le tasse all'erario ducale, stilato nel 1470, figurava anche un Abramo di C. e, l'anno seguente, assieme a lui, veniva anche menzionato Gayo.
Ancora nel 1470, Angelo (Mordecai) di Cremona e Gayo (Isacco) di C. si accusarono a vicenda di aver violato il privilegio ebraico, essendosi rivolti ad una corte di giustizia cristiana, anziché ad arbitri ebrei.
Nel 1471 il podestà multò i seguenti ebrei: Gayo o Gaio (Isacco) da Piperno, Cosman (noto come Mercante), Gutatile da Piperno e la figlia Anna.
Nel 1472 la popolazione si lagnò con il Duca per il gran numero di ebrei che venivano a stabilirsi a C. ed il podestà ricevette l’ordine di appurarne il numero, specificando quanti risiedevano con il permesso ducale e quanti no e redigendo un elenco dei nominativi e delle attività di questi ultimi. Sempre nel 1472, il Comune si appellò al Duca contro Giacobbe di Saul e Magister Leone da Istria (Yehudah) che prestavano a interesse senza permesso né del Duca, né del Comune. Il primo, pertanto, proibì ai due di fenerare, sotto pena di una multa, sino a che non avessero ottenuto il consenso del Comune, come di norma.
Nel 1477 gli ebrei lamentarono l'imposizione — contraria al loro privilegio — del pagamento di una tassa per seppellire i morti e ottennero soddisfazione dalle autorità.
Circa nel 1485, il Duca ordinò al podestà di C., come a quelli di una serie di altre località di stilare una lista segreta delle famiglie ebraiche residenti in loco.
Nel 1486 si trovava qui la rinomata tipografia dei fratelli Soncino, in cui venne ultimata la stampa del Machzor di rito italiano, iniziata a Soncino, l'anno prima[4].
Nell'elenco degli ebrei, accusati, nel 1488, di vilipendio alla religione cristiana e condannati all'espulsione dal Ducato e alla confisca delle proprietà, vi era anche Giacobbe, del fu Saul, titolare della condotta per la gestione di un banco a C.[5].
Nelle istruzioni redatte dall'autorità, nel 1493, circa gli Ebrei, veniva menzionato un Calamano di C. che si ritrova, qualche tempo dopo, nei documenti relativi alla richiesta degli abitanti della località di farlo rimanere per un altro anno, ad onta del bando di espulsione, per venire incontro alle loro necessità economiche. Per lo stesso motivo, dato che l'ebreo, vittima di violenze dettate dalle ultime vicende politiche, si era trasferito a Viadana, la popolazione si appellò al Duca per farlo ritornare. Analogo appello si ritrova, poi, in un documento nel 1513.
Nel 1522 un Guardamano di C. rappresentava l'Università ebraica e firmava, in questa veste, un accordo con Brunorio di Petra e Giorgio Gaudio, conservatori degli ebrei: nell'elenco dei banchieri del Ducato, stilato all'occasione, figuravano, a C., Guardamano stesso ed il fratello, nonché Mandolino ed i di lui fratelli.
Nel 1527 Amandolino di C. godette del perdono ducale e della revoca di tutti i provvedimenti presi contro di lui. Nello stesso anno un Guardamale risultava familiare et intrinseco della casa di Pirro Gonzaga e, pertanto, il Duca di Urbino scrisse a quello di Milano, pregandolo di usare riguardo nei confronti dell'ebreo, in difetto con il pagamento delle tasse.
Nel 1531 un cristiano intervenne per difendere una donna ebrea in un alterco con un altro cristiano, uccidendolo: il Duca, dietro sua preghiera, gli concesse il perdono.
Nel 1537 un Ebreo, homo acorto[6], avvertì il magistrato di C. sui movimenti di truppe a Mirandola.
Nel 1546 i conservatori degli ebrei ricevettero da Emanuele del fu Moisè di C. e da altri la quota delle tasse dovute da questa ed altre località.
Nel 1549 una Polissena di C. si rifiutava di seguire l'esempio del marito, Josef Tedesco, convertendosi al cristianesimo: le autorità, pertanto, disponevano che il figlio, prossimo alla nascita, fosse battezzato, secondo la volontà paterna.
Nel 1550, tra gli ebrei eletti quali rappresentanti della Università dello Stato di Milano, vi era anche Mosè del fu Marco Levi, residente a C., che, all'incirca nello stesso periodo, essendo stato vittima di due furti di notevole entità, chiese alle autorità di prendere misure per favorire le ricerche dei colpevoli e promise una ricompensa per gli eventuali informatori.
Poco dopo, lo stesso Mosè trasgredì alle disposizioni delle autorità contro l'accumulo di grano e di verdure, e venne punito. In seguito, risultò che il Comune aveva molte spese e si dibatteva sotto usure de hebrei in molto notabile summa[7].
Nel 1565 il Consiglio di C. accordò, dietro lauto compenso, alla famiglia de Brisis il monopolio quinquennale delle imposte doganali con tutti i diritti relativi al pedaggio, alla macina, al vino, alla scanatura e alla pescheria[8].
Due anni dopo, il podestà di C. rese noto che gli ebrei locali si servivano di personale cristiano, ingaggiato di volta in volta e per sbrigare le incombenze proibite il sabato: erano impiegati come servitori a tempo pieno, invece, i poveri della Comunità ebraica.
Nel 1570 Mosè e il figlio Angelo vennero accusati di praticare l'usura, ormai proibita, nei confronti della popolazione cristiana: dato che le disposizioni vigenti stabilivano la confisca dei beni del trasgressore, di cui i tre quarti sarebbero andati al Tesoro e un quarto all'informatore, il reclamante sollecitò le autorità ad intervenire. Mosè era morto nel frattempo e il figlio stava trasferendo fuori dei confini dello Stato le sue proprietà, ma le autorità venivano esortate ad agire secondo i dettami della legge.
Nel 1580, il Comune si dichiarò allo stremo per gli alloggiamenti ai soldati e per i debiti contratti con gli Ebrei, dovuti ai prestiti forzosi cui era stato costretto dal governo centrale.
Nel 1588 il podestà di C., con l'approvazione delle autorità, dette ordine agli ebrei di assistere alle prediche del monaco Cristoforo da Verucchio, ma Nello ricevette a sua volta ordine di prendere le consuete precauzioni per tutelarli, durante la Settimana Santa.
Nel 1589 circa diversi notai di C. attestavano l'atteggiamento di grande disponibilità degli ebrei nei confronti della clientela cristiana in ritardo nei pagamenti e dichiaravano che i prestiti venivano fatti senza interesse, mentre aveva preso piede il commercio ebraico in oro, gioielli ed altri beni. Il notaio Alfonso Nigrisolo, commissario di C., dichiarò, infine, che gli israeliti si comportavano modeste, quiete et pacifice[9].
Dal memorandum del 1589, risultavano vivere a C. 71 ebrei, in merito ai quali le autorità locali, ribadendo quanto riferito dai notai, aggiungevano: non contravengono a cride o ordini de superiori[10].
Nel 1590 il referendario di C. informò il governatore di Milano della presenza a C. di 10 nuclei, di cui elencò i membri e i capifamiglia[11]. Inoltre, le autorità doganali dichiararono allora di aver avuto un introito annuale di 150 scudi dal commercio israelitico.
Con decreto reale del 1597, gli ebrei di C. ricevettero autorizzazione a riunirsi in loco per ratificare con i loro rappresentanti l'accordo stipulato con il Tesoro reale e ducale. Nella divisione della somma dell'Università del Ducato di Milano, operata dai tre rabbini da Fano, Meli e Finzi, risultava creditore a C. Buonaiuto del fu Angelo del fu Moysè Levi, per 312 lire milanesi[12].
Altri cenni della presenza ebraica a C. non ci sono rimasti: sembra che, dopo il 1597, alcuni dei membri della Comunità si fossero spostati a Cremona, confermando la tendenza del momento a trasferirsi dai centri minori verso le città e , in seguito, oltre confine[13].
Attività economiche
Gli ebrei di C. erano dediti principalmente all'attività feneratizia. Nel 1453 il Duca confermò — intervenendo, in seguito, perché fosse rispettata — la condotta stipulata tra il Comune e un gruppo di israeliti (Saul, la moglie Regina e il figlio Giacobbe; Davide e Salomone), adoperandosi, inoltre, perché Salomone non dovesse restituire i pegni non riscattati entro dodici mesi, come concessogli dal suo privilegio.
L'anno seguente, Regina e Angelo, proprietari del banco di C., in mancanza di mezzi per far fronte alle necessità economiche della popolazione, chiesero di prendere come socio un loro parente, mentre nel 1456 il Duca dette il permesso di trasferire il banco di Salomone ad Abramo di Angelo (Mordecai) Finzi di Bologna, il quale avrebbe goduto delle stesse condizioni espresse nella condotta del 1453[14].
Otto anni dopo, gli abitanti, dopo aver rilevato che Abramo di Bologna e Gavo di Piperno, autorizzati a fenerare a C., bastavano a soddisfare le loro necessita creditizie, chiesero al Duca di non estendere ulteriormente il permesso di prestare in loco, ma nel 1464, pur essendo contrari alla presenza dei banchieri, chiesero l'accordo ducale per l'estensione ad Abramo di Bologna della concessione passatagli da Saul, Regina e Salomone. All'incirca nello stesso periodo, Saul e Regina, non potendo supplire da soli al crescente fabbisogno monetario della popolazione, proposero che fosse concesso ai fratelli Josuè e Allegro di Cressino di Viena, il permesso di stabilirsi a C. per fenerarvi alle loro stesse condizioni. Nel 1522 il Duca concesse poi ai fratelli Guardamale e Thobia il monopolio del prestito a C.[15].
Nel 1530 Tobia, Vidalino e fratelli, i figli di Guardamano ed il socio Emanuele, banchieri a C., si appellarono al Duca in forza del monopolio e, facendo presente il recente provvedimento dei conservatori riguardante l'asta dei pegni non riscattati — che per loro non aveva precedenti ed era economicamente svantaggioso — chiesero di esserne esentati. Acclusa al loro appello era una lettera della popolazione di C. che, in segno di rispetto verso i banchieri, ne appoggiava la richiesta, confermando che, cessato il dominio veneziano, per oltre vent'anni essi non avevano dovuto mettere all'asta i pegni non riscattati: Il Duca accolse la richiesta e, pertanto, esentò dall'asta i banchieri di C.
Nel 1558 risultavano proprietari di banco a C. Moisè da Levi e Tobia Foija e nel 1570, quando il prestito alla popolazione cristiana era stato ormai proibito,vennero accusati di fenerare illegalmente Mosè ed il figlio Angelo. Com'e stato già ricordato in altro contesto, in aggiunta al prestito, gli ebrei, sin dai primi tempi della loro presenza a C., parteciparono al mercato che vi si teneva, oltre ad essere impegnati nel commercio dello zafferano (nonostante un'iniziale opposizione, nel 1477, data dalla paura della concorrenza, contraria agli interessi cittadini).
Dalle testimonianze di svariati notai del 1589, si apprende che allora gli israeliti risultavano prestare denaro senza interesse e commerciavano in oro, gioielli e altri beni, manifestando grande indulgenza nei confronti dei clienti insolventi e ricorrendo a misure legali drastiche solo nel caso di estrema renitenza a pagare[16].
Rabbini
A C. ha vissuto, almeno per un certo tempo, R. Barchiel Caffman da C., autore.di Lev ha-Adam, sulla Cabbala, che assunse l'appellativo "da C." solo dopo la partenza dalla località[17].
Bibliografia
Villa Antoniazzi, A., Un processo contro gli ebrei nella Milano del 1488, Bologna 1986.
Diena, A., Responsa (Boksenboim, Y., ed.), 2 voll., Tel Aviv 1977-9 (Ebr.).
Mortara, M., Indice alfabetico dei rabbini e scrittori israeliti, Padova 1886.
Segre, R., Gli ebrei Lombardi nell'età spagnola, Torino 1973.
Simonsohn, S., The History of the Jews in the Duchy of Mantua, Jerusalem 1977.
Simonsohn, S., The Jews in the Duchy of Milan, 4 voll., Jerusalem 1982–1986.
[1] Simonsohn, S., The Jews in the Duchyof Milan, I, doc. 44.
[2] Simonsohn, S., op. cit., I, doc. 208.
[3] Simonsohn, S., op. cit., I, doc. 695.
[4] Cassuto, U., E.J. alla voce "Casalmaggiore"; cfr. voce "Soncino".
[5] Su questo processo contro gli ebrei del Ducato, si veda anche, per quanto riguarda Giacobbe di Casalmaggiore, Villa Antoniazzi, A., Un processo contro gli ebrei nella Milano del 1488, passim.
[6] Simonsohn, S., op. cit., II, doc. 2460.
[7] Simonsohn. S., op. cit., II, doc. 3185.
[8] Ivi, II, doc. 3382.
[9] Simonsohn. S., op. cit., III, doc. 4033.
[10] Op. cit., III, doc. 4038, p. 1816.
[11] I capifamiglia erano : Giuseppe Sacerdote , noto come Bocaccia, Matasia Rava, Moise Levi, noto come Montachiaro, Mandolino Levi, Lion Cartaro, Cerrvo Levi, Rafael Voghera, Benedetto Levi, Giuseppe Mess e Anselmo Levi. Cfr. Simonsohn, S., op. cit., III, doc. 4071.
[12] Simonsohn, S., op. cit., I, doc. 44, 208, 243, 249, 410; II, doc. 1936; I, doc. 456, 695, 482; II, 2134; I, docc. 664, 730, 881, 887, 896, 900, 920, 929, 1237, 1205, 1267, 1233, 1359, 1417, 1429; II, 1754, 1936, 2129, 2130, 2165, 2039, 2291, 2293, 2320, 2376, 2393, 2419,2421, 2436, 2460, 2525, 2638, 2661, 2725, 2802, 3185, 3382; III, 3384, 3474, 3773, 4011, 4012, 4030, 4033, 4038, 4077, 4071, 4082, 4322, 4323, 4326, 4376 (p. 2038). Segre, R., Gli ebrei Lombardi nell'età spagnola, p. 83, n. 2; p. 52.
[13] Segre, R., op. cit., p. 114.
[14] Finzi vendette per 2000 lire il banco nel 1471 a Abramo del fu Santo da Bologna, e a Bondi del fu Mosè Rava. Cfr. Simonsohn, S., op. cit., I, doc. 453, nota.
[15] Si trattava dei fratelli Foa che sarebbero stati, nel 1527, banchieri a Viadana; cfr. Simonsohn, S., Mantua, p. 163.
[16] Simonsohn, S., op. cit., I, doc. 199, 243, 249, 849, 868, 873, 881, 893, 970, 988; II, doc. 1687, 2047, 2095, 2391, 2428, 2435, 2991; III, 3474, 4030.
[17] Diena, Responsa I, p. 411 e le citazioni in fondo. Si veda anche Mortara, M., Indice Alfabetico, p. 9. Lev Ha'adam è stato edito da Barel, E., nella sua tesi presso l'università Bar-Ilan nel 2001.